«Da quando Darwin mi ha definito “un osservatore inimitabile”, questa qualifica mi è stata applicata molte altre volte qua e là, senza che ne abbia ancora capito il motivo. Interessarsi a tutto ciò che brulica attorno a noi è così naturale, mi sembra, così alla portata di tutti, così appassionante! A ogni modo sorvoliamo, e ammettiamo pure che il complimento sia fondato. Ma se devo affermare che sono curioso di tutto ciò che riguarda l’insetto, non ho più alcuna esitazione. Sì, sento di avere il pallino, l’istinto che mi spinge a frequentare questo mondo singolare; sì, mi riconosco capace di dedicare a simili studi tempo prezioso, che sarebbe impiegato meglio nel prevenire, se possibile, la povertà della vecchiaia; sì, confesso di essere un appassionato osservatore dell’animale. Come si è sviluppata questa inclinazione caratteristica, allo stesso tempo croce e delizia della mia vita? E, soprattutto, che cosa deve essa all’atavismo?». Jean-Henri Fabre
(dal risvolto di copertina di: Jean-Henri Fabre, "Ricordi di un entomologo. Volume Terzo", Adelphi, pagg. 744, € 42)
il fascino mortale del formicaleone
- di Giorgio Vallortigara -
Il mio animale d’affezione, Emilio il formicaleone, dimora con agio in ufficio dentro un ampio terrario sopra la scrivania. Si tratta in realtà di una molteplicità di individui, sempre diversi a ogni estate, perché dopo qualche mese la larva si imbozzola trasformandosi in ninfa e poi in insetto adulto, ma tutti i miei formicaleoni si chiamano Emilio, per la stessa misteriosa ragione per cui, come asserì il poeta Christian Morgenstern, tutti i gabbiani hanno l’aria di chiamarsi Emma. Mi pareva di ricordare che l’animale fosse menzionato nei Ricordi di un entomologo di Jean-Henri Fabre, così quando Adelphi ha pubblicato il terzo volume sono andato a cercarlo. L’ho trovato a pagina 531, là dove Fabre descrive il comportamento delle larve predatrici, che stanno in agguato nascoste attendendo la loro selvaggina.
Il primo esempio narrato riguarda il comportamento della larva della cicindela, lo scarabeo tigre, che scava un pozzo verticale che poi chiude con la sua testa basculante per farvi sprofondare l’incauto che ci passi sopra. Poi è la volta del formicaleone. La larva di questo insetto disegnando circoli nella sabbia mentre si muove a marcia indietro fabbrica un imbuto trappola, con un pendio ripido e franoso, dal quale la formica ha difficoltà a uscire. Difficoltà accresciuta dal fatto che il formicaleone usa la sua nuca come una catapulta per colpire con precisi lanci di sabbia la malcapitata vittima, che così lapidata precipita sul fondo dell’imbuto dove viene ghermita e sparisce alla vista, trascinata sotto la sabbia. Terminato di suggerne i succhi con le sue mandibole, il formicaleone lancia fuori dall’imbuto l’esoscheletro della formica ormai vuoto.
Forse attratto dalle simmetrie in tutto ciò che è atroce lo scrittore giapponese Kobo Abe menziona la prima di queste bestiole nelle pagine iniziali de La donna di sabbia (Longanesi, Milano, 1972), la seconda, in una versione muliebre, nel resto del romanzo. Il protagonista, un insegnante che impiega le vacanze per coltivare la sua passione segreta da entomologo dilettante andando a caccia di insetti che vivono nella sabbia, nella speranza di dare il proprio nome a una nuova specie, è alla ricerca di un coleottero della famiglia delle cicindele, Cicindela japonica. Giunto in piena estate su una remota costa del Giappone, si fa cogliere dalla notte tra le dune ancora immerso nella sua ricerca. Smarrito, viene soccorso da un vecchio che lo conduce verso un alloggio, una baracca sistemata in una buca come quella di un formicaleone, con una donna che vi abita, rimasta vedova. La donna, che esercita un’intensa attrazione erotica sull’entomologo, come tutti gli abitanti del villaggio deve spalare di continuo per non finire sopraffatta dal continuo scivolare della sabbia lungo le pareti delle buche in cui giacciono le abitazioni del villaggio. L’uomo non uscirà più dall’imbuto di sabbia, la polizia, allertata dalla moglie, non potrà che registrarne la misteriosa scomparsa. Kobo Abe durante la sua infanzia ebbe tre interessi, la raccolta degli insetti, la matematica e la lettura. Congetturo che sia l’attenzione ossessiva per la minuzia (le varianti nella forma delle zampe anteriori sono indizi cruciali per classificare le differenti specie di coleotteri osserva il protagonista del romanzo) che dà origine alla straordinaria qualità della scrittura degli appassionati di entomologia, sia nella letteratura, da Kobo Abe a Vladimir Nabokov fino al nostro Primo Levi, sia nella saggistica, da Jean-Henri Fabre a Eugène N. Marais fino a Edward O. Wilson.
La fascinazione che le larve del formicaleone hanno da sempre esercitato nel mondo delle idee è così ampia che vi sono persino dei siti web dedicati all’argomento ( https://www.antlionpit.com/culture.html ). Dalla ciotola Mimbres, dei nativi americani del New Mexico che riproduce stilizzata una larva di formicaleone le cui immagini a scacchiera e a vortice hanno probabilmente la loro ispirazione nelle esperienze degli indigeni con gli allucinogeni, alle sculture di una larva di formicaleone di un metro di lunghezza realizzato dall’artista americano Patrick Bremer; dal primo charm pubblicato nel 1876 da Mark Twain nelle Avventure di Tom Sawyer – Doodle-bug, doodle-bug, tell me what I want to know –, recitato in seguito dall’astronauta dell’Apollo16 Charles Duke quando confronta i crateri lunari con quelli del formicaleone, alle innumerevoli altre filastrocche che fanno parte del folklore nordamericano: Doodle-bug, doodle-bug, come out and get a grain of corn / Your house is burning up; oppure: Doodle, doodle, doodle / your mother and grand-daddy are dead.
Nel 1845 Edgar Allan Poe scrisse una variazione satirica delle Mille e una notte. Il narratore dichiara di aver scoperto un testo orientale da tempo perduto che conterrebbe la storia autentica di Scheherazade. Il testo menziona una notte «mille e due» durante la quale la principessa racconta la seguente storia: «Abbiamo lasciato tale regno in gran fretta e, dopo alcuni giorni, siamo giunti in un altro, dove siamo rimasti stupiti nel vedere miriadi di animali mostruosi con corna simili a falci sulle loro teste.
Queste bestie orribili si scavano vaste caverne nel terreno, a forma di imbuto, e rivestono i lati di essi con rocce, disposte l’una sull’altra in modo che cadano all’istante, quando vengono calpestate da altri animali, precipitandole così nelle tane dei mostri, dove il loro sangue viene immediatamente succhiato, e le loro carcasse poi scagliate con disprezzo a una distanza immensa dalle caverne della morte.»
Un aggiornamento alla sitografia pare necessario: recentemente è stato pubblicato un manoscritto inedito che Giacomo Leopardi scrisse a quattordici anni, il Compendio di Storia Naturale (Mimesis, 2021). L’incantamento per l’inquietante creatura occorre sempre nella prima gioventù e Leopardi evidentemente non ne fu indenne; etichetta l’animale come «Mirmicoleone», e dice che «è provveduto di due corna falcate verso la cima, che gli spuntano dalla fronte». Chiara Valerio nel suo romanzo Così per sempre (Einaudi, 2022), che ha per protagonista un coltissimo conte Dracula, che vive a Roma e si chiama Giacomo Koch, descrive un personaggio, Renato Campi, che studia la coscienza degli insetti e tiene in camera dei formicaleoni dentro contenitori dei Ferrero Rocher riempiti di sabbia. Non sappiamo abbastanza dell’infanzia di Renato Campi per capire come ebbe origine nel suo caso la malia per la larva terribile.
Nel romanzo di Arthur C. Clarke A Fall of Moondust del 1961 Pat Harris il capitano della nave Selene che naviga i mari lunari sfiorando la superficie della sabbia – a differenza di quelli terrestri i mari lunari sono fatti di sabbia fine, non di acqua – si ritrova improvvisamente ad affondare in un vortice gigantesco. La situazione terrificante gli fa tornare alla mente un ricordo d’infanzia: «Era di nuovo un ragazzo, che giocava nella sabbia calda di un’estate dimenticata. Aveva trovato una minuscola fossa, perfettamente liscia e simmetrica, e c’era qualcosa in agguato nelle sue profondità... qualcosa di completamente sepolto tranne che per le fauci in attesa. Il ragazzo aveva guardato, meravigliato, già consapevole del fatto che quello era il palcoscenico di un dramma microscopico. Aveva visto una formica, irragionevolmente intenta alla sua missione, inciampare sull’orlo del cratere e precipitare giù per il pendio. Sarebbe scappata abbastanza facilmente, ma quando il primo granello di sabbia era rotolato sul fondo della fossa, l’orco in attesa era uscito dalla sua tana. Con le zampe anteriori aveva scagliato una raffica di sabbia contro l’insetto che si dibatteva, finché la valanga l’aveva travolto e l’aveva fatto scivolare nella gola del cratere».
- Giorgio Vallortigara - Pubblicato su Domenica del 10/9/2023 -
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