giovedì 9 febbraio 2017

Mediocrità automatica

medio

«Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere».
Così questo libro annuncia l’oggetto delle sue pagine: la presa del potere dei mediocri e l’instaurazione globale del loro regime, la mediocrazia, in ogni ambito della vita umana.
La trattazione che ne segue è una sorta di genealogia di questo evento che, nella prosa accattivante ed errabonda di Deneault, tocca campi differenti – dalla politica (affidata ormai al «centrismo» dei mediocri) all’economia, al sistema dell’educazione, alla stessa vita sociale – offrendo differenti modulazioni di questa forma di potere.
Tuttavia, per Deneault, l’avvento della mediocrazia è impensabile senza l’avvento dell’industrializzazione del lavoro – sia manuale che intellettuale – e, in particolare, della sua espressione ultima, quella «Corporate Religion», quella religione d’impresa che pretende, nella nostra epoca, di «unificare tutto» sotto la sua egida.
Oggi il termine «mediocrazia» designa standard professionali, protocolli di ricerca, processi di verifica attraverso i quali la religione d’impresa organizza il suo culto, quell’ordine grazie al quale «i mestieri cedono il posto a una serie di funzioni, le pratiche a precise tecniche, la competenza all’esecuzione pura e semplice». È il risultato di un lungo percorso che è cominciato quando il lavoro è diventato “forza-lavoro”, un’esecuzione, appunto, in virtù della quale è divenuto possibile «preparare i pasti in una lavorazione a catena senza essere nemmeno capaci di cucinare in casa propria, esporre al telefono ai clienti alcune direttive aziendali senza sapere di cosa si sta parlando, vendere libri e giornali senza neppure sfogliarli».
Il risultato è che oggi, nella società delle funzioni “tecniche” (“tecnica” qui designa, naturalmente il suo opposto, l’assenza totale, cioè, di téchne, di arte e perizia), per lavorare «bisogna saper far funzionare un determinato software, riempire un modulo senza storcere il naso, fare propria con naturalezza l’espressione “alti standard di qualità nella governance di società nel rispetto dei valori di eccellenza” e salutare opportunamente le persone giuste. Non serve altro. Non va fatto nient’altro». E per affacciarsi alla vita pubblica in ogni sua forma (diventare un parlamentare oppure un preside di facoltà universitaria) non occorre altro che occupare «il punto di mezzo, il centro, il momento medio elevato a programma» e abbracciare nozioni feticcio quali «provvedimenti equilibrati», «giusto centro» o «compromesso». Insomma, essere perfettamente, impeccabilmente mediocri.

(dal risvolto di copertina di: Alain Deneault: La mediocrazia, Neri Pozza)

La legione dei mediocri ha conquistato la stanza dei bottoni
- di Benedetto Vecchi -

C’è stato un indolore, sotterraneo – al limite del silenzioso – assalto al palazzo di inverno del potere globale. A compierlo non sono stati temibili orde di soldati, operai e contadini, bensì i mediocri. Sono loro ormai che governano il mondo, controllano che tutto proceda come dettato da impersonali algoritmi o asfittiche procedure burocratiche. È l’incipit del saggio La mediocrazia (Neri Pozza, pp. 239, euro 18) del filosofo Alain Deneault – francese per nascita e canadese per lavoro – attualmente docente all’università di Montreal. L’avvio è quello del pamphlet, ma solo dopo dieci pagine, l’andatura della scrittura abbandona il tono apodittico che contraddistingue questo tipo di libro e si inoltra su sentieri più impervi e dalla destinazione non prevedibile. Deneault, infatti, sostiene in quelle prime pagine una tesi non proprio sconvolgente spacciata come grande verità da opinion makers – immagine riflessa proprio della figura del mediocre -; eppure sembra arrendersi subito davanti alle difficoltà che incontra chi vuol invece offrire una lettura meno occasionale della mediocrità.
LA PRIMA DIFFICOLTÀ, in realtà, è una domanda: cosa è la mediocrità? Un modus operandi lo è sicuramente – azioni conformi allo status quo per legittimarlo e confermarlo -, ma è difficile qualificarlo come l’operare in assenza di intelligenza e di attitudine performativa, data la capacità di tenuta, nonostante la sua crisi permanente, del modo di produzione – il capitalismo – basato appunto sui «mediocri». Dunque la risposta è incerta, spinosa da definire rigorosamente. Un comportamento può essere considerato mediocre sempre a posteriori, nelle sue conseguenze, non quando si manifesta. Un po’ come accade al suo fratello gemello, la creatività. Quindi serve una prima approssimazione. E se la creatività è la soluzione originale a un problema noto, la mediocrità è la riproposizione, l’aggiustamento di soluzioni note e consolidate ai problemi ricorrenti del vivere in società.
LA MEDIOCRITÀ è dunque la ripetizione del sempre uguale che garantisce tuttavia stabilità e riproduzione semplice dei rapporti sociali e di potere. In altri termini, è un modo di essere che si colloca tra soluzioni creative e soluzioni distruttive. Nella mediocrità non c’è infatti innovazione, né distruzione creativa, momento propedeutico non solo allo sviluppo economico ma anche di quello sociale. Inoltre, la mediocrità non va confusa con la media, fenomeno aritmetico di comportamenti diversificati. L’attitudine mediocre ha bisogno di un surplus di elaborazione intellettuale. Non è quindi l’esito di una semplice applicazione di procedure standard. Il buon mediocre affronta le variazioni, gli imprevisti, lo scarto tra realtà e procedure burocratiche e si adopera per annullarlo.Tutti elementi che sconfessano l’idea consolidata dei mediocri come incapaci di autonomia. Semmai emerge la diffusione virale di tante passioni tristi all’opera. Il contraltare di altrettante energie diffuse nelle scelte mediocri è infatti costituito da frustrazioni, depressioni, aggressività. E questo colpisce sia i mediocri che le vittime sacrificali della mediocrità.
C’è però in Alain Deneault una sorta di adesione all’invito di Max Weber quando sosteneva che i fatti sociali vanno descritti oggettivamente, senza far trapelare il «sistema valoriale» dell’osservatore, con lo scopo di comprendere il legame tra mediocrità e riproduzione semplice e allargata dello status quo, cioè dei rapporti sociali dominanti. Non è dunque un caso che l’università sia il campo di indagine preferito dal filosofo francese. Le scalate professionali, i rapporti di vassallaggio dominanti, la messa ai margini di chi si discosta dall’ordine del discorso dominante sono l’alfa e l’omega dei mediocri dentro l’università. Sono soggetti che lavorano duramente per mantenere intatto il proprio potere e l’ordine costituito, facendo appello a criteri di valutazione stilati in nome dell’alter ego della mediocrità: la meritocrazia.
L’INFLAZIONE DI SAGGI, monografie, articoli è finalizzata sia all’autopromozione che all’emersione della deferenza del valvassino al valvassore, nel rispetto di una gerarchia dal forte sapore feduale in cui l’affiliazione a questo o quel gruppo accademico segue le linee del lavoro servile. Il conformismo e l’emarginazione degli «eccentrici» hanno inoltre un potente dispositivo messo in campo: la precarietà e la gestione di risorse economiche e finanziarie ridotte nel corso del tempo dalle politiche di austerità. La stessa dinamica avviene nell’industria culturale e nei media. E nelle grandi imprese.
Ed è quando affronta l’«economico» che l’autore indica nella mediocrità il comportamento sollecitato dai cantori del libero mercato e dell’individuo proprietario. I mediocri hanno sì un forte spirito gregario (tendono a frequentare i propri simili) che all’unisono esaltano l’individualismo e il darwinismo sociale che potrebbe trasformarli presto in vittime.
Dunque i mediocri avranno pure avuto accesso alle stanze del potere, ma questo è esercitato in luoghi e contesti dove mediocrità, meritocrazia, innovazione hanno altre declinazioni da quelle emergenti nella discussione pubblica.
Il potere vero, quello che rimane nell’ombra, almeno in questo saggio sta nell’automatismo della riproposizione dei rapporti sociali dominanti, un mondo a parte rispetto quello dei pretoriani della mediocrità. È etereo, anche se facile da nominare – il libero mercato – e fatto proprio sia dalla destra che dalla sinistra politica. Al massimo si possono citare le sue manifestazioni triviali, la mediocrità appunto, ma non la possibilità di dare corpo e sostanza al rivoluzionamento della sua base materiale e intellettuale.
PER DENEAULT, la mediocrità regna dunque sovrana. Viene però rimossa la possibilità di spazzarla via. Ma di questo l’autore non scrive. Preferisce considerare la sovversione della mediocrità un non detto. Che tale deve rimanere. In fondo, meglio un mondo di mediocri che cominciare a usare la materia grigia per privilegiare l’eterodossia, la rottura dei codici dominanti, l’istituzione di altre forme del vivere, dove il libero sviluppo del singolo può avvenire solo se c’è la possibilità dello sviluppo di tutti.

- Benedetto Vecchi - Pubblicato sul Manifesto il 1° febbraio 2017 -

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