mercoledì 29 febbraio 2012

chiude la strada, ma apre la via …

Barricade_Paris_1871_by_Pierre-Ambrose_Richebourg

Le barricate costruite per le strade di Parigi che cominciano negli anni che seguono la Grande Rivoluzione del 1789, e si chiudono con la soppressione della Comune di Parigi nel 1871, non furono i primi o gli ultimi manufatti di guerriglia urbana. Né Parigi fu l'unica città nella storia - anche nella storia europea - a riempirsi di barricate. Tuttavia, a Parigi, le barricate divennero una tecnica rivoluzionaria, il cui sviluppo e declino può essere tracciato con una certa precisione. Costruire barricate serviva a complesse finalità sociali, di cui la difesa era solo una, e non sempre la più significativa. In un primo momento, le barricate parigine furono delle barriere temporanee, o mura erette in fretta per le vie. Venivano costruite da gruppi anonimi di insorti, con qualunque materiale sfuso venisse trovato nelle vicinanze: carretti, mobili, botti e, per lo più, pavimentazione divelte dalla strada. Nel luglio 1830 vennero erette oltre 4.000 barricate, nel giugno 1848 si arrivò ben 6.000.
Il primo caso documentato di barricate a Parigi, si verifica nel 1588, quando il Conte di Cosse Brissac guidò i parigini in una ribellione in risposta al distacco dei soldati per le strade della città. In questo caso, vennero utilizzate delle catene, per chiudere le strade al traffico, e tali punti di chiusura furono rinforzati con barili (barriques) pieni di pietre, per intralciare il movimento dei militari. Nel 1648, l'arresto di un politico molto popolare portò alla costruzione di oltre mille barricate della città. Dopo di ché, le barricate non si ripresentarono per quasi 150 anni, e non giocarono nessun ruolo durante la rivoluzione del 1789. Quando riappaiono, con l'insurrezione giacobina del 1795, la cosa avviene in un contesto diverso. Mentre finora si era fatto uso della disobbedienza civile, come un modo di fare leva sui leader politici, adesso l'intenzione è quella di mettere in atto un rovesciamento completo della situazione.
La più famosa delle barricate sarà una di quelle erette durante le giornate di luglio del 1830 (raffigurata da Delacroix nel 1830, nel suo dipinto "La Liberté Guidant le peuple"). Nel 1848, mentre le barricate avevano raggiunto "uno stato autenticamente internazionale in quanto tattica di rivolta", avevano già cominciato a perdere effetto, a fronte dell'artiglieria mobile e delle migliori tattiche militari. Per le strade di Parigi, l'ultima volta che vennero utilizzate barricate in modo efficace fu durante la Comune di Parigi del 1871. E anche se barricate continuarono ad essere usate in altre città in Europa, tra cui Barcellona e Berlino, e riapparvero a Parigi nel 1945 e nel 1968, oramai, le barricate come tecnica, avevano cessato di essere decisive in una rivolta urbana.
La ristrutturazione urbana di Parigi, fatta da George-Eugène Haussmann, ed avvenuta durante il secondo impero di Luigi Napoleone (1852-1871), fu, in parte, una risposta esplicita alla minaccia delle barricate. Haussmann aprì i nuovi viali tagliando il tessuto della vecchia Parigi, comprando e demolendo qualsiasi cosa si ponesse in mezzo, aprendo e ripulendo degli spazi intorno ad edifici come Notre Dame e il Louvre. Così facendo, Hausmann sperava non solo di alleviare quella pressione sociale che produce i disordini, ma anche di rendere impossibile la costruzione e la difesa delle barricate. Walter Benjamin ha riconosciuto la ricostruzione del soggetto civico nella "Haussmannizazione" di Parigi. Egli scrive, solo in parte per scherzo: "L'ampliamento delle strade, si diceva, è stato reso necessario dalle crinoline".
Nella Parigi di Haussmann, il soggetto borghese dei viali si oppone al lavoratore senza luogo, che non appartiene realmente alla città; e la riconfigurazione degli spazi e dei materiali della città serve a riconfigurare le relazioni sociali.
Sarebbe troppo semplice contrapporre Haussmann, in quanto imposizione della legge dello stato centralizzato sulla città, con le barricate, in quanto disobbedienza esuberante e violenta a quella legge. Nella sua "Critica della violenza", Benjamin sostiene che legge e ordine non possono essere visti in opposizione alla violenza. Piuttosto, bensì devono essere considerati essenzialmente violenti essi stessi. La legge è anche una condizione essenziale della violenza, e la violenza non è la mancanza o il fallimento del diritto, bensì è il modo in cui una legge viene imposta. Nel pensiero di Benjamin, l'opposizione del distruttivo e violento spazio delle barricate, allo spazio legale e costruttivo della Parigi di Hausmann, è falso. Infatti, egli nota come Haussmann si riferisca a sé stesso come un "artista-demolitore". In modo simile, la violenza delle barricate contiene la violenza di una nuova legislazione. Distruzione e costruzione sono ugualmente segno di violenza, in quanto entrambi marcano il funzionamento della legge. Se Haussmannizazione e barricate sono entrambe riconosciute come trasformazione materiale e spaziale della città, allora entrambe devono essere apprezzate non solo per la loro violenza, ma anche come imposizioni contrastanti del diritto.
Benjamin descrive anche il ruolo della polizia: "Piuttosto, la 'legge' della polizia segna veramente il punto in cui lo Stato ... non può più garantire attraverso il sistema giuridico i fini empirici cui desidera attenersi ad ogni costo". Le operazioni di polizia segnano il limite del diritto, la linea oltre la quale pratiche e corpi devono sottostare alla legge.

barricate

Le immagini romantiche delle barricate, come quelle del quadro di Delacroix, sottolineano l'importante ruolo simbolico delle barricate. La massa più grande dell'immagine è composta da corpi umani: teste, braccia e baionette che si fondono insieme in un'oscura profondità. I corpi ancorano l'immagine a sinistra, la sottolineano, e si stagliano contro il fumo il centro. L'architettura, come materialità, si riduce ad una presenza emblematica: in lontananza, all'estrema destra della tela, una fila di case e le torri di Notre Dame emergono dal fumo. Le figure umane non sono costrette, o racchiuse, dagli edifici, anche se le strade di Parigi nel 1830 erano notoriamente strette. La superficie pavimentata della strada è visibile, in parte, solo nella parte inferiore. La stessa barricata non arriva al ginocchio ed è in gran parte oscurata. Alcune lastre di pietra sono ammucchiate insieme a pezzi di legname, ma certamente non formano un muro. La barricata non è un blocco, anzi, è poco più di una pedana, un palco, per la libertà.
I resoconti narrativi delle rivolte suggeriscono come una barricata fosse uno spazio in cui hanno avuto luogo eventi drammatici. Grande importanza viene attribuita all'aneddotica 'sulle barricate', dove alcune persone arringano la folla, e altre trovano morti nobili o spaventose.
Le barricate, ad ogni ripetizione, diventano un atto sempre più ritualizzato, caricato di funzioni simboliche e sociologiche. Ogni nuova istanza di sbarramento è anche un rinnovo di tutte le barricate precedenti. Durante la Comune di Parigi, i comunardi erano ansiosi di farsi fotografare con le loro barricate.
"I miserabili" (1862) di Victor Hugo contiene un resoconto romanzato di una rivolta e la descrizione delle barricate monumentali delle giornate di giugno 1848, di cui Hugo fu un testimone oculare.

La barricata di Saint-Antoine era alta tre piani e misurava settecento metri di lunghezza:
"Correva da un capo all'altro della vasta bocca del Faubourg - vale a dire, attraverso tre strade. Era frastagliata, improvvisata ed irregolare, turrita come un immenso castello medievale ... Ogni cosa era andata a finire su di essa, porte, inferriate, finestre, mobili di camere da letto, stufe distrutte e pentole e padelle, tutto ammucchiato a caso, insieme alle pietre del selciato e a macerie, legno, sbarre di ferro, vetri rotti, sedie sfondate, stracci e cianfrusaglie di ogni genere - e maledizioni ... La barricata Saint-Antoine utilizzava tutto come fosse un'arma, tutto ciò che la guerra civile può scagliare in testa alla società ... una follia, che scalciava con un clamore indicibile contro il cielo ... Era solo un mucchio di spazzatura, ed era il Sinai."

Al contrario, i due piani della barricata del Faubourg de Temple era stato costruita con precisione militare:
"Dalla sua altezza s'indovinava lo spessore. Il cornicione era rigidamente parallelo allo zoccolo; si distinguevano a intervalli regolari, sulla superficie scura, alcune feritoie quasi invisibili, che parevano fili neri. La via era deserta a perdita d'occhio; tutte le finestre e tutte le porte erano chiuse. In fondo s'ergeva quello sbarramento, che faceva della via un vicolo; muro immobile e tranquillo, dietro al quale non si scorgeva nessuno e non si sentiva nulla: non un grido, non un rumore, non un alito. Un sepolcro. Lo sfolgorante sole di giugno inondava di luce quella cosa terribile. Era la barricata del sobborgo del Tempio. Appena si arrivava sul posto e la si scorgeva, era impossibile, anche ai più coraggiosi, non riflettere al cospetto di quella misteriosa apparizione. Tutto in essa era in ordine, ben connesso e ben sovrapposto, rettilineo, simmetrico e macabro. V'erano in quell'opera scienza e oscurità; si intuiva che il capo di quella barricata era un geometra o uno spettro. Tutti la guardavano e parlavano a bassa voce."

Per Hugo, queste due costruzioni esprimevano due aspetti della rivoluzione: la sfida e il silenzio, il drago e la Sfinge; "una bocca aperta ruggente" ed una maschera. Queste coppie di opposizione sono allineate agli estremi dei due poli della costruzione di una barricata: il tumulo e il muro. Le barricate distruggevano le relazioni proprie della città. Le cose venivano spostate e riutilizzate, trasformate in armi e, come dice Hugo, scagliate in testa alla società. Ci sono incisioni, raffiguranti i combattimenti a Saint-Antoine, che mostrano l'aria piena di armadi, tavoli, sedie e pietre della pavimentazione stradale. Dal secondo e terzo piano degli edifici che si affacciano sul barricata, insorti armati hanno preso posizione e sparano, o gettano materiale verso il basso, sulla testa delle truppe che avanzano. Una rete di passaggi è stata creata attraverso i giardini e le case, i terreni in disuso ed i vicoli. Sono stati costruiti passaggi interni, sfondando i muri delle case accanto alle barricate, in modo che gli insorti possano muoversi, rapidamente e sotto copertura, su e giù per la strada.
Barricate e viali producono due distinti regimi di percezione della città. Sotto il regime delle barricate, la città diviene visibile come un campo continuo di materiale: un paesaggio. Nel 1915, il rivoluzionario irlandese James Connolly, come tattica, raccomandava di erigere barricate, argomentando che la città era, strategicamente, un paesaggio: "Un luogo montagnoso è sempre stato considerato difficoltoso per le operazioni militari, a causa dei suoi passi e delle valli. Una città è come una massa enorme di passi e valli formate da strade e vicoli"(1915). Sotto il regime delle barricate, le divisioni dovute a contratti d'affitto e a case di proprietà non vengono più rispettate. Ci si appropria di spazi e di materiali, vengono condivise e rubati; le barricate trasformano la città in un campo continuo di materiale urbano, da attraversare o da scavare con gallerie. Nella città, vista come campo continuo, le ripartizione e le divisioni, prima ovvie, appaiono improvvisamente come irrilevanti, incomprensibili.
Da questo, Haussmann percepisce la città come un corpo che deve essere operato. Per lui, i disordini civili sono un malessere urbano, una malattia derivante da un tessuto urbano angusto e malsano. Le linee e gli incroci dei nuovi viali impostare le parti della città nelle sue relazioni corrette e collegano le parti distanti della città in una figura ben definita. Lo Stato assume un ruolo di supervisione e di azione, e viene giocata una distinzione evidente tra coloro che operano nella città, e coloro che operano sulla città.
Dall'altra parte, le barricate producono un'immagine della città che rende visibile un soggetto collettivo, come una costruzione comune. Il numero e l'anonimato dei barricaderi, e la velocità con cui vengono costruite le barricate, porta ad una tendenza, diffusa fra gli storici, di riferirsi ai casi di sbarramento, come ad eruzioni quasi spontanee: "barricate sorsero dappertutto" . Le barricate non erano strutture individuali. Durante la costruzione di una barricata, i passanti erano invitati a contribuire. La costruzione divenne un mezzo per coinvolgere i disimpegnati, un mezzo per convertire gli osservatori in partecipanti.
Le barricate istituiscono una versione attiva, partecipativa e dinamica della città. Al contrario, i viali sorvegliato un ordine statico e gerarchico.
Il regime delle barricate durò, sempre e solo, per brevi intervalli. A volte questi intervalli si conclusero con il rovesciamento dello stato, e con la sostituzione di un ordine alternativo, altre volte si conclusero con un fallimento.
Dopo il 1871, la funzione strategica delle barricate aveva perso molta della sua efficacia. Anche se gli interventi di Haussmann non era stati in grado di prevenire le barricate, avevano certamente reso la città meno ospitale verso di esse. Inoltre, le tecniche e gli strumenti militari erano migliorati. Poche barricate erano in grado di resistere contro l'artiglieria e la fanteria regolare. Tuttavia, le barricate rimasero in vita, anche dopo la loro morte simbolica, negli scritti comunisti e nella pratica. Le barricate hanno sempre avuto una funzione letteraria e strategica, oltre che metaforica. Dopo il 1871, il saldo si era spostato in modo significativo verso il metaforico.

martedì 28 febbraio 2012

settimo round

settimo round

Marcel Cerdan morì in un incidente aereo mentre tornava negli Stati Uniti per incontrarsi di nuovo, sul ring, con Jake LaMotta. Questo scherzo del destino portò ad un altro match contro il suo grande nemico, Ray Robinson 'Sugar'. Era il 14 febbraio 1951, giorno di San Valentino. LaMotta aveva perso quattro dei suoi cinque precedenti, ma rimanendo sempre in piedi; una barriera psicologica per 'Sugar', che era sempre stato incapace di mandarlo al tappeto. L'incontro fu un regolamento di conti. Quello definitivo. Durante la pesatura, Robinson cercò di intimidire il suo rivale bevendo un bicchiere di sangre de toro. Era una provocazione bell'e buona. Con il coraggio di sempre, il Toro del Bronx, al decimo round, si scagliò contro Robinson. A furia di ganci corti, guadagnò il KO. Ma senza risultato. All'undicesimo round, Sugar continuava a dominare l'incontro. A successivo round, il dodicesimo, LaMotta, lacerato e intontito dai colpi di Robinson, era alla mercé del suo rivale. Ricevette un uno-due che quasi gli staccò la testa dal collo e dovette abbrancarsi alle corde. Quando il pubblico oramai è sicuro dell'immanente sconfitta di LaMotta, questi sfida Robinson. "Andiamo Ray, vieni qui, vediamo se riesci a sbattermi fuori dal ring, andiamo". Sugar lo prende in parola, lo colpisce con una serie di colpi, in alto e in basso, e trasforma la faccia di LaMotta in una massa tumefatta di carne che non smette di sanguinare dalla bocca e gli occhi. Ray è pura energia elettrica e Jake è in balia di un uragano di mani. Il Toro vacilla, ma non cade al suolo. Qualcosa, nessuno sa che cosa, lo tiene in piedi. L'arbitro, spaventato dalla quantità di sangue che sporca il volto di LaMotta, decide di fermare l'incontro. "Il massacro di San Valentino", titoleranno i giornali sportivi, il giorno dopo. Robinson, il nuovo campione, va verso il suo angolo, mentre Jake rimane in piedi, sapendo che ha perso la corona. Mentre 'Sugar' solleva le braccia per i flash dei fotografi, LaMotta avanza, completamente distrutto, fino a dove si trova Ray. Lo tocca sulla spalla. E, quando il nuovo campione si rivolge a lui per guardarlo negli occhi, sussurra: "Non mi hai mai messo giù, Ray… Non hai mai messo giù, Ray". Dopo il match, Robinson parla con la stampa e non riesce a trovare le parole per descrivere l'atteggiamento suicida di LaMotta. "Jake non ha perso! Quell'uomo è un gladiatore. Io ho vinto, ma lui non ha perso!" Privato del titolo, con la faccia distrutta, LaMotta offre la sua versione avvolto nella sua vestaglia di pelle di leopardo. "Ho pensato molto a quel figlio di puttana. Gli ho detto 'tu non mi metterai al tappeto. Nessuno ha mai messo al tappeto Jake LaMotta, e non sarai tu il primo a farlo'".

lunedì 27 febbraio 2012

Noia e Terrore

Don DeLillo, New York City, 1990s

Invece delle idee, meglio delle idee, come diceva Marguerite Duras: "Non ho idee; solo parole, e silenzi".
Così Don DeLillo.I suoi libri, memorabili, sono degli anni novanta. Si parlava di "fine della storia", ma forse si stava parlando della fine del mondo. Si aspettava che i computer impazzissero, per effetto del baco del millennio. Insomma, cose del genere. Fu solo l'inizio di una serie di fini del mondo. Il terrore. Adesso si può dire, senz'altro, che il terrore ha finito per annoiarci.  Per citare:

"Si dice che il terrore sia quello di cui ci serviamo per fornire alla nostra gente il loro posto nel mondo. Quello che una volta si era soliti conseguire attraverso il lavoro, adesso lo otteniamo per mezzo del terrore. […] Gli uomini vivono la storia come non avevano mai fatto prima. […] La storia non  sta dentro i libri, e neppure nella memoria umana. Facciamo la storia la mattina, e la cambiamo dopo pranzo".

Le trame dei suoi romanzi, francamente, interessano poco, assai poco. In fondo, le trame sono sempre, in qualche modo, delle bugie; riassunti maleducati delle storie. Di solito, dentro, c'è uno scrittore, magari uno scrittore che ha perso ... la fede. Non scrive più, non vuol farlo, è incapace di farlo. Magari ci mettiamo dentro una donna che fotografa gli scrittori e un editore con qualche problema alla prostata. Lo scrittore è uno di quelli senza volto; hai presente Pynchon, oppure Salinger? Magari conduce una vita da recluso: ché ha paura che gli rubino l'anima, oppure che qualcuno gli pianti un coltello in mezzo alle costole mentre sta facendo la fila alla cassa di un qualche supermercato. Ma non è lo scrittore, è proprio il romanzo, sono le storie che vivono recluse, assediate dal terrore. Ha perso il suo significato, sopravvive solo in una forma dedicata ai rassegnati nostalgici dell'avventura analfabeta che brandiscono i loro biglietti dentro le sale d'attesa degli aeroporti e delle stazioni.

"Le storie sono prive di significato se non riescono ad assorbire il nostro terrore".

DeLillo, oppure uno dei suoi personaggi, ma che importa, afferma che gli scrittori sono consumati dalle ... notizie, come da forze apocalittiche. Il romanzo serviva a soddisfare la nostra ricerca di senso. Ma la nostra disperazione ci ha condotto verso un qualcosa di grande e tenebroso, così, alla fine, facciamo ricorso alla notizia, e all'atmosfera costante della catastrofe di cui ci riforniscono. Un'esperienza emozionale impossibile da trovare altrove. Non abbiamo bisogno del romanzo. Certo, non abbiamo neanche bisogno dei disastri. E' delle cronache, delle previsioni, degli avvisi; ecco di cosa abbiamo bisogno.
Una domanda, però, rimane. E chiede se il romanzo sia uno strumento adeguato a sondare la vita, e l'uomo. Romanzo in quanto finzione, un altrove rispetto alla verità, una verità più ... possibile. DeLillo risponde con lo scrittore/terrorista. Ovviamente, non inteso come scrittore che fa uso della violenza, per raggiungere i suoi obiettivi, ma, piuttosto, uno scrittore che sta nell'ombra e susciti lo stesso genere di ammirazione che può suscitare il terrorista. Entrambi, coerenti fino all'estremo.
In ogni caso, lo scrittore protagonista delle storie, è sempre qualcuno che già non può scrivere. Contraddice l'idea di Kafka, del seminterrato come luogo ideale per la scrittura. Dal piano interrato si arriva solo ad un piano ancora più seminterrato! Una sorta di buco nero che inizia e finisce in sé stessi.A fronte del terrore non, c'è nulla in quel seminterrato che ci può interessare.
DeLillo crede nel romanzo, al di là della forma. Così, forse, il problema non è più di forma, ma, in altre parole, è un problema di fede. Quali voci vogliamo ascoltare. Forse solo la voce del testimone. Quello che ha letto, che ha visto o che ne ha sentito parlare. La voce dell'uomo che cita, il soggetto che teorizza, che insiste a proposito della regola su come può essere e su come non deve essere quella voce. Cose dell'ufficio; ma no, è più importante di quello. Proprio come Kafka, che in quella lettera a Oskar Pollak nel 1904:

"Ciò di cui abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una sciagura che ci addolori, come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come se fossimo proscritti, condannati a vivere nelle foreste, lontano dagli uomini, come un suicidio - un libro dev'essere l'ascia che rompe il mare di ghiaccio dentro di noi, Ecco come la penso."

E che libri sarebbero questi? Ci sono i giornali, che ci danno, un giorno sì e l'altro pure, l'eccitazione per la fine del mondo. Il terrore, il tanto detestato terrore, il necessario terrore. Prima colazione e terrore, risate e terrore. E lacrime, e la routine di tutti i giorni.
Già, niente riesce ad annoiarci quanto il terrore.

domenica 26 febbraio 2012

Relatività

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E' la fine del 1930, quando Allen Willis (che diverrà un famoso regista di documentari) viene invitato ad un incontro con Paul Mattick in un bar di Chicago. Cosa insolita, perché la sinistra americana non si incontrava nei bar. Appena arriva, il barista gli fa, "Hey! Stai cercando Karl Marx? E' in quella sala laggiù".
Willis trova Mattick che presiede la riunione e nel corso della discussione gli chiede:" Qual è la tua posizione in merito alla questione razziale e alla discriminazione razziale negli Stati Uniti? "E Mattick:" questione razziale?!? Non parlarmi di discriminazione razziale, io sono uno svevo *!"

* Nota: Lo Svevo (Schwäbisch in lingua tedesca) è un dialetto del Tedesco alemanno appartenente alla Lingua alto-tedesca parlato in Svevia ed in parte del Baden-Württemberg e della Baviera. Presenta affinità con il dialetto bavarese.

sabato 25 febbraio 2012

Marmitte e Margarina

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Eugene Kerbaul ha scritto un libro intitolato "Una Bretone Rivoluzionaria e Femminista" su Nathalie LeMel, che era Segretaria de L'Union des Femmes de la Commune de Paris, nel 1871.Nathalie si lasciò coinvolgere in un progetto di comunità ristorante, in Rue Larrey, chiamato La Marmite. Durante la Comune di Parigi prese parte ai combattimenti intorno ad una delle ultime barricate in La Place Blanche, a Monmartre, insieme con un centinaio di altre donne.
Nathalie Le Mel, insieme a Louise Michel, ed a migliaia di altri uomini e donne, venne deportata nelle paludi infestate di zanzare della Nuova Caledonia, in Australia, dopo che la Comune venne sconfitta. Alla vigilia del suo arresto Nathalie tentò il suicidio bevendo un litro di assenzio, ma sopravvisse e finì per essere denunciata da alcune suore, che l'avevano riconosciuta.
Alcuni degli uomini deportati in Nuova Caledonia con Nathalie LeMel e Louise Michel dissero che sarebbero morti senza l'aiuto delle due donne.
A dispetto della sua deportazione, Nathalie LeMel riuscì a sopravvivere, nella miseria totale, fino all'età di 90 anni.
C'è un'altra nota culinaria di grande importanza, a proposito della Comune, e riguarda il fatto che la margarina venne formulata accidentalmente da un chimico comunardo che stava lavorando alla produzione di esplosivi.

fonte: http://www.principiadialectica.co.uk/

giovedì 23 febbraio 2012

sesto round

sesto round

Nel suo spogliatoio, mentre risponde alle domande della stampa, mentre si annoda la sua vestaglia-feticcio di pelle di leopardo, si affollano mafiosi, politici e gente del mondo dello spettacolo. Ognuno vuole condividere la notte di gloria del campione. E lì, in quel preciso momento, LaMotta rimane paralizzato, mentre il suo volto impallidisce alla vista di Harry Gordon, quel libraio che era convinto di avere ucciso, con un colpo in testa per prendergli il portafoglio, prima di cominciare a vagabondare di riformatorio in riformatorio. No, non era un fantasma, uscito dalla tomba per venire a riscuotere il giorno in cui LaMotta meno se lo aspettava!
Quel vecchio con la testa piena di cicatrici è Harry Gordon in persona. A quanto pare, la stampa era stata troppo precipitosa nell'annunciarne la  morte. L'uomo era sopravvissuto al colpo in testa, in quel vicolo buio, ed ora era venuto nello spogliatoio di LaMotta per stringere la mano al nuovo campione. Con Harry vivo e vegeto, Jake si sentì liberato da quella bestia, che lo aveva tormentato col senso di colpa, facendolo diventare un'insensibile macchina programmata per distruggere ogni essere vivente sul ring. Una volta saputo che Gordon non era più il suo incubo, e che era in buona salute, il Toro del Bronx respirò di sollievo e cominciò a godere di quel che più di tutto aveva sempre desiderato. La cintura di campione.

mercoledì 22 febbraio 2012

Re Bomba

re bomba

"King Bomb", nella foto d'epoca, era un negozio di specialità gastronomiche. Si trovava a Old Compton Street, nel quartiere di Soho, ed era specializzato in prodotti italiani. Vino, pasta e prosciutto affumicato. Ma il negozio commerciava anche in marmo di Carrara. Il proprietario era tale Emidio Recchioni, originario di Ravenna, dov'era nato nel 1864. Ferroviere, repubblicano convertitosi all'anarchia, era stato condannato a tre anni di reclusione in seguito alla repressione che seguì all'attentato contro Francesco Crispi. In seguito, deportato sull'isola di Ustica, riuscì ad evadere e a rifugiarsi a Londra.
Re Bomba (un ironico riferimento a Ferdinando II, re delle due Sicilie) era assai ben frequentato. Scrittori inglesi, intellettuali e politici, ma anche esuli e, ben presto, con l'ascesa di Mussolini al potere, anche antifascisti italiani. Un cerchio di amicizie, vasto ed influente, di socialisti e liberali, fra i quali James Ramsay MacDonald, laburista che nel 1924 sarebbe diventato
primo ministro.
L'influenza di Recchioni, il suo ruolo come promotore e finanziatore del movimento antifascista (compresi "Gli Arditi del Popolo), lo avevano reso un obiettivo ad alta priorità, per la polizia segreta di Mussolini, l'OVRA. Ma non solo; anche il tenente colonnello John F.C. Carter, Vice Assistente Commissario della Polizia Metropolitana, era interessato alle attività di Recchioni. Le informazioni, a Carter, arrivavano direttamente dall'OVRA e dalle varie agenzie private filofasciste (i cosiddetti "Casuals"): c'era un Ufficio del Fascio, aperto in Noel Street, vicino a King Bomba, con lo scopo di monitorare ed intimidire la comunità italiana, ufficio che sarebbe poi divenuto la base non ufficiale dell'OVRA.
Nel 1929, gli agenti dell'OVRA in combutta con la Polizia Metropolitana cominciarono a far circolare storie, sui giornali inglesi ed italiani, a proposito del fatto che Recchioni stesse organizzando e finanziando complotti per assassinare Mussolini. Carte diede credito a queste storie , lamentandosi allo stesso tempo con l'OVRA, circa il fatto di essere limitato nelle sue possibilità di agire contro Recchioni, dal momento che questi aveva un'amicizia personale con il primo ministro MacDonald. Ed anche la nazionalità, che fino a quel momento era stata negata a Recchioni a causa degli sforzi di Carter, gli era stata concessa, quando MacDonald era entrato a Downing Street.
E' il 1931, quando Recchioni arriva a Bruxelles, con il suo nuovo passaporto britannico, seguito da vicino da un certo J. O’Reilly, dello Special Branch, che scrive in un rapporto (che avrebbe dovuto rimanere segreto fino al 2035!) che il viaggio avrebbe dovuto portare all'arresto dello stesso Recchioni, senonché, Lord Tranchard (allora ministro degli Interni) aveva preferito fermare il corso della giustizia, piuttosto che far emergere delle "informazioni sensibili". Quale che fossero queste informazioni non lo si sa, a tutt'oggi. Lo scopo del viaggio di Recchioni, a detta di O'Reilly, era di incontrarsi con dei membri del CIDA (Comitato Internazionale di Difesa degli Anarchici, con sede a Bruxelles) e con Angelo Sbardellotto, 28 anni, minatore, anarchico.
Sbardellotto verrà arrestato, nel giugno dell'anno successivo, mentre in possesso di due bombe a mano, di una pistola e di un falso passaporto svizzero. La sua missione - secondo la confessione estorta con la tortura dagli agenti dell'OVRA - era quella di assassinare Mussolini.
Recchioni - proclamava O'Reilly nel suo rapporto - lo aveva rifornito con denaro, armi e piani per l'attentato. La polizia segreta italiana spedì a Londra la confessione firmata da Sbardellotto, insieme ad una lista di date in cui si sospettava avessero avuto luogo gli incontri, ed una richiesta di estradizione per Recchioni.
Il Ministero degli Interni ordine di fare un'indagine sul registro dei passeggeri in partenza da Dover e Folkstone, per vedere se le date coincidevano con quelle che i fascisti avevano estorto a Sbardellotto. Coincidevano.
Le cose si complicarono dell'altro, quando sul Daily Telegraph, che citava fonti italiane, veniva identificato Recchioni come uno di coloro che erano coinvolti nel fallito tentativo di attentato. Recchioni, in risposta, querelava il quotidiano per danni alla sua reputazione. I legali del Daily Telegraph contattarono il colonnello Carter, chiedendo il suo aiuto per autenticare la validità delle loro informazioni. Lord Trenchard, il nuovo capo della poliza, scrive a Herbert Samuel, nuovo ministro degli interni del governo MacDonald:
" Il Daily Telegraph ha contattato il colonnello Carter per sapere se li poteva aiutare, ma abbiamo detto loro che l'unica risposta possibile è che egli non può fornire alcuna prova."
La cosa era palesemente falsa. C'erano molte cose che Carter avrebbe potuto dire, ma se fosse salito sul banco dei testimoni avrebbe dovuto spiegare, sotto giuramento, perché il procedimento di naturalizzazione inglese dell'anarchico italiano era stata accelerata dopo l'arrivo di MacDonald a Downing Street. E che questo era avvenuto contro ogni suo parere, e sulla base di ciò che sapeva, ma anche da dove provenivano quelle informazioni (informatori dell'OVRA e agenti provocatori), compreso il tentativo fatto da Recchioni di comprare un aeroplano in Inghilterra, per una missione non meglio specificata in Italia.
In una nota segreta, Trenchard faceva osservare a Samuel:
"E' deplorevole che Recchioni possa ottenere un risarcimento dal Daily Telegraph, ma non vedo come lo si possa evitare".
Samuel approvò tale decisione, e Carter non si presentò mai all'udienza. Il Telegraph perse la causa. Recchioni, che aveva speso appena 35 sterline per finanziare Sbardellotto, ricevette 1.117 sterline, per i danni.

martedì 21 febbraio 2012

quinto round

quinto round

La mafia aveva fatto il suo dovere fino in fondo, aveva lavorato di fino. Aveva trovato un pugile europeo, l'aveva convinto ad attraversare l'oceano e ad acconsentire, contro tutti i pronostici, ad affrontare LaMotta sul suolo americano. Francese di origine algerina, Marcel Cerdan aveva conseguito il titolo in un terribile incontro sul ring con Tony Zale, il grande rivale di Rocky Graziano. Era un combattente straordinario, Cerdan, un pugile notevole, ed avrebbe impensierito chiunque, ma non Jake LaMotta che stava aspettando un incontro come questo da una vita, ed era ansioso di salire sul ring per distruggere l'unico uomo sulla terra che poteva impedirgli di realizzare il grande sogno della sua vita: essere il campione. Cerdan riuscì a resistere fino all'ottavo round, quando si fece male ad una spalla. Poi, da lì, LaMotta, inesorabile, cominciò ad attaccare il francese, senza tregua. Lo spinse alle corde e scatenò una furiosa serie di ganci sinistri che spezzarono le gambe a Cerdan. Alla fine del nono round, si era praticamente già arreso. Quando l'arbitro diede il via al decimo round, il francese si rivolse al suo angolo dicendo: "No, per favore, basta". Jake LaMotta esultò, aveva realizzato il suo sogno. Era diventato il nuovo campione. La sua seconda moglie, Vicky, testimone di quei giorni: "Gli piace talmente tanto, la cintura di campione del mondo, che la indossa anche quando va a letto".

lunedì 20 febbraio 2012

Mappe

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Nel 1960, sentendo che non sarebbe rimasto a lungo su questa terra, John Steinbeck decise di viaggiare in lungo e in largo per l'America per l'ultima volta. Il celebre autore di "Furore" e di "Uomini e Topi", partì dalla sua casa di Long Island a bordo di Ronzinante (il suo camper appositamente costruito) ed accompagnato dal suo barboncino francese, Charley. Nel 1962 venne pubblicato "Travels with Charley: In Search of America". Le pagine finali del libro, che sarà l'ultima opera originale di Steinbeck, pubblicata mentre era in vita, sono illustrate da questa mappa degli STati Uniti, che racconta l'itinerario ed alcuni degli episodi del viaggo fatto da Steinbeck con Charley.
Steinbeck, Ronzinante e Charley viaggiarono per gli Stati Uniti in senso antiorario, lungo circa 10.000 miglia che li videro passare attraverso il New England fino alla cima del Maine, per poi raggiungere il confine canadese toccando le cascate del Niagara, poi giù a Chicago e proseguendo per Seattle passando per Fargo, prima di girare a sud verso la valle di Salinas, che era stata la scenografia della gioventù di Steinbeck. Il trio completò la "circum-ambulazione" via Texas, New Orleans ed un pezzo enorme del profondo sud.
Il diario di viaggio Steinbeck è una sorta di "Stato dell'Unione", senza l'ottimismo obbligatorio del discorso annuale del Presidente. Lo scrittore è amareggiato dal ritmo imposto dalla tecnologia e dalla direzione che ha preso il cambiamento sociale negli Stati Uniti. Si lamenta dell’opacità del paese, della paura, dell'omogeneità e degli sprechi.
E questo ci dice assai più dello scrittore, di quanto ci dica del soggetto del libro: Steinbeck è malato, e abbastanza depresso, quando intraprende il suo viaggio. Quello che il percorso trans-americano non riesce a dargli, è il vino della sua giovinezza.

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Viene da confrontarla, questa mappa con un'altra, analoga. Quella del viaggio, in auto-stop, di Jack Kerouac, nel 1947. Kerouac seguì un percorso un po' meno di confine, ma entrambe le traiettorie sono abbastanza simili: iniziano e finiscono a New York, passando per Chicago e si dirigono in California, seguendo la costa occidentale, prima di tornare a sud est.
Ma il viaggio di Kerouac divenne la base per un diverso genere di libro: On the Road (Sulla strada), un flusso lirico di coscienza, un tributo all'America. Quel diario di viaggio divenne la bibbia della cosiddetta generazione Beat.
Perché una simile differenza di tono e di prospettiva? Era più omogeneizzata, l'America del 1960, rispetto a quella del 1947? Oppure era solo per il fatto che Kerouac era giovane, e Steinbeck vecchio?
Il libro di Steinbeck arrivò al primo posto, nella lista dei Bestseller del New York Times; e lo scrittore, pochi mesi dopo, venne insignito del Premio Nobel per la letteratura (anche se non proprio per questo libro). Negli anni successivi, è stata messa in dubbio la veridicità di molti dei passaggi del libro, compresi alcuni degli aneddoti del viaggio con Charley. Anche il figlio di Steinbeck, John Jr., ha espresso diversi dubbi, argomentando : "Lui se ne stava seduto nel suo camper, e poi scriveva tutte queste cose."


fonte: http://bigthink.com/blogs/strange-maps

domenica 19 febbraio 2012

Keynes?!?

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Questo articolo è apparso sul numero di gennaio-febbraio de La Riposte, la rivista dei marxisti francesi. Getta una luce sul presunto progressismo di John Maynard Keynes, icona di tanti circoli intellettuali di sinistra.
Nel 2009, il volume di scambi commerciali nel mondo è crollato del 12%. Si tratta di un arretramento senza precedenti dal 1945 che è proseguito nel 2011. La Francia entra in recessione. L’economia europea ristagna o si contrae, a seconda dei paesi. La crisi di sovrapproduzione ha spinto molti paesi già iper indebitati sul limite del fallimento. Per “rassicurare i mercati”, i governi infliggono alla massa della popolazione europea una caduta del loro livello di vita. I lettori abituali de La Riposte conoscono la nostra posizione.
Il capitalismo è un sistema che ha esaurito il suo potenziale storico, sta distruggendo le conquiste sociali del passato. Per uscire dalla crisi e dalla regressione sociale, bisognerà uscire dal capitalismo. Noi consideriamo che le idee del marxismo rivoluzionario – che tanta gente a destra come a sinistra aveva relegato al museo delle curiosità antiche – non hanno perso nulla della loro pertinenza. La lotta contro il capitalismo va di pari passo con la necessità di riarmare il movimento operaio francese – in particolare il PCF – con le idee, i principi e il programma del marxismo.
Non tutti condividono questo punto di vista. Inevitabilmente, le organizzazioni sindacali e politiche del movimento operaio sono attraversate da diverse correnti di pensiero. Presso i riformisti, che considerano che una rottura con il capitalismo è desiderabile ma impossibile (oppure possibile ma non desiderabile), il nome di John Maynard Keynes è spesso evocato. Per esempio, Walid Hasni, economista del coordinamento sindacale CGT alla Renault, insiste sulla necessità di un ritorno a Keynes. Hasni è anche l’autore di una bozza di programma keynesiano scritta per il governo tunisino dopo la caduta di Ben Ali. L’estratto che segue dà un’idea dell’orientamento economico e politico del compagno Hasni: -“Per portare a compimento la sua transizione democratica, la Tunisia ha bisogno di politiche di rilancio keynesiane. Di seguito proveremo a fornire un abbozzo di spiegazione dell’approccio keynesiano nel modo più semplice, senza – lo speriamo – tradire il pensiero del maestro. In un secondo momento, sottoporremo alcune proposte di politica economica che s’ispirano dalla teoria di Keynes. Keynes è probabilmente il più grande economista del XX secolo. […] L’essenza stessa degli scritti di Keynes è quella di mostrare che se lasciata a se stessa, l’economia capitalista non permette una allocazione ottimale delle risorse e non sopravvivrà, da qui deriva la necessità vitale dell’intervento dello stato.”
Chi era dunque Keynes? Nato nel 1883 fece i suoi studi a Eton e al King’s College a Cambridge, istituzioni riservate all’élite borghese e aristocratica dell’epoca. Esperto speculatore in borsa e sui mercati di cambio, comincia la sua carriera in una commissione governativa che gestiva gli interessi dell’imperialismo britannico in India. Occupò un posto importante nel partito liberale – il principale partito della classe capitalista, all’epoca – a fianco di Lloyd George. Quest’ultimo diresse, come primo ministro (fra il 1916 e il 1922), il massacro imperialista della prima guerra mondiale. Organizzò inoltre l’intervento militare contro la repubblica sovietica. Keynes appoggiava questo intervento. Fece ancora parlare di lui scrivendo molti articoli in cui si opponeva al ritorno della moneta britannica al regime aureo.
Keynes sarebbe il primo a stupirsi di vedere il suo nome associato al movimento sindacale o alla sinistra. Odiava il socialismo e i sindacati. Per lui, il comunismo era “un insulto alla nostra intelligenza". Un comunista, diceva, è “qualcuno che propaganda il male facendo credere che produrrà del bene”. Come abbiamo visto appoggiò il tentativo di soffocare nel sangue la rivoluzione russa. Nel 1922 dichiarava che “il bolscevismo è un delirio generato dall’idealismo beota e dall’errore intellettuale generati dalle sofferenze e dal temperamento di slavi ed ebrei.” Considerava Marx come un “pensatore di second’ordine” e il suo Capitale come “uno studio economico obsoleto, che so di essere non solo errato scientificamente ma anche totalmente sprovvisto d’interesse o di una qualche utilità per il mondo moderno.”
Potremmo fornire molte altre citazioni di questo genere. Diciamo solo che non c’era nulla di progressista o “di sinistra” nelle intenzioni di Keynes. La sua opera teorica principale è stata pubblicata solo nel 1936. Esponeva a posteriori, per così dire, le idee e raccomandazioni economiche che egli aveva diffuso nel corso degli anni ‘20 e della grande depressione degli anni ‘30. Queste raccomandazioni miravano ad aumentare i profitti dei capitalisti attraverso la protezione del mercato interno, ma anche a prevenire il pericolo di un sollevamento sociale. Nel 1926, il capitalismo britannico era stato messo in ginocchio da uno sciopero generale di massa durato 9 giorni. Il partito comunista fu fondato nel 1922. Una forte ala sinistra si stava formando nelle organizzazioni sindacali e del partito laburista. Keynes raccomandava la svalutazione della moneta per rendere le esportazioni britanniche meno care e frenare le importazioni. Questo avrebbe permesso, pensava, di ridurre la disoccupazione in Gran Bretagna e l’avrebbe inflitta ai lavoratori di altri paesi, favorendo così la stabilità del capitalismo britannico.
Raccomandava anche un programma di lavori pubblici, con l’obiettivo di creare mercati e fonti supplementari di profitto per i capitalisti. Lo Stato doveva intervenire nell’economia per allontanare il rischio di rivoluzioni e proteggere l’interesse dei capitalisti in un contesto di recessione. Keynes considerava i deficit pubblici come un “rimedio naturale” per evitare le crisi. Nel settembre 1942 su ordine del re, e come riconoscimento dei buoni e leali servigi resi alla corona, ebbe accesso alla nobiltà ereditaria e prese il suo posto alla camera dei Lords, sui banchi del partito liberale con il titolo di Barone Keynes de Tilton. Morì nel 1946.
Mentre le misure di Keynes erano concepite per limitare le conseguenze economiche e sociali delle recessioni, il suo nome è prima di tutto associato al lungo periodo di crescita dell’economia capitalista, in Europa e Stati Uniti, che si estende dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio degli anni ‘70. Questo paradosso richiede una spiegazione. La distruzione massiccia dell’apparato produttivo, e dei beni più in generale, durante la guerra, aveva creato le condizioni economiche per uno sviluppo senza precedenti del capitalismo. La produzione, il commercio mondiale e i profitti aumentavano considerevolmente anno dopo anno. In queste condizioni, e sotto la pressione del movimento operaio, il livello di vita delle popolazioni, particolarmente nei paesi industrializzati, aumentavano anch’essi. Come spiegava Marx, la produzione crea domanda fino ad un certo punto, cioè fino alla saturazione dei mercati. Ma prima che quest’ultima si manifesti, all’inizio degli anni ‘70 il pieno impiego e le riforme sociali stimolarono a loro volta la domanda – e dunque la produzione.
Dunque furono circostanze storiche eccezionali – e non le teorie di Keynes – che spiegano la durata di questo periodo di crescita. Ciò che è vero, invece, è che le politiche di regolazione e di intervento dello Stato, rese possibili in quel contesto, non furono senza riferimento alle idee di Keynes. Nel 1971, il presidente Richard Nixon dichiarava: - “noi siamo tutti keynesiani, adesso.” - Due anni dopo, il periodo di crescita era finito. L’inflazione raggiunse livelli molto alti (24% in Gran Bretagna, ad esempio), a causa dell’immensa quantità di capitali fittizi iniettati nell’economia. La disoccupazione di massa riappariva ovunque. Un periodo di profonda instabilità sociale, di rivoluzione e controrivoluzione si apriva su scala internazionale del quale gli avvenimenti del maggio 68 in Francia erano un avvisaglia: rovesciamento delle dittature in Grecia, in Spagna e nel Portogallo; scioperi di massa in tutta Europa…
Se alcuni teorici riformisti si richiamano a Keynes è perché s’immaginano che attraverso una politica interventista dello Stato, con l’obiettivo di stimolare la domanda, sarebbe possibile mettere fine alla crisi e assicurare una crescita regolare dell’economia capitalista. Ma il contesto attuale non è affatto quello del dopo guerra.

sabato 18 febbraio 2012

Aura e Shock

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Brecht e Benjamin. Dovevano creare una nuova rivista dal titolo "Krise und Kritik", ma la cosa non andò in porto.
A Brecht venivano le convulsioni, quando sentiva parlare concetto benjaminiano di aura nell'opera d'arte:
"L'aura, si suppone che sia in declino, negli ultimi tempi, insieme agli altri elementi di culto, nella vita. Benjamin l'avrebbe scoperta mentre analizzava dei film, dove l'aura si sarebbe decomposta a causa della riducibilità delle opere d'arte. Un bel carico di misticismo, sebbene il suo atteggiamento sia contro il misticismo; questo è il modo in cui viene adattata alla comprensione materialistica della storia . E' abominevole!".

Fonte: (Stefan Muller-Doom, Adorno [2005])

venerdì 17 febbraio 2012

Labirinti

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L'economista greco Yanis Varoufakis, già consigliere di Papandreu e oggi critico, su posizioni riformiste, delle politiche imposte alla Grecia, ha scritto un libro, "The global minotaur", nel quale il mito del Minotauro viene usato come metafora per descrivere il presente. Quello che segue, è tratto da The New York Time Magazine, scritto da Russell Shorto, ed è parte di un lungo articolo, "Come vivono oggi i greci".

Uno dei più grandi cumuli di pietre antiche in un paese pieno di rovine gloriose, si trova sull'isola di Creta. Viene chiamata Knossos, e stava alla Grecia di allora come la Grecia di ora sta all'Europa: è la culla della sua civiltà. Al centro della sua preistoria c'è la leggenda del re Minosse, che regnò sulle isole greche. Minosse manteneva la sua egemonia sulla Grecia richiedendo che Atene, la seconda potenza nel mondo egeo, gli mandasse un tributo, in forma di giovani uomini e donne, con cui Minosse nutriva la bestia che teneva nel suo labirinto: il Minotauro.
Abbastanza improbabilmente, un economista greco di nome Yanis Varoufakis ultimamente ha attirato l'attenzione su molti dei punti caldi della finanza globale, offrendo il mito del Minotauro come una metafora per comprendere i recenti eventi macroeconomici. Come Varoufakis scrive nel suo recente libro, "Il Minotauro globale", il mondo in cui abbiamo vissuto fino a poco tempo ha funzionato grazie al consumo vorace di un diverso tipo di bestia. Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti costruirono le infrastrutture degli alleati europei, così come quelle degli ex nemici, i quali erano tutti diventati partner commerciali. Gli Stati Uniti, con la loro grande potenza industriale e finanziaria, divennero la nazione con la maggiore eccedenza del mondo: i suoi profitti arrivavano suoi alleati sotto forma di aiuti e investimenti. All'inizio degli anni 1970, tuttavia, c'erano altri paesi che avevano economie solide, e gli Stati Uniti erano una nazione con un alto debito. "A questo punto, alcuni uomini molto brillanti, all'interno della gerarchia finanziaria americano, ebbero una straordinaria intuizione", dice Varoufakis. L'intuizione era che non importava se gli Stati Uniti avessero la più grande eccedenza o il più grande debito. Quello che contava era controllare la valuta mondiale, cosa che avrebbe permesso agli Stati Uniti di continuare a riciclare il surplus economico globale. L'idea non era diversa da quella che sta alla base di un Casinò - chiunque vinca o perda, il banco, che stabilisce le regole e prende le sue percentuali, vince sempre.
Quindi, un nuovo sistema è stato posto in essere, in cui una parte enorme dei flussi di capitale del mondo andò al servizio del debito originario degli Stati Uniti. Il Debito pubblico americano, e la necessità di nutrirlo, sarebbe il Minotauro moderno. Le agenzie di rating di Wall Street sono le ancelle del Minotauro. "Il massiccio flusso di capitali verso Wall Street ha dato lo slancio per la finanziarizzazione", sostiene Varoufakis, riferendosi alla creazione di derivati ed altri veicoli finanziari a rischio. "E così Wall Street ha creato una grande quantità di denaro privato, con il quale ha inondato il mondo creando enormi bolle, nel mercato immobiliare degli Stati Uniti ed altrove."
Quando quel sistema è crollato, nel 2008, continua Varoufakis, "allora è diventata solo una questione di tempo, che l'euro entrasse in crisi." Le grandi economie europee - in sostanza, i paesi del nord - non avevano più un posto dove vendere i propri prodotti.
E dove, in questo grande quadro, si sistema la Grecia? Parte della logica dell'eurozona spinge le economie più forti alla concessione di prestiti a quelle più deboli, cosicché possano costruire una propria infrastruttura, in modo da poter poi acquistare i prodotti provenienti dai paesi più forti - una sorta di replica di quello che gli Stati Uniti hanno fatto in Europa con il Piano Marshall. Ma mentre la Grecia ha preso i prestiti, non li ha però investito saggiamente, e il suo debito ha continuato a crescere.
Come anello più debole della zona euro, la Grecia ci dà un'immagine chiara di ciò che la crisi economica fa presagire. ( ...)
Secondo Yanis Varoufakis, il futuro - per la Grecia e per gran parte del resto del mondo occidentale, non contano i piccoli rialzi di borsa nell'economia statunitense - sarà ancora più sconvolgente. "Il Minotauro è morto, ed è questo che tiene tutto insieme. Finché non sarà inventato un nuovo sistema, saremo in subbuglio." Come prova aneddotica della situazione in Grecia, mi ha raccontato che tutti i suoi studenti, all'Università di Atene, erano alla ricerca di lavoro all'estero. Poi ha aggiunto che anche lui, presto partirà, forse per una cattedra negli Stati Uniti.

giovedì 16 febbraio 2012

quarto round

quarto round

Negli anni Quaranta l'ombra lunga di 'Cosa Nostra' si stagliava, potente, per la disperazione della Commissione Nazionale di Pugilato.
Rocky Graziano, che come LaMotta aveva forgiato la sua leggenda partendo dal riformatorio, era stata sospeso perché non essersi presentato ad un incontro, dopo che gli erano stati offerti dei soldi per non vincere. Anche Ray 'Sugar' Robinson si era rifiutato di fornire informazioni su chi aveva tentato di acquistare uno dei suoi match, per paura di essere ucciso. Alla vigilia di un combattimento contro Billy Fox, uno che non sarebbe durato un solo round contro un LaMotta in condizioni normali, la mafia bussò alla porta del 'Toro del Bronx'. Le istruzioni erano molto chiare: "perdi oggi e domani sarai campione". Quella notte del 14 Novembre 1947 LaMotta perse. Investigato dalla Commissione di Pugilato e braccato dalla stampa, negò qualsiasi sporco accordo con Frankie Carbo, un noto gangster che aveva intascato 30 mila dollari scommettendo sulla sconfitta di Jake LaMotta contro Fox. A LaMotta vennero inflitti mille dollari di multa e una sospensione di sette mesi. "Non so niente di mafiosi, anche se alcuni li conosco e li saluto quando li incontro".
Anni dopo, quando aveva guadagnato la cintura di campione del mondo, LaMotta ammise tutto davanti allo scrittore Peter Heller.
"Persi con Fox perché mi avevano promesso che mi avrebbero dato l'opportunità di combattere per il titolo. Mi avevano detto che era l'unico modo per poter diventare campione."
La mafia mantenne la parola il 16 giugno 1949, a Detroit, Michigan. Jake LaMotta salì sul ring contro Marcel Cerdan per il titolo dei medi.

mercoledì 15 febbraio 2012

Birra & Limoni

James Lind era un medico scozzese del XVIII secolo che prestava servizio nella Marina britannica. Tra il 1746 e il 1747 era a bordo della Salisbury, quando accadde quello che a quel tempo era cosa comune durante i lunghi viaggi per mare, lo scorbuto. Nessuno allora sapeva bene a cosa fosse dovuta quella malattia, e qualcuno era arrivato a pensare che fosse la mancanza di birra, a causarla!
Era il mese di  maggio del 1747, quando Lind prese la decisione di separare i malati in gruppi, e trattare ciascun gruppo in modo diverso. Si trattava di un test che veniva fatto completamente alla cieca. Lind non aveva nessuna idea circa il genere di male che voleva combattere e, ovviamente, non sapeva quale piano avrebbe potuto funzionare, e quale no. Aveva preparato diete diverse, una con aceto, una con acqua di mare, credo anche una con un po' di birra, se ce n'era a bordo, e ad alcuni pazienti vennero somministrati arance e limoni nella loro dieta. In pochi giorni, si rese conto che i marinai che avevano mangiato gli agrumi miglioravano sensibilmente, e si accorse che quelli che si aggravavano e morivano facevano parte del gruppo che mangiava meno frutta.
Gli ci vollero anni, alla Marina e alla comunità medica, per riconoscere la saggezza di Lind. E solo successivamente, si cominciò a rifornire le navi con una buona provvista di agrumi, di modo che i marinai potessero evitare lo scorbuto, grazie alla vitamina C che quella frutta fornisce all'organismo.
Ma tornando alla birra, c'è una possibilità per giustificare il motivo per cui pensavano che la mancanza di birra potesse causare la malattia, ed attiene al fatto che la birra e la frutta caricate sulle navi, si esaurivano più nello stesso periodo del viaggio. Così, quando appariva lo scorbuto, i marinai avevano smesso di bere birra, ma anche di consumare frutta.

fonte: http://curistoria.blogspot.com

martedì 14 febbraio 2012

Brancolando …

barberia

La Grecia sta perdendo posti di lavoro al ritmo di 5mila al giorno. (Sky News, 10 Feb.2012). Che la Grecia si stia squagliando, è probabilmente la frase che rende meglio l'idea di quel che sta succedendo.
Su "Le Monde" del 10 Febbraio 2012, c'è un articolo intitolato "Vivere la decrescita (Come vivere la decadenza, o come vivere la stagnazione) a firma di Olivier Razemon ed Alain Sailles. I due giornalisti sono andati ad Atene e si sono imbattuti in un gruppo che aveva istituito una "banca del tempo" (trapeza chrónou). La cosa funziona in questo modo: le persone lavorano una certa quantità di ore ed in cambio ottengono alcuni servizi. Alcune persone hanno creato un mercato di abiti usati... Altri stanno lavorando a dei pannelli solari, al fine di ottenere energia elettrica gratuita ... Alcuni coltivano pomodori, spinaci, timo, alloro, insomma, tutti i tipi di frutta e verdura ... che possono essere scambiati con le ore della banca di tempo. I due giornalisti si pongono una domanda: "è stato avviato un grande dibattito; se dobbiamo scambiare prodotti per servizi. Se sì, Allora il punto è: come si definisce il valore di questo prodotto?".
E' una buona domanda. Perché, come ha dichiarato un amico dell'autore di questo pezzo: "Si stanno muovendo all'interno dell'universo mentale di questo sistema". La piovra capitalista ha molte braccia, ed è capace di riprendere e sfruttare le idee mezzo cotte che gli arrivano.Molte persone, in Gran Bretagna e in Canada, hanno già provato "sistemi alternativi" come i Letsystems.
Non andranno molto lontano ...
Alla fine del articolo su Le Monde, si parla di un tizio di nome Georges; egli sta dentro l'alternativa, ma per quanto tempo? Ha detto: "Ho avuto modo di conoscere questo progetto su Internet. Il sistema basato sul denaro non è buono. Anche coloro che l'hanno concepito non lo capiscono più. Dobbiamo trovare nuovi modi. Ci stavo pensando mentre leggevo "La Repubblica di Platone". Questo lettore di Platone è militare, nella marina. "Su una nave c'è tutto il tempo di riflettere", aggiunge ridendo. E' sbarcato ad Exarchia, il porto degli anarchici, per rifare ... la Repubblica!

NB: Recentemente l'ancora-maoista-nel-2012, Alain Badiou, ha riscritto la Repubblica di Platone. Solo un pazzo come Badiou poteva tentare un simile esperimento. Il suo libro è un vero e proprio fermaporta di 600 pagine. Forse l'unico uso che il tomo rimedierà!

Fonte: Scritto da Un Amico di Eraclito, l'11 febbraio 2012, in un luogo non troppo lontano dalla libreria Elefteros Typos, in Atene.

Terzo round

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Nonostante i suoi epici scontri con Robinson e le vittorie tremende contro Bell, Lester o Janiro, la seconda moglie di LaMotta dichiarò che il marito era un tipo elegante, e lui la premio con un manrovesci che le sfigurò il volto. Jake LaMotta viveva all'inferno. Ad ogni incontro, era come se ci lasciasse la pelle, era il favorito del pubblico e sul ring mostrava un atteggiamento proprio di un kamikaze. Però non gli veniva data l'opportunità di combattere per il titolo. Il giornalismo di New York lo aveva soprannominato "il campione senza corona", e dire che il solo Robinson si era dimostrato capace di affrontarlo con successo! Angelo Dundee, allenatore di Muhammad Ali, diceva che LaMotta era "un guerriero, qualcuno con una determinazione spaventosa. Sapeva come vincere e sapeva come ottenere dal pubblico tutto quello che voleva. Era un pericolo pubblico! ".
E nessuno voleva che un pericolo pubblico diventasse campione del mondo. LaMotta fu uno dei pochi pugili a non avere manager ("Non mi fido di nessuno"), per quanto ascoltasse i consigli del fratello e dell'allenatore Al Silvani. Si rifiutò sempre di andare da coloro che potevano dargli la possibilità di diventare campione. La mafia.

lunedì 13 febbraio 2012

Un piatto di lenticchie

camusso

Quello che il padrone vuole, è che l'operaio abbia paura di perdere il posto di lavoro. Così - ricordo - argomentava un mio vecchio amico, Rolando, pasticciere in pensione. E i pasticcieri posseggono quella sapienza che proviene loro dal saper aggiungere, ai dolci, il sale. Ché il sale è sapienza! I sindacalisti, invece, che di sale non ne fanno un grande uso, masticano la paura, che traspare fin dalle loro facce, di dover, un giorno, tornare a lavorare. Per poi, magari, ritrovarsi nella situazione, deprecabile, di farsi rappresentare da un ... sindacalista. Non sia mai! E per far sì che questo non avvenga - che poi toccherebbe anche a loro aver paura di perdere il posto di lavoro - allora, tocca vendere al padrone quel che gli serve, ed in cambio potrà restare, il sindacalista, a rappresentare l'operaio, e la sua paura di perdere il posto di lavoro. Non è che questa sia propriamente una novità! Lungi da me, voler rappresentare un'età dell'oro - ché i vecchi bei tempi non ci sono mai stati, lo so bene - in cui sindacalisti ed operai senza macchia e senza paura cavalcavano verso il tramonto dorato. Di vendite se n'è fatte, da Di Vittorio a Lama, a Trentin, e ciascuno vendeva - chi nel suo grande, chi nel suo piccolo - per quel che poteva, o che doveva. Vendevano in piccolo, dapprima - c'è da dire. Una vertenza, qualche licenziamento, robetta, insomma. Certo, qualcuno si sdegnava anche per questi mercatucci, e se ne andava. Dimissioni da segretari di fiom di provincia, sorrisi amari e disillusioni. Così va la vita. Ma adesso, siamo in epoca globale, e le vendite si fanno all'ingrosso. Tutto in blocco. Prima si son venduti i quarant'anni di anzianità, preventivamente, vabbé, facendo finta di dire no dopo aver minacciato fuoco e fiamme, ché già si eran messi d'accordo prima, e le tre ore di sciopero magari gli son state suggerite, consigliate, ché poteva sembrare troppo brutto chinare la testa e via: operazioni di marketing. Adesso siamo arrivati all'ultimo scoglio, l'art.18. Prima di venderselo, hanno pensato bene di quantificarlo in 200 punti di spread (la nuova moneta). E chi poteva essere miglior venditore di Susanna Camusso? Un pedigree di tutto rispetto, la tipa. Già compagna di partito di Brunetta, poi cacciata perfino dalla fiom, nel 1996, perché, a quanto pare, vendeva troppo perfino lì. E si era venduto il lavoro notturno delle donne in fiat! E' tutto dire, basta guardarla, come si è ridotta. E a cinquant'anni - per dirla con Orwell - un uomo, ma anche una donna, ha la faccia (e anche il resto) che si merita, figuriamoci a sessanta!  

Fuoco Greco

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«La scelta non è tra i sacrifici e non fare sacrifici, ma tra i sacrifici e qualcosa di inimmaginabile», così ieri ha chiosato Venizelos, ministro greco delle finanze. Ed è vero. E' proprio questa la scelta, da fare. La scelta che ieri, in Grecia, forse, si è cominciato a fare. Scegliere qualcosa di inimmaginabile. Immaginare l'inimmaginabile. Commissariati di polizia ed armerie assaltate. Una fune tesa attraverso la strada che consegna ai manifestanti un reparto di motociclisti della non più temuta polizia Delta. Qualcosa di inimmaginabile, in faccia a chi riesce ad immaginare solo fame e miseria, tagli allo stato sociale e indigenza, sfruttamento e schiavitù. Ad Atene, il sindacato che poche settimane fa si era schierato contro i manifestanti a difesa del parlamento, non è riuscito nemmeno a raggiungere la piazza. Sì, è proprio qualcosa di inimmaginabile. Era inimmaginabile, qualche millennio fa, quel che poi in Grecia è cominciato. Non so se tutto questo sia qualcosa che sta finendo o sia qualcosa che sta cominciando. So che è qualcosa. Ed è inimmaginabile.

domenica 12 febbraio 2012

ebrei

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Il Sionismo, l'antisemitismo e la sinistra
Intervista con Moishe Postone
di Martin Thomas
(Pubblicato in Solidarietà, No. 166, febbraio 2010)

Moishe Postone è uno storico e un teorico marxista che insegna presso l'Università di Chicago. Oltre al suo abbondante lavoro sull'economia politica marxista ("Temps, travail et domination sociale. Une réinterprétation de la théorie critique de Marx"), ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo delle teorie sull'esistenza di una "sinistra antisemita", dove s'interroga sul modo in cui le posizioni assunte da alcune fazioni della sinistra, soprattutto per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, possono alimentare (o fondarsi su) un'ostilità contro gli ebrei.

D: Oggigiorno, agli occhi di molte persone della sinistra, l'antisemitismo appare semplicemente come un'ulteriore forma di razzismo, certamente inaccettabile ma attualmente piuttosto marginale e che non è riportato apertamente nel dibattito pubblico, in quanto il governo israeliano ha utilizzato l'accusa di antisemitismo per sviare le critiche contro di esso. Al contrario, lei sostiene che l'antisemitismo si differenzia chiaramente dalle altre forme di razzismo e non è affatto marginale oggi. Perché?

R: E' esatto che il governo israeliano si serve dell'accusa di antisemitismo come di uno scudo per proteggersi dalle critiche. Ma questo non vuol dire che l'antisemitismo non sia un problema serio.
Ciò che distingue l'antisemitismo del razzismo (dal quale va distinto) ha a che fare con il tipo di potere immaginario che viene attribuito agli ebrei, al sionismo e ad Israele, e costituisce il nocciolo dell'antisemitismo. Gli ebrei sono visti come formanti un'entità astratta, universale, sfuggente ed immensamente potente che domina il mondo. Non si trova alcun equivalente alla base di qualsiasi altra forma di razzismo. Il razzismo, per quanto ne so, raramente genera un sistema che dovrebbe spiegare il mondo. L'antisemitismo è una forma primitiva di critica del mondo così com'è, vale a dire della modernità capitalistica. Se vi scorgo un grande pericolo per la sinistra, è proprio perché l'antisemitismo possiede una dimensione pseudo-emancipatrice, che raramente hanno le altre forme di razzismo.

D: In che misura pensi che l'antisemitismo contemporaneo sia legato all'atteggiamento di Israele? Si ha l'impressione che le posizioni di una certa sinistra, per quanto concerne lo Stato ebraico, abbiano dei sottintesi anti-semiti. Per esempio, tutto quello che consiste non solo nel fare delle critiche e reclamare dei cambiamenti nella politica fatta dal governo israeliano contro i palestinesi, ma nel volere l'abolizione di Israele in quanto tale, vale a dire un mondo dove tutte le nazioni avrebbero il diritto di esistere, tranne Israele. Da questa prospettiva, essere ebrei, sentire di condividere qualcosa di simile ad un'identità comune con gli altri ebrei e, di conseguenza, forse anche con gli ebrei israeliani, equivale ad essere "sionista" ed è considerato abominevole quanto essere razzista.

R: Ci sono molte sfumature, e molte distinzioni da fare, in quello che hai appena detto. Nell'antisemitismo contemporaneo, si vede all'opera una sorta di convergenza estremamente dannosa di tutti i tipi di correnti storiche. In primo luogo, le origini dell'antisionismo (che non è necessariamente antisemita) affondano le loro radici negli scontri tra i membri dell'intellighenzia ebraica nell'Europa orientale, all'inizio del ventesimo secolo. La maggior parte degli intellettuali ebrei (ivi compresi intellettuali laici) sentiva una certa identità comune, e la viveva come parte integrante della propria ebraicità. Questa identità si definì sempre più come nazionale a causa del fallimento delle forme più antiche di comunità, vale a dire, nella misura in cui i vecchi imperi degli
Asburgo, dei Romanov, di Prussia, ecc. collassavano. Gli ebrei dell'Europa orientale, a differenza di quelli dell'Europa occidentale, si pensavano principalmente come una comunità, non semplicemente come una religione. Questo sentimento nazionale ebraico prende in prestito varie forme. Il sionismo è una di queste forme. Ci sono stati altri, in particolare rappresentati dai fautori di una cultura ebraica autonoma, oppure dal Bund, il movimento operaio indipendente formato dai socialisti ebrei, che aveva un maggior numero di membri rispetto a qualsiasi altro movimento e che proveniva da una scissione del partito socialdemocratico russo avvenuta nei primi anni anni del XX secolo.
Da un'altra lato, c'erano degli ebrei, fra cui un gran numero che arriva ai diversi partiti comunisti, per i quali ogni espressione identitaria ebraica era un insulto a quello che chiamerei la loro visione astratta di umanità, ispirata all'illuminismo. Trotsky, per esempio, in gioventù, ha descritto i membri del Bund  come dei "sionisti vittime del mal di mare". Si noti che la critica del sionismo non poteva allora riferirsi alla Palestina o alla situazione dei palestinesi, ed il Bund era solo interessato alla questione dell'autonomia dall'impero russo e, alla fine, ha rifiutato il sionismo. Pertanto, l'equazione posta da Trotsky tra il Bund e il sionismo si basava su un rifiuto di qualsiasi forma di comunitarismo ebraico. Trotsky, credo, in seguito ha cambiato il suo punto di vista, ma questo atteggiamento, nondimeno, è affatto caratteristico del tempo. Le organizzazioni comuniste tendevano ad opporsi con fermezza ad ogni nazionalismo ebraico sotto qualsiasi forma: culturale, politica o sionista. Questa è una delle forme di antisionismo. E non è necessariamente antisemita, ma rifiuta, in nome di un universalismo astratto, ogni idea di comunità ebraica. Questa forma di antisionismo, tuttavia, è spesso incoerente: sostiene che tutti i popoli devono godere dell'autodeterminazione nazionale, tranne gli ebrei. E' a questo punto che quello che risulta come astrattamente universalistico diventa ideologico. Inoltre, il significato stesso di questo universalismo astratto, può variare a seconda del contesto storico. Dopo l'Olocausto e la fondazione dello Stato ebraico, questo universalismo astratto è stato utilizzato per far cadere nel dimenticatoio la storia degli ebrei in Europa, attuando una duplice funzione molto opportuna di "purificazione" storica: la violenza perpetrata nel corso della storia, da parte degli europei, nei confronti degli ebrei viene cancellata e, allo stesso tempo, si comincia ora a mettere sulle spalle degli ebrei tutti gli orrori del colonialismo europeo. In questo caso, l'universalismo astratto, che rivendicano numerosi antisionisti, diventa ora un'ideologia di legittimazione che permette di porre in essere una sorta di amnesia sulla lunga storia degli atti, delle politiche europea e della propaganda europea contro gli ebrei - e di continuare a livello globale nella stessa direzione. Gli ebrei sono ancora una volta l'unico oggetto di indignazione per l'Europa. La solidarietà che molti ebrei provano riguardo ad altri ebrei, quando siano essi israeliani (solidarietà resa comprendibile dall'Olocausto), viene ora screditata. Questa forma di antisionismo costituisce oggi la base di un programma volto ad eradicare concretamente l'attuale autonomia statale ebraica. In tale antisionismo si ritrovano alcune forme di nazionalismo arabo, che si vedono oggi considerate molto progressiste.
Un'altra varietà di antisionismo di sinistra, questa volta profondamente antisemita, venne introdotto da parte dell'Unione Sovietica, in particolare attraverso i processi farsa in Europa orientale, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ciò è particolarmente evidente nel caso del processo Slánský, allorquando la maggior parte dei membri del Comitato Centrale del Partito Comunista della Cecoslovacchia vennero processati e condannati a morte. Tutte le accuse mosse contro di loro sono tipiche dell'antisemitismo: erano senza legami, erano cosmopoliti, ed avevano preso parte ad una vasta cospirazione mondiale. Nella misura in cui i sovietici non potevano permettersi l'utilizzo del solito vocabolario antisemita, avevano cominciato a dare alla parola  "sionismo" esattamente lo stesso senso che gli davano gli antisemiti. I dirigenti del partito comunista
cecoslovacco, che non aveva alcuna connessione con il sionismo (la maggior parte erano veterani della Guerra Civile Spagnola), vennero giustiziati in quanto sionisti. Questa varietà antisemita di antisionismo è arrivata in Medio Oriente durante la Guerra Fredda, per mezzo dei servizi segreti di paesi come la DDR. E' stato quindi introdotto, così, in Medio Oriente una forma di antisemitismo considerato "legittimo" da parte della sinistra, e rivestito del nome di antisionismo. Le sue origini non hanno niente a che fare con l'installazione israeliana. Naturalmente, la popolazione araba della Palestina ha reagito negativamente all'immigrazione ebraica e si è opposta. Questo è del tutto comprensibile e, in sé, non ha nulla di antisemita. Ma, improvvisamente, le due varietà di antisionismo si sono storicamente riunite.
Per quanto riguarda la terza forma di antisionismo di sinistra, si è verificato un ribaltamento, nell'ultimo decennio, in particolare all'interno del movimento palestinese, per quel che concerne l'esistenza di Israele. Per anni, la maggior parte delle organizzazioni palestinesi hanno rifiutato di accettare questa esistenza. Improvvisamente, nel 1988, l'Olp ha deciso di riconsiderare questo rifiuto. La seconda intifada, che ha avuto inizio nel 2000, politicamente molto diversa dalla prima, segna un rovesciamento della decisione dell'Olp. Questo è stato, a mio parere, un grave errore politico, e trovo sorprendente e deplorevole che la sinistra si sia fatta coinvolgere al punto di reclamare, anch'essa, sempre più, l'abolizione di Israele. Qualunque cosa si può dire, ora ci sono in Medio Oriente, quasi tanti ebrei quanto palestinesi. Tutte le strategie politiche fondate su delle somiglianze con la situazione in Algeria, o in Sud Africa, sono chiaramente votate al fallimento, e questo per ragioni sia storico-politiche che demografiche.
Come è possibile che la gente non capisca la situazione come è oggi e non si sforzi, invece, di vedere se è possibile risolvere ciò che è essenzialmente un conflitto nazionale, che può quindi cedere il passo a una politica progressista?
Sussumere questo conflitto sotto la categoria del colonialismo, significa fraintendere la situazione.
Contrariamente a quanti fanno passare in secondo piano la questione del progresso sociale, rispetto alle questioni nazionali, penso che fintanto che ci si concentra sull'esistenza stessa degli stati di Israele e della Palestina, le lotte progressiste continueranno ad essere in stallo. Non si dovrebbe fare confusione: la lotta contro l'esistenza di Israele è una battaglia reazionaria, non una battaglia progressista.
In questi ultimi dieci anni, abbiamo assistito ad una campagna concertata, avviata da alcuni Palestinesi e ripresa in Occidente dalla sinistra, volta a rimettere l'esistenza dello Stato ebraico sul tavolo dei negoziati. Cosa che, tra gli altri risultati, ha portato al rafforzamento della destra israeliana. Tra il 1967 e il 2000, la sinistra israeliana ha continuato a sostenere che ciò che i palestinesi volevano era l'auto-determinazione, e che l'idea secondo la quale volessero in realtà sradicare Israele era una fantasia inventata dalla destra. Sfortunatamente,
nel 2000, è emerso che questa fantasia non era affatto una fantasia, e questo ha notevolmente rafforzato il sostegno popolare alla destra, nei suoi sforzi per impedire la creazione di uno Stato Palestinese. La destra israeliana e la destra palestinese si rafforzano a vicenda, fintanto che, d'altra parte, la sinistra occidentale sostiene quella che ai miei occhi costituisce la destra palestinese: gli ultra-nazionalisti e gli islamisti.
Questa idea che ogni nazione avrebbe diritto all'autodeterminazione, ad eccezione degli ebrei, è un retaggio dell'ex Unione Sovietica. Per convincersene, basta leggere Stalin sulla questione delle nazionalità.

D: Un altro aspetto curioso dell'attuale atteggiamento di una certa sinistra rispetto allo Stato ebraico: si proietta su di esso una misteriosa e formidabile potenza. Per esempio, molte persone affermano, come un'evidenza, che Israele è il potere dominante nel Medio Oriente, o ancora che ha un enorme potere di influenzare le élite dirigenziali americane e britanniche.

R: Israele è lontana dall'essere così potente come si dice. Eppure ci sono persone come i miei attuali ed ex colleghi dell'Università di Chicago, John Mearsheimer e Stephen Walt, con il forte sostegno di alcuni ambienti del Regno Unito, che pretendono che l'unico pilota delle strategie per le politiche americane in Medio Oriente sia Israele, attraverso la lobby ebraica. Tale accusa gratuita, viene lanciata, sicuramente, senza nemmeno prendersi la briga di analizzare seriamente la politica americana in Medio Oriente dal 1945, che non si riesce a capire in che modo possa essere controllata da Israele. Così, per esempio, ignorano completamente la politica americana verso l'Iran a partire dal 1975. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i veri pilastri della strategia degli Stati Uniti in Medio Oriente sono l'Arabia Saudita e l'Iran. Questo è cambiato nel corso dei decenni, ed ora, gli americani, non sanno più cosa fare lì e come mettere in sicurezza il Golfo, a loro vantaggio. Nonostante questo, abbiamo un libro scritto da due eminenti studiosi che, senza aver dietro alcuna analisi seria della politica della superpotenza in Medio Oriente, nel corso del XX secolo, si permettono di affermare che la strategia degli Stati Uniti è stata dettata principalmente dalla lobby ebraica.
Ho dimostrato altrove che questo tipo di ragionamento è rivelatore di antisemitismo. Non ha niente a che fare con l'atteggiamento o con le convinzioni personali degli individui in causa; semplicemente, questa sorta di immenso potere di proporzioni planetarie che viene attribuito agli ebrei (all'occorrenza, quello di manipolare lo zio Sam, questo gigante buono dalla mente un po' lenta) è tipico del pensiero antisemita moderno.
Più in generale, questo punto di vista ideologico è quello che io chiamo una forma feticizzata di anticapitalismo. Vale a dire che il misterioso potere del capitale (intangibile, globale, che sballotta i paesi, le regioni e le vite delle persone) viene attribuito agli ebrei. La dominazione astratta del capitalismo si incarna negli ebrei. L'antisemita, nella sua rivolta contro il capitale globalizzato, confonde questo con gli ebrei. Questo approccio potrebbe anche aiutarci a comprendere le ragioni della diffusione dell'antisemitismo in Medio Oriente, da venti anni a questa parte. Non credo che la sofferenza dei palestinesi possa, da sola, costituire una spiegazione soddisfacente. Economicamente parlando, il Medio Oriente ha subito un declino vertiginoso, a partire dagli anni 70. Solo l'Africa sub-sahariana è andata meno bene. E questo declino si è verificato in un momento in cui altri paesi o regioni, che venivano considerati come facenti parte del terzo mondo fino a cinquanta anni fa, sono adesso in rapido sviluppo. Penso che l'antisemitismo in Medio Oriente, oggi, si riferisca non solo al conflitto Israele-Palestina, ma anche ad un forte sentimento generalizzato di impotenza, associato con questi sviluppi planetari.
Un secolo fa, la destra tedesca ha considerato il dominio mondiale del capitale come prodotto degli ebrei e della Gran Bretagna, ed ora la sinistra lo vede come il predominio di Israele e degli Stati Uniti. Lo schema di pensiero è il medesimo. L'Antisemitismo con cui abbiamo a che fare oggi si presenta sotto le forme del progressismo e dell' "anticapitalismo"; ecco il pericolo reale per la sinistra. Il razzismo in quanto tale raramente rappresenta un pericolo per la sinistra. Essa deve certamente fare attenzione a non essere razzista, ma questo è ben lungi dall'essere una tentazione permanente, anche perché il razzismo non ha la dimensione falsamente emancipatrice che assume l'antisemitismo.

D: L'identificazione del potere mondiale capitalista con gli ebrei e con la Gran Bretagna risale, ancor prima dei nazisti, a certe frazioni della sinistra britannica al tempo della guerra dei Boeri (che venne chiamata "guerra ebraica") e al movimento populista americano della fine del XIX secolo.

R: Sì, e sta ritornando negli Stati Uniti, oggi. Le reazioni del Tea Party o dei movimenti conservatori locali sulla crisi finanziaria hanno accenti chiaramente antisemiti.

D: Tu affermi che l'Unione Sovietica ed i regimi dello stesso tipo non erano forme di emancipazione dal capitalismo, ma piuttosto delle forme capitaliste basate sul ruolo centrale dello Stato. Ne consegue che il metodo classico della sinistra che consisteva nel prendere, contro gli Stati Uniti, le parti dell'URSS - a volte con veemenza - è stato suicida. Tu hai disegnato un parallelo tra due tipi di anti-imperialismo: quello che ha avuto luogo durante la guerra fredda e quello che conosciamo oggi, che si schiera dalla parte dell'islam politico perché vi ha visto un contro-potere riguardo agli Stati Uniti. Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche comuni a queste due polarizzazioni politiche? E quali sono le differenze?

R: Le differenze risiedono nel fatto che la vecchia forma di anti-americanismo era collegata al sostegno alle rivoluzioni comuniste in Vietnam, a Cuba, ecc. Qualunque che fosse l'opinione che si poteva avere all'epoca, o adesso col senno di poi, l'anti-americanismo di allora era pensato come finalizzato ad un progetto di emancipazione. Se gli Stati Uniti erano oggetto di critiche pesanti, non era solo perché fossero gli Stati Uniti, una grande potenza, ecc.; era anche perché ostacolavano l'emergere di un ordine sociale più progressista. Era in tal modo che molte persone solidali col Vietnam o con Cuba assumevano la propria posizione.
Oggi, dubito fortemente che le persone che gridano "Solidarietà con Hezbollah" oppure "Noi siamo tutti di Hamas" potrebbero arrivare ad affermare che questi movimenti siano portatori di un ordine sociale emancipatore. Nella migliore delle ipotesi, vi è una reificazione orientalizzante degli arabi e / o dei musulmani visti come l'Altro, reificazione attraverso la quale l'Altro, questa volta, è stimato positivamente. Anche questo è un segno dell'impotenza storica della sinistra: si rivela incapace di produrre una visione di ciò a cui un futuro post-capitalista potrebbe assomigliare. Non avendo alcuna visione del postcapitalismo, molti si accontentano del concetto reificato di "resistenza",  come se fosse un progetto di trasformazione. Chiunque "resiste", chiunque si alza in piedi contro gli Stati Uniti riceve la benedizione della sinistra. Questo mi sembra un modo di vedere le cose, quanto meno discutibile.
Anche durante il periodo precedente, quando prevale la solidarietà con il Vietnam, Cuba, ecc., credo che la divisione del pianeta in due campi abbia avuto degli effetti del tutto negativi sulla sinistra. Troppo spesso si è trovata ad offrire un'immagine riflessa inversa al nazionalismo occidentale. Un gran numero di persone di sinistra si comportava come i nazionalisti dell'altro lato. La maggior parte (anche se c'erano delle eccezioni di tutto rispetto) faceva chiaramente apologia di tutto quello che succedeva nei paesi comunisti. Il loro sguardo critico aveva perso qualsiasi acutezza. Invece di creare una forma di internazionalismo che fosse in grado di analizzare criticamente tutti i rapporti interstatali, la sinistra ha cominciato a sostenere, puramente e semplicemente, uno dei due campi. Ciò ha avuto effetti disastrosi sulla sua capacità di portare ad avere uno sguardo critico, e non solo nei confronti dei regimi comunisti. Che Michel Foucault sia andato in Iran ed abbia visto nella
rivoluzione dei mullah una dimensione progressista, confina con l'assurdo.
Una delle circostanze che ha reso la visione bipolare così attraente, è stato il fatto che i comunisti occidentali erano di solito persone molto progressiste (e spesso molto coraggiose), che si sforzavano veramente, con le loro idee, di creare una società più umana e, perché no, socialista. Sono state, sicuramente, completamente strumentali, ma di questo, a causa delle doppia faccia del comunismo, le persone hanno avuto difficoltà a rendersene conto. E dalle fila dei socialdemocratici che si opposero a questi comunisti lì, in quanto avevano capito il modo in cui erano stati manipolati, sono divenuti gli ideologi liberali della guerra fredda.
Non credo che la sinistra abbia fatto bene allora a porsi contemporaneamente su entrambi i lati di questo divario.
Ma sembra che oggi si trovi ora in una situazione peggiore.

venerdì 10 febbraio 2012

Zebre

Navezebrata

Fu durante la prima guerra mondiale che si cominciò a camuffare le navi, in modo che non fossero facilmente distinguibili in mare. La cosa ottenne il suo scopo, ma solo a patto che il nemico fosse una nave convenzionale, perché dal momento che i primi sottomarini riuscivano a vedere chiaramente l'orizzonte, individuando facilmente le navi e rendendo inutile il camuffamento.
Per impedire ciò a questo nuovo nemico, il sottomarino, si decise di dipingere le navi in modo strano. Dal momento che non si potevano nascondere alla vista, si cercò almeno di rendere l'obiettivo meno facile da affondare. Si dipingevano le navi con motivi così stravaganti da creare un'illusione ottica che impedisse al nemico di tracciare in modo accurato la rotta della nave. Nel 1917, si progettò di ridipingere l'intera flotta mercantile della marina, e parte della flotta militare.
I disegni vennero creati dalla Royal Academy di Londra, sotto la supervisione di Norman Wilkinson, che aveva partorito l'idea. I disegni, fatti di blocchi e linee di colore, a volte includevano anche i ponti e le ancore. Si dipingeva la nave in modo che la visione della stessa distorcesse la realtà e confondesse le mosse del nemico, impedendogli di determinare con precisione la velocità e la rotta della nave così mimetizzata. La stessa cosa che ottiene, a quanto pare, la zebra, con le sue strisce bianche e nere, quando fugge alla caccia di un predatore.

Fonte: La prima guerra mondiale (Illustrata. I luoghi e la storia) di H. P. Willmott

giovedì 9 febbraio 2012

secondo round

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"Il dolore non significava niente per me. Andavo dal dentista senza anestesia. Mi sedevo lì e mi dicevo 'nessun dolore, nessun dolore.' E non lo sentivo". LaMotta non conosceva il dolore, ma non riuscì a entrare nella "top" dei migliori combattenti del paese. Ci voleva qualcosa di più. Poi sul suo cammino incocciò Ray "Sugar" Robinson, il miglior pugile mai esistito. Il 2 ottobre 1942, al Madison Square Garden, "Sugar" lo sconfisse ma ai punti, LaMotta finì l'incontro in piedi. Dopo l'ultimo round, lanciò la sua sfida. "La prossima volta sarò io, a ridere in faccia a Robinson". Cinque mesi dopo, il 5 febbraio 1943, a Detroit, LaMotta mantenne la promessa. Robinson, intimidito fin dal primo tocco di campana, venne braccato, come una bestia, per tutto il ring. Bloccato, incapace di imporre la propria velocità, riusciva a malapena a contenere la rabbia che lo sbatteva contro le corde, in un attacco suicida. All'ottavo round, Robinson cadde, a piombo, per la prima volta nella sua carriera. Si rialzò, in tempo per sentire la conta fermarsi al "nove", ma alla fine dell'incontro aveva perso la sua imbattibilità.
La rivalità tra LaMotta, bianco e incassatore, e Robinson, nero e stilista raffinato, aveva raggiunto il suo apice. Dopo i due incontri, a New York e Detroit, per un po' decisero di evitarsi, entrambi volevano misurare di nuovo le proprie forze. Poi, il 23 febbraio 1945, al Madison, casa di LaMotta, "Sugar" si impose di nuovo, ai punti, sulla lunghezza di dieci round; e ancora, a Comiskey Park, Chicago, nel settembre del 1945, Robinson confermò di essere ancora il migliore della sua categoria, tornando ad imporsi su LaMotta, dopo che questi aveva eliminato George Kochan solo sette giorni prima. Robinson sapeva di essere un pugile migliore di LaMotta, dominava gli incontri e sapeva imporre il suo stile di boxe. Però, in ciascuno degli scontri col "Toro del Bronx", si era imposto ai punti, senza essere in grado di mettere ko un uomo che, quanti più cazzotti prendeva, tanto più si ingigantiva. Robinson si rese conto della forza soprannaturale del suo avversario e, dopo il quarto combattimento, dichiarò davanti alla stampa, con una certa rassegnazione cristiana: "Quello che posso dire di lui? Lo colpisco con tutto e lui se ne resta lì, senza fare una piega. Che tipo!".
LaMotta, che combatté per ben sei volte contro "Sugar", lo ha definito con precisione: "E' stato il miglior pugile di tutti i tempi. Ho combattuto così tante volte contro "Sugar" Ray che non so com'è che non ho il diabete".

mercoledì 8 febbraio 2012

cani da guardia

Moral

Valori contro il valore? Il fallimento prevedibile della moralizzazione
di J.Verraes


L'illusione per cui ci sarebbe libero arbitrio, nel processo di modellare il mondo secondo l'economia di mercato, persiste presso tutte le correnti di destra e di sinistra, e presso tutti coloro che denunciano gli eccessi di questo mondo, ma senza mai riferirsi al loro carattere oggettivo.
Come se si potesse avere Politica all'interno del capitalismo!
Ci si richiama così, eternamente, ad una "migliore distribuzione della ricchezza", ad una "trasparenza" del potere e, soprattutto, alla "moralizzazione del capitalismo finanziario", sempre tenendo presente che "l'economia di mercato è naturale come l'aria che respiriamo."
Ma la rivendicazione moralista non si ferma al mondo della finanza, tanto demonizzato nella sfera politica. Non serve essere dei preti, per "indignarsi" di fronte ad una vera e propria forma di decadenza morale che interessa tutte le dimensioni dell'esistenza. Quando un imprenditore vende dei falsi prodotti biologici, o delle protesi mammarie non omologate o dei farmaci contaminati, quando un altro produce un film porno ed un altro prosciuga un lago in Cina, possiamo essere sicuri che avevano un'assicurazione e la buona coscienza moderna sintetizzata dal motto che "ciò che vende è buono, ciò che è buono si vende". E quando non viene giustificato da uno pseudo-realismo e dal "senso comune" degli esperti, allora la cosa avviene col senno di poi, e questo tipo di affari si rivela uno scandalo solo dopo che la torre è caduta.
Gli esempi recenti della "Primavera araba" mostrano bene la distanza che esiste tra le ambizioni e le possibilità di azione nel campo della morale. I regimi autoritari, prima del 14 gennaio 2011, avevano la pretesa di essere gli eredi dei movimenti di liberazione anti-coloniale, che continuavano il processo di modernizzazione e adeguamento cui avevano dato inizio gli stessi coloni. Avevano recuperato positivamente i concetti progressisti dell'Illuminismo, accompagnando la creazione del moderno sistema di produzione e distribuzione delle merci così come veniva già praticato in Europa e negli Stati Uniti. Dopo aver abbandonato il potere militare, gli ex coloni avevano mantenuto la relazione di interdipendenza a colpi di contratti sulle materie prime, o attraverso l'invio di un numero crescente di turisti. In cambio, le ex colonie rispettavano le due condizioni indispensabili ad una buona circolazione di valore: la repressione del fondamentalismo e il controllo dell'emigrazione, con tutti i mezzi. Il doppio sviluppo capitalistico, materiale ed ideale, si affermava come è avvenuto in Europa, ma su un terreno molto meno dissodato in termini di ideologia. Ciò ha avuto per conseguenza la valorizzazione del campo religioso, come una forma di resistenza alla dominazione straniera. Non rimaneva più, a questa tendenza, che di trovare un'organizzazione e dei leader politici per diventare ciò che si chiama sotto i nomi di "Ennahda" in Tunisia o  di "Fratelli Musulmani" in Egitto. Queste organizzazioni clandestine, prima della "primavera araba", diventando delle autorità sul piano politico, sono come dei folli guardiani contro la decadenza insita nella modernità proveniente dall'esterno. Si battono in nome dell'Islam e di un'identità musulmana, ispirati da uno soffio divino nella lotta contro la perversione dei valori. Questi nuovi cani da guardia della morale immaginano di perseguire il loro obiettivo senza curarsi della "realtà del mercato". Quando le esigenze dell'economia tunisina o egiziana si faranno sentire, quale leader oserà mettere un freno allo "sviluppo" del paese, a rischio di perdere la sua credibilità?
Proprio come l'ecologia dev'essere criticata in quanto critica parziale che non tiene conto delle dinamiche reali del capitalismo, l'ideologia moralista non ha alcun avvenire, che non sia quello dell'oscurantismo, senza che sappia indicare le vere ragioni del crollo. il mondo della merce non risponde che ai suoi propri bisogni, e non ha altro limite che quello imposto dalla concreta realtà. Dal momento che il processo di valorizzazione può essere fatto, allora si farà, avendo cura di passare tutti i confini, che siano naturali, ideologici o morali. Davanti al rullo compressore ideologico e materiale, nessun buon sentimento può fare nulla senza la critica più profonda delle categorie fondamentali capitaliste, che sono il lavoro,la merce, il denaro e lo Stato.

- J.Verraes -

fonte: http://palim-psao.over-blog.fr