sabato 30 aprile 2022

Entusiasmi !!

Quaderno Spinoza è la raccolta degli appunti e delle annotazioni che nel 1841 il giovane Karl Marx dedica allo studio del Trattato teologico-politico e delle Lettere di Baruch Spinoza. Questo volume non solo rappresenta la testimonianza diretta che Marx approfondisce il pensiero del filosofo olandese, ma soprattutto dà prova dell’influenza che la filosofia spinoziana ebbe nella maturazione della riflessione filosofico-politica dello stesso Marx. Attraverso lo studio del pensiero politico dell’olandese in Marx germoglia il concetto di democrazia radicale che maturerà nella sua riflessione successiva, così come sviluppa la critica nei confronti della religione ebraica e l’affermazione della libertà di espressione. Tutte tematiche che Marx eredita e sviluppa seguendo le tracce della teoresi di Spinoza. All’attualità e alla rilevanza che questi studi hanno nel panorama filosofico contemporaneo si deve l’idea di questa nuova edizione ampliata: essa infatti comprende sia i frammenti marxiani del Trattato teologico-politico, già editi da Bollati Boringhieri, ma anche quelli delle Lettere, inediti prima d’ora in Italia.

(dal risvolto di copertina di: Karl Marx, "Quaderno Spinoza". Bompiani pagg. 304, €20 )

C’è geometrica potenza tra Spinoza, Marx e il ’900
- Negli appunti e note che il filosofo tedesco dedica al pensatore olandese germoglia il concetto di democrazia radicale che approda fino a Piperno -
di Maurizio Ferraris

«Coniugare la terribile bellezza del 12 marzo a Roma con la geometrica potenza di via Fani diventa la porta stretta attraverso cui può crescere o perire il processo della sovversione in Italia». Così Franco Piperno in un  celebre commento al rapimento di Aldo Moro nel 1978 e con un richiamo agli scontri durante una grande manifestazione del 12marzo 1977. Il sintagma «geometrica potenza» era destinato a fare epoca, e per strano che possa apparire è legato da un file  tenace con questo Quaderno Spinoza di Karl Marx, a cura di Ludovica Filieri con una postfazione di Alexandre Matheron.
Il Quaderno Spinoza è un'opera di Marx nella stessa misura in cui Fountain è un'opera di Duchamp. Nei primi mesi del 1841 il ventitreenne Marx in procinto di laurearsi su Democrito ed Epicuro, e desideroso di intraprendere una carriera universitaria prepara una serie di quaderni su Leibniz, Hume, Spinoza e Rosenkranz (immagino in veste di autore della storia della filosofia kantiana), che erano filosofi su cui verteva l'esame di dottorato a Berlino. Per quanto riguarda il Quaderno Spinoza, si tratta di un collage di estratti letterali dal Trattato teologico-politico, con interventi minimi di Marx che aggiunge un nam o un itaque per collegare pezzi separati, e di estratti dall'epistolario che però Marx fece trascrivere, secondo l'uso dell'epoca, da un copista. Banalmente, in tempi anteriori non dico alla rete, ma alle fotocopie, gli esami si preparavano così, con tanto olio di gomito. Alexandre Matheron, illustre spinozista francese, dà conto nella postfazione della fedeltà e infedeltà del collage di Marx, mentre nella sua ampia prefazione Ludovica Filieri espone di un apparente paradosso. Benché a parere di molti e autorevoli specialisti (e suo personale) la presenza di Spinoza in Marx non sia di grande rilevanza, è innegabile che una stagione decisiva del marxismo novecentesca, quella di Althusser e Balibar, e di Toni Negri (e, per il suo tramite, di uno che marxista non era, Deleuze) ha saldato un legame tra i due (filosofi, ebrei, rivoluzionari, maledetti e materialisti) che il giovane Marx che si preparava al concorso di dottorato non poteva sospettare. È quel legame retrospettivo, quella teleologia che retroagisce sulla archeologia, che ha dettato ad Althusser la sentenza secondo cui il cui solo vero precursore di Marx sarebbe appunto Spinoza (e non Hegel, tanto sospettato in tempi di strutturalismo quanto Spinoza era amato per via dell'ordine geometrico), e che ha ispirato a Deleuze le vie della rivoluzione desiderante e antimarxista dell'Anti-Edipo (1972) ricondotta nell'alveo di un marxismo aggiornato da Negri in L'anomalia selvaggia (1981). Tra una date e l'altra, molto dopo la prima e poco prima della seconda, abbiamo appunto il richiamo alla «geometrica potenza» di Piperno, preludio di un'altra tardiva apparizione, non spinoziana ma deleuziana, la «gioiosa macchina da guerra» organizzata da Achille Occhetto nel 1994 e sbaragliata dal molto più bellicoso e libidinale Berlusconi.
Cosa cercano i marxisti di fine secolo in Spinoza? Proprio la gioia e la potenza geometrica. Innestando nell'ascetismo marxista e rivoluzionario i motivi del desiderio, e nello storicismo  le ragioni della struttura e della geometria, cercavano di rendere più appetibile, in Occidente, una rivoluzione che stava mostrando le corde nei paesi del patto di Varsavia, ed entrava nel suo ultimo decennio di vita, sopraffatta, molto più che dai colpi del cattolicesimo di Wojtyla, da quello che (con un'altra frase destinata a fare epoca) fu definito «edonismo reaganiano». Nei decenni precedenti questo tentativo di restyling era stato condotto con la riscoperta del giovane Marx umanista, quello dei Manoscritti del 1844, di poco successivi al Quaderno Spinoza, dunque, ma che mostrano al di là di ogni ragionevole dubbio quanto poco Spinoza avesse, almeno al momento, attecchito in Marx. Tuttavia, tanto la riscoperta del Marx umanista quanto l'invenzione di un Marx desiderante rispondevano alla stessa necessità: aggiornare la rivoluzione e la sua possibilità in Occidente. Il Marx umanista veniva incontro agli studenti borghesi del Sessantotto, quello desiderante si rivolgeva a una classe operaia non più disponibile a fare sacrifici (e meno che mai per instaurare un regime marxista). e che era entrata piuttosto nello stato d'animo recensito da Nanni Balestrini in Vogliamo tutto (1971), un tutto che, nelle parole del protagonista, significa «voglio  i blue-jeans, voglio andare al cinema voglio mangiarmi la pizza fuori». È anche l'epoca in cui, del tutto contemporaneamente con questi assunti, a Marx si comincia ad associare Nietzsche e Freud. Il cambiamento si può schematizzare come segue. Tradizionalmente, il marxismo era partito dal principio per cui la classe operaia, reale protagonista della storia in quanto reale protagonista dei rapporti di produzione, era portatrice in quanto tale di un messaggio rivoluzionario. La riscoperta del Marx umanista avveniva invece a beneficio della borghesia studentesca. E la proposta del Marx spinozista e desiderante era l'aggiornamento della rivoluzione a vantaggio di una classe operaia che, messo da parte l'ascetismo rivoluzionario, esprimeva i valori dell'eroe di Balestrini: «Io. la superiorità la misuravo in base alle cose. In base al blu-jeans in base alla maglietta in base al giradischi e basta. Non la misuravo in base a quelle cazzate che m'insegnavano a scuola».
Quanto dire che il desiderio è, come tale, rivoluzionario, e anche il consumo può esserlo. Di nuovo, un'intuizione che sta alla base di un'altra opera di Balestrini, che celebrava gli assalti ai supermercati di New York durante il blackout del 1977 nel poemetto omonimo. Il che, ovviamente, poneva un problema, quello di una classe rivoluzionaria caratterizzata appunto dal prevalere del desiderio sul progetto, e del consumo sulla produzione. E il problema è rimasto tale per decenni, aggravato dalla prospettiva scomparsa della classe operaia e dalla necessità di cercare delle scintille rivoluzionarie in movimenti che manifestavano  ambizioni diverse e dissonanti, dalla rivoluzione degli ayatollah in Iran per cui si infiammò Foucault all'entusiasmo con cui Toni Negri - in opere che, come Impero (2000) e Moltitudine (2004), hanno fatto epoca - salutò ogni forma di antagonismo, ormai al di là con qualunque ancoraggio con l'operaismo.
Questa stagione sembra finita, ma la buona notizia è questa: grazie al Web, il consumo (e il desiderio che lo anima) è divenuto effettivamente produttore di valore, perché genera i big data con cui si arricchiscono le piattaforme, ma su cui è perfettamente possibile ipotizzare delle capitalizzazioni alternative, capaci di restituire all'umanità ciò che essa produce, non più come appendice della macchina ma come portatrice di bisogni, di curiosità, così come di odi da tastiera e di follie sparse, ma senza eccezione esclusivamente umane, e perciò economicamente preziose. Come diceva Spinoza? «Non ridere, non piangere, né detestare, ma comprendere»: ecco il compito per l'intelligenza naturale, mentre riso, pianto e detestazione alimentano l'intelligenza artificiale.

- Maurizio Ferraris - Pubblicato su Tuttolibri del 16/4/2022 -

Così Marx copiò Spinoza
- A 22 anni il futuro autore del “Capitale”, affascinato dal grande pensatore olandese, ne trascrisse il “Tractatus”. Ecco come -
di Giancarlo Bosetti

Negli stessi mesi in cui si laureava su Epicuro, che preferiva a Democrito, il giovane Karl Marx, tra i 22 e i 23 anni, il futuro ateo, materialista, rivoluzionario (era allora solo il figlio di un avvocato di Treviri), compilava di sua iniziativa tre quaderni, trascrivendo il Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza, il filosofo olandese che per le sue idee eretiche era stato condannato con una delle più spettacolari sentenze mai emesse da un tribunale religioso. Il consiglio dei rabbini di Amsterdam lo «escludeva, espelleva, malediceva ed esecrava» e così via per un paio di celebri pagine, con la conseguenza che doveva lasciare la città e nessuno doveva avvicinarglisi «a meno di quattro gomiti», come un appestato. La scelta del giovane neolaureato tedesco, nel 1841, confermava uno spirito avverso all’oppressione censoria delle religioni e dell’autorità in generale, e un interesse, forte e mirato, per un filosofo che aveva lasciato una impronta profonda in tutta Europa. Spinoza era scomparso a soli 44 anni nel suo isolamento fisico all’Aia nel 1677, ma il suo nome era tornato in primo piano dopo che sul letto di morte il grande Lessing, più di cento anni dopo, aveva confessato a un amico di essere spinozista. Ne era seguita una celebre discussione innescata da Friedrich Jacobi con Moses Mendelssohn, nota come Pantheismus-Streit (dove panteismo evocava ateismo), che era ancora nell’aria nella prima metà del secolo successivo. Il tema Spinoza continuava dunque a scottare quando il giovane Karl decide di usarlo a piene mani, dando fondo al suo latino e copiandone amplissimi estratti. Trattandosi del futuro autore del Capitale, i suoi quaderni sono entrati nell’opera omnia di Marx ed Engels. E Spinoza ha preso un suo posto nella storia del marxismo, anche se ancora meglio e di più ha continuato a brillare di luce sua fino ad oggi, di fronte per esempio agli sviluppi della fisica quantistica che hanno rimescolato la tradizionale concezione della materia e riportato in primo piano l’idea spinoziana della natura come energia potenza causalità che coincidono con Dio stesso e con la realtà nella sua complessa geometrica perfezione. E non mancano complicati tentativi, su cui molto insiste la curatrice di questo volume Ludovica Silieri, del post-strutturalisno francese di farne un campione dell’emancipazione al posto di Marx, il quale crescendo non è tornato più di tanto sul suo debito con l’olandese, salvo far sua – raccontano i biografi – come una battuta ricorrente, la citazione in cui Spinoza affondava il colpo su un contraddittore colto in fallo: «L’ignoranza non è un argomento!». Gli sforzi di presentare uno Spinoza rivoluzionario si basano sul concetto di «moltitudine», che molto ricorre nel saggio introduttivo, ma in verità negli estratti (dal Tractatus e dalle lettere) “multitudo” compare una sola volta e nel contesto di un ragionamento matematico. Quale fosse il debito e quale il limite dello spinozismo di Marx è stato detto con grande chiarezza da Plechanov, il marxista russo pre-leninista (ripreso qui da Silieri solo in una nota): la stagione Spinoza del giovane Marx è rapidamente evoluta in un ateismo pieno che non aveva più bisogno del corredo teologico del panteismo del Tractatus, del Deus sive natura, perché Marx viene rapidamente attratto dalla prospettiva di Feuerbach, quella per cui la natura non ha alcun bisogno di Dio, perché esso è una proiezione umana, non il creatore perché creatori siamo noi attraverso un processo di «alienazione», la madre di tutte le alienazioni, che ritroveremo poi nello sviluppo del marxismo, tra lavoro e capitale.  Non più dunque «Deus sive natura, ma aut Deus aut natura». Il Quaderno Spinoza ora riproposto ha il testo latino a fronte e consente di cogliere questa fase del giovane Marx attraverso il duro lavoro di Alexandre Matheron (il cui saggio era già nella precedente edizione, Bollati Boringhieri, 1987, a cura di Bruno Bongiovanni), lo specialista francese che ha ricostruito il lavoro di ritaglio, cucitura e «montaggio» (attraverso congiunzioni, itaque, igitur, scilicet, etc.) che Marx fa del testo del Tractatus, mostrando chiare intenzioni e predilezioni: la critica naturalistica dei miracoli, la religione e la fede come strumenti politici che inducono obbedienza (tema che Marx svilupperà ne La questione ebraica), il potenziale emancipativo della libertà e della democrazia, come il sistema di governo più conforme alla libertà degli individui, concetto quest’ultimo su cui Spinoza insiste e che Marx fa suo in questa fase. Poi rapidamente comparirà nel 1847 l’idea della presa del potere da parte del proletariato.

- Giancarlo Bosetti - Pubblicato su Robinson il 16/4/2022 -

Quel raggio …

« Perché non doveva più pensare a nessuno. Poteva essere sé stessa, in compagnia di sé stessa. E di ciò ora sentiva spesso il bisogno – di pensare, be’, non necessariamente di pensare. Di stare in silenzio, da sola. L’essere e il fare, espansivi, luccicanti, vocali, evaporavano; e ci si poteva ridurre, con un senso di solennità, al proprio sé, in un cuneo di tenebra, invisibile agli altri. Pur continuando a lavorare ai ferri, dritta sulla sedia, era così che si sentiva; e quel sé affrancato da ogni legame era disponibile alle più strane avventure. Quando la vita per un attimo s’inabissava, l’arco delle esperienze sembrava illimitato. E probabilmente la sperimentavano tutti, quella sensazione di risorse illimitate; ognuno di noi, lei, Lily, Augustus Carmichael, senza dubbio sente che le proprie sembianze, ciò che di noi si conosce, è in realtà puerile. Sotto è tutto buio, tutto si dilata, si fa incredibilmente profondo, ma di tanto in tanto risaliamo in superficie e questo è ciò che si vede di noi. Il suo orizzonte le sembrava illimitato. C’erano tutti i luoghi che non aveva mai visto; le pianure dell’India; si vide nell’atto di scostare la tenda di cuoio di una chiesa, a Roma. Quel cuneo di tenebra poteva spingersi dovunque, perché nessuno lo vedeva. Non lo si poteva fermare, pensava, esultando. C’era libertà, c’era pace, c’era, più gradita di tutto, una sensazione di raccoglimento, di quiete su una piattaforma di stabilità. Sapeva per esperienza (qui eseguì con i ferri un’abile mossa) che tale quiete non la si raggiunge restando sé stessi, ma diventando quel cuneo di tenebra. Accantonando la propria personalità, si accantonavano l’inquietudine, la fretta, la confusione; e sempre le saliva alle labbra un’esclamazione di trionfo sulla vita, quando le cose si riunivano insieme in quella pace, quella quiete, quell’eternità; e interrompendosi volse lo sguardo verso il raggio del Faro, il raggio lungo e durevole, l’ultimo dei tre, che era il suo raggio, perché guardandole in quello stato d’animo sempre alla stessa ora non si poteva fare a meno di sceglierne una, delle tante cose che si vedevano; e quel raggio lungo e durevole era il suo raggio. Si ritrovava spesso seduta a guardare, seduta a guardare con il lavoro tra le mani, finché diventava tutt’uno con ciò che contemplava – quel raggio per esempio. »

- Virginia Woolf - da "Una gita al faro" - Traduzione di Anna Adotti -

venerdì 29 aprile 2022

Imprescindibili…

I libri migliori hanno vissuto sull'orlo della distruzione
- di Joseph Conrad -

« No, non li ho letti; e tra quel milione o più di persone che si dice li abbiano letti, non ne ho mai incontrato uno solo con un talento espositivo sufficientemente sviluppato per darmi un resoconto congruente di ciò di cui essi parlano. Ma sono, in fin dei conti, libri, sono parte imprescindibile dell'umanità, e in quanto tali, nella loro inarrestabile e turbolenta proliferazione, sono degni di rispetto, ammirazione e compassione. Soprattutto la compassione. Si è già detto molto a proposito del fatto che i libri hanno il loro destino. Lo possiedono, certo, ed è assai simile al destino degli uomini. Con noi condividono la grande incertezza che accompagna l'ignominia o la gloria, la severità della giustizia e l'insensatezza della persecuzione, la calunnia e il malinteso, la vergogna per il successo immeritato. Tra tutti gli oggetti inanimati, di tutte le creazioni umane, i libri sono quelli più vicini a noi, perché essi contengono persino i nostri stessi pensieri, le nostre ambizioni, le nostre indignazioni, le nostre illusioni, la nostra fedeltà alla verità, la nostra persistente tendenza all'errore. Ma ci assomigliano soprattutto nella precarietà con cui si aggrappano alla vita. Un ponte costruito secondo le regole dell'arte della costruzione dei ponti avrà certamente una vita lunga, onorevole e utile. Per contro, un libro a suo modo altrettanto buono come lo è quel ponte, può anche perire nell'oscurità il giorno stesso della sua nascita. L'arte dei loro creatori non è basta a poter dare ai libri più di un istante di vita. I libri che sono nati dall'inquietudine, dall'ispirazione e dalla vanità dell'intelletto degli uomini, quelli che più le Muse stimano, sono quelli che più soggetti alla minaccia di una morte prematura. A salvarli, a volte sono i loro difetti. A volte un libro di piacevole fattura può benissimo - tanto per usare un'espressione esagerata - mancare di un'anima individuale. Ovviamente, un libro del genere non può morire. Nel peggiore dei casi, si sgretolerà fino a diventare polvere. Al contrario, i libri migliori, quelli che si nutrono della simpatia e della memoria degli uomini, hanno sempre vissuto camminando sul filo della distruzione, e questo perché la memoria dell'uomo è corta, quando non è inesistente, e la sua simpatia, bisogna ammetterlo, è un'emozione assai fluttuante e senza principi. Il segreto della vita eterna dei libri, non lo si troverà nelle formule dell'arte, così come non lo si trova, per quel che si riferisce al nostro corpo, in una particolare combinazione di farmaci. E questo non perché alcuni libri non siano degni di una vita duratura, ma perché le formule dell'arte dipendono da fenomeni variabili, instabili, inaffidabili; dipendono dalle affinità tra le persone, dai pregiudizi, da simpatie e antipatie, dal senso della virtù e dal senso del giusto, da credenze e teorie che, indistruttibili in sé, cambiano sempre di forma, e spesso lo fanno in quella porzione fugace di vita che corrisponde a una generazione. »

( Joseph Conrad - "I libri", 1905 - Da «Al di fuori della letteratura» – )

giovedì 28 aprile 2022

Finisce qui !!

A questo punto, la situazione della Russia è probabilmente senza speranza
- di Jehu -

Mi si lasci essere chiaro in proposito! Non è che a Putin siano rimaste ancora così poche mosse mossa da fare. Nel momento in cui nella manica ti rimane ancora da giocare qualche tonnellata di testate nucleari, oltre i missili ipersonici da spedire loro obiettivi, ciò significa quantomeno hai ancora qualche carta da giocare. Se non altro, Putin fa ancora a tempo a far sì che i suoi oppositori maledicano il giorno in cui sono nati. Washington, questo lo sa benissimo, e sa anche che i suoi stupidi Piani di Continuità delle Operazioni non valgono nemmeno la carta su cui sono stati stampati. Tralasciano quello che appare come un rischio di estinzione, invece la contromossa della Russia «rubli in cambio di gas», come risposta alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, si sta rivelando come un colpo di genio. Il suo intento di bloccare, sul Mar Nero, la costa orientale dell'Ucraina dovrebbe servire a risolvere l'irritante problema relativo al fatto che la NATO usa quella regione come base di partenza per nuove provocazioni nei territori occupati dalla Russia. E, avendo espulso le forze ucraine dalla regione del Donbass, retto da un governo indipendente, avrà successo nel fermare l'emorragia che era andata avanti per troppo tempo.

Fatto sta che tutto questo è destinato a essere inutile.
Mentre Putin sta decostruendo metodicamente quella che è l'infrastruttura militare-industriale locale dell'Ucraina, gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO stanno potenziando e aggiornando quell'edificio obsoleto per sostituirlo con uno di "serie A" a livello mondiale - il loro - e rifornendo l'avversario della Russia direttamente con gli armamenti provenienti dai loro arsenali. Ciò significa che la NATO sta trasformando l'Ucraina in un'enorme base operativa avanzata, sulla quale caleranno come scarafaggi, in ogni possibile combinazione, regolari ucraini, irregolari neonazisti, mercenari e avventurieri, forze speciali e appaltatori, allo scopo di rendere per un po' di tempo la vita in Russia un inferno. Gli Stati Uniti sono molto bravi nel riuscire a far dissanguare lentamente i propri avversari. Ad ogni passo che fanno lungo la strada, sembra che la Russia abbia inquadrato in maniera inadeguata il problema dell'Ucraina; sotto due aspetti principali.
Per prima cosa, questo non è mai stato un problema che interessa un gruppo di neonazisti, o di Eurofili. La Russia è sempre stata direttamente in lotta con quella che nell'era della guerra fredda era la nemesi dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti. E il Cremlino lo ha sempre saputo perfettamente, ma non ha agito su un tale presupposto fino a ché non è stato troppo tardi. (Il «Troppo tardi» definisce qui qualsiasi momento successivo al 1964.) Assumerlo, avrebbe dovuto voler dire sapere  che la Russia non stava andando a combattere contro un altro regime di gangster post-sovietico in fallimento, ma contro il più potente rullo compressore politico-economico della storia umana. Se Putin e la sua banda di sicofanti avessero effettivamente afferrato qual era la logica di ciò che già sapevano essere vero, sarebbero stati allora costretti ad affrontare il fatto che non avevano alcuna possibilità di resistere all'inevitabile. Sarebbero stati costretti, in altre parole, a riconoscere che il crollo dell'Unione Sovietica non poteva finire con l'Unione stessa, ma doveva continuare a procedere fino a quando non fosse rimasto più nulla di essa - compresa la Russia! E questo è il secondo aspetto per cui Putin ha frainteso il problema:

La creazione dell'Unione Sovietica è stato, con ogni probabilità, un processo totalizzante. Il suo crollo, pertanto, dovrà essere di conseguenza altrettanto totale. Gli Stati Zombie che continuano a sopravvivere all'indomani del collasso dell'Unione Sovietica non sono altro che gli echi momentanei di quella che è stata un'epoca precedente, per lo più immaginaria - incubi che incombono sul cervello dei vivi, opprimendolo, per dirla con Marx - senza alcuna sostanza reale. È altamente improbabile che la Russia riesca a recuperare e a risollevarsi da un simile fatale errore di calcolo, e questo per la semplice ragione che la Russia stessa - il paese - è una colossale bufala storica messa in atto a livello globale da un gruppo di gangster dopo il crollo dell'Unione Sovietica.

Non c'è nessuna Russia, ma solo i resti, orrendamente deformati e sofferenti, di una sorta di orribile mostruosità rimasta dopo che ampie porzioni del suo corpo sono state sommariamente amputate da un branco di predatori ingordi. Qualunque cosa fosse stata la Russia, prima dell'Unione Sovietica, essa venne cancellata in quell'evento totalizzante che fu la creazione stessa dell'Unione Sovietica; un evento che alterò la storia per due generazioni dell'Unione Sovietica, allo stesso modo in cui, per il cosiddetto occidente, lo fece l'intera modernità. Di fatto, in due generazioni, le masse di quel paese passarono dal Medioevo all'Età dello Spazio, combatterono tre guerre che devastarono il paese, crearono da zero un'economia industriale moderna, e poi la ricostruirono ancora,  una seconda volta, sulle tombe di circa 27 milioni dei suoi cittadini. L'Unione Sovietica è crollata perché questo è ciò che fa il capitale quando raggiunge quello che é il  punto terminale del suo sviluppo. Il capitale non regredisce mai a una qualche forma precedente di società, e di certo non produce una creatura così banale e irrilevante come il russo Vladimir Putin.

Il capitale crea le basi materiali per il comunismo.

- Jehu - Pubblicato il 27/4/20222 su The Real Movement -

mercoledì 27 aprile 2022

Il «soggetto automatico», nei gusti cioccolato e menta !!

Senza Limiti
- 50 anni fa il Club di Roma presentava il suo famoso studio sul futuro dell'economia mondiale -
  di Tomasz Konicz

Con ogni probabilità, non esiste alcun altro studio così tanto ambivalente quanto «I limiti della crescita», pubblicato dal Club di Roma nel 1972. Tradotto in 37 lingue, e con una tiratura che è arrivata a più di 30 milioni di copie, lo studio, pubblicato in forma di libro, riuscì allora a dare espressione a quello che era un senso di tristezza di massa - a un malessere diffuso alla fine del boom fordista del dopoguerra – che fra l’altro in molte delle sue ipotesi e conclusioni era semplicemente sbagliato. Il  rapporto, scritto per il Progetto del Club di Roma sui dilemmi dell'umanità - sottotitolo ufficiale del bestseller - con la sua affermazione centrale riguardo la finitezza delle risorse, appoggiava il movimento ambientalista, mentre allo stesso tempo trasmetteva l'ideologia reazionaria del malthusianesimo. Lo studio ha lasciato il suo segno anche nel campo della produzione dell'industria culturale degli anni 1970. In questo periodo, sono stati realizzati numerosi film distopici, come il classico Soylent Green ["2022: i sopravvissuti”].
Studi come «The Limits to Growth» nascono allorché le élite funzionali capitaliste - e questo è stato il caso del Club di Roma, fondato nel 1968 dal capitalista italiano Aurelio Peccei - pensano criticamente al di là dell'orizzonte temporale degli affari. Lo studio, sviluppato al Massachusetts Institute of Technology con l'aiuto di alcuni modelli cibernetici computerizzati, venne cofinanziato con un milione di marchi tedeschi dalla Fondazione Volkswagen, e presentato al pubblico attraverso tutta una serie di conferenze di alto profilo, e quindi reso rapidamente popolare grazie a un'abile campagna pubblicitaria di clienti ben noti. Esso esprime il malessere ecologico emergente senza però mettere in discussione il capitalismo, il che è evidente anche dalle raccomandazioni di azioni a volte sconcertanti: secondo loro, le molteplici «aspirazioni umane» stanno portando a una crisi delle risorse e della sovrappopolazione, e una crisi che non potrebbe più essere risolta grazie a «misure puramente tecniche, economiche o giuridiche» rende necessari «approcci completamente nuovi», i quali dovrebbero mirare a «stati di equilibrio, piuttosto che a un'ulteriore maggior crescita». È probabile che siano state proprio queste formulazioni vaghe ad aver favorito il successo mondiale del libro: tutti lo potevano accettare, ed essere astrattamente d'accordo con quei luoghi comuni, senza per questo sentirsi a disagio o obbligati a fare qualcosa. La consolidata borghesia di sinistra-liberale adora in maniera particolare simili rilassanti balsami per l'anima, come viene oggi illustrato dai titoli di "Die Zeit" ("La Terra prima di tutto") o dallo "Standard" austriaco («La difficile ricerca di un equilibrio») in occasione del 50° anniversario dei Limiti della Crescita.

Il nucleo positivista dello Studio consiste in degli scenari futuri che arrivano fino al XXI secolo, e pronosticano il collasso della società a causa del sovra-sfruttamento delle risorse finite. Le conclusioni sostengono che il continuo «aumento della popolazione mondiale, l'industrializzazione, l'inquinamento, la produzione di cibo e lo sfruttamento delle risorse naturali» porterebbe a che «entro i prossimi cento anni, si raggiungerebbero i limiti assoluti della crescita sulla Terra», con conseguente «declino abbastanza rapido e inarrestabile della popolazione e della capacità industriale». I limiti della capacità ecologica della Terra, continuerebbero a diminuire a causa di tale sovra-sfruttamento delle risorse, e per un effetto di inerzia, la popolazione aumenterebbe fino a che questo sviluppo non porterebbe al "collasso". Nell'introduzione, gli autori dello Studio elogiano quelli che erano allora i loro nuovi modelli della «natura formale e matematica», che venivano alimentati con dei dati accuratamente raccolti, e poi estrapolati nei prossimi decenni utilizzando computer la cui modesta potenza di calcolo è ora di gran lunga superata da qualsiasi Smartwatch. I singoli componenti dei modelli - come lo sviluppo della popolazione, la natalità, la produzione industriale, il consumo di cibo e di risorse - non venivano nemmeno percepiti come fenomeni sociali nelle loro contraddizioni interne, ma entravano nel calcolo come dei fattori reificati, come semplici valori numerici di crescita. Il capitale in quanto dinamica distruttiva scompare in un mare positivista di numeri, finché la crescita economica appare come se fosse una mera conseguenza della crescita della popolazione.

Lo studio sui "Limiti della crescita" è stato davvero pioneristico. In un certo qual modo, è stato il precursore degli innumerevoli studi di modellazione assistita dal computer, che da allora in poi sono stati prodotti quotidianamente dalla comunità scientifica; e che negli ultimi decenni sono diventati così terribilmente imbarazzanti per le loro previsioni del cambiamento climatico, visto che le dinamiche interne, caratterizzate da punti di non ritorno, sono state criminalmente sottostimate. Tuttavia, in termini ideologici, lo Studio ha anche anticipato l'ambivalenza del movimento ambientalista, che ha sempre offerto un fianco scoperto al mondo reazionario. Questo appare evidente ogni qual volta che gli stessi «esseri umani» - in astratto - vengono ritenuti responsabili dei costi ecologici del funzionamento del tardo capitalismo. Inoltre, dalla prospettiva attuale, appare chiaro come uno degli assunti di base che si trova al cuore de «I limiti della crescita» sia semplicemente errato: non è solo la finitezza delle risorse naturali a costituire i limiti ecologici esterni del movimento di sfruttamento del capitale, ma anche la stabilità climatica globale. Il petrolio e il carbone continuano ad essere estratti in massa nonostante l'aumento dei costi di estrazione, mentre la crisi climatica sta raggiungendo il suo picco e i punti di non ritorno globali del sistema climatico vengono superati. La conclusione, epocale e corretta, del Club di Roma secondo cui, in un mondo finito, la crescita infinita è impossibile si basa su false premesse. Infine, un accurato esame delle tendenze della popolazione negli ultimi decenni mostra quanto il Club di Roma avesse torto a collegare la crescita economica con la crescita della popolazione. Il maggior aumento del consumo di risorse negli ultimi decenni non è avvenuto nei paesi della periferia, che hanno sperimentato la più alta crescita della popolazione, bensì nei centri occidentali del sistema mondiale e nei paesi emergenti come la Cina, che hanno sperimentato una precaria modernizzazione capitalista, con tassi di natalità stagnanti. Pertanto, la crescente combustione delle risorse non è quindi un'espressione della crescita della popolazione, ma del movimento di sfruttamento sfrenato del capitale, che nella sua dinamica di «soggetto automatico» funziona, di fatto, come una macchina per bruciare il mondo. Per altro, il Club di Roma continua ad aderire all'ideologia di un malthusianesimo industriale che lega la popolazione alla crescita economica. Nel 2016, il circolo elitario ha proposto di far versare alle donne senza figli l'equivalente di 80.000 dollari al compimento del loro 50° compleanno.

La percezione ideologicamente distorta dei limiti ecologici del capitale, che tuttavia rimane il merito storico dello Studio, ha corrisposto fin dall'inizio a una critica falsa e talvolta reazionaria. Non fu solo l'economista e premio Nobel Paul A. Samuelson a negare categoricamente l'esistenza di limiti alla crescita; dato che l'innovatività tecnica del capitale e la regolazione del mercato attraverso il meccanismo dei prezzi si opponevano all'idea, allora ancora inquietante, di un limite ecologico alla crescita capitalista. È stato proprio il riferimento alla base ideologica dello studio, il malthusianesimo, insieme alle solite critiche alle presunte idee apocalittiche, che ha permesso a molti media di liquidare anche la conclusione dello Studio. Lo Spiegel, per esempio, ha definito lo studio una «visione catastrofica proveniente dal computer» e l'Economist, riferendosi a Malthus, ha scritto a proposito di un «punto culminante di antiquate sciocchezze». Anche la critica proveniente dalla sinistra al Club di Roma, è stata spesso una critica  tronca; si è concentrata principalmente sulle osservazioni secondo cui lo studio ignorava le conseguenze sociali della prevista crisi delle risorse e trascurava le questioni di potere, oltre che di classe, in relazione alla distribuzione complessiva delle risorse. Tuttavia, non ha prodotto una critica fondamentale delle contraddizioni socio-ecologiche del processo di valorizzazione. Questa linea tradizionale di pseudo-opposizione di sinistra, a volte apertamente reazionaria, che rifugge da una critica categorica della socializzazione capitalista, continua fino ai giorni nostri. Invece di mettere radicalmente in discussione la mania della crescita capitalista, la questione sociale viene discussa a partire dalla questione climatica - sempre più spesso in solidarietà con la demagogia sociale della Nuova Destra - oppure, il dibattito, rimasto in sospeso, circa una trasformazione radicale del sistema viene bloccato per mezzo di insensati dibattiti distributivi socialdemocratici. Alla favola del «capitalismo verde» si contrappone un'ostinata adesione al capitalismo fossile autodistruttivo.

Nel nostro «distopico» anno 2022, il negozio online Soylent.com , che vende un concentrato di cibo che presumibilmente copre tutti i bisogni nutrizionali del Geek stressato,e  dimostra in che modo il capitale sappia oggi affrontare le critiche tronche: il Green Soylent è disponibile nei gusti cioccolato e menta!

- Tomasz Konicz - Pubblicato originariamente su Konkret Nr. 3/2022 -

fonte: Nec plus ultra. Crítica despiadada de todo lo existente

martedì 26 aprile 2022

Convergenze ?!!

L'Ucraina sulle orme della Russia
- Con i divieti di associazione e gli arresti di giornalisti, Kiev sembra andare verso un'instabile dittatura di guerra -
di Tomasz Konicz

In Ucraina, nelle prime ore del 20 marzo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha messo al bando per decreto molti partiti di opposizione di sinistra o filorussi. Secondo fonti filorusse [*1], anche il più grande partito di opposizione parlamentare -  il filorusso "Piattaforma di opposizione - per la vita" - che nelle ultime elezioni parlamentari ha ottenuto circa il 13% dei voti, soprattutto nell'est del paese, è stato oggetto di questo divieto. Oltre a questo, sono stati colpiti diversi piccoli partiti di sinistra. Zelensky ha giustificato la cosa con l'invasione russa dell'Ucraina e con i «legami politici» che questi gruppi e partiti avrebbero con la Russia. Dal divieto sono stati colpiti i seguenti partiti (i nomi sono in base alla fonte): "Piattaforma di opposizione - Per la vita", "Partito Shariy", "Nashi", "Blocco di opposizione", "Opposizione di sinistra", "Unione delle forze di sinistra", "Stato", "Partito socialista progressista di Ucraina", "Partito socialista di Ucraina", "Socialisti", "Blocco Volodymyr Saldo". I summenzionati partiti di sinistra sono ora illegali, come il Partito Comunista d'Ucraina, che di fatto era già stato costretto all'illegalità poco dopo il ribaltone filo-occidentale del governo avvenuto nel 2014. [*2] Inoltre, il giornalista, blogger e fisico Yuri Tkachev è stato arrestato a Odessa dal famigerato servizio segreto ucraino SBU. Tkachev, nei suoi commenti sulla guerra aveva ripetutamente criticato l'attuale governo. Recentemente, all'inizio di marzo l'SBU ha  attirato l'attenzione a causa dell'esecuzione di un membro della delegazione ucraina ai negoziati per il cessate il fuoco, Denys Kireev, accusato di tradimento [*3]. Kireev era coinvolto nel primo round di negoziati russo-ucraino a Gomel, in Bielorussia, e pochi giorni dopo è stato arrestato e ucciso dall'SBU.
I divieti non hanno riguardato nessuno dei partiti o delle milizie di destra o di estrema destra che si dice abbiano un'influenza sempre più crescente [*4] nell'apparato militare e di sicurezza ucraino [*5]. Questo crescente potere dell'estrema destra all'interno dello Stato ucraino è stato evidenziato l'ultima volta nel dicembre 2021, quando il presidente Zelensky ha decorato un membro di spicco dell'organizzazione nazista "Pravy Sektor" (Settore Destro) - Dmytro Kotsyubail - con l'ordine statale "Eroe dell'Ucraina" [6*]. Il Settore Destro sarebbe stato fondamentale nel pogrom di Odessa del 2014, allorché decine di partecipanti a una continuata protesta pro-russa sono stati uccisi da nazisti e dalle forze di sicurezza ucraine. Nel pogrom, sono state ferite centinaia di persone [*7]. La significativa repressione interna nei confronti del più grande partito filorusso dell'Ucraina, la "Piattaforma dell'opposizione", ha avuto inizio ancor prima della guerra[*8]. Per molti anni, lo spettro politico dell'Ucraina è stato in gran misura determinato da delle reti oligarchiche che finanziavano i "propri" partiti, o politici; e che erano di orientamento filo-occidentale o filo-russo. L'oligarca che stava dietro la piattaforma di opposizione filorussa, Viktor Medvedchuk, il quale era amico di Putin, è stato arrestato e messo agli arresti domiciliari nel maggio del 2021. In precedenza, nel febbraio 2021, sono stati vietati tre canali televisivi in lingua russa che sarebbero stati controllati da Medvedchuk [*9]. Dopo il ribaltone filo-occidentale del 2014, l'attuale presidente ucraino Zelensky, che aveva condotto una campagna elettorale anticorruzione, è stato a sua volta sostenuto dall'oligarca Ihor Kolomojskyj, il quale è uno dei finanziatori delle milizie di destra e di estrema destra [*10] - come il famigerato Reggimento Azov [*11]. Gli arresti di politici e la chiusura delle stazioni televisive filorusse sono quindi, da un lato, un'espressione delle solite lotte oligarchiche, e dall'altro una conseguenza dell'occidentalizzazione geopolitica dell'Ucraina, dove le forze filorusse sono state eliminate. L'Atlantic Council, ad esempio, ha salutato il divieto delle stazioni televisive russe in Ucraina come una «decisione coraggiosa» del presidente ucraino [*12].

Tuttavia, la configurazione autoritaria dello Stato ucraino - e questa è stata una caratteristica del processo di crisi capitalista comune a molti paesi della periferia - va di pari passo con il suo inselvaggimento indotto dalla crisi. A Mariupol, le milizie finanziate da Kolomojskyj, per esempio, hanno un alto grado di autonomia. Nel Donbass, la regione limitrofa alla linea del fronte è stata praticamente considerata come loro territorio, dove il controllo del potere statale centrale era inefficace. e dove queste milizie effettuano la repressione anche contro le forze dissidenti filorusse, o semplicemente liberali; per esempio. come è avvenuto durante una manifestazione in occasione della festa della donna. All'inizio della sua presidenza, Zelensky non riusciva a controllare queste milizie naziste nell'Est, né a convincerle a sciogliersi in modo da poterle poi incorporare nell'apparato statale. Essendo formalmente parte dello Stato ucraino, queste forze di estrema destra sembrano contribuire all'erosione dello stesso Stato ucraino iniziata dopo il 2014, quando le milizie finanziate dagli oligarchi cominciavano ad apparire ovunque sulla scia della caduta del governo e della guerra civile [*13]. Sembra anche che queste fanatiche milizie da combattimento siano ora riuscite ad accumulare abbastanza influenza da poter far sì che venisse bandito gran parte dello spettro politico dell'Ucraina. Quanto più la guerra va avanti, tanto più in Ucraina progredirà questo gioco di mobilitazione autoritaria, e di erosione interna dello Stato; proprio come si è svolto in precedenza in Stati periferici quali la Siria, la Libia o l'Iraq. In questo modo, l'Ucraina si avvia verso un'instabile dittatura di guerra dominata da tendenze interne di erosione, rendendo così evidenti le analogie con la situazione politica in Russia. Le nuove leggi draconiane sui media [*14] e la repressione, emanate dal Cremlino all'inizio della guerra, che rendono punibile con pesanti pene detentive la semplice critica alla guerra [*15], hanno un carattere post-democratico. Gli attacchi pubblici di Putin rivolti ai traditori del popolo, e a una «quinta colonna» liberale equiparata ai parassiti, le sue richieste di una «pulizia» della Russia dalla «sporcizia» delle forze di opposizione: tutta questa retorica brutale è già di tipo fascista. È chiaro come tutto questo sia stato deliberatamente usato per coprire il disastro militare dell'esercito russo nelle prime fasi della guerra.

La configurazione autoritaria - che oramai dovrebbe probabilmente essere chiamata semplicemente dittatoriale - nella quale si sviluppa un'assurda propaganda di guerra e di tregua [*16], si accompagna a crescenti tensioni all'interno del «potere verticale» russo; ossia, l'apparato statale russo dominato da oligarchie e reti mafiose. Nel frattempo, i capi del servizio segreto russo (FSB) sono stati messi agli arresti domiciliari; si dice che abbiano fornito al Cremlino delle informazioni errate a proposito della situazione in Ucraina [*17]. Sempre a beneficio di Putin, si è diffusa la voce secondo cui i vari compagni dei servizi segreti avrebbero fatto una gara, superandosi a vicenda, per fornire al sovrano del Cremlino l'informazione che voleva sentire da prima della guerra: che l'Ucraina non avrebbe offerto alcuna resistenza significativa. Per di più, la Russia, che è militarmente molto superiore all'Ucraina, e il cui esercito regolare ha subito delle gravi sconfitte a causa della mancanza di motivazione e di organizzazione, ora deve fare affidamento su degli attori extra-statali se vuole ottenere rapidamente il successo militare. A Mariupol, le milizie naziste ucraine vengono attualmente combattute dalle truppe mercenarie dell'uomo forte ceceno Kadyrov [*18], le quali sono solo formalmente parte delle forze armate russe, quando in realtà agiscono come un esercito privato agli ordini di un signore della guerra che è stato integrato nella Federazione Russa. Le milizie e le truppe mercenarie, attori militari caratteristici di quella struttura anomica di violenza comune a molti stati falliti della periferia, costituiscono quindi le formazioni più potenti che si muovono sulla scena della guerra in Ucraina, la quale rischia di trasformarsi in una seconda Siria. Caratteristici di un tale contesto, sono anche gli sforzi, di entrambe le parti, per mobilitare quanti più volontari o mercenari possibili da tutto il mondo, per il loro spettacolo bellico. Nella sua funzione di acceleratore della crisi, la guerra sta pertanto portando a una convergenza di quelle che sono le condizioni comuni alla Russia e all'Ucraina

- Tomasz Konicz - Pubblicato il 21/4/2022 su https:///www.exit-online.org

NOTE:

1. https://twitter.com/RWApodcast/status/1505354622969524225

2. https://en.interfax.com.ua/news/general/215171.html

3. https://en.interfax.com.ua/news/general/807707.html

4. https://www.belltower.news/militaerorden-centuria-und-asow-wie-rechtsextreme-soldaten-in-der-ukraine-vom-westen-ausgebildet-werden-127085/

5. https://www.illiberalism.org/far-right-group-made-its-home-in-ukraines-major-western-military-training-hub/

6. https://pravyysektor.info/novyny-borotba/dmytro-kocyubaylo-geroy-ukrayiny

7. https://www.lto.de/recht/hintergruende/h/2014-odessa-42-tote-buergerkreig-brand-ukraine-russland-un-europarat-ermittlungen-emrk/

8. https://consortiumnews.com/2022/03/04/how-zelensky-made-peace-with-neo-nazis/

9. https://www.dw.com/en/ukraine-zelenskiy-bans-three-opposition-tv-stations/a-56438505

10. https://consortiumnews.com/2022/03/04/how-zelensky-made-peace-with-neo-nazis/

11. https://www.kyivpost.com/ukraine-politics/reactions-in-ukraine-to-pandora-papers-revelations.html

12. https://www.atlanticcouncil.org/blogs/ukrainealert/analysis-ukraine-bans-kremlin-linked-tv-channels/

13. https://www.streifzuege.org/2014/oligarchie-und-staatszerfall/

14. https://www.tagesschau.de/ausland/europa/russland-gesetz-fakenews-strafen-103.html

15. https://de.euronews.com/2022/03/03/kritik-an-russischen-streitkraften-15-jahre-haft

16. https://twitter.com/martin_camera/status/1504187727897636869

17. https://meduza.io/en/feature/2022/03/11/from-bad-intel-to-worse

18. https://twitter.com/200_zoka/status/1504821084721405957

fonte: Exit!

lunedì 25 aprile 2022

Convivere con … Macron ?!??

La resilienza secondo Macron
- Gestire il disastro anziché combatterlo -
di Thierry Ribault - 24 aprile 2022

Per la logica macronista, i disastri e le catastrofi sono inevitabili e, malgrado la morte che causano, non si tratta di prevenirli, ma piuttosto di «conviverci». Questa Resilienza, enfatizzata dal governo, mira soprattutto a garantire che i suoi sudditi continuino a essere funzionali senza rimanere paralizzati dal panico o dall'ansia. Per chi riesce ancora a rimanere sorpreso dalla volontà, espressa dal candidato Macron, di spingere ancor di più il modello produttivistica e ipertecnologico, che è in gran parte responsabile dei disastri climatici, sanitari ed energetici in cui ci troviamo, vale la pena ricordare come, da buon collassologo, il presidente uscente non abbia mai avuto alcuna intenzione di prevenire, né i disastri in corso né quelli a venire, ma di consentire a che tutti possano «conviverci». Di fatto, in realtà, l’arrivare a essere più forti di fronte alle difficoltà è un concetto che si trova alla base di quella metafisica statale della sciagura virtuosa che egli incarna. Se si deve credere a quello che si legge sulla relazione riservata della commissione parlamentare sulla resilienza nazionale, pubblicata nel febbraio 2022, «Impegno e Resilienza della Nazione» costituisce il programma di una Repubblica in marcia che ha abbracciato la tesi collassista secondo cui i disastri sono ineluttabili. Sotto il patrocinio della Commissione per la Difesa Nazionale e le Forze Armate, nella persona di Thomas Gassilloud, relatore principale, si tratta di «prevedere gli sconvolgimenti di ogni genere ai quali il paese deve prepararsi», e di educare i cittadini ad essere dei buoni soldati al servizio di una «difesa totale» della nazione. In un contesto di «conflitto generalizzato a ogni spazio» e di «competizione strategica» tra grandi potenze, questi parlamentari infarciti di militarismo chiedono un impegno a favore di un irrigidimento della nazione che può essere raggiunto solo attraverso un indurimento dell'individuo. Preoccupati che mentre «in passato, quando lo sforzo bellico e il suo impatto sulla popolazione francese erano considerevoli, venivano accettati dalla società», oggi invece «l'accettabilità sociale delle crisi e delle difficoltà si è indebolita». In che modo i seguaci di "Resilience En Marche" progettano di adattarci ai disastri?

Elogio del sacrificio
L'incantesimo di resilienza, scagliato dagli autori di questa Relazione, sotto la maschera della solidarietà, comprende l'elogio del sacrificio: «Centinaia di esempi di eroismo, civile e militare, dimostrano quale sia la resilienza collettiva dei popoli di fronte alle difficoltà - carestie, invasioni, esodi - che illustrano in che modo i membri di una società umana possono arrivare a essere pervasi da un sentimento o da ideali che appaiono più elevati e importanti delle loro stesse vite». Ragion per cui, eccoci rassicurati circa il futuro, visto che: «La crisi del Covid-19 ha dimostrato che migliaia di cittadini sono pronti a impegnarsi, anche assumendosi dei rischi». Ed è anche vero che per i predicatori della Resilienza non si soffre mai invano. Ragion per cui, quindi, non sorprende che, oltre a «stimare il numero di persone che possono essere mobilitate direttamente per contribuire alla resilienza nazionale, cioè gli uomini e le donne suscettibili di intervenire in prima linea in caso di crisi grave», i relatori raccomandano la generalizzazione di un Servizio Nazionale obbligatorio e l'uso dell'uniforme nelle scuole. Così, leggiamo come «per molti giovani e meno giovani, l'abbondanza propria della società dei consumi ha fatto dimenticare la possibilità di una scarsità materiale, e l'abitudine alla comodità ha fatto perdere l'attitudine alla rusticità» con il risultato che oggi abbiamo «una società che assimila assai meno il rischio e il pericolo, e perde in resilienza nei confronti delle avversità». In breve, saremo dei sub-umani obbligati a stare pronti per essere crocifissi nello spazio canonico, in continua espansione, della resilienza. Ovviamente, in questo «mondo in guerra» nel quale veniamo proiettati, e in cui dobbiamo accomodarci a qualsiasi costo, la ricerca frenetica della Resilienza Nazionale assume l'aspetto di una Retorica della Resilienza Nazionale.

La Resilienza, affinché nulla cambi
I rischi e le minacce potrebbero provenire da dovunque: dalla guerra dei minisatelliti a bassa orbita, essenziali per la diffusione del 5G, alla «minaccia di un attacco informatico», alla crisi climatica, all'emergere di epidemie di malattie infettive che colpiscono gli esseri umani, ai guasti relativi ai servizi internet, ai tentativi di destabilizzazione tramite la disinformazione, o alle aggressioni dirette. Si tratta di identificarle tutte, senza mai però mettere in discussione le loro cause. Ma quando si tratta di ciò per cui potremmo effettivamente fare qualcosa, c'è invece un grande silenzio. faremo tutti parte delle forze vive della resilienza nazionale in modo da salvare il 5G, e non per garantire che tutti in Francia abbiano un tetto sopra la testa e abbastanza da mangiare. Per quanto riguarda la lezione della «crisi sanitaria», consiste nella necessità di essere solidali, e non di lottare per avere abbastanza letti d'ospedale quando arriverà la prossima pandemia annunciata, ma bensì, come dice la Relazione, di «rafforzare significativamente la nostra autonomia in termini di produzione industriale e di approvvigionamento». In effetti, a cosa servirebbero i letti supplementari in un contesto in cui «la crisi sanitaria ha dimostrato la notevole capacità del nostro paese di resistere alle conseguenze della catastrofe», in particolare grazie al «dinamismo della società civile» e a  dei «servizi pubblici sviluppati ed efficienti»? Analogamente, per quanto gli autori sottolineano con forza il ruolo avuto delle attività umane nell'«accelerazione della frequenza delle epidemie», in particolare, per quanto riguarda l'allevamento industriale e l'urbanizzazione sfrenata, anche qui propongono la Resilienza unicamente come arma per mettere in atto un adattamento massiccio agli effetti dei disastri. Non solo il modello di allevamento in fabbrica non viene affatto messo in discussione, ma la sua espansione è incoraggiata tramite azioni di biosicurezza: contenimento, vaccinazione, distruzione delle mandrie. In maniera simile, come risposta al cambiamento climatico, i Resilienti in Movimento ripiegano sull'energia nucleare, che pur riconoscendo che essa «comporta inevitabilmente dei rischi industriali, sanitari e ambientali», dev'essere «accompagnata da ulteriori requisiti di prevenzione degli incidenti e di resilienza in caso di incidente», sostituendo così la fatalità dei rischi legati all'atomo a quelli legati al riscaldamento globale. Perché Resilienza significa governare dentro la fatalità dei disastri, senza mai chiedersi se un adattamento sia davvero opportuno.

La promessa della violenza
Per i relatori: «Abbiamo tutti il dovere di rendere consapevoli i nostri concittadini del fatto che il mondo che li circonda è un mondo violento e che saranno coinvolti molto rapidamente in questa violenza, qualunque cosa accada». Una volta seminato questo vento di panico, ci prescrivono di «evitare che nella popolazione giovanile venga instillata  una paura del futuro», perché : «se questo futuro viene percepito come ostile, come minaccioso, esso diventa assai problematico [...] la propensione all'ansia e alla frustrazione delle attuali generazioni tende a ridurre la nostra Resilienza collettiva a una grave situazione di crisi». In questo edificante esercizio di doppio pensiero, dove dobbiamo contemporaneamente avere paura e smettere di avere paura, si tratta quindi di far evaporare quest'ansia che i leader temono così tanto, per prepararci meglio al peggio, e senza mai rivoltarsi contro le sue cause. Il recente «Piano di resilienza economica e sociale» proposto per affrontare l'impennata dei prezzi dell'energia nel contesto della guerra in Ucraina, è pienamente in linea con questo governo della paura della paura: la funzione principale dello sconto direttamente alla pompa di benzina, è quella di soffocare qualsiasi desiderio di rivolta. Meglio avere dei francesi ultrà-resilienti, piuttosto che che gli «ultrà-gialli»; tanto per riprendere e usare la terminologia dei parlamentari. Lo «scudo tariffario» è un palliativo temporaneo, aspettando che arrivino gli scudi della CRS. Proprio così come a Fukushima, dove le autorità hanno chiesto alla popolazione di partecipare alla gestione del disastro, decontaminandosi in modo da imparare così a non avere paura della radioattività; ora, per farli calmare si vuole domandare ai francesi di cogestire le catastrofi, tirandosi su per i lacci delle scarpe: «Il vostro relatore ritiene che sia essenziale che, in Francia, la popolazione venga messa nella posizione di attore e non di consumatore, come quando eravamo incoraggiati a fare da soli le maschere sanitarie. Questo coinvolgimento potrebbe, a sua volta, ridurre la sensazione di ansia, persino di angoscia, provata». Questo governo per mezzo della paura della paura è coerente con l'abbandono del principio di precauzione, che viene qui considerato «onnipresente», «abusato», e che contribuirebbe a «dare il primato all'emozione e all'irrazionalità». Per cui i relatori chiedono un cambiamento collettivo in quello che è il nostro rapporto con il rischio: «Passando da un principio di precauzione a un principio di resilienza, che verrebbe a basarsi su un approccio beneficio-rischio percepito come più flessibile e dinamico». Coscienti del fatto che «la comunicazione del governo è una questione fondamentale nella buona gestione di una crisi», i Resilienti di "En Marche" confermano che l'amministrazione dei disastri, vale a dire, la cogestione generalizzata dei disastri e dei loro danni, è indissociabile dall'amministrazione dei sentimenti e delle emozioni a tal riguardo. Infatti la morale della favola della resilienza è sempre la solita: è inutile arrabbiarsi, bisogna «resiliare» in tempo.

- Thierry Ribault - 24 aprile 2022 -

fonte: Et vous n’avez encore rien vu… Critique de la science et du scientisme ordinaire

domenica 24 aprile 2022

Ai tempi dell’agghiacciante inflazione …

Una novella, dagli echi autobiografici, ad un tempo idillio domestico e ritratto storico di un'epoca disordinata. In un interno borghese, alla metà degli anni Venti, mentre l'inflazione incontrollata compromette la quotidianità di casa Cornelius, fra capricci e ristrettezze, una scoppiettante festa da ballo conoscerà un singolare esito, che metterà la famiglia dinanzi a complessità e turbamenti inattesi.

(dal risvolto di copertina di: "Disordine e dolore precoce", di Thomas Mann. Henry Beyle Edizioni, pagg. 175, € 36)

Piccola Lorchen tirata in ballo
- di Nicola Gardini -

L'editore Henry Beyle riporta in libreria il racconto di Thomas Mann Disordine e dolore precoce, in una nuova traduzione di Renata Colorni. Difficile trovare nella letteratura novecentesca esempio che illumini con chiarore più intenso l’essenza della forma racconto (o se si preferisce, della forma novella). Il racconto, a differenza del romanzo, fa moltissimo con poco, e ci riesce grazie a un esercizio metodico dell’ambiguità, dell’omissione e della diffrazione, che sono poi i procedimenti della poesia. La trama di quest’operina del 1925 (concepita fin dal 1912), a ragione annoverata dai più attenti tra i capolavori di Mann, è presto riassunta. Nella casa del professor Cornelius, ai tempi dell’agghiacciante inflazione, si tiene una festicciola; la figlia più piccola del professore, Lorchen, una bambina di cinque anni, è trascinata nelle danze da un amico dei fratelli adolescenti, Max, un bel ragazzo, spigliato e civettuolo, e questo basta a sconvolgerle il cuore e a precipitarla, dopo il distacco, in una crisi di disperazione. La piccolina si è molto probabilmente innamorata del giovane, che solo per scherzo, prima di passare a una coetanea, ne ha voluto fare la sua dama; ma, essendo ancora tanto inesperta, lei traduce il desiderio nel sogno irrealizzabile di averlo per fratello. Occorre, infine, un intervento dello stesso Max perché riacquisti la tranquillità. Tutto avviene in una sera, tra le stanze dei Cornelius. L’unico esterno è quando il professore esce un momento a prendere una boccata d’aria; e, ragionando sul concetto di giustizia (righe meravigliose), arriva alla buca delle lettere.

La novella sembrerebbe, alla luce di questi fatti essenziali, voler portare gli occhi del lettore su quel tenebroso palcoscenico che è l’eros dell’infanzia. E forse è proprio così. Solo in parte, però. Collochiamo la bambina nell’organigramma dei personaggi, che è fatto di geometriche contrapposizioni (i due grandi, i due piccoli, le due donne di servizio etc.), e vedremo che il discorso riguarda più il professore che lei. Il narratore non fa che disseminare e dissimulare richiami all’omosessualità, puntando ora su questo ora su quel personaggio. Non manca neppure un metaforico accoppiamento: la scena in cui il professore lascia che il solito Max si chini ad affibbiargli le soprascarpe, e poi, ringraziandolo per tanta disponibilità, lo esorta a non fiaccarsi troppo la schiena. Tutti si assomigliano, in qualche modo (l’uomo ha un po’ della donna, il padrone un po’ del servo, uomo balla con uomo, donna con donna), e questo assomigliarsi e confondersi vicendevolmente, a dispetto delle distinzioni sociali o degli stessi ruoli familiari, fa sì che nessuno significhi solo sé stesso, ma stia anche per qualcun altro, e solo in qualcun altro coglierà pienamente la propria immagine, come in uno specchio, come in una casa di specchi. Insomma, grosso modo, i personaggi sono tutti simulacri di una medesima psiche e, pertanto, sussistono negli incroci delle reciproche auto-proiezioni.  Mann ha preso l’anima del professor Cornelius – professore di storia, si badi – e l’ha materializzata nel corpo e nei modi di un delizioso personaggino femminile, la sua cara bambina, che meglio non potrebbe incarnare l’inconsapevolezza e l’irrefrenabilità delle pulsioni primarie. Ecco, in una specie di allegoria, il conflitto più antico del mondo, quello tra storia e natura. Proprio su questo probabilmente si spostano i pensieri del professore, mentre rientra dalla passeggiata serale (il magistrale narratore si guarda bene dal fornirci dettagli in proposito). Lui, guardando la figlia, vede sé stesso. Intanto, però il narratore – pardon, l’autore – cerca, astutamente, di distrarci proprio da quella visione narcisistica, portando Cornelius a concludere, da bravo papà, che, grazie al cielo, Lorchen domani avrà già dimenticato tutto. A noi, tuttavia, resta da cogliere il sottinteso, che è la vera conclusione, non scritta, del racconto: per me, invece, no; io non dimentico, quell’istinto me lo porto dentro.
L’orchestrazione dei messaggi cifrati, la scomposizione cristallografica dell’io o – per dirla in soldoni – l’arte del doppio senso, è l’aspetto più ammirevole di Disordine e dolore precoce. La scrittura è davvero un’armonia, che esclude il superfluo, e procede sul filo di una specie di venticello, con note lievi, brevi o brevissime, che si trattengono dal costruire melodie troppo cantabili. La traduzione tiene conto di tanta bravura. Già interprete della Montagna magica, Renata Colorni ha saputo misurarsi anche con questo Mann “minore” con la dovuta preparazione, mantenendo il mosaico dei riverberi criptati e ricreando il misto di eleganza e nonchalance che costituisce la grana dell’originale. Inoltre, in un’utile ed elegante postfazione fornisce notizie sulle circostanze della composizione e sugli spunti autobiografici della storia. Un elogio va rivolto senza dubbio anche alla raffinata fattura e ai preziosi materiali del volume (incluse le immagini, applicate a mano), tredicesimo della collana «Opere brevi» delle Edizioni Henry Beyle, vera e propria officina d’arte tipografica (si veda, per ulteriore prova, quello – una delizia – appena precedente, Piante di via Romolo Gessi di Bianca Pitzorno, con una nota di Giuseppe Barbera). In questa collana la Colorni pubblicò un paio d’anni fa il saggio Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura, che racconta la sua lunga pratica del tradurre e, letto ora, servirà da prologo a quest’altro felice risultato.

- Nicola Gardini - Pubblicato su Domenica del 20/3/2022 -

sabato 23 aprile 2022

Clio… va alla guerra !!

L'Ucraina e la manipolazione della storia
«Quando la farsa è anche tragedia»
di Caio de Amorim Féo e Mário Jorge da Motta Bastos

Nel corso della Storia, le guerre sono sempre dipese dal livello di sviluppo delle forze produttive che era stato raggiunto dalle società umane, alle latitudini e nelle diverse dimensioni temporali, rivelando sempre comunque tale livello. Forse, probabilmente, sono stati anche, simultaneamente, un elemento che ha reso ancora più dinamico tale sviluppo, insieme al suo scambio e alla sua diffusione nelle diverse società, anche se le sofferenze e le disgrazie scatenate dai conflitti rendono letteralmente evidente il carattere distruttivo dell'azione delle forze in gioco, soprattutto per coloro che coloro che le subiscono. Parlando di storia, riteniamo indispensabile sottolineare come questa vecchia signora - la musa Clio, così logorata dalla pioggia di pietre, di lance e di bombe che la colpiscono regolarmente e governano la sua lunga esistenza segnata dalla sofferenza - costituisce un e bombe che la colpiscono regolarmente, scandendo la sua lunga esistenza segnata dalla sofferenza - costituisca anch’essa un'arma che viene sistematicamente mobilitata al fine di essere contesa nella battaglia per conquistare i cuori e le menti delle popolazioni costrette al conflitto. Tra i diversi possibili utilizzi del Passato, va inclusa anche la sua strumentalizzazione in quanto arma da guerra nella mobilitazione dell'opinione pubblica, una lezione questa, riaffermata dall'attuale conflitto tra Russia e Ucraina! Nel discorso che Vladimir Putin ha pronunciato nelle prime ore del 24 febbraio 2022, rivolto principalmente alla popolazione russa (e pertanto a quella ucraina e al mondo intero), che è stato presentato dai media internazionali come una formale dichiarazione di guerra, è una certa lettura della storia quella che sottende gli argomenti fondamentali i quali pretendono di giustificare l'iniziativa militare. Con un tono che è a metà quello di un professore e a metà di uno sceriffo,a essere centrale è una «dichiarazione esplicativa» che è durata circa quaranta minuti, durante la quale il presidente russo ha delineato quelle azioni che si sarebbero ben presto scatenate, come se si trattasse di una sorta di iniziativa necessaria per «correggere» gli errori storici del passato («recente») [*1]. Giuseppe Stalin (sempre e ancora lui) - nel contesto della seconda guerra mondiale -  avrebbe esitato a riconoscere la voracità dell'aggressore tedesco e ad affrontarlo immediatamente. Il mostro è cresciuto, si è mangiato il patto tedesco-sovietico e si è nutrito di milioni di vite strappate al popolo russo dall'invasione delle forze naziste. Secondo Putin, «[...] fin dai primi mesi delle ostilità, abbiamo perso territori immensi e strategicamente importanti e milioni di persone. Non tollereremo che un simile errore venga commesso una seconda volta, non ne abbiamo il diritto». La storia non si ripeterà. Ma abbiamo a che fare con una farsa oppure con una tragedia? Non è per niente chiaro. In un suo precedente discorso alla nazione, datato 21 febbraio 2022, Vladimir Putin aveva già invocato la storia («recente») e, anche quella volta, i numerosi errori commessi dai capi rivoluzionari, e il cui conto alla fine avrebbe dovuto essere pagato da una Russia che ora, in quest'inizio del millennio, si troverebbe a un nuovo crocevia storico. Secondo Putin, l'Ucraina, più che un paese limitrofo, sarebbe parte inalienabile della storia e della cultura della Russia, e di quello che lui ha definito come il suo «spazio spirituale». «È da tempo immemore, che le persone che vivono nel sud-ovest di quella che storicamente è stata sempre terra russa, si chiamano russi e cristiani ortodossi. Questo era già il caso ancor prima del XVII secolo, quando parte di questo territorio divenne parte dello Stato russo, e anche in seguito» [*2].

Secondo Putin, la storicità della «questione ucraina» sarebbe la base indispensabile per comprendere le ragioni e gli obiettivi dietro l'escalation delle azioni della Russia nella regione. «È chiaro che non si possono cambiare gli avvenimenti del passato [...]», ha poi dichiarato, senza ammettere esplicitamente quello che ogni insegnante di storia vorrebbe inculcare agli studenti che lo ascoltano... quando lo ascoltano: non c'è alcuna Storia, se non quella contemporanea, poiché ogni passato diventa oggetto di riappropriazioni nel presente, quando la studia rivolgendosi verso di essa, e quindi questo elemento vivo può essere (trans)formato, stravolto, sfilacciato... L'Ucraina moderna sarebbe stata una creazione, un'invenzione della Russia, il risultato dell'ennesimo errore storico dei bolscevichi i quali, con uno sguardo di disprezzo, vengono così ancora una volta esecrati da qualcuno la cui traiettoria politica è strettamente legata a una delle espressioni più dure dello Stato sovietico; uno Stato che questo leader aborre. Ma la storia non finisce qui. Esistono molteplici strati di questa storia che possono essere mobilitati, e che vengono mobilitabili nel contesto in questione. La profondità storica sembra perfino avere il potenziale per aggiungere spessore alle azioni in corso nel presente, per immergerle nel denso liquido che scorre pigramente a lungo termine, per impregnarle do quella sostanza viscosa che pretende di essere l'espressione di un destino manifesto assai  antico. [*3] Abbiamo scritto «antico», ma «medievale» sarebbe assai più appropriato. Il 12 luglio 2021, il presidente russo ha pubblicato sul sito ufficiale del Cremlino il saggio «Sull'unità storica dei Russi e degli Ucraini», nel quale storicizza l'identità profonda dell'Ucraina e della Russia. La sua narrazione inizia con l'affermazione secondo cui «[...] i Russi, gli Ucraini e i Bielorussi sono tutti dei discendenti dell'antica Rus', che era lo Stato più grande d'Europa», il quale comprendeva un territorio in cui vivevano diverse «[...] tribù slave ed altre ancora, in una vasta area che comprendeva Ladoga, Nóvgorod, Pskov, Kiev e Chernigov, erano unite da un'unica lingua (quella che oggi chiamiamo Vecchio Russo), da dei legami economici e dal potere dei principi della dinastia Ryurik. E più tardi - al battesimo della Rus' - dalla fede ortodossa». Secondo Putin, nemmeno i crescenti disaccordi che negli ultimi anni hanno segnato la convivenza tra le «due nazioni», possono oscurare l'unità storica e spirituale di questi popoli. [*4] L'unità che - secondo Putin - ha aggregato e cementato la diversità originale rimanderebbe al IX secolo, allorché l'unità politica della Rus' incominciò a prendere forma con la conquista di Kyiv (o Kiev) da parte del kniaz (principe) Oleg nell'882, secondo un racconto tardivo - il Povesti vremeninyhu letu (Racconto degli anni passati) - risalente al XII secolo. Da quel momento in poi - ipotizza il leader russo - si sarebbe costituito uno Stato Rus' per eccellenza, il quale si estendeva su un lungo territorio, le cui popolazioni sarebbero poi state gradualmente unificate culturalmente. Anche se la storia non è appannaggio esclusivo degli storici (i quali hanno persino alimentato, e continuano ad alimentare, senza alcun pudore, i poteri costituiti con le loro «analisi»), i professionisti di Clio cosa dicono di sapere sulla questione?

Prima di tutto,bisogna spiegare l'origine del termine Rus'. Etimologicamente, è possibile che il termine derivi dal verbo antico norreno to row (roþs), o anche dal sostantivo roþR o roþz, che significa «rematori», cioè coloro che facevano parte dell'equipaggio delle barche a remi durante una spedizione. Il riferimento sembra essere legato in particolare agli abitanti dell'attuale Svezia, e a quei termini delle attuali lingue finno-baltiche che significano «svedese», così come ruotsi in finlandese e root'si in estone sembrano indicare il significato originale della parola rus'. Tuttavia, a ogni modo, l'origine può anche essere fatta risalire al mondo dei guerrieri conosciuti come Vichinghi: sono partiti dalla Scandinavia e hanno razziato le terre dell'Europa occidentale e orientale, terre eurasiatiche, soprattutto tra l'VIII e il X secolo. In quei territori dove oggi si trovano la Bielorussia, l'Ucraina e la Russia, questi guerrieri erano chiamati, tra l'altro, i Varegiani (varjagu); dopo aver stabilito insediamenti permanenti in queste regioni ed essersi integrati con le popolazioni locali, verranno indicati principalmente come i Russi. [*5] A partire dall'862, il capo guerriero scandinavo Riourik avrebbe regnato sui Rus' in queste regioni, dando vita alla dinastia Riourikovitch (o Riourikides [*6] ), della quale faceva parte il suddetto Oleg.  Negli anni 880, la città di Kiev divenne il centro principale di quella che cominciava ad emergere come l'entità politica Rus', e da allora i diversi gruppi etnici che vi abitavano interagirono tra loro, dando luogo a un vasto processo di mescolanza di popolazioni nei secoli successivi. Tra i gruppi etnici che alla fine formarono la Rus' c'erano scandinavi, slavi, balti, finlandesi e turchi. se l'entità politica russa iniziò con Oleg a Kiev, non c'è motivo di considerare che la città fosse un centro che portava sotto il suo controllo tutti gli insediamenti russi della regione. Nelle zone collegate a Nóvgorod e Gorodische, per esempio, sulla riva nord del fiume, la città era il centro dei russi. Nelle aree relative a Nóvgorod e Gorodische, per esempio, sulla riva settentrionale del lago Ilmen, è possibile che l'entità politica locale Rus' sia stata direttamente influenzata dal khanato Khazar, più a est in questa regione, ed era persino governata da un "khan" menzionato nei resoconti di un'assemblea Rus' intorno all'839. Sulle rive del Volga, è nota l'esistenza di una colonia russa nei primi decenni del X secolo, menzionata dall'arabo Ibn Fadlan nel 922, la cui indipendenza da Kiev doveva essere notevole. Sembra chiaro, quindi, che le informazioni che abbiamo su questo periodo e sulla sua organizzazione politica, secondo i documenti disponibili, non confermano le dichiarazioni di Putin sull'esistenza ancestrale di uno Stato della Rus' unificata che avrebbe fuso la notevole diversità dei molti livelli che componevano l'entità Rus'. Se la realtà russa di allora era segnata dalla diversità dei popoli e delle entità politiche costituenti, diventa difficile supporre l'esistenza di un'unità generale linguistica o culturale che avrebbe riunito le diverse etnie e le avrebbe portate a essere un qualche popolo unificato. È anche molto improbabile che durante la sua esistenza il potere e l'ascendente della dinastia Ryurikovich (o Ryurikid) si sia esteso sulla maggior parte del territorio. La sua area effettiva di supremazia politica si estese e si ritrasse diverse volte durante questo lungo periodo, imponendosi sulla Rus' fino al XVI secolo. Kiev e la sua centralità furono contrastate in vari momenti dalle rivendicazioni di altri centri politici della Rus', come Vladimir-Suzdal e Smolensk nell'attuale Russia, e Chernigov (Chernihiv in ucraino) nell'attuale Ucraina. Tuttavia, le opinioni sono divise su quale regione abbia giocato un ruolo centrale dopo il declino di Kyiv. Nel 1169, il kniaz (principe) di Vladimir-Suzdal, Andrei Bogolioubski, guidò un'incursione nella città di Kyiv, che portò all'acquisizione di vari bottini, tra cui icone e altre proprietà della chiesa. Dal punto di vista della storiografia russa, da questo punto in poi, la centralità della Rus' si spostò da Kiev al nord, con la base di potere di Vladimir-Suzdal, che divenne parte della Moscovia o del Regno di Mosca. Con la conquista di gran parte del territorio della Rus', compresa Kiev, da parte dell'Orda d'Oro mongola a metà del XIII secolo, questa prospettiva si sarebbe accentuata. Secondo la storiografia ucraina, invece, la situazione è diversa, poiché, dal loro punto di vista il regno di Galizia-Volhynia (cioè parte della Polonia, Ucraina e Bielorussia) sarebbe stato il successore di Kyiv dal 1199, fino a che la Galizia venne conquistata dal re Casimiro III di Polonia nel 1349, e La Volhynia fu controllata dal Granducato di Lituania nel 1350 [*7].

Sistematicamente, le iniziative di appropriazione del passato della Rus', promosse dai regimi stabiliti in Russia e in Ucraina, vengono  mobilitate a favore della promozione di quella che, sulla traccia di Josep Fontana, potremmo chiamare un'«economia politica»: un discorso di legittimazione del presente che afferma la sua inevitabilità storica come il risultato di una lunga epopea progressiva, scandita da grandi imprese che si proiettano in linea retta fino al tempo dal passato più lontano. A Veliky Nóvgorod, in Russia, si trova il Millennario della Russia, un monumento eretto nel 1862 per commemorare i mille anni del presunto arrivo del capo Ryurik nelle terre dei Rus'. A Kiev, troviamo un monumento eretto nel 1911 che rappresenta la principessa Olga, il cui apogeo di potere si dice che risalga alla metà del X secolo, una figura la cui prominenza deriva dal suo status di primo leader della Rus' -  poi convertitasi al cristianesimo ortodosso [*8]. La mobilitazione di questi luoghi di memoria, e l'invenzione di tradizioni da parte dei protagonisti del conflitto la dicono lunga sul modo in cui il passato può essere utilizzato. Sistematicamente rielaborato nel corso del tempo,sul filo dei presenti che si succedono, il passato costituisce uno strumento quasi immemore che serve per giustificare lo status quo. Se la memoria di ciascuna nazione è socialmente costruita, il ricordo e la mobilitazione della Rus' da parte di Vladimir Putin, così come una certa interpretazione del passato più recente dell'Ucraina, sembra dare senso e significato alla rivendicazione di un'unità fondante che fu, che non avrebbe mai dovuto smettere di essere e perciò dovrebbe essere di nuovo.  Vladimir Putin intende incarnare, sul piano ideologico, una specie di Ryurik risorto? Purtroppo la storia, che si ripete come una farsa, non smette di essere una tragedia!

- di Caio de Amorim Féo e Mário Jorge da Motta Bastos - 20/04/2022 -

- Caio de Amorim Féo, doctorant en histoire à l’Universidade Federal Fluminense (Niteroi, Brésil), étudie les processus découlant des incursions vikings dans la perspective de l’Histoire globale.
- Mário Jorge da Motta Bastos est professeur associé du cours d’Histoire de premier cycle à l’Universidade Federal Fluminense (Niteroi, Brésil) et chercheur.

NOTE:

[*1] - Testo tradotto dall'originale, disponibile sul sito ufficiale del Cremlino: La dichiarazione di guerra di Putin: «Chiunque cerchi di fermarci deve sapere che la risposta della Russia sarà immediata».
[*2] - Testo tradotto dall'originale, disponibile sul sito ufficiale del Cremlino: DefenceNet - US RU NATO - IMPORTANTE - Vladimir Putin discorso 21 febbraio 2022.
[*3] - Allusione al «destino manifesto» di quella che è un'altra potenza imperialista, gli Stati Uniti, che si sentono autorizzati, a questa ideologia, a influenzare il destino di altri paesi.
[*4] - Testo originale su: http://en.kremlin.ru/events/president/news/66181 .
[*5] - FRANKLIN, Simon ; SHEPARD, Jonathan, The Emergence of Rous. 750-1200, Longman, 1996, p. 28.
[*6] - In un sito di propaganda russa ( https://fr.rbth.com/histoire/83183-dynastie-riourikideshistoire ), si possono persino trovare considerazioni sul DNA dei discendenti dei Riourikidi! (N.d:T.)
[*7] - PLOKHY, Serhii, The Gates of Europe: A History of Ukraine, Basic Books, 2015, p. 57-60.
[*8] - SIMONE, Lucas R.; NEVES, Leandro César S., «The Middle Ages and the construction of Ukrainian national Identity: a brief analysis of Kyiv’s public space» in ARAÚJO, Vinícius César Dreger de; GUERRA, Luiz Felipe de, Medievalisms in a global perspective, p. 8 (in corso di tempo).

fonte: mondialisme.org 

venerdì 22 aprile 2022

In dettaglio

"Règne de la valeur & destruction du monde. Jaggernaut n°4"- 16,00€ - Éditions Crise & Critique -
La Rivista in dettaglio

La crisi ecologica e l'esaurimento delle risorse naturali, non sono aspetti accidentali del modo di produzione capitalista, e non possono essere scongiurati stabilendo un capitalismo più «saggio», moderato, verde, sostenibile, o circolare. Oggi, non sembra che sia possibile comprendere la crisi ecologica come intreccio tra cambiamento tecnologico e capitalismo, senza tenere conto di quei vincoli pseudo-oggettivi che derivano dalla valorizzazione del valore e che spingono a consumare la materia concreta del mondo per soddisfare le esigenze astratte della forma-mercato. Il modo capitalista di (RI)produzione si basa su una forma sociale astratta di ricchezza - il plusvalore - la quale è intrinsecamente auto-trasformante e illimitata e che, come tale, porta a una forma di crescita economica sfrenata dannosa per la biosfera. L'incompatibilità tra capitale e protezione del clima - che si riflette sia a livello sistemico fondamentale sia a livello politico e culturale - trasforma il superamento di quello che è il modo distruttivo dell'economia capitalista in una questione di sopravvivenza per l'umanità del XXI secolo.

«Regno del valore e distruzione del mondo»
Riassunti/Estratti degli articoli della rivista Jaggernaut n°4/2022

EDITORIALE: Il regno del valore & la distruzione del mondo. - di Sandrine Aumercier, Benoît Bohy-Bunel e Clément Homs (per il comitato redazionale).

DOSSIER:

- Il limite ecologico del capitalismo. La forma-valore e la distruzione accelerata della natura viste alla luce delle analisi di Karl Marx e di Moishe Postone - di Nuno Miguel Cardoso Machado.

Ne «Il limite ecologico del capitalismo. Forma-valore e distruzione accelerata della natura», Nuno Machado, basandosi sulle tesi di Karl Marx e di Moishe Postone, cerca di dimostrare:
1) che al cuore della sintesi macro-sociale moderna si trova quella che è un'inversione feticistica tra il concreto e l'astratto. La forza lavoro umana e il mondo sensibile, materiale e culturale vengono ridotti al rango di un input che dev'essere consumato a fini produttivi, e poi digerito e scartato per alimentare così il continuo processo di valorizzazione;
2) che questa sussunzione del concreto, da parte della dinamica di accumulazione del capitale (A-M-A'), ha delle conseguenze devastanti per l'ambiente. Questa costrizione, la quale ha a che fare con le norme socialmente necessarie dell'orario di lavoro in vigore, e con l'estrazione del plusvalore relativo, impone a tutte le imprese - attraverso la concorrenza tra le imprese - dei livelli sempre maggiori di produttività, di produzione e, così facendo, di consumo di materie prime, al fine di ottenere degli aumenti, sempre più esigui, della massa cumulativa dei profitti. Dal momento che, e nella misura in cui, l'accumulazione diventa sempre più difficile, la crisi economica aggrava di conseguenza la crisi ecologica. Il modo di (ri)produzione capitalista si basa pertanto su una forma astratta di ricchezza - (plus)valore - che è intrinsecamente autotelica, senza alcun limite e, come tale, implica una forma di crescita economica sfrenata, deleteria per la biosfera.

- TECNOLOGIE APOCALITTICHE: Il complesso economico-scientifico e l'oggettivazione distruttiva del mondo. - di Robert Kurz -

In «Tecnologie apocalittiche. Il complesso economico-scientifico e l'oggettivazione distruttiva del mondo», Robert Kurz espone e tratteggia la teorizzazione di una «violenza naturale da parte della seconda natura», radicata nel moderno processo scientifico-tecnologico e nel paradigma epistemologico della scienza moderna. Basandosi sulla corrente della critica scientifica femminista, l'autore cerca di prendere in considerazione la forma sociale capitalista al fine di determinare una critica della scienza e della tecnologia, descrivendo alcune caratteristiche di quella che è una radice comune che Scienza, Economia e Stato hanno avuto nella rivoluzione delle armi da fuoco all'inizio dell'era moderna.
È stato in quel tempo e in quell'epoca, che si è costituita un'immagine della persona e della natura, visti entrambi come oggetti estranei, ostili e manipolabili, specificamente legati al capitalismo; ma si è venuta anche a determinare una rigida separazione tra soggetto e oggetto. Per Kurz, la metà del XX secolo ha costituito un momento cruciale, in cui la violenza e la manipolazione tecnologico-scientifica, che era allora ancora secondaria, indiretta ed "esterna" rispetto alla natura terrestre, con lo sviluppo delle tecnologie atomiche e genetiche diventava interna e apertamente apocalittica. Una violenza che si libera della natura terrestre e della vita stessa, per poter così creare un'«altra natura», un'«altra biologia» a sua propria immagine.

- LAVORO MORTO, LAVORO VIVO: L'abisso energetico della società del lavoro. - di Sandrine Aumercier -

In "Lavoro Morto, Lavoro Vivo. L'abisso energetico della società del lavoro", Sandrine Aumercier ritorna su alcuni dei temi sviluppati nel suo libro "Le Mur énergétique du capital" (2021). A partire dalla constatazione che è in atto una sfrenata corsa tecnologica che assomiglia a una «forza della natura», e che nei dibattiti ecologici viene assai spesso presentata quasi come una fatalità, ma che invece è fondamentalmente solo una forza sociale, Aumercier evidenzia quali sono le articolazioni della società del lavoro e quelle del paradigma termodinamico, così come la loro congiunta emergenza storica. In particolare, prende in esame come il lavoro morto sostituisca il lavoro vivo, rileggendo nel fare questo la categoria marxiana di «composizione organica del capitale», dal doppio punto di vista della composizione del valore e della composizione tecnica. La riflessione sul superamento del capitalismo non può quindi più inscriversi nella prospettiva, ancora borghese, di una gestione più efficiente delle risorse o in quella di una pianificazione razionale fatta sulla base delle tecnologie realizzate sotto il capitalismo; ma deve risalire alla critica intransigente del lavoro astratto visto come sostanza del capitale e come «carburante» del suo sviluppo sfrenato, cosa che necessariamente comporta una critica del sistema tecno-scientifico globalizzato.

- L'ASCESA DEGLI AUTOMI VORACI: La rivoluzione industriale vista come imposizione del lavoro astratto e dell'estrattivismo minerario. - di Daniel Cunha -

Basandosi sul presupposto metodologico di Immanuel Wallerstein, secondo cui il capitalismo si evolve sempre in quanto totalità (un sistema-mondo), e non come delle sotto-unità nazionali, l'articolo di Daniel Cunha, "L'ascesa degli automi voraci. La rivoluzione industriale vista come imposizione del lavoro astratto e dell'estrattivismo minerario", cerca di ricostruire la storia della rivoluzione industriale non come se fosse stato un processo britannico, ma come una storia mondiale globale. Per poterlo fare, si concentra sulla mediazione che c'è stata, tra la meccanizzazione (focalizzata sulla Gran Bretagna) e le varie frontiere delle merci, disperse in tutta l'economia mondiale capitalista, dai monti Urali alla valle del Mississippi, dalla Cornovaglia all'Africa occidentale. L'autore cerca pertanto di dimostrare che la rivoluzione industriale è stata una colossale imposizione di lavoro astratto e di estrattivismo sfrenato. A sua volta, la resistenza a questa imposizione (ribellioni degli schiavi, luddisti, banditismo sociale, ecc.) è stata anch'essa storico-globale, rimanendo però invisibile nella storiografia ufficiale, a seguito delle metodologie che riproducono l'ontologia del lavoro astratto. Per quanto l'autore non si collochi esattamente nella concettualizzazione del lavoro astratto legato alla critica della dissociazione del valore, il materiale prodotto dall'articolo è comunque molto interessante. Qui, la concezione della dialettica implicita deriva da Moishe Postone, Lucio Colletti e Adorno, nel senso di un'epistemologia storicamente specifica della società della merce.

- OGGETTIVITÀ INCONSCIA: Elementi di una critica delle scienze matematiche della natura. - di Claus Peter Ortlieb -

In "Oggettività inconscia. Aspetti di una critica delle scienze matematiche della natura", Claus Peter Orlieb riprende innanzitutto la critica femminista delle scienze naturali, così come per esempio è stata formulata dalla biologa americana Evelyn Fox Keller. A partire da tale critica, passa poi a opporsi all'idea di una scienza assiologicamente neutra, così come all'idea di un progresso scientifico che rifletta la dinamica della socializzazione borghese. La pretesa di universalità dell'Illuminismo e della scienza viene visto, non solo come un modo di ontologizzare la sintesi sociale capitalista, ma anche come tentativo di naturalizzare il dominio patriarcale e il dominio sulla natura. Infine, la matematizzazione della realtà viene qui presentata come intrinsecamente legata al feticismo delle merci.

DISSOCIAZIONE E FUNZIONALIZZAZIONE DEL SESSO FEMMINILE NELLA SCIENZA MODERNA: Sul dominio della natura e la femminilità. - di Clémence Bertier -

In "Dissociazione e funzionalizzazione del genere femminile nella scienza moderna", Clémence Bertier propone e illustra le tesi del libro di Elvira Scheich, professoressa di storia della scienza alla Freie Universität di Berlino, "Naturbeherrschung und Weiblichkeit: Denkformen und Phantasmen der modernen Naturwissenschaften (Feministische Theorie und Politik)" ["Dominazione della natura e femminilità. Forme di pensiero e fantasie della scienza naturale moderna"] (1993), che è stato ripetutamente citato da Roswitha Scholz come una critica rilevante della scienza e della tecnologia sotto il patriarcato capitalista. Un'opera che si trova all'incrocio tra la critica marxista dell'epistemologia della scienza iniziata da Alfred Sohn-Rethel, che insiste sul legame interno che c'è tra le astrazioni scientifiche e le leggi astratte del mondo capitalista, e la critica femminista della scienza, la quale sottolinea l'alleanza tra scienza, potere e mascolinità nella modernità scientifica.

VARIA

- Il «capitalismo asiatico» e la crisi globale. - di Marcos Barreira & Maurilio Lima Botelho -

La "Varia" di questo numero comprende quattro testi. Si apre con la traduzione dell'articolo di due autori brasiliani, Marcos Barreira e Maurilio Lima Botelho, "Il «capitalismo asiatico» e la crisi globale", nel quale gli autori mettono a confronto la teoria che parla di uno spostamento del centro di accumulazione del capitalismo verso l'Asia - così come viene proposto da vari economisti e autori quali Immanuel Wallerstein e Giovanni Arrighi - con le interpretazioni e le analisi "economiche" che sono state sviluppate da autori legati alla critica della dissociazione del valore. In particolare, si guarda indietro alla storia del capitalismo in Asia negli ultimi quarant'anni, dal «miracolo giapponese» degli anni '80 al nuovo «miracolo» della crescita cinese dell'inizio del XXI secolo. Mostrando così come lo «spostamento del centro di accumulazione» in realtà riveli una crisi del modello fordista di accumulazione, insieme alla formazione di una congiuntura globale fatta di «bolle finanziarie», nella quale si rifugiano il capitale monetario e gli investimenti speculativi e del credito statale.

- La storia è sempre materialista? - di Anselm Jappe -

"La storia è sempre materialista?" di Anselm Jappe procede dalla seguente domanda: la necessaria critica del «materialismo storico», con il suo schema «base economica/sovrastrutture sociali e culturali», non implica forse che vengo messa in discussione anche la coppia concettuale «materialismo/idealismo»? Questo articolo intende costituire una prima introduzione a un vasto complesso di questioni che comprende anche il posto occupato dal sacrificio e dal dono, e più in generale la dimensione del simbolico nelle società premoderne così come in quelle moderne; l'origine "naturale", o piuttosto "culturale", dei bisogni e delle motivazioni; il rapporto tra il feticismo delle merci e le altre forme di feticismo; le origini religiose del capitalismo a partire dal sacrificio. Vengono esaminati in particolare i contributi di George Bataille, di Marshall Sahlins e del primo Jean Baudrillard, per poi terminare con un collegamento all'ultimo libro di R. Kurz, "Denaro senza valore". Bisogna ammettere e considerare il fatto che la stessa economia capitalista non è «razionale», ma deriva dal sacro. Ciò contraddice tutti i tentativi che vogliono ridurre il comportamento individuale e collettivo, unicamente a dei calcoli utilitaristici, e la cosa ci dovrebbe portare a una migliore comprensione del carattere profondamente irrazionale del capitalismo.

- Jacques Bidet e il lavoro astratto dei "giardinieri" neolitici - Risposta all'articolo di Jacques Bidet, «La miseria nella filosofia marxista»,  su Moishe Postone. - di Benoît Bohy-Bunel -

In «Jacques Bidet e il lavoro astratto dei "giardinieri" neolitici"», Benoît Bohy-Bunel rilegge l'articolo di Bidet che sulla rivista Période, nel 2014, criticava il capolavoro di Moishe Postone, "Temps, travail et domination sociale". Si scopre così che Bidet produce solo un altro discorso marxista tradizionale, ontologizzando le categorie di base del capitalismo (merce, valore, denaro, lavoro astratto). A Bidet manca l'originalità di Postone, e la necessità di pensare insieme a un Marx esoterico, per pensare il capitalismo attuale.

- Il punto di vista della mente del signor Alain de Benoist - Considerazioni sul tentativo da parte della destra di recuperare la critica del valore. - di Norbert Trenkle -

Ne "Il punto di vista della mente del signor Alain de Benoist ", Norbert Trenkle considera e analizza quale sia la ricezione e la percezione della critica del valore in certi circoli di estrema destra; e in particolare le intenzioni e i metodi di questi guru di destra allorché si immergono nella critica del valore, o nella teoria di Marx, per poterne accogliere le idee. Quali interpretazioni errate e quali omissioni mettono in atto? A quali elaborazioni teoriche della critica del valore ricorrono, per poterli interpretare attraverso il prisma dei loro propri temi?

NOTE DI LETTURA:

- Il corso normale delle cose e i relativi sotterfugi. Una lettura delle premesse di Søren Mau in "Stummer Zwang" - Frank Grohmann -
- Marildo Menegat : l'occhio contro la barbarie. Sul"La critica del capitalismo in tempi di catastrofe". - di Frederico Lyra de Carvalho -
- Su Guillermo Rochabrún: "El Capital de Marx. Afirmación y replanteamiento" - di Anselm Jappe -

La rivista inaugura su questo numero una sezione di recensioni di varie opere, alla quale vi invitiamo a contribuire. In linea con la sua vocazione di fare da ponte tra i diversi spazi linguistici della critica sociale, vengono incluse le recensioni del libro "Stummer Zwang" del marxista Søren Mau, di Frank Grohmann; la recensione di Frederico Lyra del libro di Marildo Menegat, "A Crítica do capitalismo em tempos de catástrofe"; e la recensione di Anselm Jappe di un libro pubblicato in Perù dal marxista peruviano Guillermo Rochabrún, "El Capital de Marx".

VERSUS:

- Criticare Raoul Vaneigem. La soggettività radicale considerata nei suoi aspetti psicologici, economici, politici, sessuali e soprattutto filosofici. - di Alastair Hemmens -

Dopo l'articolo di Benoît Bohy-Bunel "Contre Lordon", apparso sul n°2, e "Le mythe du revenu de base inconditionnel" di Ivan Recio sul n°3, la nostra rubrica "Versus", che cerca di confrontarsi con altri campi della critica sociale, accoglie questa volta l'articolo di Alastair Hemmens, "Criticare Raoul Vaneigem. La soggettività radicale considerata nei suoi aspetti psicologici, economici, politici, sessuali e soprattutto filosofici". L'Internazionale Situazionista si è assai spesso presentata come il campione del «soggetto», come il campione della capacità umana di agire coscientemente, facendolo in un'epoca in cui un simile concetto cominciava a passare di moda. Eppure, nella letteratura situazionista esistente, a livello concettuale non c'è quasi nessuna analisi seria del «soggetto». Inoltre, nel momento in cui viene affrontata la questione del «soggetto»,  ecco che la critica appare concentrata principalmente sull'opera di Guy Debord, sebbene una tale questione occupi invece un posto di rilievo nell'opera dell'altro grande teorico situazionista, Raoul Vaneigem. Vaneigem propone un certo numero di idee che non si trovano nell'opera di Debord, o che egli non ha sviluppato affatto. In particolare, la sua nozione di «soggettività radicale» serve come punto di partenza critico per confrontarsi con le tesi di Debord, e per una migliore comprensione del suo contributo all'IS. In questo articolo, a partire da una prospettiva critica che si basa sulle nuove analisi del soggetto offerte dalla «critica della dissociazione del valore», l'autore tenta un'analisi, divenuta ormai indispensabile, della genealogia, del contenuto e delle ambiguità del cocnetto di «soggettività radicale». così come essa ci viene proposta da Vaneigem, e dall'IS in generale.

"Règne de la valeur & destruction du monde. Jaggernaut n°4"- 16,00€ - Éditions Crise & Critique -