domenica 30 dicembre 2018

Il sogno del maestro

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Riflessioni sulla mano aperta di Le Corbusier

«... nell'opera di Le Corbusier, la mano aperta si configura come se fosse una risorsa ideografica... che non viene compresa da noi come se fosse un segno, bensì come una cartografia (...) delle sue intenzioni (...) come se fosse una topografia costruita sulla base di un'immagine che si è evoluta a partire dal suo pensiero» [Palacios Aguilar] Palacios Aguilar, J.C.- “Chandigarh antes de Chandigarh (Cartografía de una idea)”.

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- Mano = Colomba - Mano = Banderuola - «Girando, la mano aperta contiene in sé tutti gli sguardi e tutte le angolature possibili» [Palacios Aguilar].
- Mano costruita più sull'«Arco di Trionfo» che sopra un cubo incompleto [la scatola vuota di Oteiza].
- Non c'è nessuna asta verticale infinita in contatto col cielo, è non c'è nessuna Cuccagna in cima all'albero (per questo serve la «colonna senza fine di Brancusi»)
- La mano aperta non «gratta il cielo». Il senso è proprio quello opposto.
- Mano = Albero - I rami (le dita) sono le «radici del cielo» dalle quali si traggono le sostanze nutrienti che arrivano alla terra [axis mundi].
- Mano aperta in posizione supina, e non prona, che sotto appare convessa, e non protegge [non è la grotta di Maria Maddalena a Sainte-Baume].
- Nella sua posizione, la mano non dà, essa raccoglie dal cielo. Raccoglie tempeste, come se essa fosse un «parafulmine». E soprattutto raccoglie la pioggia [compluvium - impluvium].

« L'albero che organizza la città di Chandigarh, fra la pianura e la montagna, nasce in basso (...) dall'acqua che irriga la terra, e viene inteso come ciclo di evaporazione e di pioggia e di acqua visto come se fosse il modellatore della terra (...) come un vincolo che stabilisce con tutta la pianura, e con l'acqua che riceve dal cielo, che si condensa grazie all'Himalaya. Un vincolo che viene amplificato dalla Mano (...) e la Mano stessa è una forma che simultaneamente cattura ed emette (...) » [Fuertes Pérez]. - Fuertes Pérez, P.- “Le Corbusier desde el palacio del gobernador: un análisis de la arquitectura del capitolio de Chandigarh”. (Tesis doctoral).

La mano abierta DSCN6855

«Il complesso di Chandigarh e dei suoi episodi, formano una rete di relazioni anziché una composizione immutabile, garantendo autonomia all'oggetto dentro una rigorosa base geometrica e tematica (...)».
«La simmetria, in quanto forma di riflessione, in quanto forma di inversione, si manifesta su scale differenti (...), lo fa la Mano Aperta quando si rende conforme alla definizione cartesiana di oggetto e di immagine (...) sotto forma di equivalenza e di inversione, come quella che si stabilisce fra il monumento (...) ed il suo fossato». (…) «La formulazione più esatta della "chambre à ciel ouvert" è, senza dubbio, quella del fossato della Mano Aperta, che è per eccellenza uno spazio intimo che si trova all'esterno. Nel declinare verso il fossato, la spianata diventa solamente memoria, e l'universo visibile si concentra nei limiti di questo svuotamento di argilla». (…) «L'ordine dell'architettura (...) è un ordine fatto di "discontinuità e fratture" disposte in un telaio geometrico di spazi e di oggetti autonomi che si sovrappongono nell'esperienza dell'architettura». (…) «Per Manfredo Tafuri, l'esistenza di tali discontinuità è stata interpretata come fallimento, in quanto formulazione di uno spazio esterno moderno». [«Esso si presenta all'osservatore come se fosse uno spazio fatto di assenze, invalicabile, alienante: che si innalza al di sopra delle alture predisposte da Le Corbusier (...); tali assenze diventano ancora più inquietanti; in quanto discendono nel fossato della Considerazione, dove l'assenza e la moltiplicazione degli echi enigmatici si scambiano fra di essi in silenzio» (M.T.)]. (…) «Pur con le sue carenze plastiche, la Mano Aperta che viene costruita nel 1985 emergendo dal fossato può solo indicare assenza» [«L'idea (della Mano aperta] ritorna, assumendo una forma differente; ora non è più una conchiglia, bensì un pannello, una silhouette» (Le Corbusier)]. (Dalla Tesi di Dottorato di P. Fuertes Pérez).

«... niente ci ha deluso così tanto quanto una squallida mano, costruita timidamente, nell'anno 1985, su un lato della spianata del Campidoglio. La mano aperta (...) è, oggi, una piccola costruzione senza volume e senza sostanza, una triste caricatura, senza forza né contenuto, di quello che era il sogno del maestro...» [Emilio Tuñón]. Tuñón, E.- “Dos noticias atrasadas, dos anécdotas y una mano abierta”. Pasajes, nº 9. pág. 38-39. Madrid, 1999.

fonte: Materia construida

sabato 29 dicembre 2018

L'odore dei tempi

rivolta

Un abito giallo che fa comunità
- di "Temps critiques"

Il movimento dei Gilet Gialli sembra confermare una rottura del filo storico della lotta di classe. La cosa aveva già avuto inizio a livello mondiale durante le Primavere Arabe, poi con il movimento Occupy, e con i movimenti delle Piazze che erano tutti alla testa di quelle mobilitazioni che rivendicavano o domandavano libertà, uguaglianza, e condizioni di vita in generale; il posto di lavoro, piuttosto che le condizioni lavorative. È stato anche per questo motivo che questi movimenti si rivolgevano assai più allo Stato che ai Padroni, nella misura in cui il processo di globalizzazione/totalizzazione del capitale porta gli Stati a gestire la riproduzione dei rapporti sociali a livello territoriale, pur restando dipendente dalle esigenze della globalizzazione.
In Francia, la forza di resilienza del movimento operaio tradizionale aveva ancora mantenuto l'idea della lotta di classe del lavoro contro il capitale. Nella primavera del 2016, la lotta contro la riforma del diritto al lavoro aveva proseguito sulla strada della «classe operaia innanzitutto» senza ottenere dei risultati tangibili. Qualche anno prima, le mobilitazioni generate a partire dal movimento delle Piazze non avevano consentito un'effettiva ripresa, poiché avevano privilegiato il formalismo delle assemblee a scapito del contenuto della lotta. Una lotta che sembrava aver trovato un legame più promettente in seno al movimento spagnolo, che vedeva il movimento delle Piazze virare verso la solidarietà di quartiere, legandosi ai problemi dell'alloggio.
In tutte queste lotte, comprese quelle contro la loi-travail, la questione dello sciopero generale, o quella del blocco della produzione a partire dalle fabbriche, non è stata posta, così come non è stata posta in seno al movimento dei Gilet Gialli. In queste condizioni, coniugare la prosecuzione delle occupazioni delle rotatorie con gli appelli allo sciopero dei lavoratori salariati evidenzia quella che è una fantasia della «convergenza delle lotte», ovvero, l'idea superata secondo la quale bloccare il flusso delle merci sarebbe secondario rispetto al blocco della produzione delle merci stesse.

Una comunità in lotta, che non è più la comunità del lavoro
I rivoltosi delle rotatorie sono di certo in gran parte dei salariati (o assimilabili a dei salariati in quanto beneficiano di posti di lavoro sovvenzionati, o di sovvenzioni per tornare a lavorare), ma ci sono anche altri occupanti non salariati o ex salariati (soprattutto degli auto-imprenditori poveri, e soprattutto ci sono dei pensionati ben lontani da quelli che partono su voli low-cost diretti verso destinazioni esotiche). Non è di certo a partire dal loro rapporto di lavoro che intervengono, bensì a partire dalle loro condizioni di vita e dalla loro inesistenza sociale. Una lotta, certamente, ma una lotta senza classe, piuttosto che una lotta di classe. Perciò non serve a niente andare alla ricerca di quella che dovrebbe essere la sua ala proletaria, in modo che poi possa esprimere quella "Transcroissance" [N.d.T: Cambiamento qualitativo che avviene in una continuità senza rotture] che non ha alcuna intenzione di manifestare. Del resto, se i Gilet Gialli continuano ad essere disprezzati dal potere, questo non succede perché sono dei "proletari" nel senso storico del termine (Macron non disprezza apertamente gli operai professionali che sono stati innalzati allo stato dell'arte dell'istruzione sindacale e legalitaria), ma piuttosto per il fatto che per lui non sono proprio niente («delle persone che non sono niente», così ha detto), una sorta di sottoproletari moderni, dei casi sociali, dei selvaggi che ha hanno dimenticato tutte le regole della civiltà, del persone che non sanno né parlare né produrre leader. Degli «sdentati», come li aveva chiamati Hollande. Un disprezzo di per sé spregevole, in quanto assolutamente carico di mancanza di umanità; un disprezzo cieco che riserva al movimento un giudizio indifferenziato, sebbene ci mescoliamo a loro, noi sappiamo che ci sono delle persone molto differenti in seno al collettivo dei Gilet Gialli. Secondo quelle che sono le testimonianze a proposito della vita collettiva dei Gilet Gialli nei "chioschi" che sono fioriti nei pressi delle rotatorie, si può dire che innanzitutto si tratta di una comunità di lotta costituitasi a partire dalla condivisione delle difficili condizioni di vita; un'unione delle energie contro il potere globalista (Macron, i ministri, i politici, i corrotti, i grandi evasori fiscali, coloro che si attribuiscono e sequestrano la parola del popolo, ecc.); aspirazioni collettive per porre fine alla vita cattiva; e tutto questo con accenti a volte utopici, come vengono cantati da un Gilet giallo musicista dilettante, «Non voglio vivere in un mondo dove le colombe non volano più» [*1]. Un lirismo e delle canzoni che sono assai lontane dalle eterne strofe politiche sull'«emancipazione » che accompagnano le manifestazioni operaie o di sinistra. È questa comunità di lotta che fa sì che delle persone si diano il cambio per poter preparare da mangiare sul posto, o per condividere quello che viene portato a sostegno. La solidarietà non è una parola vuota.

Cosa dire dell'organizzazione?
Se siamo d'accordo sul fatto che i Gilet Gialli hanno sviluppato un movimento autonomo, non ci vuole molto per arrivare a dire che si auto-organizzano, in quello che è il senso ideologico dell'auto-organizzazione così come poteva essere concepita dai consiliaristi storici o dai libertari. Si tratta di un auto-organizzazione immediata che non sfocia in nient'altro se non nella sua propria pratica del tutto immediata. Essa raggiunge i suoi limiti quando vuole passare allo stadio di un'organizzazione vera e propria del movimento, fosse anche solo decidere di rifiutare o meno di fare delle richieste ufficiali della manifestazione, o accettare o meno dei percorsi prestabiliti, o l'elezione di portavoce o delegati. C'è un rifiuto dell'organizzazione, e non dell'auto-organizzazione, che corrisponde non solo alla sfiducia di qualsiasi organizzazione politica o sindacale, ma anche al fatto che le condizioni attuali hanno esaurito tutte le forme storiche che hanno potuto conoscere [*2]. In effetti, i Gilet Gialli non possono costituire dei «consigli di rotatoria», allo stesso modo in cui abbiamo avuto dei consigli operai, o dei soldati. Ma ciò non significa affatto che non possano discutere, o agire a partire da queste rotatorie. Semplicemente, questi non sono dei luoghi in grado di garantire la durabilità della forma politica, come abbiamo potuto recentemente vedere a partire dal loro smantellamento. Anche qui il movimento innova, in quanto è allo stesso tempo bloccato e nomade. I nodi dei blocchi possono infatti essere spostati e rimontati in qualsiasi momento, allo stesso modo in cui vengono spostati e rimontati i luoghi e i tragitti delle manifestazioni. Il rischio diventa allora quello di una ripetizione delle azioni precedenti. Ora, questa ripetizione è già stata resa precaria:
1) dal numero decrescente delle persone presenti nei punti della mobilitazione; 2) dall'intervento dei gendarmi sulle rotatorie e soprattutto su questa sorta di piccoli ZAD [Zone A Defendre] che si erano formati molto spontaneamente; 3) dai nuovi dispositivi di cui sono dotati le forze dell'ordine durante le manifestazioni del sabato, che tendono a trasferire la violenza reale della repressione statale, che gli aliena gran parte dell'opinione pubblica, verso una violenza intrinseca al movimento in quanto esso rifiuta di ottemperare alle richieste governative di porre fine alle manifestazioni. È il movimento che diventa allora portatore di disordini, e tutti coloro che si richiamano ad esso diventano colpevoli del reato di intenzione, una forma di crimine sempre più costruita nel nome dell'urgenza o dell'eccezione (per esempio, per quel che attiene alle azioni terroristiche), ma che è riciclabile per l'occasione [*3].

Dalla negazione all'istituzionalizzazione?
È stato qui che siamo passati ad una seconda fase più affermativa, quella del RIC [Référendum d'Initiative Citoyenne], rispetto alla prima che era stata più negativa (Macron-démis­sion, Nous ne lâche­rons rien, ecc.)? Oppure il movimento può continuare anche assorbendo questa nuova proposta elettoralistica che sembra tuttavia una via d'uscita per coloro che, fra i Gilet Gialli, hanno preso atto del fatto che Macron non si dimetterà?
Se il RIC distrugge quella che è la dinamica immediata del movimento, questo avviene perché la sua base attuale, quella delle rotatorie e delle manifestazioni del sabato, non è portatrice di nessuna chiara dinamica storica, tanto più che le pratiche assembleari, così come l'idea della delega, trovano poca eco, o creano delle divisioni in seno al movimento. Questo proprio perché non è in grado di rendere storica la sua dinamica su una base assemblearista che si rifugia nel RIC. Un referendum, per alcuni un esempio di democrazia diretta, ma che per noi rischia di dare inizio all'istituzionalizzazione del movimento [*4] - o peggio ancora alla nascita di un movimento tipo 5 Stelle, come in Italia. La nostra critica del RIC, non può quindi basarsi essenzialmente su un errore strategico del movimento che si lascerebbe «recuperare» [*5], come sostiene un volantino pubblicato in rete. In realtà, questo testo porta avanti il tradizionale discorso di sinistra circa il «recupero», ma finisce per accamparsi su delle posizioni di tipo «degagista» [N.d.T.: neologismo legato alla Primavera Araba che indica il "volersi liberare di persone o cose"] che si limita all'anti-macronismo. Si tenta, da parte di alcuni, di appropriarsene in quanto fa sembrare intransigenti senza compromessi e fa credere che fin dalle prime settimane abbia espresso l'unità del movimento, ma non può più accontentare chi, come noi, pensa che il capitale sia un rapporto sociale. Di sicuro ci sono delle ragioni per sostenere che alla fine l'adozione del RIC riguarderebbe solo le «questioni sociali»; questioni che stanno alla base di tutte le manipolazioni mediatiche o populiste, e che sono anche alle base della rivolta. Inoltre, come potrebbe un referendum imporre al padronato degli aumenti salariali e un abbassamento dei prezzi degli affitti degli alloggi?
Ma quello che ci viene risposto, è «cosa proponete voi?». È la stessa cosa che ci dicevano nel '68 e con in più la scappatoia, per alcuni, di rispondere proponendo modelli esotici (Cuba o la Cina).
Non si può negare il fatto che ciò che costituisce la forza del movimento è anche quello che lo rende debole. Tanto per fare un esempio, il legame effettivo fra i Gilet Gialli e i sindacalisti che hanno partecipato al blocco delle rotatorie rimane assai formale nella misura in cui quei sindacalisti non intervengono in quanto individui, come facciamo noi del resto, ma attraverso lo stabilirsi di una mediazione che renda possibile e concreto il fatto che sempre più sindacalisti di base sono disposti ad aderire al movimento, ma su una base diversa dalla convergenza delle lotte (è il punto di vista della CGT), ma con la sensazione che sia la stessa lotta, con in più il fatto di avere assunto delle forme che consentono di «vincere» [*6]. Si tratta tuttavia di un sentimento condiviso da parte di molti partecipanti alla manifestazione inter-professionale del 14 dicembre, i quali hanno partecipato anche ad una o più manifestazioni del sabato insieme ai Gilet Gialli. D'altronde, sempre più iscritti alla CGT, anche se nel complesso si tratta di una minoranza, indossano dei gilet gialli con sopra appiccicate adesivi della CGT, oppure si creano dei gilet rossi e gialli. Ma le aspettative soggettive sono limitate da quelle che sono le condizioni oggettive, poiché il mondo sindacale è sempre più separato da quello che può essere chiamato il mondo del lavoro, in quanto le situazioni sono diventati particolari fino a tal punto. Un insieme composito che comprenda, da un lato, chi «lavora di più per guadagnare di più» è un'illusione, ma dall'altro lato non sembra che ci si opponga alla defiscalizzazione delle ore supplementari proposte dal governo. Tuttavia, la cosa ha degli effetti negativi riconosciuti sui livelli di occupazione, che costituiscono una delle preoccupazioni dei Gilet Gialli. Questa contraddizione spiega forse il fatto per cui il movimento non sembra fare alcun riferimento al concetto di reddito garantito, nonostante abbia consapevolezza ed esperienza del fatto che, assai spesso, lavorare non basti per poter vivere [*7].
Il movimento esprime, a causa della sua diversità e della sua eterogeneità, il carattere multidimensionale delle disuguaglianze insieme ad un «risentimento» contro le forti disuguaglianze statistiche considerate una per una. Questa differenza è anche dovuta al fatto che la Francia è più performante per quanto riguarda la redistribuzione a monte relativa alla formazione dei redditi (accessibilità all'università, alla sanità, salario minimo, la qualità della vita in generale) che sembra un'acquisizione per così dire «normale», piuttosto che per redistribuzione a valle, dove l'imposta diretta progressiva pesa poco, la CSG [Contribution sociale généralisée] riguarda tutti, come l'IVA e le diverse tasse che pesano in particolare sulla propensione al consumo dei lavoratori salariati più poveri [*8].

Verso una prova generale di tutte le rotatorie?
Del resto, in questo periodo di feste, c'è un consumo che il movimento sta sconvolgendo, bloccando a livello di piattaforma centrale quello che è l'approvvigionamento da parte degli ipermercati, come quello dell'Auchan, vicino a Nimes, oppure bloccando direttamente l'ingresso ai supermercati. Alcuni uccelli del malaugurio, che annunciano sempre la vittoria del capitale, hanno potuto farsi beffe dei Gilet Gialli, i quali credono di poter fare del male al capitale bloccando gli ipermercati, mentre invece tutto questo andrebbe a beneficio di Amazon e di altre vendite online.
Ora, quest'affermazione è assai discutibile dal momento che le prime cifre mostrano un calo generale dei consumi nei luoghi tradizionali e un leggero aumento, però normale, in quanto previsto sulla base di una media del progredire delle vendite online. Eppure, non è affatto impensabile prendere in considerazione l'idea secondo cui «l'odore dei tempi» (inquinato dai gas di scarico) si rivela assai poco propizio per il consumo, e non solo perché sarebbe più difficile fare approvvigionamenti. Secondo il medesimo ordine di idee, si potrebbe vedere apparire delle scritte che dicono «Spegni la TV e indossa il tuo gilet»- Ci sono molti Gilet Gialli che riferiscono di non essere usciti più di casa se non per l'indispensabile. La mancanza di relazioni sociali è palpabile e l'invisibilità della quale stiamo discutendo qui non è quella dell'esclusione, bensì quella di un'invisibilità sociale dovuta alla nuova geopolitica dello spazio che riguarda anche gli abitanti delle banlieu [*9]. Questa situazione si impone su un insieme ben più ampio di quello che riguarda la lotta fra le due grandi classi, borghese e lavoratrice, e non è più riducibile ad una semplicistica opposizione fra ricchi e poveri e che attiene ad una definizione quantitativa/monetaria.
Si tratta di una lotta senza classi di una «moltitudine» intesa nel senso che non è quella del 99% dei gentili sfruttati contro l'1% dei malvagi sfruttatori e profittatori, nel momento in cui le gerarchie delle posizioni sociali, ed i lavori, si sono moltiplicate e perfezionate, e vengono prodotte e riprodotte senza troppe remore da parte degli individui, ad ogni livello che essi occupano. Una lotta senza classi, nel senso dell'assenza di un soggetto storico.
Il movimento dei Gilet Gialli viene spesso criticato poiché, contrariamente alle lotte operaie storiche, non rappresenterebbe alcun progetto di emancipazione. È un fatto, ma abbiamo già detto altrove perché quei progetti vennero portati avanti, dal 1788 e dal 1789 fino agli anni 1967-1978, per l'appunto da dei soggetti storici (prima la classe borghese, poi il proletariato). La sconfitta di quest'ultimo ciclo rivoluzionario ha fatto fallire ogni progetto di emancipazione, al di fuori di quello che è stato realizzato dallo stesso capitale nel quadro del completamento di un processo di individualizzazione all'interno di una società capitalizzata. Ma nelle rotatorie e in altri luoghi di espressione dell'attuale movimento si sente, comunque, una tensione verso la comunità, non una tensione astratta verso la comunità umana, ma una tensione che è allo stesso tempo concreta (lo è negli affetti) e generale, in quanto il movimento abbraccia e mette in discussione l'insieme dei rapporti sociali. Non è più il «Tutti insieme» del 1995 contro  un progetto ben preciso, ma è una sorta di indissociabile valutazione/messa in discussione della totalità capitalista a partire da dei punti di vista, o dalle angolature e prospettive di per sé parziali.
Per il momento, questa parzialità degli attacchi viene compensata dalla totalità dell'«andare contro», che si traduce nel linguaggio per cui il «Finiremo quello che abbiamo cominciato» dei Gilet Gialli diventa la risposta al «voi non siete niente» del Potere. Questo «Finiremo quello che abbiamo cominciato» implica determinate azioni collettive, che la presenza sovradimensionata e l'aggressività delle forze dell'ordine possono rendere violente. Un confronto di forze che il potere ed i Media chiamano «eccessi», con tutta l'orchestrazione interessata che le viene conferita.

- Temps critiques, 27 dicembre 2018 -

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NOTE:

[*1] - https://www.francebleu.fr/infos/economie-social/un-gilet-jaune-de-montbard-fait-un-carton-sur-le-web-avec-sa-nouvelle-chanson-1545108297
[*2] - Su questo, si veda il blog di Temps Critiques: http://blog.tempscritiques.net/archives/2179
[*3] - Dopo Julien Coupat, adesso ne paga il prezzo l'immagine dei Gilet Gialli. Stiamo assistendo ad una criminalizzazione dei movimenti sociali, con la moltiplicazione degli arresti, la custodia preventiva e pesanti pene detentive per la minima sciocchezza. Sono altrettante misure anticostituzionali che dimostrano la flagrante sproporzione rispetto agli atti incriminati, cosa che non dimostra la forza dello Stato, bensì la sua debolezza. Una debolezza resa ancora più evidente dal fatto che, dall'altra parte della barricata, le forze dell'ordine, con mezza giornata di sciopero, ottenevano da 120 a 150 euro di aumenti mensili.
[*4] - Allo stesso tempo, si nota che per la prima volta sono state presentate delle richieste ufficiali di tragitti autorizzati che sono stati disposti da alcune prefetture, come è avvenuto per la manifestazione del 22 dicembre 2018; la prima notevole flessione del movimento con la concomitante attuazione di un servizio d'ordine specifico dei Gilet Gialli.
[*5] - Lo si può leggere qui: http://www.19h17.info/2018/12/12/non-a-la-ricuperation/
[*6] - Nel mentre che la CGT ha firmato, insieme ad altre sei centrali sindacali, la condanna dei metodi di lotta dei Gilet Gialli.
[*7] - E paradossalmente, è Macron che resuscita il fantasma di un tale reddito, con l'aumento di un premio di attività che perde il suo carattere originario, che era quello di spingere al ritorno all'occupazione di quelle persone che si accontentavano dei minimi sociali. Ma qui si tratta di altro rispetto al riconoscere che il salario non remunera più «correttamente» il lavoro e che bisogna integrarlo con denaro pubblico. Il «lavorare di più è per guadagnare di più» ha esaurito i suoi effetti, anche se la defiscalizzazione delle ore di straordinario cerca di dargli ancora un alito di vita... a dispetto delle cifre sulla disoccupazione.
[*8] -  Cfr. L’inchiesta di Th. Piketty e del Laboratoire sulle disuguaglianze globali.
[*9] - In effetti, se i «problemi» delle banlieu vengono evidenziati dai media per sensazionalismo, o dai partiti per interesse politico, la vita quotidiana dei loro abitanti, per quanto riguarda quelle che sono le azioni associative o culturali vengono rese invisibili.

Fonte: Temps Critiques

venerdì 28 dicembre 2018

Il Giallo del Capitale

poe

Non basta Poe per fare un giallo ci vuole Marx
di Giancarlo De Cataldo

Mentre usciva il "Manifesto del partito comunista", lo scrittore americano creava il suo Dupin, padre di tutti i detective. Aveva capito che il mondo era cambiato: borghesia e opinione pubblica chiedevano un nuovo genere. Qualcuno commette un delitto e cerca di farla franca. Qualcun altro indaga per assicurarlo alla giustizia, a volte riuscendovi, altre fallendo. Il delitto accompagna l’essere umano sin dalla notte dei tempi e non c’è narrazione intorno al delitto che non sia riconducibile a questo schema primordiale: delitto — indagine — soluzione.
C’è chi rintraccia le origini nella Bibbia — siamo tutti, in definitiva, progenie di Caino, dal momento che proprio il fratricida, scacciato dall’Eden, fondò la prima città — e chi le fa risalire alla tragedia greca, o alle Mille e una notte, o alle avventure dei giudici-poliziotti cinesi. Il dibattito è aperto, e forse ozioso. Ma su un punto l’accordo è unanime: il romanzo giallo moderno che da quasi due secoli si legge, si ammira o si odia, comunque si consuma in tutto il mondo, nasce a metà dell’Ottocento ad opera di un giovane e geniale poeta, giornalista, scrittore nativo di Boston, di nome Edgar Allan Poe.
Quando, nel 1841, pubblica un lungo racconto dal titolo I delitti della via Morgue, Poe è un ragazzo irrequieto. Nato a Boston e presto orfano di due attori girovaghi, è allevato da un mercante sensibile di Richmond, ripetutamente espulso per indisciplina da scuole e accademie militari, segnato da amori sfortunati e talora tragici. I racconti gli danno fama e fortuna, ma l’assoluta mancanza di senso pratico gli fa perdere rapidamente tutto. Poe muore a quarant’anni per cause mai del tutto chiarite: forse l’etilismo, forse l’epilessia, forse il morso di un animale rabbioso, forse era stato sequestrato e drogato di whisky per farlo votare più volte in qualche elezione, secondo un costume in voga al tempo. Sta di fatto che Poe muore in quel fatidico 1849 che vede l’Europa all’indomani della spallata rivoluzionaria del Quarantotto e Marx ed Engels danno alle stampe il Manifesto. La borghesia scalpita per conquistare il ruolo che le compete a spese del vecchio ordine. È solo questione di tempo. Il grande cambiamento è nell’aria.
Nel frattempo, da Torino a Londra, passando per Vienna e Parigi, gli Stati emergenti e i vecchi imperi inventano la moderna polizia e il monopolio del controllo sociale e della repressione del crimine è sottratto alle squadre e squadrette di vassalli e signorotti e consegnato una volta per tutte all’autorità centrale dello Stato. Quello Stato che presto diverrà dominio, appunto, della borghesia.
Il primo poliziotto ufficiale, ironia della storia, è un ex-galeotto: Eugene Francois Vidocq. Nativo di Arras, come Robespierre, dopo una considerevole carriera di ladro e falsario, con svariate condanne ed evasioni, si offre come informatore ai servizi di sicurezza napoleonici e in breve tempo diventa capo della (nuova) polizia. Ritiratosi in pensione dopo aver servito, con notevole competenza, molteplici padroni, Vidocq pubblica nel 1828 memorie alle quali attingeranno a piene mani Balzac, Dumas e Victor Hugo. Secondo qualche suo biografo, Poe stesso si ispirò a lui per creare Dupin. Il dubbio è quanto mai legittimo. Vidocq era un uomo d’azione, un avventuriero, un figlio della strada. Dupin è un gentiluomo di buona famiglia che indaga per diletto, e alle maniere rudi preferisce il ragionamento.
Nelle prime pagine dei Delitti della Rue Morgue lascia di sasso il proprio interlocutore elencando minuziosamente la catena dei pensieri che costui ha formulato mentre i due passeggiavano oziosamente per le vie di Parigi. E inaugura così una tecnica di presentazione del personaggio che avremmo rivisto milioni di volte nei successivi (quasi) duecento anni. Perché ogni volta che un eroe, nei primi minuti di un film, o di una serie, ci fa restare a bocca aperta fornendoci un saggio tangibile e indiscutibile delle sue abilità, lui è Dupin e noi il suo stupido partner. È Poe, dunque, annota Borges, a stabilire «le leggi fondamentali del genere: il delitto enigmatico e a prima vista insolubile, l’investigatore solitario che lo svela mediante l’immaginazione e la logica, il caso riferito a un amico impersonale e alquanto slavato dell’investigatore».
Non sappiamo se Poe conoscesse il vero poliziotto, ma sappiamo che seguiva la cronaca nera. Se l’assassino della via Morgue è un mostruoso orango (decisamente più grosso e minaccioso di quanto non sia in realtà il vero scimmione), la seconda avventura di Dupin, Il mistero di Marie Roget, riprende e "risolve" il caso di Mary Cecilia Rogers, una fanciulla assassinata qualche tempo prima a New York.
Aveva dunque ragione Gramsci nel segnalare la stretta contiguità fra il romanzo poliziesco e i resoconti dei processi più seguiti, quelle "cause celebri" che, allora come ora, attraggono la nostra attenzione, con un misto di angoscia e morbosità. Nasce la polizia, si afferma la borghesia, nasce il giallo. Nessun caso, nessuna coincidenza. Ha scritto il grande storico Eric J. Hobsbawn: «Sin dal 1848 c’erano già quasi tutti i principali ingredienti del moderno mito letterario del crimine, sebbene non fossero ancora stati combinati insieme nel detective novel del ceto medio inglese o nella crime story americana, che oggi è diventata per la società urbana occidentale l’espressione definitiva di questo mito».

- Giancarlo De Cataldo - Pubblicato su Repubblica del 27/12/2018

giovedì 27 dicembre 2018

I “Big Data” e l'idiozia dell'individuo astratto

meyer big data

«Nel suo articolo, "I Big Data e il nuovo mondo intelligente visto come palcoscenico supremo del positivismo", Thomas Meyer affronta quella che nel panorama scientifico appare come una tendenza recente nei confronti dei Big Data, che vengono ormai applicati quasi ovunque. Gli apologeti delle "Scienze dei Big Data" e delle loro applicazioni si attendono da tali Big Data la soluzione di ogni tipo di problema. In ciò, questi apologeti mostrano un forte slancio tecnocratico, e una completa mancanza di comprensione di che cosa sia la società e la storia. Meyer, pertanto, mostra quali sono le pretese della Fisica Sociale, così come essa viene formulata dallo scienziato informatico Alex Pentland. Vediamo inventariate anche le diverse possibilità di applicazione dei Big Data, così come vengono implementate in diversi algoritmi. Ad esempio, nella lotta (preventiva) contro il crimine, e nel prevedere i "recidivi". Nella conclusione vengono riportate le diverse critiche di sinistra (liberali) nei confronti dei Big Data, come quella di Cathy O'Neil, che possiamo sentire ripetutamente citata nel dibattito pubblico. Grazie all'enorme abbassamento dei costi che hanno avuto i sensori, le videocamere, ecc., ora tutte le apparecchiature possono essere equipaggiate con questo genere di dispositivi ed essere collegati ad Internet. Ed ecco che così si può formare la "Internet delle cose". In questo modo, il mondo digitale arriva, per così dire, con innumerevoli promesse di salvezza: per esempio, con i "dispositivi intelligenti", si può economizzare elettricità e aiutare le persone a consumare in maniera "verde" e "sostenibile". Anche per ciò che riguarda l'Internet delle Cose, "del nuovo mondo intelligente", vengono riferite le critiche di sinistra (liberali), soprattutto quelle di Evgeny Morozov, e vengono mostrate quali sono le loro preoccupazioni. Di regola, l'individuo borghese si sente sotto pressione e minacciato, per quel che attiene alla sua maturità e alla sua libertà di scelta, dai Big Data e da un'infrastruttura sempre più "intelligente". Tuttavia, da queste critiche, la digitalizzazione non viene vista nel contesto della crisi, della repressione sociale e della dinamica della valorizzazione capitalista in generale. In linea di principio, il sistema di terrore capitalista viene armato digitalmente. Per concludere, Meyer espone quelle che sono state alcune dichiarazioni della comunità scientifica, nelle quali viene sostenuto, come conseguenza dei Big Data, che è perfino possibile dire addio alla necessità dell'elaborazione teorica e concettuale. Sebbene una simile affermazione continui ad essere contestata dalla comunità scientifica, di fatto, possiamo qui parlare - citando liberamente Lenin - di stadio supremo ed ultimo del positivismo. Non ci potrebbe essere una testolina accademica più vuota!» (Riassunto pubblicato sulla Rivista "EXIT!".)

I Big Data e il nuovo mondo intelligente visto come palcoscenico supremo del positivismo
- di Thomas Meyer -

1 - Introduzione: La mediazione della teoria e dell'empiria come totalità concreta
Un individuo non esiste mai immediatamente di per sé, ma, condizionato dalla feticistica dinamica processuale della società capitalista, viene mediato dalla totalità feticistica. L'immediatezza dei fatti indica che non viene tentata alcuna critica di tali fatti, ma si evita di criticarli, ad esempio, raffigurandoli in maniera confortevole nella scienza, Senza concetti teorici, non si possono comprendere le scoperte empiriche, dal momento che entrambe - concetti ed empiria - si trovano fra loro in una relazione dialettica. Adorno, nella sua critica della sociologia, orientata in maniera empirica, scriveva: «Le riflessioni teoriche sulla società nella sua totalità, svolte attraverso delle scoperte empiriche, non possono avvenire senza rotture [...]. La visione della società intesa come un tutto, trascende necessariamente i suoi fatti dispersi. La costruzione della totalità ha come sua prima condizione un concetto della cosa dove i dati dispersi si organizzano. A partire dal vissuto, non si da esperienza che provenga dai meccanismi di controllo socialmente installati [...]; a partire dall'inamovibile conseguenza della considerazione di sé stesso, il concetto si concretizza e poi si modifica nuovamente a contatto con essa. Tuttavia, se la teoria non vuol cadere nel dogmatismo, la cui scoperta si trova sempre vicino allo scetticismo avanzato, e perfino vicino alla proibizione del pensiero, allora non ci si deve riposare qui. Bisogna che traduca i concetti che ne trae, come se provenissero dall'esterno, per quello che la cosa pensa di sé stesse, per quello che vuole essere, e confrontarla con quello che è. Deve dissolvere la rigidità dell'oggetto fissato qui e ora, in un campo di tensione fra il possibile ed il reale: per poter essere, ciascuno di essi si riferisce all'altro.» (Adorno 2003).
Pertanto, l'empiria dev'essere applicata ai concetti teorici, e poi essi stessi devono essere affinati confrontandosi con l'empiria. Poiché ogni teoria possiede un suo "nucleo temporale", ed anche i concetti stessi hanno una loro storia, ignorare le prove empiriche può recare in sé una "caratteristica anacronistica", riducendo successivamente la formazione della teoria alla nostalgia e all'esegesi delle "sacre scritture". Nella peggiore delle ipotesi, in seguito, si va a finire con uno stile a-storico ed esistenzialista dell'«attivismo concettuale»[*1]. Da un altro lato, l'empiria non viene riconosciuta nell'immediatezza, così che ciascun fatto sarebbe un fatto positivamente dato in sé, omettendo così quella che è la sua costituzione e la sua mediazione storica nella dinamica del processo sociale. Perciò, ci sono sicuramente molti studi che descrivono con chiarezza la follia del modo di produzione capitalista (come la produzione di plastica, o l'agricoltura industriale), ma spiegano solo in maniera insufficiente questa empiria, a causa della mancanza di  di fondamento nella teoria economica e sociale; di conseguenza, le conclusioni pratiche risultano spesso essere indifendibili e tronche. Se in quest'inchiesta fallisce perfino l'impeto della critica sociale, si finisce in un "attivismo dei fatti" che, in ultima analisi, vuole riconoscere solo quello che può essere espresso per mezzo di grafici, di statistiche e di numeri. Per smarcarsi dall'attivismo fattuale e concettuale, è necessario insistere sul relazionamento dei fatti empirici con la feticistica dinamica processuale del capitale, vale a dire, con la totalità; e, allo stesso tempo, bisogna relazionare l'empiria con i concetti per mezzo dei quali la totalità dev'essere espressa; in modo che i concetti relativi a ciò cui pretendono fare appello, lo facciano con chiarezza, e rendano possibile riconoscere il contesto interno e storico di ciò che è empirico. La totalità dev'essere quindi pensata in maniera concreta (Scholz, 2009). È importante notare che l'empirico non si esaurisce nel concetto, e dev'essere sottolineato nel quadro della dissociazione-valore , la quale dev'essere riconosciuta anche in quella che è la qualità propria ai diversi domini dell'oggetto, che non possono essere sussunti nella totalità; invece, bisogna partire da una totalità frammentata e storicamente dinamica. A seguire, verranno delineati gli aspetti dei Big Data, della Fisica Sociale, dell'Internet delle Cose e della critica associata a tutte queste cose, il cui tono, in maniera predominante borghese di sinistra, in gran parte fenomenologico o empirico, del quale va anche tenuto conto e che non è semplicemente secondario. Tuttavia, non si può restare su una tale critica; bisogna sviluppare, al di là di essa, la il punto di vista del contesto formale e processuale della totalità storica.

2 - Alcune idee critiche sull'uso della matematica nelle scienze (sociali)
Nella modernità (sviluppata), la matematica riceve lo lo status di oggettività, rigore, e viene esentata dai valori. Tale statuto viene attribuito anche alle cose che per mezzo di essa si esprimono. Un enunciato che possa essere espresso da un numero è, nel nostro mondo moderno, l'epitome della verità. Un argomento ha ancora maggior potere di espressione e di convinzione se può riferirsi a delle quantità, vale a dire, a dei numeri e a dei grafici (Ortlieb, 2011). Perciò, le scienze matematicamente costituite, come lo è in maniera proto-tipica la fisica, vengono considerate "esatte", mentre quelle che non lo sono ricevono lo stigma di non-esatte, di mera opinione, o perfino di ideologia.
Nel corso del XIX secolo,e più tardi nel XX, diverse scienze hanno cercato di farsi guidare dalla metodologia della fisica, attraverso la modellazione e la modellazione matematiche, al fine di ottenere lo status di esattezza e di oggettività, cercando in questo modo di trasferire anche al loro mestiere il successo della fisica. L'idea di ripetere semplicemente il successo di un ramo, adottandone altrove la sua metodologia, rimane comunque problematica. Dal momento che il successo (quale che sia la valutazione del successo stesso) sottostà a determinate condizioni che non possono esistere in un'altre area tematica. Di regola, inoltre, non si riflette su questo, in quanto per farlo sarebbe necessario confrontarsi con la logica funzionale delle scienze e con i suoi "interessi di conoscenza" (Habermas), o con le sue "idee di conoscenza" (K. M. Meyer Abich). Come vedremo, un approccio sconsiderato alla matematica è tutt'altro che rigoroso [*2].
Un caso particolarmente chiaro è quello del sorgere dell'economia neoclassica, a partire dagli anni 1870. Il suo scopo era quello di superare l'economia classica borghese e affermarsi come disciplina universitaria "esatta". Seguiva quello che era l'orientamento della fisica, e più esattamente quello della meccanica classica. Come venne sottolineato dall'economista neoclassico Irving Fisher (1867-1947), l'obiettivo era quello di sviluppare un formalismo basato sulla meccanica hamiltoniana [*3], stabilendo alcune analogie concettuali (particella = individuo, energia = utilità, ecc.) (Mirowski 1989). Tuttavia, questa pretesa e la sua implementazione avevano subito ricevuto alcune critiche (più di 100 anni fa, come viene detto da Mirowski).
L'impossibilità di una sperimentazione, che possa verificare o smentire una teoria formulata matematicamente, o perfino stabilire la situazione nella quale il modello assume validità, rimane un argomento cruciale contro la possibilità di un trasferimento di funzione che avvenga in questo modo. Non si afferma che la matematica non possa essere usata in maniera significativa, e cognitivamente, nella teoria economica; ma si dovrebbe notare che i modelli matematici della teoria economica, generalmente, non possono avere lo stesso significato  e lo stesso ambito di quello della fisica. Tuttavia, già sul piano della modellizzazione stessa, si può identificare quello che è un problema serio: leggendo gli attuali manuali di economia, si può osservare che le premesse del modello generalmente non vengono identificate o verificate quando un modello viene applicato ad una nuova situazione. Inoltre, le premesse del modello vengono sempre presentate per adeguarsi al concetto di equilibrio del mercato: pertanto, quello che viene applicato a tutti i fenomeni immaginabili è un rigido schema di equilibrio. Quelle che sono le premesse del modello, vengono quindi scelte in modo da avere sempre un incrocio fra le due tendenze opposte, rappresentate dalla cosiddetta croce di Marshall [*4] (se i presupposti del modello venissero scelte in maniera un po' più realistica, non si avrebbero intersezioni, e quindi non si avrebbe equilibrio. Si veda a tal proposito Ortlieb 2004a). Inoltre, questi modelli e le loro ipotesi trasmettono un quadro economico che non ha niente a che vedere con il capitalismo reale, con la produzione industriale di massa e così via. Quello che abbiamo sono poco più che «storie della nonnina a proposito del mercato» (Ortlieb, 2004b). Una delle possibili ragioni che ci può permettere di spiegare perché tutta una disciplina scientifica sia così metodologicamente discutibile, ci è stata fornita da Alan Freeman (Freeman, 2006). Secondo Freeman, l'economia neoclassica, più che una scienza che studi i fatti del mondo esteriore, è una dottrina quasi religiosa, che ha come contenuto il dogma dell'armonia dell'equilibrio del mercato, ed ha pertanto un carattere che giustifica del capitalismo. Questo dogma è paragonabile al "Cielo" nel Medioevo, dice Freeman. Ma questo implica anche che, essendo l'obiettivo quello di criticare le scienze, sarebbe insufficiente limitarsi ad una critica immanente, ad una critica dei metodi e di quelle che sono le pretese.
Tuttavia, l'oggettività in senso moderno, come affermano soprattutto le scienze naturali, non è identica alla verità, alla certezza o all'orientamento dato dai fatti. Come viene osservato da Lorraine Daston e Peter Galison, essere obiettivi significa «avere una conoscenza che non reca in sé alcuna traccia dell'esperto» (Dasten, Galison 2007, 17). Pertanto, l'oggettività è una forma di prassi che presumibilmente elimina la soggettività del processo cognitivo. Quindi, l'oggettività in tal modo intesa consiste precisamente nel fatto che la prassi scientifica apparentemente non ha niente a che fare con il soggetto conoscente.
Normalmente, nella comunità scientifica, l'oggettività e la sua genesi storica o sociale non sono, o non sono quasi, oggetto di riflessione, e di certo non vengono messe in discussione [*5]. La stessa cosa avviene per il concetto di "esattezza", il cui significato è altrettanto incerto. Secondo Herbert Auinger, non si vede perché non debba essere esatto un linguaggio non matematico, vale a dire, esatto nel senso che il linguaggio arrivi a quello cui fa riferimento, e lo fa con parole chiare e con chiarezza concettuale. Ironicamente, filosofi come Gottlob Frege (1848-1925) condannano l'imperfezione o l'ambiguità del linguaggio con parole assai chiare (Auinger 1995). Quando si parla dell'accuratezza del linguaggio matematico, ci si concentra sulla compattezza dell'espressione matematica e sulla sua appropriata gestione. Un linguaggio matematico, pertanto, sarebbe preciso e non ambiguo, mentre un linguaggio non matematico non lo sarebbe (necessariamente). Tuttavia, va sottolineato che tale precisione può essere collegata solamente con fenomeni che siano suscettibili di una descrizione matematica, o di un approccio quantificato (si veda l'articolo "Illusione Matematica", di Claus Peter Ortlieb, in questo stesso numero della rivista). Ma il trasferimento alla matematica e la gestione per mezzo della matematica di quelle che sono le questioni della scienze sociali o economiche, anche se vengono svolte con metodo, non devono essere confuse con un esame profondo delle questioni alle quali si pretende di conferire una forma matematica: secondo Auinger, sono stati molti gli scienziati e le scienziate che hanno cercato, o tentato, di giustificare la matematizzazione, criticando il fatto che nelle scienze sociali esistevano così tante teorie differenti, e che, tuttavia, non si schieravano contro di esse affrontandole in termini di contenuto. Con la matematizzazione, si pretende di porre fine a tutta questa confusa varietà; tuttavia la verità di quello che rimane verrebbe garantita dalla matematica e dalla logica formale. Pertanto una matematizzazione può trovare la sua ragione a partire dal fatto che essa non desidera (o non può) (più) avere a che fare con tutte quelle diverse teorie, e con i loro problemi in termini di contenuto. Perciò, l'aritmetica potrebbe anche essere vista come un sostituto del pensiero (il pensiero viene limitato al quantificabile o al quantificato). Certamente, l'applicazione della matematica in alcune aree ha senso ed è appropriata al corrispondente dominio tematico. Ma la fede del nostro tempo, nei numeri, può anche portare a sopravvalutare la matematica e la sua applicazione, lasciando tutto il resto, che è insuscettibile di essere calcolato, all'arbitrarietà soggettiva, oppure scartandolo in quanto mera "speculazione".
L'obiezione secondo cui la matematica e le scienze matematiche, il pensiero quantificato, non andrebbero sopravvalutate, è stata espressa anche in epoche precedenti. In tal modo si espresse già Hegel [*6], nella sua Enciclopedia delle Scienze Filosofiche: «Da questo ne consegue l'ulteriore considerazione secondo cui, se non viene mediata dal pensiero, la quantità viene assunta immediatamente dall'idea, acconsentendo facilmente a che sia sopravvalutata la sua validità relativa all'estensione, e che perfino ascenda a categoria assoluta. Questo avviene realmente, solo per le scienze i cui oggetti possono essere sottoposti a dei calcoli matematici vengono riconosciute come scienze esatte. [...] In effetti la nostra conoscenza si troverebbe in una condizione ben cattiva se per tali oggetti come la libertà, il diritto, l’eticità, e perfino Dio, non potendo né misurarli, né farli oggetto di calcolo o esprimerli con formule matematiche, rinunciando a una conoscenza esatta, dovesse accontentarsi in generale di una rappresentazione indeterminata e poi, per quanto li riguarda più da vicino o in particolare, tutto fosse lasciato all’arbitrio di ciascuno.» (HW 8, 210s., citato Auinger 1995, 16).
Anche successivamente sono state fatte delle osservazioni a proposito della sopravvalutazioni del modo di pensare che quantifica, come fa Friedrich Nietzsche ne La Gaia Scienza: «Similmente accade per quella credenza, di cui oggi tanti materialisti scienziati della natura si sentono soddisfatti, credenza in un mondo che dovrebbe avere il suo equivalente e la sua misura nel pensiero umano, in umani concetti di valore; in un "mondo della verità", a cui si potrebbe in definitiva accedere con l’aiuto della nostra quadrata piccola ragione umana – come? Vogliamo davvero far sì che l’esistenza si avvilisca in un esercizio da contabili e da matematici chiusi nel loro studio? Innanzitutto non si deve voler spogliare l’esistenza del suo carattere polimorfo: lo esige il buon gusto, signori miei, il gusto del rispetto di fronte a tutto quello che va al di là del vostro orizzonte! Che abbia ragion d’essere una sola interpretazione del mondo, quella in cui voi vi sentite a posto, quella in cui si può investigare e continuare a lavorare scientificamente nel vostro senso (per voi, in realtà, meccanicistico?), una siffatta interpretazione, che altro non ammette se non il contare, calcolare, pesare, vedere e toccare con mano, è una balordaggine e una ingenuità, posto che non sia una infermità dello spirito, un’idiozia. [...] Ammesso che si potesse misurare il valore di una musica da quanto di essa può essere computato, calcolato, tradotto in formule – come sarebbe assurda una tale «scientifica» misurazione della musica! Che cosa di essa avremmo mai colto, compreso, conosciuto? Niente, proprio un bel niente di ciò che propriamente in essa è «musica»!...»
Qui, Hegel e Nietzsche portano avanti dei punti che vengono menzionati in una critica della sopravvalutazione della scienza matematica [*7]. Tuttavia, essi argomentano in quelli che sono dei termini puramente epistemologici, e non fanno riferimento al piano sociale totale, rimanendo in tal modo in superficie. Al contrario, si deve insistere nel criticare non solo un'applicazione sconsiderata, e forse metodologicamente indebita, della matematica o del pensiero quantificante, ma anche il contesto sociale in cui tale applicazione avviene.
Claus Peter Ortlieb ha formulato una critica delle scienze naturali matematiche, ma lo ha fatto facendo riferimento al piano della teoria sociale, nel suo testo "Oggettivismo incosciente" (Ortlieb, 1998). Lì, facendo riferimento in particolare a Evelyn Fox Keller, constata che «per una qualche ragione, dimentichiamo di coniugare la nostra sopravvivenza con gli obiettivi della conoscenza scientifica.» Perciò, il problema di fondo non attiene tanto ad un mero utilizzo sconsiderato della matematica e delle "hard science(s)", quanto semmai ad una oggettività prodotta socialmente, vale a dire, alla dinamica feticistica del capitale, che è indifferente agli interessi vitali dell'essere umano e della natura, e che considera tutto il mondo solo come se fosse un substrato per il suo movimento di valorizzazione.
Collegato alle scienze matematiche ed al successivo progresso nella loro conoscenza, si trova uno sviluppo specifico della tecnologia, che, di norma, consiste nell'applicazione di queste leggi della natura, di queste strutture o di questi princìpi, alle scoperte e alle ricerche che avvengono nelle scienze corrispondenti. Tuttavia, lo stesso sviluppo tecnico avviene in un contesto sociale specifico. Esso consiste, fra le altre cose, nel fatto che la dinamica feticistica del capitale favorisce degli sviluppi tecnici tali che conducono ad un risparmio del lavoro astratto, in un modo che l'occupazione corrispondente abbia anch'essa, come risultato, una diminuzione di prodotti e/o uno sviluppo di nuovi mercati (senza dimenticare la parte militare: ricerca di armamenti, ecc.) [*8]. Lo sviluppo tecnico, insieme alla ricerca di base ad esso associata, evolve, almeno tendenzialmente, esattamente in una forma che corrisponde all'imperativo della valorizzazione del capitale, o per lo meno che con essa si incontri. Ma tutto questo include anche la configurazione del dominio dissociato, che costituisce il presupposto silenzioso della valorizzazione del valore, per esempio, difficilmente il fordismo sarebbe stato possibile senza un'implementazione corrispondente di quella che era una struttura familiare piccolo-borghese.
Pertanto, nei confronti di una critica della tecnica che è perfettamente comprensibile, bisogna insistere sul fatto che non si stratta qui di "tecnica" in sé, così come per esempio risuona nelle opere di Günther Anders (soprattutto ne "L'uomo è antiquato" Volume I e II), ma della dinamica feticistica soggiacente. Ad esempio, il rifiuto del trasporto privato non significa necessariamente l'abolizione del motore a combustione interna. E il fatto che tutto il mondo sia pieno di microelettronica non deriva solo e necessariamente dall'invenzione del transistor, in quanto la causa e la giustificazione risiede nel patriarcato produttore di merci in sé e in quella che è la sua indifferenza al contenuto materiale, di fronte alla logica stessa della natura ed alla sua infinità; indifferenza che trova la sua espressione nella formula di Marx, D-M-D', ecc. (Cunha 2016, Heintz 1992). Questo "totalitarismo tecnologico", come viene detto nei supplementi culturali borghesi, è quindi di per sé la conseguenza del totalitarismo della relazione di dissociazione-valore. Il che non significa che la tecnica dovrebbe essere "liberata" dal feticcio del capitale senza che venga fatto alcun significativo cambiamento, poiché il suo sviluppo e la sua implementazione sono già stati modellati dalle necessità della valorizzazione del capitale. Ciò è particolarmente evidente nell'implementazione economica, a volta senza alcun senso, di cosiddetto valore di utilità: per aumentare le vendite, viene definito un logoramento programmato, o un'obsolescenza pianificata. Per esempio, calze resistenti allo strappo o lampadine durevoli vengono ritirate dalla circolazione quando diventa chiaro che il mercato diverrebbe ben presto saturo (Reuss & Dannoritzer 2013).
Attraverso la dinamica feticistica della relazione di dissociazione-valore, viene posto nella tecnologia un proposito specifico, che naturalmente cambierà, o diverrà obsoleto quando verranno superate le relazioni sociali e la corrispondente forma di soggetto che hanno le persone nel capitalismo. Per alcuni valori d'uso o per alcune tecnologie, come lo sono il trasporto individuale o le armi nucleari, sarà difficile, o persino assurdo immaginare che possano essere usate in una società libera. Per altre, tuttavia, ciò non è necessariamente chiaro, a partire dalla nostra attuale prospettiva. Ciò significa che, sebbene le tecnologie e la loro implementazione siano avvelenate, la loro potenzialità non si esaurisce necessariamente nella forma sociale alla quale sono limitate. La questione è complessa in quanto il precursore della tecnologia è una relazione di conflitto socialmente mediata con la natura inanimata e/o animata, che trova la sua espressione nelle attuali scienze naturali, nelle loro forme di pensare e nelle loro pratiche; e si tratta di una relazione con un substrato naturale esterno, al quale, tuttavia, dev'essere attribuita un'autonomia, una non identità, che non può essere ridotta al discorso, all'interpretazione umana ed allo scopo. Diversamente, dovrebbe essere rivendicata una disponibilità totale della natura, cosa che non esprimerebbe altro che la pretesa di mettere la natura a disposizione della valorizzazione capitalista. La critica della tecnologia è pertanto associata alla critica delle scienze naturali, ed entrambe le critiche devono essere relazione con il contesto sociale in cui vengono attuate. Il riconoscimento dell'indipendenza della natura (sebbene non debba essere confuso con un "romanticismo della natura") porta ad una critica della forma sociale che la nega, ad una sorta di "realismo dialettico" (Roswitha Scholz); in contrasto con un "nuovo materialismo" o con un "nuovo realismo", che, sebbene differiscano dal post-strutturalismo e dalla sua fissazione nel discorso, non tengono conto della totalità sociale, né arrivano, pertanto, ad una critica della relazione della dissociazione-valore (si veda in proposito l'articolo di Roswitha Scholz in questo numero della rivista).
Una volta criticata la teoria economica matematica, a seguire verrà criticata quella che è una tendenza recente nello scenario scientifico: i Big Data e la Fisica sociale basata su di essi. A tale scopo, verranno innanzitutto analizzate le pretese e le giustificazioni di queste disciplina, e quindi saranno sottoposte ad una critica.

Meyer Pentland

3 - La Fisica Sociale di Alex Pentland
Alex Pentland è indiscutibilmente uno dei più noti ed influenti scienziati informatici fra quelli che si occupano dei Big Data. I Big Data costituiscono la raccolta e l'analisi di un volume di dati, in una dimensione mai vista prima nella storia e che, pertanto, non possono essere manipolati facendo uso delle statistiche tradizionali. Nel suo libro, "Fisica sociale. Come si propagano le buone idee" (Edizioni Università Bocconi), Alex Pentland illustra quali sono le meraviglie dei Big Data, e per che cosa possono essere ricercati. L'utilizzo dei Big Data mira alla comprensione del sociale. La disciplina scientifica corrispondente viene perciò chiamata "Fisica Sociale". Tuttavia, dal momento che essa astrae dall'interno di ciò che è umano, i suoi enunciati, osserva Pentland, sono fondamentalmente probabilistici. Ciò nonostante, l'obiettivo è quello di «costruire modelli quantitativi, predittivi del comportamento umano nel suo complesso, nelle situazioni quotidiane» (Pentland, 2015). Ma tutto questo come avviene esattamente e che cosa promette? In linea di principio, è molto semplice: ci sono enormi quantità di dati che vengono raccolti «raccogliendo le briciole digitali di informazione dai sensori dei cellulari, dai post sui social media, dagli acquisti effettuati con le carte di credito, e così via» (Pentland, 2015). A tal fine, come ripetutamente sottolinea Pentland, vengono installati dei programmi speciali sugli smartphone dei soggetti degli studi che vengono realizzati, che registrano tutto ciò che è possibile. In tal modo, i soggetti possono essere osservati in tempo reale per un lungo periodo di tempo, producendo così un'immensa quantità di dati. Questi dati devono, quindi, servire ad aiutare a capire in che modo un'idea circola fra le persone, e come questo flusso di idee (idea flow), insieme con le informazioni, porta ad un mutamento del comportamento umano (o alla capacità di cambiare). Inoltre, è stato costruito un dispositivo che mette insieme le diverse informazioni provenienti dalle varie fonti: il "Socioskop". Secondo Pentland, questo dovrebbe rivoluzionare lo studio del comportamento umano, così come il microscopio ha rivoluzionato la biologia (Pentland, 2015). La differenza fondamentale rispetto alla sociologia statica tradizionale è che, in linea di principio, milioni di persone posso venire osservate in tempo reale, e per un lungo periodo di tempo. Inoltre, la Fisica Sociale deve permettere di percepire «il modo in cui questo flusso di idee finisce per plasmare le norme, la produttività, e la produzione creativa delle nostre imprese, delle nostre città, e delle nostre società. Ci consente di predire la produttività di piccoli gruppi, di dipartimenti all'interno delle aziende, e perfino la produttività di intere città. Ci aiuta anche a ottimizzare le reti di comunicazione di modo che si possano prendere migliori decisioni che siano affidabili, e si diventi così più produttivi» (Pentland, 2015). La Fisica Sociale basata sui Big Data mira a filtrare le correlazioni dei dati e, in seguito, modellarli matematicamente. In questo modo, per esempio, si può prevedere ed ottimizzare il comportamento umano (oppure, il traffico). A tal fine, vengono visualizzati i dati di molti individui e dei rispettivi "gruppi confrontabili", vale a dire, l'ambiente sociale immediato, i clic, ecc. Pentland mostra un ottimismo illimitato circa quelli che possono essere i risultati che ci si aspetta dalla Fisica Sociale: «Per la prima volta, avremo i dati necessari a conoscere realmente noi stessi, e a capire come evolve la nostra società. Attraverso il miglioramento della comprensione di noi stessi, possiamo costruire potenzialmente un mondo senza guerre e senza crolli finanziari (!), in cui le malattie infettive vengono velocemente rilevate e fermate, in cui l'energia, l'acqua ed altre risorse non vengono più sprecate, ed in cui il governo fa parte della soluzione anziché del problema» (Pentland, 2015). E dovremo ringraziare la Fisica Sociale anche per «[un] governo molto migliore» (Pentland, 2015), e qui - se ho ben capito Pentland - egli potendo astrae rispetto a quelli che sono i mezzi politici tradizionali. Pertanto, la posizione di Pentland può essere vista come un'indicazione del fatto che la "capacità di organizzazione" del capitalismo, attraverso il discorso politico, ha raggiunto storicamente i suoi limiti, rendendo in questo modo il discorso politico irrilevante in quanto tale, dal momento che si muove nelle categorie capitalistiche reali, e queste oggi vanno a sbattere contro quelli che sono i loro limiti assoluti, potendo a questo punto, pertanto, mobilitare solo il "potenziale organizzativo" nel suo inselvaggimento. A proposito di questo, Robert Kurz ha parlato di "Fine della Politica" (Kurz, 1994).
Per "idea", Pentland intende quanto segue: «Un idea è una strategia (un'azione, un risultato, ed una caratteristica che identifica il momento in cui va applicata l'azione) finalizzata ad un comportamento strumentale. Quelle che sono idee compatibili, e di valore, diventano "abitudini di azione" che vengono usate come risposte del "pensiero veloce"» (Pentland, 2015). Il carattere strumentale di tutta quest'organizzazione, non potrebbe essere espresso in maniera più chiara. Non sorprende affatto che, come viene sottolineato in diversi punti del libro, vengano usati incentivi al fine di persuadere le persone a cambiare o ad ottimizzare il loro comportamento. I critici vedono tutto questo come un manipolazione comportamentale intenzionale. Manipolare in maniera intenzionale, appare nel modo in cui Pentland espone varie volte il modo in cui la raccolta dei dati, e anche lo studio della dinamica delle reti sociali, rende possibile intervenire attivamente «per cambiare il social network» (Pentland, 2015).
A questo punto, diventa facile capire che la Fisica Sociale non penserà mai (né può pensare) in termini di emancipazione, a causa del suo orizzonte abbastanza ristretto di quelli che sono i suoi concetti ed i suoi metodi; ed ancor meno nei termini di un'analisi sociale critica del feticismo, la quale sarebbe necessaria per poter arrivare ad una comprensione adeguata e critica di questa società. Si guarda invece solo all'individuo immediatamente presente, presumibilmente oggettivo, che viene considerato come un sistema di informazione e di trattamento degli stimoli. L'approccio, attraverso cui si pretende di comprendere l'essere umano è, quindi, reificato, e incline al totalitarismo. Si suppone anche che le persone, in quanto mere macchine di elaborazione degli stimoli, possono essere manipolate passivamente, o controllate secondo quella che è la direzione desiderata (e questo lo suppone tanto la Fisica Sociale, quanto alcuni dei suoi critici). Ma ciò significa assumere che il dominio è solo esterno al soggetto, e non ha niente a che vedere con la propria partecipazione attiva. Attraverso questo occultamento del livello psico-sociale, ed insistendo sull'individuo e sui suoi dati, rimane del tutto fuori portata la totalità sociale, che, per persone come Pentland, non è certo una sciocchezza metafisica. Un'altra conseguenza, come abbiamo accennato prima, è quella di astrarre dall'interiorità umana, dal momento che difficilmente questa potrebbe essere modellata in termini matematici, o formalizzata. La Fisica Sociale si comporta in maniera simile al behaviorismo dei tempi precedenti, che considerava l'essere umano solo come se fosse un aggregato di carne che avrebbe potuto essere diretto e controllato. Non a caso, di conseguenza, Pentland intende realizzare sul campo esperimenti ad alto livello: «Dobbiamo costruire laboratori viventi - delle comunità che vogliono sperimentare un nuovo modo di fare le cose o, per dirlo senza mezzi termini - essere delle cavie (!) - al fine di testare e dimostrare le nostre idee» (Pentland, 2015). Non sorprende questa húbris da parte di chi, a partire da una visione tecnocratica del mondo, apertamente e senza mezzi termini, chiama cavie le persone! Difficilmente questa potrebbe essere vista come se fosse una colorita metafora, ma è piuttosto una minaccia. Designare come cavie le persone, quindi disumanizzarle, vuol dire che ormai si pretende solo di trattarle in quanto cavie. Questo fenomeno è comune anche a quelle ricerche mediche, nelle quali le persone che partecipavano a quegli esperimenti venivano definiti collettivamente come "materiali" e, di regola, trattate di conseguenza (Pappworth, 1967). Questa disumanizzazione dell'essere umano, supportata scientificamente, appare con particolare chiarezza nella psichiatria, nella quale le persone sono state (o vengono) effettivamente ridotte ad essere dei vegetali [*9]. Come già detto, la Fisica Sociale di Pentland riguarda soprattutto la produttività ed il modo in cui essa può essere ottimizzata. Gli studi hanno dimostrato che quante più persone comunicano ed interagiscono le une con le altre, tanto migliore è il flusso di idee, e la cosa ha un impatto positivo sulla produttività d'impresa (Pentland, 2015). Chi lo avrebbe mai detto? Il libro riesce a cogliere anche idee più innovative: una famiglia è più mobile ed interagisce con una più ampia varietà di persone, quando dispone di più denaro (Pentland, 2015). Questi risultati di investigazione estremamente profondi appaiono essere abbastanza ridicoli e banali, se si tiene presente lo slancio e le pretese con cui Pentland propaganda la Fisica Sociale dei Big Data. Ed è un fenomeno niente affatto notevole e del tutto privo di spiegazione, il fatto che la scienza alla fine ora possa, quando lo pretende, con strumenti tecnici e matematici, essere in grado di comprendere l'essere umano e la società il più delle volte con risultati abbastanza banali, quando non arriva a produrre quella che più o meno non è altro che "mitologia", come è stato osservato nel caso delle neuroscienze (Hasler 2012).
Tutto questo è stato notato anche da Stanislaw Andreski (1919-2007), il quale a suoi tempi scrisse una polemica contro le scienze sociali dell'epoca, in special modo contro il behaviorismo di Skinner, una polemica che, a mio avviso, potrebbe essere usata anche contro il behaviorismo digitale di Pentland: «Il problema di come controllare il comportamento degli esseri umani e degli animali attraverso delle punizioni e delle ricompense è stato trattato in numerosi articoli a proposito del diritto penale, della legislazione, dell'educazione, della gestione e dell'educazione degli animali, fin dalle opere di Aristotele e di Confucio, per non parlare degli innumerevoli proverbi e della saggezza popolare. Si può sempre dire qualcosa di importante di nuovo su tale argomento, ma è allo stesso tempo molto difficile. Però una piccola terminologia pseudo-scientifica può confondere e intimidere le persone, e può portare a pensare che una versione altamente semplificata - e, pertanto, meno valida - dell'antica saggezza popolare sia uno sviluppo significativo» (Andreski 1977).
Uno dei motivi per cui una pretesa elevata finisce per avere dei risultati abbastanza banali, può risiedere nel fatto che un approccio tecnocratico e matematicamente orientato non rende giustizia all'oggetto della ricerca. Inoltre, Pentland si rifiuta di considerare anche le strutture sociale. Egli rifiuta categorie come quelle di "mercato" e di "classe", in quanto sono per lui troppo semplicistiche. È ovvio che la questione non è se categorie come classe e mercato stiano tornando ad essere forti, cosa che, nella migliore delle ipotesi, si tradurrebbe solo in un'analisi e in una critica sociale di provenienza marxista tradizionale. Ma quello che è importante, è notare che parte dell'intellighenzia borghese è sul punto di abbandonare del tutto e definitivamente la terminologia sociale. Così vediamo che in Pentland c'è un marcato individualismo metodologico. Peraltro, questo impedisce di vedere le condizioni sociali sono storiche, e quindi rende impossibile analizzare e mettere in discussione le relazioni sociali, e a maggior ragione la loro costituzione feticistica. L'approccio che rende possibile la Fisica Sociale è, pertanto, un approccio al dominio più tecnocratico e affermativo, poiché rende impossibile qualsiasi pensiero storico. La determinazione del futuro storico del "fatti sociali", che costituirebbe un prerequisito fondamentale per la sua critica e, pertanto, anche per la possibilità di un superamento emancipatorio degli stessi, non viene evidenziata dalla Fisica Sociale. Questo è percepibile anche in alcuni rappresentanti dell'intellighenzia borghese. Il giornalista e critico di Internet Nicholas Carr scrive circa quest'approccio, che «[il] modello statistico della società che ignora le questioni di classe, e che assume come modello di influenza i dati di fatto piuttosto che le contingenze storiche, tenderà a perpetuare le strutture sociali e le dinamiche esistenti. Ed incoraggerà noi tutti ad ottimizzare lo status, anziché contestarlo» (Carr, 2014). Da parte della sinistra, viene anche criticato il fatto che la Fisica Sociale renderebbe «invisibili le relazioni di dominio» (Wagner, 2016). Tuttavia, va rifiutato un concetto di dominio come quello che viene usato in particolare da molta gente di sinistra, e che viene di solito inteso più come se fosse esterno, o personale. Una cosa simile riecheggia anche in diverse recensioni di sinistra, come quella di Wagner, contro i Big Data, ecc. Al contrario, le relazioni di dominio vanno intese come relazioni feticistiche. Per questo, Robert Kurz scrive nel testo "Dominio senza Soggetto": «Il "dominio dell'uomo sull'uomo" perciò non va inteso nel suo grezzo senso esterno e soggettivo, ma come costituzione totale di una forma compulsiva della stessa coscienza umana. [...] Il concetto di dominio non deve perciò venire semplicemente scartato per far sì che al suo posto si erga il concetto di costituzione del feticcio, che abbasserà il soggetto e le sue dichiarazioni a semplici marionette. Piuttosto, il concetto di dominio ed il suo concetto mediatore di "potere" devono essere dedotti come concetti della forma fenomenica universale delle costituzioni del feticcio, che a loro volta si manifestano sia praticamente che sensibilmente come spettro della repressione, o dell'auto-repressione, in diverse forme e su piani diversi. La forma del sé stesso incosciente alla coscienza si manifesta come dominio su tutti i piani. Nell'immagine del dominio, il soggetto, in quanto essere costituito dal feticcio, trova un contatto reale con sé stesso e con gli altri. Le categorie oggettivate della costituzione formano così il (rispettivo) modello, o la matrice, del dominio.» (Kurz, 2004).
La critica del dominio, sia in senso riduttivo che in quello di critica della costituzione feticistica, in linea di principio non è un tema per Pentland, né per gli altri fisici sociali. Pentland, tuttavia (!), vede che la quantità di fati può anche essere abusata ed usata contro le persone. Questo vale anche per i dati anonimi, dal momento che questi in genere possono smettere di essere anonimi in modo relativamente facili (Pentland, 2015). Ed è per questo che è seriamente favorevole ad un "New Deal dei Data" (Pentland, 2015). Da qui, una serie di misure volte a garantire che l'individuo rimanga padrone dei suoi dati, di modo che ciascun individuo disponga circa quello che può essere fatto con i suoi dati. Ma la possibilità di mettere in discussione, in linea di principio, questa esorbitante raccolta di dati e rendere quanto meno pensabile la possibilità di porre fine a tutto questo (come rendere pensabile la possibilità di porre fine al trasporto individuale) è cosa che egli nemmeno menziona. Al suo posto, dà l'impressione che gli sviluppi tecnici e scientifici debbano essere accettati come un fatto indispensabile della natura, che nella migliore delle ipotesi potrebbe essere regolato dallo Stato. Fondamentalmente, queste misure delineate da Pentland sarebbero utili e andrebbe riconosciuto un compromesso con esse. Dall'altro lato, il suo appello alla difesa della privacy (la quale, a causa dello sviluppo tecnologico e sociale, in qualche modo, viene erosa) è poco credibile, se guardiamo ad alcune possibili applicazioni; in linea di principio, tutto può essere monitorato Queste tecniche sono quasi predestinate a qualcosa del genere, ed è proprio questa la motivazione importante del suo sviluppo. In un'intervista a Spiegel-Online, risponde alla domanda che gli chiede se interverrebbe, nel caso in cui si vede una famiglia in cui il padre beve troppo: «No, mai. Ma potremmo farlo in futuro. Quando la scienza progredirà e quando capiremo meglio il comportamento umano, avremo l'obbligo di agire» (Pentland, 2014). Ecco qualcosa di suggestivo, che potrebbe essere chiamato "paternalismo digitalizzato"; un atteggiamento mentale che svolge anche un ruolo importante per il cosiddetto "nudging". Tornerò più avanti su questo.
Una cosa presumibilmente significativa (significativa, anche in termini di negazione), che potrebbe essere fatta con i Big Data, sarebbe quella di seguire le vie materiali realmente esistenti di produzione materiale. Però non in vista della loro "ottimizzazione" capitalistica, ma per stabilirne e denunciarne fin dall'inizio la sua completa follia: in alcuni luoghi, sono già state fatte delle inchieste sulle assurde catene di distribuzione materiali alle quali porta il capitalismo, a causa della sua dinamica processuale, sia per quanto riguarda la coltivazione delle mele che la produzione di yogurt, come viene mostrato nell'opera di Stefanie Böge (1992, 2001).
L'obiettivo del modo di produzione capitalista, come si sa, è la riuscita della valorizzazione del capitale. Un capitale individuale fa questo tentando di ottenere per sé, attraverso la concorrenza, il massimo possibile della massa di valore prodotta nell'insieme della società. La conseguenza è, così come viene descritta da Marx, una crescente concentrazione del capitale, e venne da lui riassunta nella frase «Ogni capitalista ne ammazza molti altri» (Marx, 2005). Oggi, in particolare, questo fenomeno va visto nel contesto della globalizzazione degli ultimi decenni, vale a dire che, al contrario del tempo di Marx,la concentrazione del capitale e le fusioni non devono essere interpretate come espressione di un capitale totale in espansione, ma come investimenti della razionalizzazione, nel corso della contrazione del capitale totale, in quanto modalità del decorso della sua crisi (si veda Kurz, 2005).
Ma questa dinamica delle fusioni deriva anche dal fatto che il "vincitore" assume la quota di mercato di chi è morto nel combattimento, col risultato che il produttore di mele vittorioso, successivamente, rifornisce il mondo con delle mele che, in realtà, potrebbero essere coltivate "localmente". In tal modo, ci troviamo con una quantità sempre più crescente di vie di trasporto, e con il corrispondente consumo di risorse, cosa che, tuttavia, viene accettata con un'alzata di spalle, come se si trattasse di una fatalità. Questa follia esiste dal punto di vista materiale, ma non dal punto di vista dell'economia imprenditoriale: per la logica della valorizzazione. un simile assurdo non è assurdo; ha la sua origine nella "ragione" dell'economia imprenditoriale, essendo questo mondo produttivamente sfigurato secondo tale ragione. Pertanto, in una critica dei risultati materiali del capitalismo, è necessario insistere sul fatto che non è solo il piano materiale quello che porta alla distruzione ambientale, allo spreco di risorse, ecc., ma è la forma sociale in cui si devono muovere i "valori d'uso"; situazione nella quale il contenuto materiale viene preparato secondo quella che è la forma. La crescente concentrazione di capitale e, a maggior ragione, la «contraddizione fra materia e forma» (Ortlieb, 2009), tuttavia, non saltano agli occhi quando vengono analizzati solamente i dati relativi alla spazzatura di molti individui, e quando tutti hanno in testa solo "l'ottimizzazione". Come vedremo più avanti con chiarezza, la funzione dei Big Data, e la loro applicazione, è socialmente repressiva (da parte dello Stato, e anche da parte del capitale individuale), come ci è stato ampiamente suggerito, e senza mezzi termini, da Pentland. Per molto tempo, i Big Data sono stati usati come uno strumento repressivo, come ci ha dimostrato in maniera fenomenologica la matematica Cathy O'Neil nel suo libro "Armi di distruzione matematica" [Bompiani, 2017] [*10].

meyer libro  Cathy

4 - Matematica applicata come mezzo di repressione
Nel nostro straordinario nuovo mondo digitale vengono raccolti tutti i tipi di dati che possono essere poi memorizzati in enormi database. Dopodiché. vengono valutati per mezzo di determinati algoritmi, o modelli matematici. In questo modo, si pretende di calcolare se una determinata persona sia degno del fatto che gli venga concesso un credito, se il candidato dev'essere assunto, qual è la probabilità della recidiva (!) di un criminale (e le decisioni giudiziarie da prendere), se è probabile che possano avvenire dei crimini in un determinato quartiere (!). Gli algoritmi fanno anche delle valutazioni che determinano il futuro di un'occupazione come quella di insegnante. La perfidia degli algoritmi consiste in ciò che normalmente resta un segreto commerciale che riguarda ciò che essi fanno e come lo fanno. Il giudizio dell'algoritmo è, pertanto, assoluto, e non è possibile alcun contradditorio. Normalmente avviene anche che spesso questi algoritmi non hanno nessun "error feedback" (O'Neil, 2016) (o hanno solo dei feedback positivi su sé stessi, i cosiddetti "pernicious loop feedback"); cosa che costituirebbe una controprova sul fatto che un algoritmo era di fatto corretto. È chiaro che per molte persone questi algoritmi hanno delle conseguenze estremamente repressive, ed è questo il motivo per cui O'Neil li chiama "armi di distruzione matematica" ["weapons of math destruction" (WMD)]. Queste "armi sono, «a livello di design, delle imperscrutabili scatole nere; definiscono la loro propria realtà e la usano per giustificare i loro risultata. Questo tipo di modello è a auto-perpetuante, altamente distruttivo - e molto comune» (O'Neil, 2016). Uno dei problemi, qui, è che molte persone non hanno accesso alla matematica (applicata) e, pertanto, sono assai spesso impotenti contro i giudizi di tale modello. La credibilità e la reputazione acritica delle "scienze oggettive" del nostro tempo possono servire a contribuire anche a questo. Ma i modelli di questo tipo sono tutto tranne che oggettivi: «I punti ciechi di un modello riflettono i giudizi e le priorità di chi li ha creati. [...] I modelli sono opinioni incorporate nella matematica [...], questi modelli non sono costituiti solo dai dati, ma anche dalle scelte che facciamo circa a quali dati dobbiamo prestare attenzione - e quali ignorare» (O'Neil, 2016). O'Neil continua: «Tuttavia, molti di questi modelli hanno codificato dei pregiudizi umani, delle incomprensioni [...] Come déi, questi modelli matematici erano opachi, il loro funzionamento era invisibile a tutti tranne che agli alti sacerdoti del loro dominio: matematici e scienziati informatici. I loro verdetti, anche quando erano sbagliati o dannosi, restavano fuori discussione e inappellabili» (O'Neil, 2016).
Inoltre, il potere predittivo reale di alcuni di questi modelli è estremamente sbagliato. Come critica Andreas von Westphalen: «Un elaborato studio svolto dalla Pro Republica [...] dimostra che almeno un algoritmo frequentemente usato discrimina sulla base del colore della pelli. Lo studio mostra che anche la precisione del calcolo del rischio lascia piuttosto a desiderare: solo il 20% di coloro per i quali si prevedeva che avrebbero commesso un atto violento, hanno commesso sul serio un crimine violento nei due anni seguenti. Ironicamente, la Pro Republica afferma che - anche includendo tutti i crimini e le infrazioni - la previsione rimane poco più precisa di quanto può esserlo il lancio di una moneta in aria»  (Von Westphalen, 2016) [*11].
Il problema principale di questi algoritmi o modelli è che frequentemente essi sono autoreferenziali. Per esempio, nella lotta preventiva al crimine, i database mostrano che un gran numero di crimini è stato rilevato in "quartieri problematici" neri, soprattutto i cosiddetti "reati di droga". Pertanto, l'algoritmo prevede una grande probabilità di crimine in questi quartieri. Perciò, la polizia reagisce con la presenza corrispondente - ed è così che vengono rilevati molti crimini e, quindi, l'algoritmo è stato "proficuo". L'algoritmo crea così un'interpretazione del mondo che conferma sempre sé stessa. È chiaro che qui abbiamo un feedback positivo, il quale porterà ad avere una presenza ancora maggiore della polizia. In questo modo, gli interessati vengono puniti per il fatto che essi esistono, la loro povertà viene criminalizzata: «In questo sistema, il povero ed il non bianco vengono puniti più per il fatto di essere ciò che sono e in quanto vivono la dove vivono. [...] Il risultato è che criminalizziamo la povertà, credendo per tutto il tempo che i nostri strumenti non solo sono scientifici, ma anche giusti» (O'Neil, 2016).
Le strutture e le relazioni sociali razziste vengono, pertanto, riprodotte e cementate attraverso i Big Data e degli algoritmi, anche se la pretesa di questi algoritmi è quella di essere presunti come "oggettivi", o perfino "giusti", come avviene soprattutto nel settore giuridico; per esempio, un algoritmo non può "giudicare" in maniera razzista. Tuttavia, qui si dimentica che le persone che lo sviluppano possono essere abbastanza razziste; e, pur non essendolo esplicitamente, determinano matematicamente i limiti di una realtà razzista e socialmente repressiva, e la riproducono secondo alcuni presupposti (O'Neil 2016). Ad esempio, gli algoritmi della valutazione del rischio calcolano la probabilità della recidiva di un delinquente a partire da un questionario. Tuttavia, tali questionari sono strutturati in modo tale che qualcuno che è cresciuto in in "quartiere problematico" corre necessariamente un rischio maggiore. Si potrebbe obiettare che i risultati razzisti non derivano necessariamente dalla metodologia; ma - e questo è cruciale - a prescindere dai presupposti e dai questionari, il fine è quello di usare questi metodi per modellare una realtà razzista, con l'obiettivo di una persecuzione penale più efficiente e meno onerosa. Pertanto, ritengo che in questo caso i Big Data e le loro applicazioni sono di importanza secondaria; poiché nei "quartieri" neri, già prima dell'era dei Big Data, esisteva un'elevata presenza della polizia, la "guerra alla droga", e l'incarcerazione in massa dei poveri (cfr. Wacquant 2013, Meyer 2017). L'attenzione di O'Neil non si focalizza sull'analisi chiara di quelle che sono le cause sociali dl razzismo e della criminalità; ma lei in realtà accusa i Big Data e la loro applicazione, o alcune di quelle applicazioni, di essere "armi di distruzione matematica", che metterebbero a rischio la democrazia; ma non mette in discussione il fatto se la democrazia stessa non possa già essere un sistema di dominio, e neppure affronta il problema di sapere in che misura gli algoritmi applicati rappresentino solo una forma tecnica dello sviluppo di come il capitalismo in crisi tratta i suoi delinquenti, poveri ed esclusi.
Per il suo carattere estremamente conservatore, la situazione è simile a quella della raccolta dei dati attribuiti alle persone, vista come una conseguenza sociale. Poiché raccogliendo tutti i dati, l'essere umano viene fissato al suo passato: «L'elaborazione dei Big Data codifica il passato. Non inventa il futuro. Il farlo richiede un'immaginazione morale, e questo è qualcosa che può essere fornita solo dall'essere umano» (O'Neil, 2016). Questo presuppone che «per loro natura, i modelli matematici, sono basati sul passato, e sull'assunto che i modelli si ripeteranno» (O'Neil, 2014).
Perciò, c'è chi non può ottenere un posto di lavoro solo perché è stato internato per qualche anno in una clinica psichiatrica. Un algoritmo che corrisponde a questo, filtra tali candidati. Ma ancora una volta siamo costretti ad obiettare che simili pratiche erano comuni già in passato, ed è per questo motivo che qui il problema principale non può essere un algoritmo.
Oggi, questo può essere ancora più evidente, dal momento che sono disponibili molti dati di molte più persone e molto più velocemente. Tuttavia, in termini di logica della valorizzazione, si comprende che le persone con seri problemi emozionali (precedenti) vengano rifiutate in quanto candidati, perché possono essere solo disfunzionali per l'impresa. Ogni capitale individuale deve restare competitivo, ma questo significa anche che i costi del personale, così come tutti gli altri costi, devono essere mantenuti i più bassi possibile. Pertanto, il problema in senso causale non è quello di un algoritmo (indipendentemente dalla verità secondo cui esso possa "giudicare"), ma è l'esigenza che deve esistere in quanto portatore di forza lavoro, ed essere generalmente eliminato o rimandato (anche con "buona intenzione" pedagogica e risocializzante) se questo non può essere soddisfatto.
Intanto questa pratica di un certo filtraggio algoritmico è diventata comune per i candidati ad un posto di lavoro: «Negli Stati Uniti, simili test ora vengono usati dal 60% al 70% dei potenziali lavoratori, e fino 5 anni fa venivano usati dal 30 al 40% [...]» (O'Neil, 2016). È curioso, tuttavia, che spesso nella selezione non si tratta di trovare il candidato migliore, ma soprattutto di sbarazzarsi rapidamente, e a basso costo, di molti di loro (O'Neil, 2016). Qui il beneficio del costo che viene posto, è decisivo per un'applicazione di questi algoritmi: «Per la maggior parte delle aziende, queste WMD vengono progettate per tagliare i costi amministrativi e per ridurre il rischio di assunzioni sbagliate [...] Secondo il Center for America Progress, sostituire un lavoratore che guadagna $50.000 l'anno costa ad un'azienda circa $10.000, o il 20% del salario annuale di quel lavoratore. Mentre rimpiazzare un dipendente di alto livello può costrare molte volte di più, fino ad arrivare a 2 anni di salario» (O'Neil, 2016).
Tuttavia O'Neil rimane sul piano fenomenologico, e non cerca una spiegazione per il fatto che la mobilitazione di un posto di lavoro esige costi inziali sempre più elevati, in quanto un numero apparentemente assai grande di candidati inonda le imprese e si rivela come un fattore di perturbazione. O'Neil, come si è detto, constata il carattere socialmente repressivo dei Big Data e di conseguenza scrive che i Big Data corrono il rischio di seguire per secoli quella che è stata la stessa strada della frenologia (O'Nei, 2016), vale a dire, svilupparsi ancora di più come macchina repressiva (o, per meglio dire: armare digitalmente quella che è la già esistente macchina di repressione). Non solo perché tutto il processo è opaco (segreto commerciale) [*12], ma perché, in molti algoritmi, o modelli, entrano presupposti o preconcetti discutibili, che finiscono per avere conseguenze socialmente repressive. Pertanto, i Big Data possono essere correttamente compresi, almeno in parte, come un «ciarlatanismo matematizzato» (Ortlieb, 2006). Sebbene O'Neil critichi le applicazioni discutibili dei Big Data, ne denunci le loro conseguenze repressive e torni alla pretesa "oggettività" della modellazione matematica molto discutibile nei suoi interventi («I modelli sono opinioni incorporate nella matematica.»), mostrando l'inadeguatezza di tali modelli a descrivere il comportamento umano, tuttavia non arriva a mettere fondamentalmente in discussione il modo di pensare positivista.
Supponiamo che siano stati sviluppati algoritmi e modelli realmente corretti, che riflettono accuratamente il comportamento delle persone: cosa si otterrebbe da tutto questo in termini di critica sociale? A quel punto, si dovrebbe notare quanto meno che una critica immanente della scienza, per quanto necessaria, ha i suoi limiti e che bisogna estenderla ad una critica che vada al di là di questo. Critica che deve includere la critica della dialettica sociale soggetto-oggetto, che verrà ricercata invano in tale critica immanente. Per esempio, in una critica al modello dell'homo oeconomicus, si critica il fatto che le persone non possono essere ridotte a questa immagine dell'essere umano, e che essa, di conseguenza, non è realistica; dall'altro lato, si argomenta che in molte situazioni, molte persone si comportano realmente come se stessero agendo secondo questo modello (diversamente, dovrebbero accettare gli svantaggi economici) (Baumbach, 2015). Come dovrebbe essere inteso questo fatto? Il modo di operare della scienza positivista si sentirebbe solo confermato, i presupposti del modello sarebbero corretti e questo fatto esterno sarebbe altrettanto certo dell'esistenza precedente dei dinosauri, o della forma sferica della Terra. Tuttavia, è un dato di fatto che le persone non si esauriscono in tutto questo, che tutto questo è stato creato solamente dall'azione sociale delle persone stesse, e la cosa si ripercuote su di esse come una compulsione, vale a dire, come un fatto, che si contrappone a loro in quanto oggettività. Ma se ci limitiamo ad una critica immanente, da questo ne deriva solo che i metodi applicati ingenuamente, o in maniera errata, devono essere semplicemente confrontati con metodi migliori, o applicati in maniera più rigorosa, e questo poi porta, quasi inevitabilmente, ad una continua affermazione delle condizioni esistenti. Così, è noto che vari critici e critiche degli economisti neoclassici hanno finito per atterrare nell'economia post-autistica, o "eterodossa", e, sebbene pretendano di avere sviluppato modelli più realistici, tuttavia, come gli economisti neoclassici, anche loro non mettono in discussione le forme borghesi del trasporto, del lavoro, ecc., né le comuni forme scientifiche di pensare.
Il pericolo di aumentare il controllo sociale, che emana dai Big Data, viene sempre più discusso anche altrove. Per esempio, un po' di tempo fa, vari scienziati hanno pubblicato un "Manifesto Digitale" [*13]. Questo manifesto cerca di attrarre l'attenzione sui percorsi di sviluppo totalitario possibili attraverso i Big Data. Quindi si guarda alla Cina e a Singapore, come esempi che ci diano un'idea di dove può portare il viaggio della digitalizzazione: «La concezione, ora implementata in Cina, di un punteggio cittadino, ci dà un'idea di tutto questo: attraverso un punteggio che viene dato ai cittadini, per mezzo di una scala  di classificazione unidimensionale viene pianificata una completa vigilanza, e non solo. Poiché il numero del punteggio, da un lato, dipende dai clic su Internet e dal comportamento politico, ma, da un altro lato, è determinato dalle condizioni creditizie, o dalle possibili occupazioni e dai visti di viaggio, si tratta anche di tutela della popolazione e del suo controllo sociale» (Digital Manifesto, 17).
Si scopre che qualora la stessa cosa dovesse avvenire nelle democrazie occidentali, sarebbe irrilevante se provenisse dallo Stato o dalle imprese private (come Google!) [*14]. Purtroppo, sembra che a queste persone sfugga il fatto che, in Occidente, avvengono già cose come quelle suggerite, e di cui Cathy O'Neil non parla (Becker, 2017). È ovvio che non si prende atto del fatto che le cosiddette democrazie sono da tempo "post-democratiche" (Colin Crouch), regimi di stato di eccezione vigile, in cui avviene che a ciascuno viene tendenzialmente conferito lo status di criminale; cosa che appare chiara in tutte le varie misure che sono state adottate dopo l'11 settembre (si veda: Kurz 2003b, Trojanow; Zeh 2010).
Il successivo passo logico sarebbe quello di armare questi droni e continuare con essi, proprio in questo stesso Occidente dorato, la guerra automatizzata, allo stesso modo in cui viene condotta per esempio in Afghanistan!
La «democrazia più popolosa del mondo» - l'India - è nata nella seguente maniera: «Il più grande progetto biometrico del mondo, consistente in un unico Stato, è in corso di realizzazione in India. Si stima che nel subcontinente asiatico verranno registrati digitalmente un miliardo e duecento milioni di persone, un sesto della popolazione mondiale. Il progetto viene chiamato "Aadhaar" [...] In pratica, il progetto biometrico comporta il fatto che di 0tutti gli indiani, che siano paria o che facciano parte dell'élite sociale,  vengano registrate immagini digitali sia delle impronte digitali che di entrambe le iridi, oltre ad una foto del viso, che poi verranno elaborate ed entreranno a far parte di un database digitale [...] Ai dati digitali verranno collegate non solo le informazioni biometriche, ma anche quelle demografiche, quali nome, età, sesso o casta (!). Cosa che va a rafforzare ulteriormente la continua suddivisione razzista degli indiani in caste differenti [...]» (Jansen, 2015).
Le numerose possibilità di sorveglianza a partire dai Big Data combinati con l'«Intelligenza Artificiale» sono incredibili ai fini dello stato di eccezione permanente, per il contro sociale e per la contro-insurrezione (preventiva). La differenza fra l'Unione Europea e la Cina è solo graduale. Tuttavia, agli autori e alle autrici sfugge che il capitalismo digitalizzato è predestinato proprio quegli scopi, dal momento che di certo non esisterà un capitalismo digitale senza tali scopi - tenendo conto delle distorsioni sociali realmente esistenti e delle condizioni di crisi in cui avvengono tali tecniche ed i loro sviluppi. Tutto questo viene ignorato. Ad essere totalitari sono sempre gli altri! (si veda Kurz, 2001, 2002).
Qui, tuttavia, dobbiamo sottolineare quanto segue: sebbene queste numerose tecnologie di sorveglianza suggeriscano la realizzazione di uno Stato totale, alla "1984" di George Orwell, tale momento non va esagerato. Poiché, in primo luogo, queste tecnologie vengono usate principalmente da delle imprese private, che giocano anche un ruolo importante a livello di capitale individuale, ed in secondo luogo è la stessa sovranità che si trova in una fase di erosione e di inselvaggimento. Ciò è evidente, da un lato, a partire dal fatto che l'apparato di sicurezza dello Stato sta decadendo, equiparandosi alle bande private dei terroristi, come si può chiaramente vedere, per esempio, nel Terzo Mondo [*15]. Dall'altro lato, anche l'apparato della violenza si viene a trovare soggetto a condizioni di finanziamento, che che difficilmente possono lasciare intatta la sua funzionalità: di modo che, simultaneamente con l'estendersi della vigilanza per mezzo delle videocamere, si parla continuamente di carenza di personale, vale a dire che in parte le tecniche di vigilanza, ecc., possono anche essere intese come misure di razionalizzazione. Nelle forze armate questo appare ancora più ovvio: ecco perché, negli ultimi anni la "guerra dei droni" è stata così tanta accelerata, in quanto è più a buon mercato di quanto lo sia un intervento regolare, dal momento che le "guerre di ordinamento mondiale" si trovano ad essere chiaramente limitate dalla loro finanziabilità. Nella peggiore delle ipotesi, queste tecnologie verrebbero usate per reprimere delle insurrezione e mantenere la "sicurezza", per lo meno è questa l'intenzione; ma è questionabile se questo funzionerà davvero; dopo la rivolta, quello che potrebbe continuare è solo lo stato di emergenza, difficilmente si arriverebbe ad una normalità borghese di "legge e ordine", al contrario, ci sarebbe da aspettarsi una guerra civile molecolare, la dittatura dello stato di necessità, o qualcosa del genere. L'onnipotenza del Grande Fratello finisce nella sua mancanza di finanziabilità. Inoltre, il "Manifesto Digitale" critica, così come fa Pentland, l'uso e l'uso improprio dei dati contro l'interesse dei proprietari, come è evidente nella pubblicità personalizzata, nel "nudging" e nel fenomeno del "filter bubble". Infine, i meccanismi dei motori di ricerca danno specificamente allo "utente" ciò che corrisponde alla sue (presunte) preferenze. La conseguenza è un'autoreferenzialità, «una sorta di prigione digitale del pensiero» (Manifesto Digitale) che consiste nel ricevere, per mezzo di un algoritmo corrispondente al precedente consumo di media, solo determinate notizie, film o libri; pertanto, non ci sarebbero sorprese, non ci sarebbe più niente da discutere con gli altri (Simanowski, 2014); in questo modo, «le informazioni personalizzate possono distruggere inavvertitamente la coesione sociale» (Manifesto Digitale).
Tuttavia, anche se gli autori non lo dicono, è chiaro che queste "filter bubbles" sono parecchio in linea con il neoliberismo e con la sua ideologia, in cui, in qualche modo, non esiste la società, ma esistono solamente individui che consumano sui mercati. E questa tecnica offre anche al carattere sociale narcisistico alcuni benefici relativi al benessere; vale a dire, non avere più a che fare con il mondo esterno, al di fuori dell'universo parallelo particolarmente distorto. Quel che va sottolineato, è che anche qui la tecnologia non dev'essere ritenuta responsabile di un tale effetto, che essa rafforza e continua; tuttavia, gli esseri umani sono di già narcisisti e incapaci di entrare in conflitto, ed è questo che permette loro di esistere nel loro mondo virtuale, come "utenti" nella loro «Stanza dell'Eco», senza vomitare [*16].
A parte una qualche critica, gli autori del "Manifesto Digitale" fondamentalmente non discuto la digitalizzazione (e nemmeno il capitalismo); perché, come dice un certo professor Weikum in un'intervista, «la digitalizzazione in sé è un fenomeno evolutivo che si manifesta da tempo». Anche se alla fine (!) ci sono altri che vedono e criticano le tendenze totalitarie, raccomandando, perciò, un dibattito volto ad una certa "regolazione", Weikum si pronuncia contro di essa: «La scienza non può essere regolata; sarebbe come la censura nel giornalismo, o come la proibizione degli studi anatomici che fece la Chiesa nel Medioevo» (Manifesto Digitale). Sono proprio Evoluzione e Medioevo le parole chiave che vengono mobilitate quando la scienza non sa come fare a giustificare naturalmente il fatto che il problema non sarebbe una questione di "regolamentazione", ma che è diventato chiaro quanto in alcune persone sia stato rapidamente raggiunto il limite delle critiche ragionevoli. Tuttavia, una ridiscussione fondamentale della digitalizzazione non può essere equiparata ad un conseguente rifiuto della tecnologia digitale in generale. Potrebbero esserci possibilità di un uso ragionevole, o potrebbero venire sviluppate - in modo che questo avvenga - determinati e corrispondenti criteri di senso e di scopo, in termini di contenuto concreto. Ma questo è possibile solo nel contesto di una critica radicale del capitalismo; poiché l'unica misura e l'unico criterio che il capitalismo può pensare ed implementare è la valorizzazione del valore e la massima estensione dei mercati, ecc.; ed è chiaro che questo criterio non è adeguato a giudicare il senso e lo scopo di una (possibile) tecnologia, dal momento che fondamentalmente si astrae rispetto al livello materiale e sociale. Se queste cose emergono, lo fanno come costo o come fattore di perturbazione dell'economia imprenditoriale. Senza dubbio, questa in linea di principio non é una novità: quando una tecnologia antica viene minacciata dalla razionalizzazione a causa della sua "usura morale", essa è sempre stata sostituita da quella più redditizia e più efficiente in termini di logica della valorizzazione, e questo avviene dovunque si possa aprire un mercato che le corrisponda. Le catastrofi sociali ed ecologiche che eventualmente ne conseguono, sono state allora accettate e minimizzate come se fossero state delle presunte esigenze del "progresso".
Perciò, la digitalizzazione significa, di fatto, l'implementazione della tecnologia digitale a tutti i livelli della società (con la riserva della finanziabilità), Ma questo "totalitarismo tecnologico", alimentato dalla dinamica feticistica del capitalismo, dev'essere respinto e messo fondamentalmente in discussione!

meyer cose

5 - L'Internet delle Cose e l'idiozia dell'individuo astratto
Un'altra area di attività dei Big Data è la cosiddetta "Internet delle Cose", che include ogni tipo di dispositivo caratterizzato dalla sua "intelligenza". Ciò perché, a causa dell'enorme abbassamento del costo dei sensori, ora è possibile equipaggiare con sensori ogni dispositivo immaginabile, nell'industria e nel settore privato (e lo si può fare miliardi di milioni di volte!) Questi sensori sfruttano lo stato del dispositivo e il suo ambiente, registrando tutto ciò che può essere registrato per mezzo di quegli stessi sensori (o videocamere). Una corrispondente connessione a Internet si traduce nell'Internet delle cose.
In questo modo, abbiamo orologi intelligenti, cassonetti dei rifiuti intelligenti e frigoriferi intelligenti, ecc. Lo sviluppo di simili dispositivi serve, di fatto, a rendere possibile il consumo «più sostenibile», per lo meno è quanto sostiene chi li produce. Così, Evgeny Morozov, nel suo libro "Smart New World" scrive a proposito delle pattumiere intelligenti: «BinCam, un nuovo progetto di alcuni ricercatori inglesi e tedeschi, intende modernizzare il nostro approccio ai rifiuti, in modo da rendere più intelligenti le pattumiere e, allo stesso tempo, renderle più sociali. Come funziona la cosa: un piccolo smartphone, attaccato all'interno del coperchio della pattumiera scatta una foto ogni volta che qualcuno apre il coperchio - ovviamente, per documentare ciò che viene depositato. Un gruppo di persone mal pagate, assunte da Amazon attraverso il sito Mechanical Turk valuta le fotografie. Così, tanto per vedere. Quante sono le cose che possono essere riciclate? Quanti sono gli alimenti che vengono buttati via? Insieme a queste informazioni, la foto viene mandata alla pagina Facebook delle persone che utilizzano le pattumiere intelligenti. Lì, gli altri utenti potranno vederla. I creatori di BibCam si aspettano che, se avremo pattumiere intelligenti in molte case, con l'aiuto di Facebook si potrà fare una competizione ludica che verte intorno al riciclaggio. Settimanalmente, vengono calcolati i risultati e, man mano che diminuisce la quantità di alimenti e di materiali riciclabili, i proprietari ottengono gettoni e lingotti d'oro (simbolici). Chi ne raccoglie di più vince. Missione compiuta, il pianeta è stato salvato!» (Morozov, 2013).
Non solo ogni espressione della vita viene documentata in modo che tutti la possano vedere, ma avviene anche che ogni persona è costretta ad ottimizzare il proprio consumo, in termini di tecnologia della sostenibilità (e di tecnologia della salite). E come se ciò non bastasse, lo si rende anche un gioco infantile. Morozov definisce "gamizzazione" quest'ultimo fenomeno. «Ciò che dovrebbe essere oggetto di un discorso critico, si traduce in un gioco infantile idiota, come quando si vogliono incentivare le persone ad economizzare energia attraverso un "dialogo senza parole" basato sulla tecnologia [...] Un esempio è il bruco - una prolunga elettrica (a forma di bruco) progettata per incoraggiare gli utenti a pensare a quanta energia viene sprecata a causa degli apparecchi in stand-by. Il bruco ha tre modi operativi: quando il dispositivo [...] è acceso, il bruco respira lentamente e regolarmente; se viene spento non fa niente; però, se rimane in stand-by, ecco che il bruco comincia a contorcersi e a fremere, come se soffrisse. I proprietari andranno incontro ai bisogni del bruco, come se si trattasse di un essere vivente?» (Morozov, 2013).
Morozov fa altri esempi. Come i bollitori elettrici intelligenti, che si accendono di rosso quando non dovrebbero essere usati, quando il consumo nella rete elettrica è molto elevato. Le cose intelligenti ci aiutano a risparmiare elettricità e fanno anche qualcosa per l'ambiente! Grazie a Dio!
Morozov ha definito come "soluzionismo", quello che è l'aspetto tecnocratico-riduzionista che brilla qui, e che è del tutto ignorante dal punto di vista sociale e storico: la ristrettezza mentale del soluzionista appare chiara a partire dal fatto che egli conosce solo il suo martello, e vede chiodi dappertutto (Morozov, 2013).
Lo stesso avviene con l'ottimizzazione del consumo per mezzo del "self-tracking", vale a dire, attraverso la registrazione dei propri dati personali, delle funzioni vitali, quali il sonno, ecc., in modo da poter monitorare, a partire da questo, «l'impronta personale di CO2, e minimizzare le nostre proprie emissioni di anidride carbonica, comprando prodotti più efficienti e utilizzando mezzi di trasporto più ecologici» (Morozov, 2013) [*17]. Come si sa bene, il consumo non è "ottimale", né necessariamente sano. Per molto tempo, le decisioni circa quanto e cosa consumare sono state lasciate all'individuo, ma ora c'è una tendenza che da un po' di tempo ha assunto la forma di misure politiche, o di agitazioni, volte a "spingere" le persone ("nudging"), attraverso "sottili manipolazioni", verso una presunta "giusta direzione" (ad esempio, mettendo le barre di cioccolato "non salutari" sugli scaffali difficili da raggiungere, diversamente dalla foglia di lattuga "salutare"). Il "nudging" viene giustificato dai suoi seguaci a partire dal fatto che le persone tendono a decidere in maniera "errata" ed hanno bisogno di essere guidate, per essere protetti da loro stessi! In ogni caso, le giustificazioni potrebbero essere riassunte in maniera aperta e diretta. Si impone perciò un "paternalismo libertario" di nuovo tipo e "più morbido" che, come dicono i critici, rende "disabili" i cittadini e le cittadine, e impone loro un'ascesi neo-protestante (con una riduzione dei costi del servizio sanitario, se attraverso il self-tracking si ottiene di fatto una vita sana, camminando per almeno mille passi al giorno). Un paternalismo che vuole spaventare la persone nei confronti di tutto ciò che si suppone sia realmente malsano (come le salsicce o le sigarette). La cosiddetta "salute pubblica" è, secondo loro, solo questione di consumo individuale, non di produzione, e di certo non è dovuta né alle condizioni né alle relazioni sociali, nel mondo del lavoro e della riproduzione!
Tuttavia, questa prospettiva immediata dell'individuo astratto, come appare nel "nudging", si trova solo nella Fisica Sociale o nell'economia comportamentale, ma anche nelle critiche al "nudging", che spesso sono liberali. Quindi, riassumendo brevemente, in genere l'accento viene posto sulla "maturità" dell'individuo, nella "libertà di scelta", e quello che si richiede è un "discorso politico" e "informazione" anziché "manipolazione": allora l'individuo saprà meglio di chiunque altro che cosa sia meglio per lui [*18], Ma generalmente queste posizioni risentono dell'idea che il consumo e i suoi contenuti si riducano alla presunta libertà di scelta dell'individuo, del "consumatore responsabile", vale a dire, l'idiozia dell'individuo astratto.
Purtroppo, ciò che i liberali non vedono è che la meravigliosa "maturità" borghese consiste precisamente nell'internalizzare le relazioni coercitive del capitalismo, agendo secondo quelli che sono i suoi imperativi, facendo a meno della necessità di un apparato statale di forza. In ultima analisi, la libertà di scelta del "consumatore responsabile" è la libertà dello schiavizzato.
Questa così tanto esaltata libertà borghese è, da un lato, indifferente a qualsiasi contenuto e, allo stesso tempo, profondamente unidimensionale: «La libertà di pensare, di produrre e di consumare include [...], da una parte, un'assoluta arbitrarietà [...]. Quanto al contenuto, ancora una volta, non importa a nessuno. A tal proposito, la libertà, il pensiero, l'opinione e la critica sono sempre qualitativamente vuoti; oppure il loro contenuto è del tutto casuale, esteriore e insignificante nel vero senso della parola. Dall'altro lato, la stessa libertà astratta contiene una limitazione ed un esclusione spietata. La sua forma sociale non è assolutamente arbitraria, bensì è fissata in maniera completamente unidimensionale; definisce tutte le relazioni, perché, come ha detto giustamente Marx, essa è simultaneamente forma di esistenza e forma di pensiero, in questo suo modo di produzione e di vita. Nei suoi confronti, non  è permessa la minima critica. Chiunque la violi viene bloccato; chi la mette in discussione viene dichiarato pazzo. È permesso quasi tutto, proprio perché c'è una cosa che non è permessa, vale a dire, rompere la “gabbia della servitù»”(Max Weber), la forma ferrea di ciò che è consentito. L'arbitrarietà del contenuto delle relazioni delle merci e del denaro costituisce una relazione coercitiva che non ha eguali: È questo il segreto di tutta la democrazia e della libertà della modernità» (Kurz, 2017).
Forma e contenuto del consumo, dell'uso dell'energia, del sistema dei trasporti, ecc. devono, di fatto, essere oggetto di un discorso critico. Con la tecnologia intelligente e il "nudging" ad essa associato, tuttavia, tutti questi problemi vengono trasferiti al livello dell'individuo e del consumo individuale, e vengono così deprivati di qualsiasi critica; queste persone assai scarsamente intelligenti non riescono a vedere un altro livello. Ma una critica del consumo o, più precisamente, una critica dei risultati materiali del capitalismo può essere svolta solo includendo il piano sociale globale, in cui si deve tener conto  della determinazione della forma, e dell'adattamento del suo contenuto alla relazione di capitale, attraverso la valorizzazione del valore e la dissociazione sessuale. Una critica del consumo individuale non porta a niente, se non si riesce nemmeno a vedere come effettivamente produciamo. Ad esempio, il progresso tecnico nell'agricoltura degli Stati Uniti, e più specificamente nell'industria del mais, a partire dagli anni '70 del secolo scorso, non solo ha portato ad un crollo dei prezzi del mais, ma ha anche creato delle "montagne di mais", che ora in qualche modo "devono" trovare uno sbocco. Quindi il mais è stato trasformato in un concentrato di zucchero, che poi è stato aggiunto ad una moltitudine di alimenti. Ed è questo che è stato responsabile degli alti livelli di obesità e di diabete nella popolazione degli Stati Uniti. Scrive Tomasz Konicz: «L'aumento della produttività nell'agroindustria capitalista, pertanto, non porta a mantenere quelle che sono le limitate risorse naturali, ma conduce allo sforzo per creare, nel bene o nel male, nuovi campi di ricerca al fine di mantenere il processo di valorizzazione - dal momento che il corpo umano è stato abusato dall'accumulo di fruttosio.» (Konicz, 2013). Da anni, il sudovest degli Stati Uniti soffre di carenza d'acqua. In agricoltura, tuttavia, si continua a coltivare proprio quelle colture (come le mandorle) che richiedono una grande consumo d'acqua. Anziché tagliare proprio quelle colture a causa della siccità, e passare ad altre che richiedano meno acqua, si continua con quelle perché sono più redditizie! (si veda Konicz 2014). Nella sua critica dell'antropologia dell'individuo borghese, riferendosi a Marx, Franziska Baumbach  scrive: «Intendere la società come se fosse un insieme di individui, ignora il fatto che la struttura sociale è determinata dalla forma di relazionamento delle persone fra di loro. In una società di libera concorrenza, nella quale i produttori isolati si incontrano socialmente attraverso lo scambio delle loro merci, l'essere umano appare come un individuo completamente indipendente. Questo risultato del modo di produzione capitalist, che crea individui isolati, porta ad un'immagine del mondo che, invertendo causa ed effetto, pretende di avere un'immagine del singolo essere umano, senza tener conto delle circostanze sociali.» (Baumbach, 2015).
Perciò è ovvio che non ha senso - nella ricerca della sostenibilità, della salute, ecc. - considerare solo l'individuo consumatore, o il prodotto finale che viene messo in vendita, senza coinvolgere il piano sociale. Un orientamento all'individuo, al "consumatore", ignora ciò che è essenziale. Al di là delle osservazioni di Baumbach, va constatato, con Robert Kurz: «Tuttavia, se questo intero "processo globale", in quanto feticcio del capitale o "soggetto automatico", costituisce il vero presupposto e, quindi, la determinazione dell'essenza della sua relazione resasi autonoma nei confronti dei suoi propri attori, ai quali è sfuggita di mano, allora anche i produttori privati o i singoli capitalisti sono già, nella realtà, socializzati "a loro insaputa", prima ancora di entrare empiricamente nelle relazioni di mercato. Essi, come attori reali, possono consumare solo grazie al mercato, a posteriori, quello che esiste oggettivamente già a priori, vale a dire, la mediazione universale, la mutua dipendenza reciproca e la condivisione delle funzioni profondamente programmate della riproduzione sociale. Si tratta di un contesto di concatenazioni globali composte di produzioni frammentarie, da relazioni di subappalto ed infrastrutturali reciprocamente interconnesse e articolate in modo molteplice le quali, per intermediazione del capitale, hanno preso forma come se fosse un complesso globale a priori. [...] Poiché, sul piano del capitale individuale sembra che si tratti quindi di un evento che possa essere colto attraverso quelli che sono gli strumenti della teoria dell'azione che, in una certa misura, si riassume nel calcolo soggettivo, e in cui gli attori si affrontano in maniera immediata in quanto attori di interesse. Quello che costituisce questi stessi attori, e che non appare, a causa della loro percezione limitata, come se fosse un oggetto distinto, cioè l'entita presupposta dek "processo globale", scompare in un mondo composto da fatti immediati. [...] Ciò che trascende i soggetti agenti e che costituisce il movimento reale della valorizzazione è l'insieme del "soggetto automatico", l'apriorismo costitutivo e trascendentale che si manifesta solamente nel capitale individuale, ma che non lo è in termini categoriali.» (Kurz, 2012).
È perciò necessario insistere soprattutto sul carattere sociale dell'individuo e sulla sua forma determinata dal tutto feticistico, quando invece ogni responsabilità ricade sull'individuo in quanto individuo, mentre la totalità sociale sparisce, come ovviamente avviene in tutti i dibattiti a proposito del "nudging", della sostenibilità, ecc.
Le possibilità di applicazione dei prodotti intelligenti sembrano essere inesauribili, continua Morozov: «Oggi, i sensori da sé soli, senza alcuna connessione con le reti sociali o con l'archiviazione dei dati, possono fare molte cose. Per gli anziani, ad esempio, tappeti intelligenti e suonerie intelligenti, che rilevano ed avvisano se una persona cade, potrebbe essere di grande aiuto.» (Morozov, 2013).
Si punta, quindi, ad un altro settore relativo all'uso della tecnologia digitale e intelligente: l'area della cura e della riproduzione: Secondo la formulazione di Gisela Notz: «Sono già in azione, sviluppati da imprese giapponesi, robot infermieri, con forti braccia e grandi occhi, che riescono a sollevare gli anziani dal letto, e a metterli sulla sedia a rotelle. Ci sono orsacchiotti di peluche dotati di un nucleo elettronico che i malati mentali possono abbracciare, bambole umanoidi e animali di peluche dotati di intelligenza artificiale e di tecnologia di riconoscimento vocale, che possono cantare, accarezzare e parlare, e che, secondo le relazioni delle parti interessate, sono adorate dagli anziani. Se ci sono problemi, i robot infermieri possono informare il personale umano» (su questo si veda l'articolo di Andreas Urban su questo stesso numero). Si parla anche di cucina intelligente «per la cuoca (!)». Con tutto questo, tuttavia, «le stereotipate immagini di genere non sono state [...] smantellate, ma bensì modernizzate e re-fissate» (Notz, 2016).
È ovvio che l'industria sia interessata ad equipaggiare con dei sensori quanti più dispositivi possibili. Ancora una volta il punto è quello di risparmiare sui costi, dal momento che un monitoraggio in tempo reale, tramite i dispositivi, consente alle imprese di ottenere di più dalle loro postazioni. «In secondo luogo, [...] la possibilità di prevedere nel futuro l'affidabilità delle macchine e dei componenti e, pertanto, poter garantire meglio la loro manutenzione» (Woudhuysen; Birbeck 2016). Perfino Morozov osserva che la riduzione dei costi è un motivo convincente per l'introduzione di prodotti intelligenti: «Un'impresa start-up con il bel nome di BigBelly Solar vuole rivoluzionare lo smaltimento dei rifiuti attraverso contenitori della spazzatura che, usando energia solare e sensori, informano l'impresa che rimuove i rifiuti se questi contenitori sono pieni ed hanno bisogno di essere svuotati. Ciò permette di ottimizzare le forme di raccolta rifiuti, e consente di risparmiare carburante, Dal 2009, la città di Filadelfia sperimenta questi contenitori. Ha già ridotto il numero di raccolta dei rifiuti da 17 a 2,5 volte per settimana, ed il numero di dipendenti da 33 a soli 17. In un solo anno, tutto questo ha portato ad un risparmio di 900 mila dollari» (Morozov, 2013).
Ma non ci si deve limitare a questi esperimenti isolati. La visione è quella per cui tutti, alla fine, vivremo in "città intelligenti" (anche Alex Pentland è innamorato delle "città ricche di dati"). Tuttavia, rimane assai discutibile, come spiega Rainer Fischbach, se una società dotata di dispositivi intelligenti riesca effettivamente a ridurre il consumo di energia, poiché andrebbe incluso nel conto anche la produzione e le corrispondenti infrastrutture. Inoltre, un mondo di dispositivi intelligenti sarebbe vulnerabile agli attacchi da parte degli hackers, e la protezione, che ancora non esiste, verrebbe a costare molto. (Fischbach, 2015).
Tuttavia, esistono componenti "intelligenti" delle infrastrutture, cui anche Morozov fa riferimento: «Automobili che non sbandano quando il conducente è ubriaco; comunità isolate che non tollerano intrusi; ponti da quali non si può saltare; sistemi di esazione delle tariffe sugli autobus pubblici, grazie ai quali il conducente non ha bisogno di dare il resto, e così viene attaccato meno frequentemente [...]» (Morozov, 2013). Oppure che non ci possa essere nessuno in grado di passare senza biglietto ai cancelli, nel sistema della metro di New York; viaggiare senza biglietto è impossibile (Morozov, 2013). In ultima analisi, nella "prevenzione situazionale del crimine", c'è prima di tutto l'obiettivo di una città intelligente. Grazie alla tecnologia intelligente, il crimine ed il comportamento deviante devono ora essere finalmente aboliti, poiché è chiaro che non c'è bisogno di modificare niente in quelle che sono le condizioni sociali che stanno dietro a tutto questo. Ciò dimostra chiaramente che le tecnologie dei Big Data si trovano nel contesto di un discorso di sicurezza e della corrispondente prassi poliziesca. Le conseguenze di un'infrastruttura intelligente sarebbero, come sottolinea con chiarezza Morozov, rendere semplicemente sempre più strutturalmente impossibile il comportamento deviante e, quindi, la violazione della legge. Secondo Morozov, questo limiterebbe severamente la capacità di una persona di agire moralmente (si veda più avanti la digressione sull'etica o la morale nella critica sociale). Ma, dall'altro lato, la possibilità di violare la legge, e di avere un comportamento deviante, è necessaria, come osserva Morozov, dal momento che può stimolare il dibattito ed il cambiamento politico, poiché, nella storia, molti mutamenti sono stati resi possibili grazie alla disobbedienza civile ed alla resistenza [*19]: in una città intelligente, come ci fa notare Morozov, non avrebbe potuto esistere una Rosa Parks [*20] (Morozov, 2013). È ovvio che per contrastare la "smartificazione" dell'infrastruttura, e la concomitante limitazione delle possibilità umane di azione, non basta riferirsi ad un soggetto moralmente libero o autonomo, come si sente dire a Morozov. La "smartificazione" dell'infrastruttura, l'Internet delle Cose e la digitalizzazione della politica devono essere visti nei termini del ruolo che svolgono nel capitalismo di crisi. La "smartificazione" ha molto a che vedere con l'economia dei costi e con la famosa "sicurezza". Senza la digitalizzazione, tenendo conto delle condizioni di crisi, avremmo a che fare semplicemente con i manganelli della polizia privi di qualsiasi sensore di accelerazione, cosa che difficilmente migliorerebbe la situazione generale [*21]. Lo stesso discorso vale anche rispetto al desiderio di una "automazione della polizia". Il fatto che le decisioni politiche debbano essere sostenute dai Big Data, e che le corrispondenti simulazioni al computer devono avere a che vedere soprattutto con la sfera politica, vista come autorità regolatrice capitalistica, nella crisi ha ormai raggiunto da tempo i suoi limiti, ed ha perso efficacia. Al contrario, come già detto, bisogna parlare di "Fine della Politica" (Robert Kurz). Anche i Big Data sembrano essere associati alla speranza che le "scienze" possano fornire ai politici delle ricette che finora potrebbero essere state trascurate, e/o che si possa testare per mezzo di simulazioni al computer (a prescindere dal fatto che da questo possa provenire o meno qualcosa di utile) l'efficacia di simili ricette. Quest'approccio assomiglia in qualche modo all'ideologia dei transumanisti, i quali, per risolvere i problemi del mondo, stanno chiedendo lo sviluppo di un'intelligenza artificiale che superi l'essere umano e, in qualche modo, lo sostituisca come specie (si veda Meyer, 2016). Una critica della delega della "responsabilità sociale" ai Big Data, così come viene formulata da Westphalen (von Westphalen, 2016), appare essere comprensibile, ma non porta a niente, dal momento che alla fine forse richiede solamente un obsoleto keynesismo (di sinistra). A partire da questo, ci si aspetta una certa "capacità di configurazione politica". Oltre al fatto che il keynesismo è servito soltanto a regolare e a preservare il meccanismo capitalista, questa prospettiva è diventata da tempo obsoleta, non avendo niente a che vedere con una responsabilità sociale e con una pianificazione sociale che siano significativi. In maniera particolare, questo è dimostrato dall'assurda politica economica della Cina, che si vorrebbe assumere la "responsabilità politica" della crisi attraverso una politica di investimento in infrastrutture, che in pochi anni ha consumato più cemento di quanto ne abbiano consumato gli Stati Uniti in tutto il XX secolo! (si veda Konicz 2015).
In ultima analisi, un simile sviluppo, come possiamo osservare, è solo conseguente ad una società feticista che semplicemente troppo cieca riguardo sé stessa, e che non riesce né a giustificare né a basarsi su sé stessa (e nemmeno ci prova). Il nuovo mondo intelligente, alla fine, non è altro che lo stato di eccezione digitalizzato, un ordinamento intelligente dello stato di necessità, che vuole affrontare qualsiasi problema o pseudo problema [*22] con ancora più sicurezza, con sempre più vigilanza e ancora più tecnologia digitale. La digitalizzazione è poco più della riproduzione su scala più ampia di quella che è la pazzia capitalista.

meyer morozov

6 - Digressione: sul problema dell'etica, o della morale, nella critica sociale
Sebbene il problema della morale echeggi in Morozov, in seguito alla "smartificazione" dell'infrastruttura, anche così rimane difficile poter dire che egli abbia un punto di vista moralista, in quanto, nel trattare il "soluzionismo", rimane ben consapevole di tutta la complessità dei problemi sociali (pur non nel senso della messa in discussione radicale del capitalismo in generale). Ciò nonostante, è possibile riconoscergli un modo fondamentalmente problematico di argomentare, vale a dire, fare appello all'etica, o alla morale. Tale appello, per esempio, che si vede nel dibattito a proposito della "etica imprenditoriale", lo si trova in tutti i tipi di "comitati etici" (si veda von Bosse 2010), culminati negli assurdi progetti di voler programmare moralmente una "Intelligenza Artificiale" [*23].
Nel dibattito intorno all'etica, lo scetticismo è sempre appropriato. La "responsabilità" viene trasferita sull'individuo, o su un'istituzione, e si suggerisce quella che è un'azione eticamente corretta, facendo così completamente sparire le coercizioni oggettive e le imposizioni complessive del capitalismo. L'etica funziona, quindi, come se fosse una specie di "lubrificante indispensabile" (Scholz, 2013) per la manutenzione del patriarcato nella sua forma della merce, e ha come conseguenza quella di nascondere o reprimere le relazioni di dominio e la loro costituzione feticistica: Poiché l'etica, intesa come propagazione del dovere morale dell'azione, stigmatizza la malvagità di certe azioni umane, o di certi sviluppi tecnici o del loro software, senza tuttavia esprimersi sulle soggiacenti relazioni sociali. Tuttavia, ciò non esclude necessariamente il fatto che i discorsi etici, e tutto quello che tali discorsi pretendono di raggiungere in termini di contenuto, possano avere dei momenti appropriati. In ogni caso, i comitati etici generalmente esaminano i risultati tecnici e propongono regolamenti o restrizioni, a meno che non assumano fin dall'inizio una funzione leggittimatrice, se non addirittura banalizzante. Perciò viene affermata e rafforzata l'idea secondo cui ricerca e sviluppo siano fin dall'inizio neutri, e che le problematiche etiche siano esterne rispetto ad essi, e che sia inutile perdere tempo su quello. La stessa cosa vale per i dibattiti ed i discorsi in cui ad essere in discussione è la giustizia , o la sua mancanza di applicazione. Anche qui viene omessa la critica del capitalismo e delle sue categorie reali di base, mentre normalmente la critica si limita a lamentare la mancanza di partecipazione da parte di alcuni gruppi sociale, nello stesso tempo in cui non viene presa in considerazione la crisi della società del lavoro, né viene messa fondamentalmente in discussione, ed in termini di contenuto, tutto ciò a cui i poveri dovrebbero voler partecipare. Robert Kurz ha formulato la critica di una simile "etica democratica" nel modo seguente: «Già fin dal suo nome, l'appello alla giustizia deriva da una soggettività giuridica funzionale. Un "diritto" alla vita, al nutrimento, all'alloggio, ecc. è assurdo in sé stesso; esso ha un senso solamente in un sistema sociale di riferimento che tende a non presupporre naturalmente tutti questi principi elementari della riproduzione umana, che, al contrario, vengono sempre messi oggettivamente in discussione. La forma giuridica e i diritti del soggetto democratico sono solamente l'altra faccia complementare del "lupesco" soggetto economico, con il suo interesse per il denaro, sprovvisto di qualsiasi altra emozione umana. Tuttavia, nella stessa misura in cui, con l'accumulazione della forma della merce e con la sua incapacità di riproduzione funzionale diventata simultaneamente manifesta, sono sempre di più le persone che smettono di essere soggetti economici di questo sistema, che smettono anche di essere soggetti giuridici, smettendo, pertanto, di essere esseri umani, secondo quella che di questi ultimi è generalmente la definizione data dal sistema. È vero che nelle economie relativamente di successo, l'apparenza della situazione di legalità può essere mantenuta per qualche tempo; tuttavia, quest'apparenza è legata al funzionamento delle reti di redistribuzione sociale e, pertanto alla competizione "con successo" nella concorrenza che distrugge le altre economie del mercato mondiale. Sostanzialmente, qualsiasi persona che nel lungo periodo non può più rappresentare un soggetto economico del mercato, e solo un morto in vacanza. Le condizioni delle economie perdenti e collassate confermano quotidianamente questa logica barbara, e lo fanno in forme sempre più brutali» (Kurz, 2013).
Dibattiti etici o morali, discorsi sulla giustizia, ecc. possono, pertanto, essere visti come dei tentativi impotenti di gestire quelle che sono delle barbarie non concettualizzate e, perciò, incomprensibili proprio perché le cause sociali di tali barbarie vengono rimosse da questi dibattiti. A volte, il carattere schizoide dei dibattiti etici appare chiaramente: viene sempre propagandata, da un lato, l'auto-imprenditorialismo neoliberista, il lavoro a progetto "individuale", l'auto-ottimizzazione permanente, forse per meglio resistere alla concorrenza, e, dall'altro lato, si critica moralmente il fatto che le persone siano così tanto estremamente egocentriche, narcisiste e sempre completamente indifferenti all'altro. In questa società, l'altro non è un essere umano, non è un amico che ancora non si conosce, ma è solo un altro concorrente nel viaggio verso Gerusalemme. Ma difficilmente c'è qualcuno che osa dirlo: tutti devono semplicemente essere "cortesi" con gli altri.
Per poter comprendere teoricamente e poter mettere radicalmente in discussione il capitalismo, occorre un «apriori pre-teorico» (Robert Kurz) [*24]. Ciò consiste nel non essere d'accordo con le relazioni, con le sofferenze e con le imposizioni complessive che il capitalismo porta con sé. Dal disaccordo, tuttavia, non consegue necessariamente lo sviluppo di una critica radicale. Per esempio, quando questo disaccordo assume la forma di una rivendicazione etica o morale. Poiché se viene formulata una rivendicazione etica, allora, a mio avviso, vuol dire che l'acutezza della critica non è stata necessariamente spinta fino in fondo, bensì è stata abbastanza smussata; quella che è una rivendicazione etica insisterà sull'individuo e sulle sue azioni (oppure sulle istituzioni e sui loro membri), restringendo così considerevolmente l'orizzonte della critica; finendo per limitarsi, fra le altre cose, all'«alimentazione eticamente corretta», al «linguaggio eticamente corretto», alle comunità ed ai contesti locali, all'«anarchismo come stile di vita» [*25], ecc., dove le presunte alternative vengono supposte come se si trattasse di un «vissuto libero dal dominio».
Per verificare quest'idea: perfino il pretendere di fondare eticamente la propria mancanza di accordo con Auschwitz diventa una perversione. Infatti, Auschwitz è il risultato di una determinata pratica, come ha sottolineato Adorno, che tratta il pensiero e l'azione in maniera tale che Auschwitz, o qualcosa di simile, non si ripeta, ma questa non è una rivendicazione etica (Adorno, 2003). Le rivendicazioni etiche, sono solitamente indirizzate agli individui in quanto individui, e presuppongono quelle forme di comunicazione e di relazioni sociali che lo costringono a conformarsi ad esse; ma il disaccordo rispetto ad esse esige una critica radicale e un superamento pratico. Perciò va compreso anche quello che è l'«imperativo categorico» di Adorno.
Come ha detto Marx, bisogna distruggere tutte le relazioni nelle quali l'essere umano è un essere schiavizzato ed umiliato. Dal momento che il destinatario della critica radicale non è un individuo o un'istituzione, ignorante di tutte le relazioni sociali, ma è invece l'attuale agire degli esseri umani, vale a dire, la loro prassi, vista nel contesto di un'oggettività sociale distruttiva, la quale si riproduce proprio attraverso tale prassi; e ciò che viene rivendicato dalla critica è proprio il fatto che dev'essere abolita tale oggettività, cioè, la dinamica feticistica del capitalismo, e la forma soggetto che ne è alla base. Solo allora l'idea di una «coesistenza pacifica» dell'essere umano con la natura potrà essere realizzata .

spine

7 - I Big Data e la "Fine della Teoria"
Conseguentemente, con i "Big Data" è già stata dichiarata da alcuni la "Fine della Teoria", e probabilmente questa è l'alba della fase suprema e finale del positivismo. Grazie alle incredibili quantità di dati messi a disposizione dai Big Data e dal nuovo mondo intelligente, sarebbero sufficienti le correlazioni; in futuro, i numeri potrebbero parlare da sé soli; si potrebbe fare a meno di teoria e modellazione. Questo è ciò di cui è convinto Chris Anderson, ex redattore capo della rivista Wired (si veda Anderson, 2013). È ovvio che ci sia stata opposizione a questo da parte della comunità scientifica. Proprio come avviene per la fisica, non ha senso «misurare da qui in avanti», c'è bisogno di avere un pensiero teorico, con cui si determina che cosa vada misurato e con quali finalità (si veda, per esempio, Mazzocchi 2015, Boyd; Crawford 2012). Per cui Gerhard Lauer (un rappresentante di "Digital Humanities") sostiene che, quanto più sono i dati disponibili, tanto più è necessaria la teoria (Lauer, 2013). Per quanto degne di considerazione possono essere tali obiezioni alla presunta fine della teoria, in generale l'individualismo metodologico, l'oggettività moderna, e la presunta neutralità, ed il suo essere esente da ideologia, della scienza, vengono discusse ben poco. Certamente esistono delle nicchie, degli individui e dei piccoli gruppi che in parte lo fanno, ma nei grandi progetti scientifici ciò non avviene. Per esempio, si investono miliardi di milioni affinché le neuroscienze possano ricercare perturbazioni mentali che si suppone abbiano la loro causa solo nel cervello dell'individuo, e non hanno niente a che vedere con le condizioni sociali strutturali (Schleim, 2016). Non sarebbe quindi sorprendente se, nel processo di digitalizzazione del pensiero, la comunità scientifica e l'Università imprenditoriale (e, ovviamente, tutte le imprese private che realizzano ricerca e sviluppo) fossero vittime di quella che è un'ignoranza senza fondo e, pertanto, abbandonassero qualsiasi riflessione critica, o perfino anche la mera possibilità di una tale riflessione critica. In ogni caso, nel panorama scientifica, la riflessione critica non è mai stata egemonica. Le obiezioni critiche, che certamente esistono contro i Big Data e le loro applicazioni (si veda il Manifesto Digitale), vengono perciò facilmente nascoste quando viene posta la prospettiva di quanti e di quali fantastici nuovi posti di lavoro vengono resi possibili attraverso di essi (per esempio Helbing; Pournaras 2015). Purtroppo, la riflessione critica e la ridiscussione fondamentale delle condizioni sociali non sono evidenti, non emergono automaticamente dalla matematica applicata con perfezione metodica, né dall'impeccabile manipolazione formalmente logica delle concatenazioni dei simboli. Il fatto per cui la riflessione teorica (immanente) stia sparendo fa venire il sospetto, come ha scritto una volta Robert Kurz, «la riflessione teorica sta zitta perché la dinamica sociale su cui si fonda viene rimossa.» (Kurz, 2002) [*26]. Questo spiegherebbe per quale ragione i vari profeti della scienza e gli evangelisti della tecnica abbandonino la possibilità di un discorso sul significato e sul contenuto della tecnologia in generale, e pensano che si possa lavorare ogni cosa e che i problemi possono essere risolti solo grazie alla tecnica ed attraverso un modo di pensare quantificante.
Invocare la fine della teoria ci ricorda fatalmente la fine della storia proclamata da Francis Fukuyama. A partire dalla postmodernità, la società tardo borghese sembra essere entrata, con i Big Data, in una nuova fase di instupidimento organizzato. Tuttavia, secondo la mia opinione, questo ormai non sorprende più, in quanto, nel postmodernità, la possibilità di riflessione critica è venuta così tanto meno da rimanere confinata in gran parte a livello linguistico, rifiutando a causa di un presunto totalitarismo quella che è una «Grande Teoria». Il pensiero postmoderno dell'arbitrarietà, il passaggio all'argomentazione culturalista, l'ipostatizzare le differenze, ecc. sono state tutte poco più che espressione di capitolazione intellettuale di fronte alle incomprese relazioni sociali. Il problema di base della digitalizzazione forzosa delle scienze, della presunta «Fine della Teoria», pertanto non consiste in una fede ingenua nella matematica, nella tecnica e in una montagna di dati, attraverso i quali si suppone che tutti i problemi potrebbero essere risolti, ma nel fatto che ci troviamo ad essere già in qualche modo malmessi in termini di riflessione critica, a causa delle condizioni di crisi. Anche laddove la teoria critica sociale marxista è tornata ad essere nuovamente di moda, nell'universalità quello che viene evitata è una radicale messa in discussione delle relazioni sociali, per non perdere una possibile carriera accademica, a causa di quelle che sono ormai da tempo delle condizioni precarie, secondo il popolare slogan «pubblica o crepa». In questo modo, una scienza economificata da cima a fondo, e priva di riflessione ha tutte le qualità per poter essere un nonsense digitale. Ma qui non va confusa causa ed effetto, in modo da enfatizzarlo ancora una volta, ma, al contrario, è importante criticare i Big Data e il Nuovo Mondo Intelligente non solo sul piano immanente della scienza, ma anche, come ne abbiamo discusso qui, in relazione alla società vista nel suo insieme come un tutto. Solo in questo modo la critica potrà andare oltre quella che é la comunità scientifica e la sua gretta mediocrità.

- Thomas Meyer - Pubblicato nell'aprile del 2018 sul n°15 della rivista EXIT! -

NOTE:

[*1] - Si veda il confronto fra Kurz e gli anti-tedeschi (Kurz, 2013).
[*2] - Riflettere sulla matematica comporta essere cosciente dei suoi limiti, ed un esame epistemologico e storico-filosofico del suo contenuto, cose che generalmente nel mondo scientifico vengono marginalizzate. (si veda, Rießinger 2010; e in dettaglio Bedürftig; Murawski 2015, così come Heintz 2000.)
[3] - Nella meccanica hamiltoniana - in omaggio a William Rowan Hamilton (1805-1865) - un sistema meccanico viene definito dalla funzione hamiltoniana, la quale in una certa misura rappresenta l'energia totale del sistema, espressa in coordinate generalizzate e in impulsi generalizzati (cfr. Penrose, 2007).
[*4] - Così designata in omaggio all'economista Alfred Marshall (1842-1924).
[*5] - Questo punto dovrebbe essere più elaborato. Per motivi di spazio, e poiché diverrebbe un testo indipendente, non si può fare ora. Con l'eliminazione del fattore soggettivo si designa di solito il preconcetto personale, ma, in realtà, tutto questo va molto al di là, in particolare, all'esternalizzazione delle preoccupazioni etiche, alla divisione soggetto-oggetto (cartesiana), alla dissociazione del "femminile" (sentimenti, corpo), ecc. (Si veda Ortlieb 1998, e per esempio List 2008, Braun; Kremer 1987 e Pernkopf 2006).
[*6] - Cfr. su Hegel: Späth 2013 e 2014.
[*7] - Evgeny Morozov cita anche Nietzsche, nel suo libro "Smarte neue Welt" (Nuovo Mondo Intelligente), che verrà discusso a parte.
[*8] - Ci sono altri obiettivi che, sebbene risultino dall'imperativo della valorizzazione del capitale, non possono essere semplicemente sottomessi all'aspetto del risparmiare lavoro astratto (cfr. Becker, 2017).
[*9] - Può darsi che, grazie alle riforme che ci sono state, le condizioni nel mondo psichiatrico no siano più quelle descritte nel film "Qualcuno volò nel nido del cuculo" (1975). Tuttavia, la psichiatria è ancora oggi uno strumento di repressione: per esempio, quando vengono fatte delle valutazioni psichiatriche nei confronti di quei "non impiegabili" che in Germania beneficiano dell'Artz IV. (cfr, Allex, 2015).
[*10] - Andrebbe menzionato e criticato anche O'Neil (che è stato) attivista di Occupy Wall Street. Ciò non ci impedisce di assumere qui quelli che sono i suoi commenti critici ai Big Data.
[*11] - Si veda anche l'intervista radio in: www.freie-radios.net/79689 .
[*12] - È ovvio che nella critica non si tratta di esigere che le persone abbiano libero accesso al proprio codice di programmazione, cosa che i non specialisti non riuscirebbe a capire in alcun modo. Quello che O'Neil intende criticare è il fatto che in genere non è chiaro con quali criteri e modelli in realtà un algoritmo classifica e giudica.
[*13] - www.spektrum.de/pdf/digital-manifest/1376682 .
[*14] - Per la critica di Google, si veda Edel, 2016.
[*15] - Cfr. Konicz 2016, esp. 51-80: "Der Zusammenbruch der Peripherie [Il Collasso della Periferia]", così come le informazioni alla nota 21.
[*16] - Sul carattere sociale narcisista, cfr. Wissen, 2017.
[*17] - Sopra il Self-Tracking, il Lifelogging, il movimento Quantified-Self, cfr. Selke 2014, Lupton 2016 e Schaupp 2016, che rimangono tutti abbastanza sul piano empirico, tranne Schaupp che analizza anche la connotazione sessuale del Self-Tracking.
[*18] - Cfr. su questo ci sono diversi testi in: www.novo-argumente.com/thema/nudging . Si veda anche il testo  "12 Thesen für den mündigen Verbraucher [12 tesi per il consumo responsabile]", www.novo-argumente.com/unser_leben_gehoert_uns/manifest_fuer_den_muendigen_verbraucher .
[*19] - Per evitare malintesi, si sottolinea qui esplicitamente ancora una volta: Morozov non sta parlando di atti illegali, volti a provocare cambiamenti sociali! Il punto è che un'infrastruttura intelligente, o automatizzata, limita quelle che sono le opzioni umane di azione, nella misura un cui certi "peccati della vita quotidiana" diventano impossibili; così come anche quelle che sono alcune infrazioni allo "ordinamento razziale", o altre cose similari. Dal momento che tali violazioni potrebbero rendere possibile un discorso circa il fatto se avrebbe senso modificare certe leggi, cosa che potrebbe avere come conseguenza che, per esempio, viaggiare senza biglietto per motivi di povertà possa portare a sovvenzionare fiscalmente il trasporto pubblico; oppure che il consumo illegale di alcol e di cannabis possa portare ad un cambiamento nella politica proibizionista. Tuttavia, ciò non vuol dire che questo debba essere inteso come un appello al comportamento criminale, sebbene sia sensato, o necessario, mettere in discussione, o abolire, la qualifica penale di determinati atti; come nel caso dell'omosessualità (o, a seconda del luogo); che in Germania è stata nel codice penale fino al 1994. Ma le obiezioni critiche alla legge (penale) esistente devono essere legate al contesto di una critica fondamentale di questa società, se da un lato si pretende di sottomettere alla critica quella che è una "criminologia populista" (Cremer Shepherd; Steinert 2014) e simultaneamente, dall'altro lato, alle condizioni sociali e alle identità dei criminali. Il comportamento criminoso (viaggiare senza biglietto, in quanto crimine contro la proprietà) è tutto tranne che "sovversivo", non essendo altro che un proseguimento della concorrenza con altri mezzi.
[*20] - Rosa Parks (1913-2005) fu arrestata il 1° dicembre 1955 per non aver voluto lasciare il suo posto a sedere, su un autobus, riservato ai bianchi. Se all'epoca l'autobus fosse stato "intelligente", lei probabilmente non sarebbe riuscita a sedersi in un "posto per i bianchi", giacché sarebbe stato tecnicamente impossibile se, per esempio, il sedile riconoscesse il colore della pelle della persona che pretende di sedersi. Le violazioni dirette dello "ordine razziale" (e allora l'infrastruttura era allineata ad esso) sono state un'importante componente pratica del movimento per i diritti civili.
[*21] - Una tendenza allo stato di eccezione è stata stabilita dalla definizione di "zona pericolosa", si veda: www.cilip.de/2014/10/05/gemeingefaehrlich-gefahrengebiete-bescheren-der--polizei-sonderbefugnisse , e si veda anche Montseny, 2016. Come sappiamo, qualcosa del genere può funzionare anche senza tecnologia intelligente. Nel dominio poliziesco, la tecnologia intelligente va vista come una misura di razionalizzazione tecnica per supportare, accelerare e ridurre il costo di "sicurezza ed ordine". Senza queste tecniche, tuttavia, lo Stato di polizia e lo stato di eccezione non scomparirebbero, dal momento che il "problema della sicurezza" è un'espressione della crisi del capitale. È davanti agli occhi di tutti, a partire dalla formazione di bande e di disordini nei quartieri problematici di chi è socialmente superfluo, fino allo "Stato fallito", ecc., cfr. Pohrt, 1997, oltre a Bedszent, 2014.
[*22] -  Morozov fornisce anche degli esempi di pseudo problemi, cioè, problemi che esistono solo nella testa dei "risolutori". Per esempio, attraverso il Self-Tracking, i Big Data sono in grado di registrare quasi tutti i dettagli di una vita. In questo modo, la possibilità di dimenticare (!) viene improvvisamente considerata un problema che dev'essere abolito! Qui diventa evidente la pretesa autoritaria di una volontà totalitaria e androcentrica di voler disporre di tutto. Perciò non è un caso se gli agitatori del "movimento Lifelogging", come Gary Wolf, Steve Mann o Gordon Bell, siano uomini.
[*23] - Non può esserci reificazione più ovvia di quella che attribuisce qualità umane ad una macchina. Ma questo attiene anche al fatto che la visione scientifica dell'essere umano è fortemente riduttiva, cfr. Bächle, 2014.
[*24] - Si veda la conferenza di Robert Kurz e la discussione "Die Geschichte der Wertkritik – Zum historischen Bedingungszusammenhang von Theoriebildung [Storia della critica del valore – Sul contesto storico condizionale dell'elaborazione teorica]" (2010).
[*25] - Tuttavia, questo è stato criticato dai più intelligenti degli anarchici: come nel caso di Bookchin (1991-2006), in Bookchin, 1995. Inoltre, Bookchin ha criticato anche la teoria di gran parte della scena anarchica, il kitsch dei "poveri primitivi" presunti come originali e liberi dal dominio, ed una "critica della tecnologia" a-storica, quella di John Zerzan, per esempio, che rifiuta la tecnologia in quanto tale e pretende seriamente di poter tornare a prima della rivoluzione neolitica (!).
[*26] - Ma il fatto che la riflessione critica (immanente) stia scomparendo, non significa che la stessa cosa sia vera anche per quanto riguarda la produzione di ideologia. Anzi, va notato che la stessa comunità scientifica appare essere sempre più ideologicamente bulla e inselvaggita. Questa affermazione può essere confermata, per esempio, in persone come Franz Hörmann, un economista, ora (a partire dall'estate 2017) portavoce finanziario del partito "Deutsche Mitte [Centro Tedesco]". D'altronde un partito con pretese etiche (!).

Bonanza

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FONTE: EXIT!