giovedì 30 settembre 2021

Regioni Inferiori

In un suo libro del 1984, "L'anello di Clarisse" (in cui parla del nichilismo nella letteratura moderna), Claudio Magris commenta autori come Ibsen, Franz Blei, Walser, Rilke, Svevo ed Elias Canetti. Parlando di Robert Walser, Magris parla delle «regioni inferiori» che egli ha visitato con la sua narrativa: ovunque si trova un «vuoto senza fine», sia nel paesaggio che nella soggettività, tanto negli spazi esterni che vengono visitati dal narratore (le valli viste dall'alto, la vastità del cielo) quanto negli spazi interni carichi di angosce dei quali nessuna attività può rendere conto (ecco perché i cambiamenti di professione e di città, ecco perché i rapporti appaiono sempre postumi, vaghi, incerti). Magris rievoca il passaggio de "L'assistente" - romanzo pubblicato da Walser nel 1908 - in cui Joseph Marti va con la famiglia Tobler a fare una passeggiata sul lago, nel corso della quale è come se l'abisso cantasse, ma lo fa con suoni «che nessun orecchio può distinguere». Ecco la sintesi di una letteratura che rifiuta qualsiasi sforzo di totalizzazione che viene lanciato nella sua direzione - anche l'«opera» è un abisso che non ha mai fine, che risuona nel tempo e nello spazio anche molto tempo dopo la morte dell'autore, Walser. E per questo a un certo punto Magris parla di Walser come di uno «scrittore postmoderno» che rifiuta ogni «sintesi delle sue contraddizioni»; Walser è lo scrittore dell'intervallo e della pausa, del «non detto» e del «non rivelato». Spesso, in Walser, non sono le parole che «dicono», quanto piuttosto, ad esempio, la disposizione un po' casuale degli oggetti: «Simon cominciò a sistemarsi in campagna. Le sue valigie lo raggiunsero per posta, dopo di che tirò fuori tutte le sue cose. Non possedeva più molto: un paio di vecchi libri che non aveva voluto vendere o dar via, della biancheria, un abito nero e un involto di cosucce come spaghi, avanzi di seta, cravatte, lacci per le scarpe, mozziconi di candela, bottoni e pezzi di filo.» (Robert Walser, "I fratelli Tanner", Adelphi, trad. Vittoria Rovelli Ruberl).

fonte: Um túnel no fim da luz

mercoledì 29 settembre 2021

La sua Jenny

Quel ritratto diventato un’icona, i suoi libri, dai Grundrisse al Capitale, e poi la sua militanza politica a tutto possono far pensare, tranne che Karl Marx sia stato, oltre che un grande filosofo, anche un simpatico guascone e un poeta. Eppure la figlia Eleanor, che ha avuto il merito di scovare e pubblicare il romanzo incompiuto del padre, Scorpione e Felice, così lo descrisse: «Per chi ha conosciuto Marx nessuna leggenda è più ridicola di quella che lo raffigura come un uomo scorbutico, amareggiato, inflessibile e inavvicinabile, una sorta di Giove tonante arroccato nell’Olimpo di una solitudine inaccessibile, perennemente intento a scagliare i suoi fulmini e senza mai un sorriso sulle labbra. Una simile descrizione del più allegro e giocondo degli uomini, dell’uomo dall’umorismo spumeggiante e dal riso irresistibilmente contagioso, del più gentile, tenero e simpatico dei compagni di gioco, è una fonte di perenne stupore e di spasso per chiunque lo abbia conosciuto».

(dal risvolto di copertina di: KARL MARX, "La principessa del sogno". Prefazione e traduzione di Paolo Barbieri. LA VITA FELICE. Pagine 299, e 14,50)

Toh, un poeta in amore. Ma...è Marx!
- di Roberto Galaverni -

Karl Marx - l’uomo che il filosofo e attivista politico tedesco Moses Hess in una lettera a un amico scrittore descriveva in questi termini: « unisce in sé lo spirito più mordace con la più profonda serietà filosofica: immaginati Rousseau, Voltaire, d’Holbach, Lessing, Heine e Hegel fusi in una sola persona» - è stato anche un poeta?
Al tempo di questo giudizio Marx aveva poco più di vent’anni ed era già nutrito di cospicue e importanti letture anche in ambito letterario, sia tra i classici sia tra i contemporanei (per tutta la vita, del resto, fu un lettore formidabile). Come si ricava dalle testimonianze di chi l’aveva conosciuto o gli era stato più vicino, oltre alla poesia di Goethe, ad esempio, aveva mandato a memoria proprio i versi di Heinrich Heine, un lirico di straordinaria virtù melodica per lo più rivolta a tematiche amorose, che fu un’autentica celebrità per la gioventù tedesca della generazione di Marx. Eppure, benché proprio Marx abbia posseduto da ogni punto di vista virtù intellettuali a dir poco non comuni, l’inserimento di un poeta nell’elenco degli spiriti magni formulato da Hess potrebbe essere di troppo.
Se come poeta s’intende qualcuno che ha incarnato nella vita interiore e nell’energia della lingua una visione del mondo originale e riconoscibile, qualcuno, diciamo così, benedetto dalla Musa, cioè dal dono o magari dal demone dell’armonizzazione musicale per via di parole, allora probabilmente un poeta non lo è stato. Se invece s’intende qualcuno capace all’occasione di costruire versi di buona fattura e solidità, e dunque di cimentarsi nel campo dell’arte poetica (più che di seguire una vocazione poetica) in modo non banale e talora interessante, allora sì, Karl Marx è stato anche un poeta.
Una scelta consistente della sue poesie è ora disponibile nel volume "La principessa del sogno", nella traduzione dal tedesco di Paolo Barbieri, a cui si devono anche lo scritto introduttivo e le note ai testi. Apprendiamo così che ancora giovanissimo, tra il 1836 e il 1837, il filosofo di Treviri scrisse alcune raccolte di poesie (che sono poi la base di questa antologia italiana). Ben tre erano dedicate alla ragazza con la quale si era segretamente fidanzato, Jenny von Westphalen, che aveva quattro anni più di lui e che sarebbe poi stata sua moglie e compagna per tutta la vita. Si tratta di poesie d’amore, ovviamente; e anzi di un amore non solo straordinariamente appassionato, ma dichiarato senza mezza misure, senza filtri e prudenza alcuna.
A questi versi fa seguito una quarta raccolta, un quaderno di testi dedicato al padre, dal punto di vista metrico e tematico più composito dei precedenti, in quanto comprende sonetti, ballate, romanze, epigrammi di argomenti vari, ivi compresa la filosofia. Il titolo del volume è tratto da una lettera dello stesso Marx, che tornato nella città natale per i funerali della madre, scriveva a un amico: «Tutti i giorni, a destra e a sinistra, mi domandano della quondam “più bella ragazza” di Treviri e della “reginetta del ballo”. È terribilmente piacevole per un uomo quando la moglie vive ancora nella fantasia di tutta la città come “la principessa del sogno”
E, di certo, la principessa del sogno viveva con incredibile intensità nell’immaginazione, nei sensi, nei desideri, nelle attese del giovane poeta. Marx era innamoratissimo — innamorato pazzo o perso, come diremmo noi oggi — e tale, del resto, sarebbe sempre rimasto.
Così accade questo fenomeno forse singolare, che nella pratica della scrittura poetica si ripete però continuamente: vale a dire che quanto più qualcuno si riconosce innamorato e intende dichiarare la sincerità, l’autenticità, ma anche l’eccezionalità del proprio amore, tanto più finisce per consegnarsi al gergo della poesia, alle parole della letteratura in ciò che hanno di più stereotipato e prevedibile, alla convenzione poetica, insomma. Si giura sulla verità del proprio sentimento, sull’assenza di qualsiasi filtro e mascheratura, e per farlo ci s’affida, più o meno consapevolmente, alle frasi fatte, ai cliché detti e ridetti infinite volte, tanto più nei versi della poesia (da questo punto di vista la poesia è davvero infida se non perversa, si potrebbe commentare).
Capita così anche a Marx. Queste, ad esempio, sono le due quartine di un sonetto: «Jenny! Con ironia tu mi chiederai/ perché il mio canto sempre “a Jenny” è dedicato:/ è che solo per te ogni mia vena batte,/ solo per te ogni mio canto piange,/ e te porta nel tuo seno,/ è che ogni sillaba professa te,/ ogni suono brucia melodioso per te/ e nessun alito dalla sua dea si divide». Così si potrebbe perfino capovolgere il ragionamento, e dire che proprio perché è stato espresso con parole così convenzionali l’amore cantato qui — si può scommettere — è stato vero e sincero.
Se la sezione delle poesie dedicate alla fidanzata risulta la più di maniera, il rischio di una sostenutezza che può sfociare nella retorica è comunque presente un po’ in tutti questi componimenti. «Lontano passò su lievi onde/ l’increato spirito creatore,/ fluttuano mondi, sgorgano vite,/ eternità il suo occhio abbraccia./ L’onnianimante potere dei suoi sguardi/ arde concretandosi magicamente in forme», scrive in una poesia dedicata al padre e intitolata "Creazione". Il fatto è che a parte qualche poesia epigrammatica (ben riuscita, tra l’altro), di regola l’intonazione è estremamente solenne. Forse è il tratto che colpisce di più, soprattutto nel quaderno dei componimenti dedicati appunto al padre.
È una considerazione condizionata magari da quanto Marx avrebbe pensato e scritto negli anni a venire, ma quasi tutte queste poesie testimoniano un dissidio e una competizione col creato; una situazione cosmogonica e un agonismo per cui la vita appare come una specie di grande sfida, di scontro di forze primordiali.
Marx amava il mito di Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei per farne dono agli uomini («è il più grande santo martire del calendario filosofico», scrive). E qui, specie nelle parabole raccontate nelle tante ballate e canzoni del libro (quasi tutte in quartine a rima alternata, il metro che gli è più congeniale), è appunto la necessità di un’azione prometeica che Marx sembra riconoscere inscritta nel proprio destino: «Posso simile agli dèi peregrinare,/ vittorioso il suo regno di ruderi attraversare,/ ogni parola è vampa e azione,/ il mio petto simile al seno del creatore».

- Roberto Galaverni - Pubblicato su La Lettura del 28/11/2021 -

martedì 28 settembre 2021

Capitalismo in Lockdown: la “grande rassegnazione” ?!!??

De Virus Illustribus - Un anno e mezzo dopo
«Non è la "regolamentazione" dell'economia, a dover essere valutata, ma la sua fine»
di Sandrine Aumercier - pubblicato su lundimatin#306, 27 settembre 2021 -

Il libro "De virus illustribus" è stato scritto a caldo nel corso del lockdown del marzo-aprile 2020 da quattro persone che partecipano alla corrente teorica conosciuta come la «critica del valore». Penso che siano molti ad essere d'accordo sul fatto che il primo lockdown sia stato qualcosa di eccezionale, di inaudito, di storico. Soggettivamente, molte persone l'hanno vissuto come un momento di stupore: si sono trovati da un giorno all'altro apparentemente liberati dalla pressione di dover lavorare, di correre dappertutto, di essere ovunque contemporaneamente, di moltiplicarsi per stare dietro agli impegni, di consumare, di ottimizzare il proprio rendimento tanto a scuola quanto al lavoro, di occuparsi della propria reputazione, e così via. All'improvviso, le strade erano vuote e si poteva quasi percepire come mezzo mondo fosse stato appena fermato. Assomigliava tutto a un film di fantascienza. Ovviamente, coloro che hanno perso tutto, e la cui vita è diventata ancora più precaria non hanno certo apprezzato allo stesso modo un tale momento. Ma anche per quei privilegiati, cui era stata concessa una sorta di pausa dalla loro frenetica vita (ivi compresa l'introduzione di misure di lavoro a orario ridotto), anche per loro, la sensazione dopo non fu più la stessa, e quella che si è instaurò fu una lunga depressione. Gli episodi successivi non meritano più effettivamente il nome di lockdown, nel senso in cui era stato chiamato la prima volta. Piuttosto, si trattava di semi-confinamenti, di coprifuoco parziali, di proibizioni di uscire che significavano obblighi di lavoro, chiusure che erano allo stesso tempo anche aperture, negoziazioni con la realtà pandemica, inversioni politiche incomprensibili, la maschera da indossare e la maschera da non indossare, una cacofonia europea, ecc. Non sorprende che questa storia, vissuta essenzialmente sugli schermi, abbia finito per colpire il sistema nervoso di tutti e alimentare così un'esplosione di teorie della cospirazione.
Come possiamo spiegare infatti questa crisi sanitaria e la sua gestione politica? In cosa possiamo credere ancora oggi? Come unica bussola, ci restano solo le cifre da capogiro delle statistiche e i nostri sentimenti personali? Non siamo quasi nemmeno più in grado di dire se questa situazione incredibile, che dura da un anno e mezzo, sia seria o meno. Sì, ci sono già stati tra i 4 e i 5 milioni di morti per Covid registrati, ed è assurdo mettere in dubbio la validità statistica - che è l'unica guida per la politica sanitaria - della vaccinazione su larga scala. Ma non c'è forse un rapporto dell'ONU a dirci che l'inquinamento causa circa 9 milioni di morti premature ogni anno? Che 3,2 miliardi di persone vivono su terreni degradati e che 1,4 milioni di persone - almeno - muoiono ogni anno a causa dell'acqua contaminata (Global Environment Outlook, 2019)? Perché nell'ultimo anno e mezzo abbiamo acconsentito a vivere tracciati, mascherati, testati, disinfettati, vaccinati, se durante quello stesso tempo non viene fatto nulla per fermare tutte queste altre forme di enormi rischi per la vita umana? È ciò solo in quanto non colpiscono affatto le stesse popolazioni? Però, forse non faremmo meglio a non cedere alla relativizzazione di tutto con tutto, e non mettere in atto un confronto affrettato tra le diverse cause di mortalità, poiché la pandemia avrebbe potuto fare molte più vittime in assenza di una reazione politica? Ma allora che senso ha tutto questo tergiversare sul lockdown? Questo virus è abbastanza grave da privarci per un anno e mezzo di una cosiddetta «vita sociale», ma non è abbastanza grave da farci smettere di lavorare? È interessante vedere che, da questa pandemia, alcune persone hanno tratto la conclusione che dovremmo disertare il mercato del lavoro - un fenomeno questo, che è stato soprannominato la «grande rassegnazione» - anche se non sappiamo ancora se alla fine questo fenomeno verrà assorbito dal lavoro "ibrido" o "remoto", cosa che non farebbe altro che ingrossare la coorte dei nomadi digitali.
Tra di noi. ci sono molti che ora sentono che non finirà mai, che saremo oppressi da misure sempre più intrusive che sembrano giustificate da ragioni superiori - quali la nostra salute e sicurezza - ma che di fatto nascondono una realtà molto più sordida che attiene a un mondo che fa tutto, assolutamente tutto, pur di rimanere lo stesso, qualunque cosa esso sia. Ci stiamo già preparando alla prossima ondata o alla prossima pandemia, come se questa fosse diventata la nostra nuova realtà, tutto purché le linee di produzione funzionino a pieno regime. Tutto quello che è successo dopo il primo lockdown, assomiglia pertanto a un balbettio politico senza fine, a tutta una serie di compromessi traballanti fatti per dimenticare, per cancellare, per rendere nullo quel momento iniziale di shock, allorché i responsabili della politica mondiale hanno fermato l'economia per un breve periodo. Io propongo di tornare a questo momento iniziale - a quello che ha accompagnato la scrittura del libro - al fine di metterlo in prospettiva con la situazione in cui ora ci troviamo, quasi un anno e mezzo dopo. Sappiamo che la distruzione delle aree naturali, la deforestazione, l'allevamento industriale, il riscaldamento globale e la frenesia dei voli internazionali hanno avuto un ruolo importante nello scatenare e diffondere rapidamente questa crisi sanitaria. Tutte queste cause, che sono state riportate in letteratura, e che non verranno mai affrontate dalle varie politiche attuate per combattere il virus. L'unica e sola ossessione, che è emersa fin dall'inizio, è stata quella di contenere il più rapidamente possibile qualcosa che era al di là di ogni previsione e che minacciava di far crollare l'economia mondiale. Il vocabolario marziale, e l'inflazione dell'autoritarismo testimoniano come ci sia stato un panico prima dell'irruzione dell'incontrollabile. L'instaurazione di uno stato di eccezione permanente, è in questo senso la risposta inevitabile di una sfera politica messa all'angolo da una contraddizione insormontabile.
A partire dal fatto che proprio in quel momento, l'immagine trionfale del mercato e della democrazia si incrina, e le cose spiacevoli vengono alla luce, anche se solo per poco, come in un momento di vertigine. Ne citerò tre che sono stati sviluppati nel libro:

1/ No, alla vigilia della crisi sanitaria, l'economia globale non era affatto in buona salute. La pandemia arriva e irrompe nel bel mezzo di una crisi iniziata ben prima, e anche prima della crisi del 2008. A partire dagli anni '70, c'è stato un declino economico strutturale il quale ha portato a una crisi del debito pubblico e all'aumento della disoccupazione. Prendiamo un esempio molto concreto, quello dell'industria aerea. È un settore che tutti immaginano fiorente, al punto che gli si rimprovera di avere effetti sul cambiamento climatico. Ma nonostante il costante aumento del numero totale di voli aerei, dagli anni 2000 i profitti netti sono in calo. Air France, per esempio, è una compagnia aerea in perdita da molto tempo, e dal 2008 non è stato pagato alcun dividendo. La crisi del Covid-19, in un simile contesto, ha messo in pericolo molte compagnie aeree, e notoriamente il governo francese è venuto in loro soccorso. Il direttore generale della IATA (International Air Transport Association) ha chiesto alla fine del primo lockdown, «l'aiuto dei passeggeri, è vero, e ve lo stiamo chiedendo in ginocchio» perché, ha detto, «la liquidità delle compagnie si trova in uno stato assolutamente apocalittico» (Les Echos, 15 luglio 2020). Implorare in ginocchio il sostegno dei consumatori si scontra, a dir poco, con la così tanto strombazzata ripresa economica verde e sociale. In questo caso, i passeggeri dovevano rinunciare al rimborso dei voli cancellati durante il primo lockdown e accontentarsi di una nota di credito, cosa che è in contraddizione con il diritto dei consumatori. Questo piccolo esempio, tra molti altri, mostra lo stato reale dell'economia su cui si è abbattuto il virus Sars-Cov-2. Ciò che sta minando irreversibilmente l'economia - come mostrano le analisi di Robert Kurz - è la costante diminuzione della quantità di lavoro vivo coinvolto in un processo produttivo sempre più automatizzato. Ciò porta a una crisi irreversibile della valorizzazione, dal momento che senza lavoro non c'è sostanza economica. L'aumento esponenziale del denaro fittizio, non è altro che un tentativo di contrastare tale tendenza speculando su una futura creazione di valore che da molto tempo non si sta più realizzando nella misura prevista.
2/ In un simile contesto, è comprensibile come né lo Stato né i suoi rappresentanti abbiano la capacità finanziaria per riuscire a svolgere le funzioni di protezione sociale che sono state loro devolute dopo la guerra, in un periodo di crescita allora favorevole alla loro istituzione. Eppure una certa ideologia populista, ossessionata dagli osceni profitti che vengono realizzati da alcuni, continua ad attribuire loro queste capacità. Ma il fatto che la ricchezza venga accaparrata solo da alcuni attori non dice nulla sullo stato reale dell'economia. Il capitalismo dovrebbe essere inteso non solo come il mercato, ma  anche come l'intreccio di diverse sfere funzionali e complementari, tra i quali il mercato e lo Stato. La sfera dell'economia e quella della politica sono reciprocamente dipendenti tra di loro. Lo Stato può adempiere alle sue funzioni solo se raccoglie le tasse, il cui volume dipende dalla crescita del PIL. Per questo, nel contesto della crisi economica strutturale di cui sopra, sono le funzioni dello Stato a essere ridotte, come abbiamo visto con il taglio del personale ospedaliero o del numero di letti d'ospedale nel corso degli anni. È problematico attribuire questa situazione unicamente al disimpegno dello Stato, o alla cattiva volontà di questo o quel governo. Il rigore di bilancio è stato a lungo l'unica risposta possibile alla crisi endemica della valorizzazione. Invocare un intervento positivo dello Stato senza tener conto di questa situazione generale, porta in definitiva alla personificazione di problemi che sono invece di natura strutturale.
3/ Ma allora come si spiega l'intervento massiccio dello Stato durante questa pandemia; una cosa che avevamo già visto nel 2008, per poter salvare le banche? Ingannati dai miliardi che piovevano, molti cominciarono a pensare che, finalmente, «quando vuoi, i soldi ci sono»! Che corrispondenza c'è tra questa manna e il fatto di dover leggere sul giornale che in alcune scuole non c'è abbastanza carta igienica e che bisogna lottare per avere abbastanza sedie per gli alunni? (Libération, 27 settembre 2019). Situazioni simili, così tante e assolutamente scandalose richiedono una détournement teorico per poter essere collocate nel quadro più generale delle regole di funzionamento del capitalismo. Come abbiamo detto, lo Stato è investito di funzioni essenziali, legate alla riproduzione del capitale stesso, e così garantisce l'intero funzionamento dell'economia e quindi, alla fine - ma solo alla fine - la fornitura da parte della Pubblica Istruzione, per esempio di carta e sedie per le scuole. Se l'economia crolla, non c'è più carta igienica né sedie. Lo Stato liberale garantisce il quadro della valorizzazione capitalista e allo stesso tempo anche il gioco della concorrenza, perché il suo funzionamento dipende da questo. Non si tratta quindi in definitiva del «benessere dei cittadini», ma piuttosto di garantire la stabilità relativa di un tale quadro. Con lo scoppio della pandemia, tutti gli artifici di questa costruzione moderna si sono trovati improvvisamente messi a nudo. Gli Stati sono improvvisamente di fronte alla loro contraddizione strutturale. Hanno intenzione di «proteggere i cittadini», come sostengono continuamente, oppure hanno intenzione di occuparsi per prima cosa dell'economia? In questo momento, devono occuparsi urgentemente di salvare vite umane - a rischio di screditare ulteriormente dell'altro il discorso della «protezione» data dal servizio pubblico - e allo stesso tempo devono salvare l'economia minacciata da un crollo senza precedenti dalla fine della guerra. È in questo contesto che va collocato il caotico valzer di misure contraddittorie, che sono state assunte dall'inizio della pandemia, la cui tendenza a lungo termine è effettivamente quella dell'aumento del controllo sociale. Perché è inevitabile che gli individui si troveranno sempre più a dover pagare sulla propria pelle il "conto" invisibile dato dalle contraddizioni dell'intero sistema capitalista nella sua totalità. Non esiste alcuna soluzione politica e nessun lieto fine; perciò la rete si sta naturalmente chiudendo su quegli stessi individui i quali erano disposti a credere nelle meraviglie di questo modo di produzione. Ciascuno Stato, come abbiamo visto e come descritto nel "De virus illustribus", ha avuto il suo modo di gestire questa contraddizione, a volte più autoritario, a volte più liberale. Ma il punto comune è il moltiplicarsi delle forme di compromesso traballante, cosa che alla fine non ha evitato né milioni di morti per Covid né un debito pubblico globale arrivato nel 2020 al suo massimo storico.

I punti appena sviluppati, permettono di avvicinarsi all'attualità, evitando forse di sprofondare ancora una volta nelle nostre peggiori illusioni. Non posso fare a meno di pensare a ciò che scrisse Freud di fronte al disastro della prima guerra mondiale: «Noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare.[...] Ogni cittadino di una nazione può, in questa guerra, vedere con terrore... che lo Stato ha vietato all'individuo l'uso dell'ingiustizia, non perché voglia abolirla, ma perché vuole averne il monopolio, come con il sale e il tabacco. [...] Così il cittadino del mondo civilizzato ... può trovarsi disorientato in un mondo che gli è diventato estraneo - la sua grande patria in rovina, i beni comuni devastati, i suoi concittadini divisi e avviliti! La sua delusione potrebbe essere oggetto di una critica. A ben guardare, non sarebbe giustificato, perché si tratta della distruzione di un'illusione. Le illusioni si raccomandano a noi per il fatto che ci risparmiano sentimenti di dispiacere, e ci fanno invece provare soddisfazione. Dobbiamo quindi accettare senza lamentarci che un giorno si scontreranno con una parte della realtà, e lì si frantumeranno. Questa guerra ha suscitato la nostra disillusione per due motivi: la bassa moralità, nelle loro relazioni esterne, degli Stati che si comportavano invece internamente come guardiani di norme morali e, negli individui, una brutalità di comportamento, di cui non si sarebbe creduto che, in quanto partecipanti alla più alta civiltà umana, fossero capaci». (Sigmund Freud, "Considerazioni attuali sulla guerra e la morte"). Freud rimane pienamente impregnato, anche in queste righe amare, di un concetto idealizzato di civiltà, la sua naturalmente. Tutta la sua opera reca le tracce sia di questa idealizzazione che di una lotta teorica contro di essa. È completamente stupito del fatto che «la più alta civiltà umana» possa cadere così in basso. Ma l'importante è il fatto che così facendo essa rimanda il "cittadino" alle sue illusioni infantili; in questo caso a credere nell'alto valore degli ideali di "civiltà", e nella falsa protezione dei numi tutelari della sfera politica che invece poi si comportano con tanta ferocia sulla scena internazionale. Insomma, di fronte a un tale pasticcio, siamo responsabili dell'immensa delusione che proviamo, finché continuiamo a immaginare lo Stato come se fosse un buon capofamiglia, e la "civiltà" come il luogo dove si realizza la nostra felicità, delegata ai nostri rappresentanti. Freud è lontano dal considerare tutte le conseguenze di queste indicazioni, ma ci indica quanto meno un percorso che per noi rimane. Possiamo tradurre questo avvertimento freudiano, vecchio più di un secolo, in termini più contemporanei: i «valori europei» non sono altro che una costruzione ideologica destinata a consolidare l'edificio politico-giuridico-economico che ha visto l'Europa colonizzare più di tre quarti del pianeta e modellarlo nella sua forma moderna. Come è noto, ci sono stati sgradevoli dibattiti su quelli che sarebbero i presunti fondamenti giudeo-cristiani dei valori europei, ma anche, in maniera speculare, circa la loro relatività rispetto ad altre culture non europee. Tutti questi dibattiti rimangono bloccati nell'idealizzazione di certi valori morali, occidentali o non occidentali - a seconda dei gusti - che sono il «supplemento d'anima» del modo di produzione capitalista, il quale non conosce la morale e non la conoscerà mai, poiché il suo unico punto di riferimento sono le cifre della crescita. Ugualmente, questi dibattiti rimangono anche ingabbiati nell'ineliminabile proiezione edipica di un uomo forte - quello che ci tirerà fuori da questa impasse - e delle istituzioni che dovrebbero garantire la sua creazione ed elezione. La Francia ha di certo una storia del tutto particolare con gli «uomini provvidenziali». Essi non hanno mai evitato le guerre che hanno segnato il ventesimo secolo, perché erano il risultato della dinamica dell'instaurazione del sistema internazionale degli Stati nazionali. Questo non significa che non ci possano essere decisioni migliori o peggiori. Significa che queste decisioni non sono dettate solo da intenzioni personali e non hanno gli impatti previsti sulle dinamiche globali. Per esempio, ci sono alcuni politici che si vantano della lotta contro il riscaldamento globale mentre altri sostengono che non esiste: siamo convinti che il risultato sarà il medesimo.
Ma è da qualche tempo che l'attenzione si è concentrata anche su quelle che Roswitha Scholz chiama «donne forti», riferendosi con questo termine alle donne che sono sopravvissute scavando tra le macerie delle città distrutte dopo la guerra. Alcune donne, salendo ai vertici della gestione del capitalismo in crisi, sembrano voler raccogliere il guanto di sfida, a volte con l'aiuto di valori considerati femminili, o addirittura "ecofemministi", senza vedere che questi cosiddetti «valori femminili» - proprio come i «valori extraeuropei» proposti dal movimento de-coloniale - sono solo la reificazione di una parte dissociata dell'unico valore che conta, il valore economico. Non è possibile invertire la logica della valorizzazione del valore basandosi sulla sua parte dissociata: le cosiddette funzioni di cura femminile non sono alternative gradite al capitalismo dal momento che esse sono indispensabili alla sua riproduzione, per quanto siano ritenuti servizi gratuiti. Pagare i cosiddetti servizi gratuiti e dare un "riconoscimento" alle donne non è la via d'uscita da questo modello. Cosa comporta una simile asserzione? La risposta ci viene data da Delphine Batho, ex candidata alle primarie dei Verdi, che si è appropriata del vocabolario della decrescita. In un dibattito, il suo opponente, François Asselin (capo della Confederazione delle piccole e medie imprese), ha reagito ribattendo: «Questa nozione di decrescita... è incompatibile con la logica dell'impresa. Chi è che ha voglia di decrescere? Quando si è un imprenditore, si vuole intraprendere!» Cosa gli risponde Delphine Batho? «Alcune [aziende] chiedono una regolamentazione, poiché esse si devono confrontare con delle regole del gioco che sono 'truccate', visto che oggi la crescita si basa sulla distruzione gratuita del clima e della biodiversità». (Libération, 15 settembre 2021). Ma la cosa stupenda è che alla fine di questo genere di dibattito, dietro tutti i distinguo a proposito delle diversità politiche, sono tutti d'accordo: la politicante della decrescita, la quale si definisce «eco-femminista al 100%», e l'imprenditore: «Per me, la decrescita significa più posti di lavoro», sostiene Delphine Batho. Una cosa del genere non è più assurdo che affermare, in linguaggio orwelliano, che: «La decrescita è la crescita». È questo, più o meno il punto a partire dal quale si cerca di bilanciare e conciliare le due cose opposte, e salvare capra e cavoli.
Questo modo di produzione non è in grado di far fronte a un'interruzione dell'attività economica tanto lunga quanto necessaria, anche quando questa attività economica viene descritta come «non essenziale». Pur di salvare l'attività economica, ci siamo anche simultaneamente precipitati nella digitalizzazione accelerata di tutte le attività, come se il contatto umano non fosse anch'esso un bisogno essenziale. È significativo che ci siamo trovati a non sapere più come salutarci o baciarci. Ci siamo allo stesso tempo ingolfati nel consumo disinibito di beni online, i quali vengono pubblicizzati  in maniera insolente sui muri della città. Che senso ha farsi consegnare un cartone di uova a casa, come invitava a fare una pubblicità a Berlino? Che genere di precarietà nel lavoro del personale di consegna, e che tipo di aumento dei costi energetici comporta questo sviluppo? Abbiamo motivo di pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui stiamo parlando di rischi collettivi, e nel modo in cui li affrontiamo oggi. È accettabile che la nostra salute sia così dipendente dalla «buona salute» dei mercati? È accettabile che quel che rimane della nostra socievolezza, già atomizzata da duecento anni di liberalismo, venga sacrificata sull'altare del lavoro astratto? Oggi, alcuni marciano contro il «lasciapassare sanitario», facendo ricorso a riflessioni e ad ammucchiate ripugnanti. Così facendo, conferiscono come un'apparenza di senso a questa specie di stupore che ci assale di fronte a così tanta assurdità e disorientamento generale. Sarebbe meglio iniziare a decifrare questa situazione guardando alle sue caratteristiche strutturali. Ciò che si sta verificando, è la cristallizzazione di tutti gli elementi del cocktail originale: un governo impotente deciso a imporre la ripresa economica a qualunque costo; una popolazione che sta vivendo la sua crisi adolescenziale, continuando a chiedere protezioni fantastiche, ma se possibile senza tutto quel tono autoritario (ragion per cui, ecco che delle misure più o meno identiche appaiono più accettabili in altri paesi, come la Germania); una situazione globale ancora più debole e vulnerabile di prima, che alimenta il pozzo senza fondo del debito pubblico e la fuga in avanti verso il credito fittizio, il quale verrà poi scambiato per la malizia di una classe egoista preoccupata solo di facili profitti, mentre invece si tratta dell'unica risposta disponibile nella situazione delle «regole del gioco» economico: vale a dire che l'unica risposta disponibile è quella di finanziare la ripresa speculando su un valore futuro, e che probabilmente verrà rimandato, fino al prossimo crollo. Pertanto, ciò che dobbiamo pensare, e prendere in considerazione, non è la "regolamentazione" dell'economia ma piuttosto la sua fine. E questo è stato anche il motivo per cui molti di noi, per qualche settimana hanno avuto la debolezza di crederci, durante il primo lockdown. Lo abbiamo visto quasi come se bastasse un buffetto - un'interruzione di qualche settimana - per poter fermare l'intera economia e far venire ai leader mondiali più di un sudore freddo. Abbiamo intravisto come potrebbe essere vivere, non da reclusi e connessi ma liberi dai nostri 'lavori' e dal bisogno di «guadagnarsi da vivere». Naturalmente, non è stata affatto una liberazione, perché tutto quanto è stato impostato al fine di ricominciare immediatamente. Era tutt'altro che un nuovo inizio, ma è stato come dare una sbirciata dall'altra parte. Era ancora un'illusione in senso freudiano, ma è anche qualcosa che ci dice molto. Questo virus ha decisamente colpito il tallone d'Achille del sistema capitalista, ed è per questo che fino a oggi i governi hanno dichiarato una guerra spietata e universale contro di esso. A volte mi chiedo se non sia proprio quel primo lockdown che i governi occidentali non riescono a perdonarsi, e cercano di cancellarlo dalla nostra memoria, come se volessero scongiurare un altro passo falso e assicurarsi che non accada più.

- Sandrine Aumercier - pubblicato su lundimatin#306, 27 settembre 2021 -

fonte:  Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

Pedalare !!

«È dunque così che il ciclista incontra il mondo: dall’alto! Corre, corre a folle velocità senza toccare terra con i piedi, essere un ciclista è per lui qualcosa che significa quasi: sono il padrone del mondo» (Thomas Bernhard)
Chi monta in sella a una bicicletta prova sentimenti di appagamento e pienezza: l’affrancamento dai limiti del corpo, l’ebbrezza della velocità e dell’indipendenza, la fuga dalle tristezze della vita. È così per i primi ciclisti, e poi sempre per ogni nuovo bambino che conquista la sua due ruote. «Sentivo di navigare nell’aria», ricordava un grande intellettuale come Ezio Raimondi. Ed è felicità per la donna, per la quale la bicicletta è strumento di emancipazione, così come per l’operaio di «Ladri di biciclette», che grazie alla bici può trovare lavoro. Oggi è anche la felicità della fuga dalla civiltà moderna, il sogno di un mondo lento a misura d’uomo. Poeti, scrittori, filosofi e gente comune hanno testimoniato la loro gratitudine per la bicicletta fonte di felicità: in questo libro, felice a sua volta, Pivato tesse il racconto di un inscalfibile amore collettivo per le due ruote.

(da risvolto di copertina di: "La felicità in bicicletta", di Stefano Pivato. il Mulino, € 14)

E un giorno il piede diventò la ruota
- Bicicletta. Stefano Pivato traccia la storia (dall’800 ai giorni nostri) di un mezzo di trasporto che è espressione di una vita libera trascorsa all’aperto: un antidoto contro la tristezza e un inno alla fatica e al sudore. -
di Angelo Varni

Al termine di un secolo come l’800 che ha saputo mettere a disposizione della società una serie stupefacente di invenzioni in grado di rendere a tutti più facile, gradevole e confortevole la vita, ecco apparire la bicicletta ad offrire una prova ulteriore di un’acquisita modernità, dove la tecnologia si misurava sulle esigenze dell’uomo, sul suo bisogno di assaporare un nuovo senso di libertà, di ebbrezza di velocità, di superamento di ogni arcaica limitazione al proprio dominio sulla natura. Da allora, in quei decenni che via via si inoltrarono, anche se con minore orgogliosa sicurezza, nel XX secolo, fu un costante rincorrersi di entusiaste testimonianze di intellettuali, letterati, artisti, in lode delle virtù dell’andar sulle due ruote, quale antidoto contro la tristezza del vivere, quale tonificante per la salubrità del corpo, quale apertura della mente alle più liete divagazioni.
Con un Renato Serra, lontano da casa, addolorato per la mancanza della sua «meravigliosa bicicletta», lamentarsi perché «le belle strade, bianche tra le lunghe colonnate di pini o di pioppi vibranti con fresco brusio al maestrale non fuggono più sotto le gomme sonore». O un Alfredo Panzini affermare come la bicicletta (quella «cosa alata» la definisce) avesse la capacità di trasmettergli una «sensazione così dilettevole e costante che […] fa dimenticare molte cose non liete». Ed ancora, tra i tanti, il fondatore del Touring Club, Luigi Vittorio Bertarelli, assicurare che la bicicletta aveva il pregio di liberare la mente e di «opporsi in modo prepotente al surmenage intellettuale». E poi Olindo Guerrini ad esaltare la pedalata come espressione del piacere, «della vita libera, goduta all’aperto». Mentre Alfredo Oriani, a sua volta, coglieva una sorta di identificazione tra l’uomo e la bicicletta, quasi quest’ultima fosse «il vostro piede diventato ruota[…]la vostra pelle cangiata in gomma, che scivola sul terreno».
Dominante, comunque, per tutti il fremito dell’impatto con il vento sul viso, quasi immersione in un mondo diverso, come ebbe a dire un altro grande fautore della bicicletta, Ezio Raimondi, in anni più recenti, descrivendosi con le braccia protese sul manubrio a farsi vere e proprie ali, quasi a navigare nell’aria, ma di più a «sentire l’aria, attraversarla, riconoscere il vento nascosto nell’aria naturale, e quindi scoprire un’altra realtà che si aggiungeva a quella quotidiana».
Di fronte ad una simile baldanzosa esplosione di gioiosa fiducia in un futuro aperto ad inedite avventure lontane da ataviche costrizioni, non poté mancare l’avversione tenace di chi ne temeva proprio il suo proporsi come esempio di una felicità terrena, di una mondanità che avrebbero offuscato lo sguardo rivolto alla vera salvezza del soprannaturale da raggiungere con la mortificazione dei sensi. Ecco allora i «benpensanti» e le gerarchie ecclesiastiche esprimersi con vigorose reprimende contro, innanzi tutto, il desiderio delle donne di salire sulle biciclette, indice, ad un tempo, di voglia di autonomia e, magari, di sfrontata impudicizia. Ma ugualmente l’anatema era esteso anche ai preti, obbligati a rifuggire il peccato dell’ inseguire i moderni divertimenti. Persino il mondo socialista, su tutt’altro versante ideologico, tentò da principio di opporsi alla passione della gioventù per la bicicletta, temendone la capacità di distoglierla dallo studio e dall’impegno politico. Per poi ovviamente ricredersi di fronte all’esplodere dell’utilizzo delle due ruote da parte di un mondo del lavoro che ne fece via via uno strumento indispensabile dei propri spostamenti e dei propri sogni proletari. È, invece, l’immagine della fatica e della sofferenza quella trasmessa dal ciclismo professionista, con i suoi “eroi” cantati nelle loro epopee di polvere e di sudore da schiere di giornalisti che, in tal modo, trasferivano la gioia ad un altro protagonista, quello assiepato lungo le strade attraversate dalle corse, il pubblico degli appassionati, incantati dal colorato turbinio del frusciante e fugace passaggio dei corridori.

- di Angelo Varni - Pubblicato sulla Domenica del 19/11/2021 -

lunedì 27 settembre 2021

La Svolta !?!!

La normalizzazione dei Talebani
- I centri del sistema mondiale scoprono l'islamofascismo come strumento repressivo di gestione delle crisi nella periferia -
di Tomasz Konicz

Parlare con i talebani? La signora Merkel non può perdere tempo a questo proposito. Mentre la gente in preda al panico precipita verso la morte all'aeroporto di Kabul, aggrappandosi agli aerei in decollo, mentre gli islamisti dello Stato Islamico fanno saltare in aria decine di persone in fuga per mezzo di attacchi suicidi, la cancelliera ha dichiarato il dominio talebano in Afghanistan essere una nuova realtà, che è «amara» ma con la quale dobbiamo «fare i conti». Questo significa, soprattutto, tenere colloqui con gli islamisti dell'età della pietra «al fine di poter conservare qualcosa di cui che ha beneficiato il popolo dell'Afghanistan negli ultimi 20 anni» (si può solo sperare che il cancelliere dicendo questo non si riferisca, per esempio, ai massicci raid aerei tedeschi, che hanno portato un colonnello Klein al grado di generale) [*1]. Secondo la Merkel, il governo tedesco sta già mettendo a disposizione 500 milioni di euro per scopi umanitari. Con questo si spera di «continuare a proteggere le persone» in Afghanistan,anche dopo l'evacuazione che terminerà tra «pochi giorni» [*2].

Detto in parole povere: Berlino vuole continuare ad avere dei colloqui con i talebani su come gli afghani potranno continuare ad essere mantenuti - pardon, «protetti» - in Afghanistan, a prescindere dal loro regno del terrore islamico. Dal momento che è stata effettivamente questa la preoccupazione centrale tedesca, nel corso del collasso simulato dello stato afgano, avvenuto nelle ultime settimane: la paura che ci possano essere ulteriori flussi di fuga dall'Afghanistan al collasso, i quali potrebbero dare un'ulteriore spinta alla nuova destra nella RFT, si è manifestata proprio nello slogan «il 2015 non deve ripetersi». E in ogni caso, il New York Times, dopo una prima intervista, è arrivato a concludere che i nuovi talebani difficilmente possono essere paragonati ai vecchi islamisti dell'età della pietra [*3]. Almeno questo è quello che hanno detto i talebani. Il loro portavoce, Zabihullah Mujahid, ha persino sottolineato che, «nel lungo periodo», le donne potrebbero anche «riprendere la loro normale attività» sotto i talebani.
Dopo tutto, sembrerebbe che le relazioni pubbliche dei talebani siano state modernizzate, visto che il signor Mujahid sembrava sapere esattamente ciò che i suoi intervistati occidentali volevano sentirsi dire. Nonostante la «situazione tesa» all'aeroporto, i talebani speravano di costruire delle buone relazioni con la «comunità internazionale». Come potenziali terreni di cooperazione, il portavoce talebano ha nominato la lotta contro il terrore (al-Qaeda è ora stata sostituita dallo Stato Islamico), l'eradicazione della produzione di oppio in Afghanistan, che è una delle più importanti fonti di reddito dei talebani, e la «diminuzione dei rifugiati» che vogliono andare in Occidente. I talebani si offrono così di fatto all'Occidente come un «fattore d'ordine», in qualità di guardie carcerarie di una regione socio-economica al collasso che - come la regione post-statale della Libia - in realtà si chiama Afghanistan solo a metà. Il portavoce dei talebani ha fatto di tutto per dipingere il quadro di un movimento islamista abbastanza «tollerante» il quale ha rotto con il passato, secondo il Times. Così l'Occidente dovrebbe ancora tollerare le idiosincrasie dell'estremismo talebano, come il divieto della musica, che il signor Mujahid ha esplicitamente confermato - o le notizie che parlano di donne bruciate vive dai talebani per non aver gradito il loro cibo [*4].

L'idea di assegnare all'estremismo islamico un ruolo di primo piano e di direzione nel controllo dei rifugiati, di lasciare che le corrispondenti dittature, milizie e bande svolgano il ruolo di guardiani dei campi di concentramento in quella che è oramai terra bruciata economica, per trasformarla, per così dire, in prigione a cielo aperto, non è del tutto nuova. Per Berlino, è stato lo slogan della politica della Turchia di Erdogan dalla crisi dei rifugiati del 2015, quello che deve essere evitato a tutti i costi. Lo Stato tedesco continua a pagare miliardi al regime di Erdogan per garantire che ai confini dell'UE prevalga la calma. L'islamofascismo turco - già sotto crescente pressione socio-economica a causa della crisi - si è espanso nelle zone di guerra civile e di collasso del nord della Siria, dove le milizie islamiste finanziate dai turchi sono riuscite, per mezzo di bande, a ottenere un dominio caratterizzato da scontri permanenti. I rifugiati siriani della guerra civile, sempre più esposti ai pogrom in Turchia, dovrebbero ora essere mandati lì: è questa la prospettiva (al-Qaeda, nella città di Idlib controllata dai turchi, ha festeggiato la vittoria dei talebani con un corteo di auto) [*5].
La guerra portata avanti dall'islamismo, che è in realtà un'ideologia di crisi post-moderna [*6], è principalmente rivolta ai controprogetti progressisti. Le aggressioni della milizia turco-islamica contro il Rojava, contro l'auto-amministrazione nel nord della Siria, non sono servite solo alla pulizia etnica dei curdi di questa regione confinante con la Turchia; l'obiettivo è anche quello di schiacciare un contro-modello, concorrente ed emancipatore, all'islamofascismo turco nella regione. Berlino ha sostenuto queste aggressioni turche finanziariamente e politicamente - la repressione dei movimenti dei rifugiati con l'aiuto dell'islamismo sembra essersi radicata come ragione di stato, mentre l'alternativa emancipatrice viene combattuta quasi con passione dall'apparato statale tedesco.

L'islamofascismo sembra ora essere in crescita in tutta la regione. In coincidenza con il collasso di uno «Stato fallito» incarnato nello Stato simulato dell'Afghanistan finanziato dall'Occidente, la Turchia ha esteso i suoi attacchi al movimento curdo in Siria e in Iraq. Sotto la copertura del disastro dell'Afghanistan, il risveglio emancipatore in Rojava verrà finalmente liquidato [*7]. Per lo meno gli islamisti di Ankara sono ora ben consapevoli che la loro crescita, in seguito al processo di crisi in corso a livello globale, non è senza alternative - come dimostrato dalla guerra civile in Siria. Il collasso della Siria - simile alla situazione ancora più drammatica dell'Afghanistan - ha avuto cause socio-economiche ed ecologiche. La guerra civile è scoppiata a causa dell'impoverimento avanzato di una popolazione in gran parte economicamente superflua, così come dovuta a una siccità prolungata nel nord-est agrario del paese. Nel corso della guerra civile - in cui lo stato siriano, che era degenerato fino a diventare un negozio self-service del clan Assad, avrebbe potuto evitare l'implosione solo grazie a un massiccio intervento russo - ciò che è emerso è stato, non solo lo stato islamico genocida in quanto forza determinante, ma anche l'autogoverno nel nord della Siria, il quale è stato ampiamente sostenuto dal movimento di liberazione curdo.

Il modello Rojava, che cerca di realizzare una rivendicazione emancipatrice, costituisce - finché esiste - una minaccia per l'islamismo nella regione, poiché mostra di essere un'alternativa al dominio terroristico di queste ideologie clerico-fasciste di crisi. L'islamismo dello Stato Islamico, dei Talebani e di al-Qaeda rappresenta, per così dire, un estremismo fascista di centro [*8], che utilizza la religione, l'identità religiosa centrale nella sfera culturale islamica, come cassa di risonanza per spingerla fino ad un estremo ideologico, perfino genocida, in quella che è un'interazione con i focolai di crisi; questa ideologia di crisi ha quindi ben poco a che fare con le tradizioni tolleranti dell'Islam originale, al quale gli ideologi islamisti fanno riferimento.
La crisi del sistema globale capitalista, economicamente, produce terra bruciata alla sua periferia, cioè regioni dove non c'è quasi nessuna valorizzazione del capitale e dove quindi si creano strati di popolazione economicamente superflui, il che porta a una crescente instabilità politica la quale alla fine può portare al collasso dello Stato. È questa la causa principale del rapido collasso dello Stato in Afghanistan [*9], così come di processi simili in Libia, o delle guerre civili in Iraq e Siria. La Siria, tuttavia, è un'anomalia, perché qui, con il Rojava, esiste davvero un'alternativa progressista ed emancipatrice, rispetto alla deriva indotta dalla crisi verso la barbarie islamista. In Siria, almeno nella lotta contro le milizie genocide dello «Stato Islamico» sostenuto dai turchi, l'Occidente aveva la possibilità di scegliere un'alternativa progressista. È significativo che - dopo la vittoria ufficiale sullo Stato Islamico - sia gli Stati Uniti che la Russia abbiano proceduto a vendere gradualmente il Rojava alla Turchia di Erdogan, che ha saputo sfruttare la competizione imperialista tra le due grandi potenze. Per Washington e per Mosca, gli islamisti di Ankara e Idlib si sono rivelati più importanti  del risveglio emancipatore nel nord della Siria, ciò a causa del maggior peso geopolitico della Turchia. Gli attuali attacchi aerei e di artiglieria della Turchia nel nord della Siria [*10] e dell'Iraq [*11], non sarebbero possibili senza l'apertura dello spazio aereo da parte degli Stati Uniti, e senza il consenso di Mosca per quel che riguarda la sua zona di influenza nel nord della Siria. Attualmente, l'Occidente sta capitolando di fronte all'islamofascismo, che - storicamente e socio-economicamente parlando - si è sviluppato sotto due forme. Da un lato, sono stati i tanti miliardi di dollari occidentali e sauditi che sono fluiti nelle tasche dei predecessori dei talebani - i mujaheddin afgani che hanno combattuto le truppe sovietiche nella fase finale della guerra fredda - a dare un enorme impulso all'islamismo militante (Osama Bin Laden ha combattuto in Afghanistan). I Talebani si formarono concretamente nei campi profughi e nelle madrase che sorsero - finanziate dai sauditi - in Pakistan-Afghanistan durante la guerra contro i sovietici per indottrinare i bambini alla nascente ideologia islamista. Simultaneamente, la crisi mondiale del capitale che sta soffocando nella sua produttività - la quale, proprio dovuta alla crescente intensità di capitale della produzione di merci nei centri, ha colpito per prima e innanzitutto le regioni periferiche del mercato mondiale, deboli di capitale - ha creato le basi socio-economiche per l'ascesa di movimenti estremisti nella periferia in collasso. L'islamismo rappresenta pertanto - come fa il fascismo europeo su base nazionale e razziale - una forma terroristica di crisi del dominio capitalista, che prende slancio ovunque il corso della crisi sia sufficientemente progredito, e le basi culturali corrispondenti siano in vigore.

La lotta ventennale delle truppe americane e della NATO contro i talebani, assomigliava quindi a una futile lotta contro i mulini a vento, e questo nel momento in cui l'Occidente combatteva i fantasmi della crisi che esso stesso aveva direttamente e indirettamente prodotto. La macchina militare altamente sviluppata del tardo capitalismo ha combattuto - con metodi barbari - sulla terra economicamente bruciata contro i barbari prodotti finali della crisi del capitale. Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO volevano finanziare la sovrastruttura di uno stato capitalista con miliardi di sussidi, e farlo venire letteralmente alle mani, senza rendersi conto che non c'era alcuna base economica per questo. Probabilmente, l'Afghanistan rimarrà per il momento l'ultimo tentativo di nation building dell'imperialismo occidentale in crisi. L'aspetto nuovo dell'attuale escalation in Afghanistan consiste nel fatto che non solo Berlino, ma tutto l'Occidente nel suo insieme comincia ad accettare questa ideologia di crisi su base religiosa, questo fascismo islamico, come se fosse un fattore di ordine della periferia, che dovrebbe tenere sotto controllo le masse superflue del Sud globale, per poter evitare che fuggano verso i centri - anche in vista della prossima prorompente crisi climatica. Anche i talebani ne sono pienamente consapevoli, come chiarisce l'intervista del New York Times. Il modello repressivo di gestione della crisi stabilito da Berlino, in cui i regimi islamisti o le bande vengono letteralmente pagati per impedire i movimenti di volo, minaccia di diventare una nuova realtà distopica nell'attuale imperialismo di crisi. Oggi sembra che sia in atto la transizione verso un capitalismo neoliberale formalmente democratico, dove il dominio senza soggetto viene esercitato attraverso i livelli di mediazione del mercato e del potere giudiziario, e sembra essere ormai in atto un'amministrazione della crisi apertamente autoritaria. Anche la facciata di «Libertà e Democrazia» viene ora abbandonata, con un Biden che ancora una volta si limita a continuare le politiche di chi è stato il suo predecessore populista di destra alla presidenza. Questa svolta autoritaria inizia a partire dalla periferia; ma, come ad esempio è dimostrato dalla militarizzazione dell'apparato di polizia statunitense, si riverserà presto anche sui centri.

- Tomasz Konicz - Pubblicato su www.exit-online.org il 10.09.2021 -

Questo testo si riferisce ad aspetti del libro "Weltordnungskrieg" [La guerra di ordinamento mondiale], di Robert Kurz, del 2003. Nella primavera del 2021, "zu Klampen" ne ha pubblicato una nuova edizione, con una postfazione aggiornata di Herbert Böttcher.

NOTE:

[*1] - https://www.deutschlandradio.de/oberst-klein-wird-general.331.de.html?dr9am:article_id=217621

[*2] - https://www.zeit.de/politik/deutschland/2021-08/angela-merkel-afghanistan-regierungserklaerung-evakuierung-bundeswehr-kritik-bundesregierung

[*3] - https://www.nytimes.com/2021/08/25/world/asia/taliban-spokesman-interview.html

[*4] - https://www.businessinsider.com/afghanistan-taliban-set-a-woman-on-fire-for-bad-cooking-2021-8?IR=T

[5*] - https://apnews.com/article/middle-east-africa-afghanistan-taliban-islamic-state-group-8b54562a8676906d497952c9e3f0cfda

[*6] - http://www.konicz.info/?p=4430

[*7] - https://thehill.com/opinion/international/569838-as-afghanistan-crumbles-turkeys-airstrikes-set-up-the-next-disaster

[*8] - http://www.konicz.info/?p=4430

[*9] - http://www.konicz.info/?p=4343

[*10] - https://anfdeutsch.com/rojava-syrien/kobane-kriegsversehrte-protestieren-gegen-turkische-angriffe-28065

[*11]https://www.france24.com/en/live-news/20210817-3-dead-as-turkey-raids-north-iraq-clinic-security-medics

fonte: EXIT!

domenica 26 settembre 2021

Le Leggi della Storia ?!??

Marx commenta Aristotele come se quest'ultimo si fosse proposto di risolvere la questione quantitativa relativa al valore di scambio.
Ma la domanda che pone Aristotele è molto più profonda e va assai più lontano - ed è una domanda che a volte Marx crede di poter eliminare facendo riferimento "alle leggi della storia" (...) La domanda di Aristotele riguarda l'enigma della fondazione della comunità politica: Koinomia (società) all'incrocio con Païdéïa (creazione di individui sociali) Dikalosuné (giustizia) e Allage (scambio), tuttavia visto come la indissociazione di questi tre principi.

- Cornelius Castoriadis, in "Carrefour du Labyrinthe - Tomo 1" – 1976 -

sabato 25 settembre 2021

Paralleli …

Dal sito mondialisme.org, traduco e pubblico una piccola "provocazione", apparsa originariamente su Passa Palavra, che analizza il parallelo tra anti-vax ed ecologisti. Scritta da João Bernardo e annotata da Yves Coleman di mondialisme.org, si potrebbe quasi dire che le argomentazioni di Bernardo siano ... «se non del tutto giuste, quasi niente sbagliato», però ritengo che proprio per questo possano servire quanto meno a pensare e a considerare le radici storiche in cui affondiamo, e che dovrebbero sempre essere le premesse per qualsiasi analisi e presa di posizione.

Ecologisti e anti-vax... stessa lotta![*1]
- Il negazionismo, rispetto al COVID-19, circa le misure sanitarie e i vaccini, è identico all'atteggiamento che hanno gli ambientalisti nei confronti dei progressi scientifici e degli esperimenti di laboratorio. -
- di João Bernardo -

1 -
Un anno e mezzo fa, ho pubblicato sul sito di Passa Palavra un breve articolo dal titolo "L'Autodisciplina nella lotta contro la pandemia" [*2]. «La cultura brasiliana è 1) indisciplinata, 2) allegra e 3) ama il contatto fisico», scrivevo in quell'articolo, per poi porre subito dopo la seguente domanda: «I duecentodieci milioni di brasiliani riusciranno, tanto di notte quanto di giorno, a smettere di frequentare le "lanchonetes" [*3] e i bar,  a smettere di fare feste, a smettere di sfiorarsi e toccarsi e riusciranno a fare la fila mantenendo la distanza di un metro e mezzo tra di loro?» Per rispondere subito: «Ne dubito.»  Poi, avendo letto i testi pubblicati dalle organizzazioni di estrema sinistra in diversi paesi, avevo previsto cosa sarebbe successo in Brasile. «Nei circoli libertari e anarchici, in caso di pandemia, non mancheranno di circolare testi che attaccano "l'autoritarismo sanitario" e che difendono il "diritto alla libertà"». E ho aggiunto: «con questo genere di atteggiamento, che ritrovo in diversi testi, di paesi diversi, questi ambiti libertari e anarchici riflettono ciò che li caratterizza fondamentalmente: l'individualismo». Cosa avevo mai scritto ! Da una parte, gli identitari mi hanno accusato di essere un colonialista, un euro-centrista, di non conoscere il Brasile, di essere ignorante, di avere dei pregiudizi e di riprodurre dei luoghi comuni. Come se io non avessi vissuto e insegnato per trent'anni in Brasile; e come se la cultura di convivialità non fosse stato uno dei motivi che più mi ha attratto e mi ha fatto mettere radici lì. Dall'altra parte, i lettori con un'inclinazione più sociale mi hanno accusato di ignorare la povertà di gran parte della popolazione brasiliana, una povertà che impedirebbe loro di prendere quelle precauzioni necessarie per evitare la diffusione del virus. È stato precisamente nel momento in cui stavano nascendo movimenti per mobilitare i lavoratori e i residenti delle favelas e delle periferie, e di organizzarli per chiedere l'assistenza sanitaria di base, come è successo con i lavoratori dei call center [*4] e come ha fatto Deivison Nkosi [*5] e altri, per esempio la Central Única das Favelas, CUFA [*6]. Quanto agli anarchici, che sono assai suscettibili e non sopportano di essere punzecchiati, si sono scandalizzati per le mie osservazioni, arrivando a dire che stavo facendo un discorso stalinista. Questo nello stesso periodo in cui mi arrivavano quasi quotidianamente pubblicazioni anarchiche da vari paesi, sulle quali gli autori ruggivano contro il distanziamento sociale, il confinamento e le altre restrizioni sulla mobilità. Basterà un esempio, che vale per tutti: «In confronto, l'influenza stagionale è assai più mortale: in tutto il mondo ne muoiono da 290.000 a 650.000 persone», ha dichiarato l'organo della Fédération Anarchiste de France il 3 marzo 2020 [*7], considerando inoltre «le misure adottate per contenere la diffusione del Covid-197» come «decisioni liberticide». Alcune persone mi hanno anche accusato, in diverse occasioni, di essere a favore della sospensione delle lotte sociali finché dura il Covid-19. E questo nonostante il fatto che la conclusione del mio articolo fosse inequivocabile: «Nella situazione attuale, abbiamo bisogno di uno sforzo auto-organizzativo che ci porti - con i nostri mezzi e senza aspettare i diktat del governo e la sorveglianza della polizia - a rispettare e diffondere gli standard di sicurezza proposti dagli scienziati e dai professionisti della salute. Se l'autogestione della società viene preparata attraverso l'autogestione delle lotte, oggi essa viene preparato anche a partire dalla nostra capacità di autodisciplina nella lotta contro la pandemia. Si tratta di essere solidali con gli altri, di evitare che noi li infettiamo. E la solidarietà mi sembra che sia la base di ogni lotta anticapitalista». Per i calunniatori, tuttavia, e per coloro che inventano delle accuse solo per il gusto di calunniare, c'è solo un posto dove andare a finire: nel cestino.

2 -
Ma è c'è una ragione molto più profonda per cui l'indignazione di questi lettori è ingiustificata. La sinistra cerca di ignorare una verità evidente allorché, quando è costretta ad affrontarla, cerca di non trarre le giuste conclusioni: Jair Bolsonaro non è arrivato alla presidenza della Repubblica nel 2018 per mezzo di un qualche colpo di stato militare messo in atto alle spalle della popolazione. È stato eletto con il 55,13% dei voti espressi, che corrisponde a circa 57,8 milioni di brasiliani. Questo significa che egli sapeva di avere una base sociale estremamente ampia, la quale era pronta a sostenere il suo governo nel momento in cui ha sottovalutato il rischio del Covid-19 e ha fatto in modo che non cambiasse nulla. Il comportamento allegro e conviviale, caratteristica indiscutibile della cultura brasiliana, predisponeva a questa convergenza politica, e ha amplificato gli effetti della negligenza del governo. Inoltre, abbiamo potuto assistere a una curiosa simmetria tra, da un lato, il presidente Bolsonaro, per cui il contenimento e il distanziamento sociale non erano necessari poiché l'economia doveva funzionare e i poveri dovevano lavorare e, dall'altra parte, i miei detrattori, che sostenevano che le condizioni di vita dei poveri impedivano loro di praticare il contenimento e il distanziamento sociale. In pratica, i risultati sono stati i medesimi. Ora, questa apparentemente improbabile convergenza tra i due estremi dello spettro politico si è riprodotta ad altri livelli, non solo in Brasile ma nel mondo in generale. mondo in generale. Infatti, i brasiliani dimenticano spesso che il Brasile si trova nel mondo [*8] ,e che il mondo non si limita solo al Brasile: fin dall'inizio della pandemia, ci sono state manifestazioni di piazza in Europa e negli Stati Uniti, mobilitando a volte migliaia di persone sia dell'estrema sinistra che dell'estrema destra, per protestare non solo contro la l'imposizione di misure sanitarie da parte del governo, ma anche contro l'idea stessa che il Covid-19 fosse una malattia grave o pericolosa per la vita, o addirittura che esisteva, e che bisognava prendere delle precauzioni speciali per combatterla. La recente imposizione generalizzata di certificati di vaccinazione [e delle tessere sanitarie] nell'Unione Europea, è stata un ulteriore pretesto per questa convergenza, e viene ora utilizzata come tema di mobilitazione per le manifestazioni di strada. Qui importa poco che la stragrande maggioranza della popolazione di questi paesi sostenga le misure sanitarie restrittive e che le minoranze, per quanto rumorose possano essere, rimangono minoranze, a volte perfino assai ridotte. Sottolineo come esse riuniscano persone dell'estrema sinistra e dell'estrema destra, e questa confluenza dovrebbe allarmarci, in quanto credo di avere abbondantemente dimostrato che il fascismo non emerge da un solo polo estremo dello spettro politico, ma piuttosto grazie alla convergenza o, meglio ancora, all'intersezionamento pratico e ideologico tra questi due poli.

3 -
L'intersezionarsi di una certa estrema sinistra con una certa estrema destra nel rifiuto attivo e militante delle norme sanitarie, non si è limitato alla partecipazione congiunta a delle manifestazioni di strada; ma ha generato una sfera ideologica comune, dove due grandi temi possono essere distinti due grandi temi principali. Il primo riguarda le teorie del complotto. Per il marxismo, la storia è orientata e determinata da delle forze sovraindividuali definite nel conteso dell'economia, le sue infrastrutture materiali e i rapporti sociali di produzione. Al contrario, le teorie della cospirazione pretendono di rilevare il corso della Storia nelle decisioni segretamente adottate da un piccolo numero di persone che si nascondono nell'ombra. Da un lato, si accetta l'esistenza di un meccanismo che va al di là delle volontà individuali; dall'altro, si crede nella volontà arbitraria dei partecipanti a una cospirazione. Ecco perché le interpretazioni marxiste considerano le classi, o i gruppi sociali, come gli unici soggetti della storia, mentre le teorie della cospirazione accettano il libero arbitrio di un'élite e assumono la dicotomia tra l'élite e le masse, poiché le masse sono solo materia inerte e manipolabile e non agenti della storia. Presentato in questi termini, si potrebbe dire che le teorie del complotto non saranno mai in grado di tagliare il cordone ombelicale che le lega alla destra. Eppure, tuttavia, è successo abbastanza spesso che l'estrema sinistra abbia anch'essa interpretato le contraddizioni sociali come «manovre di corridoio». Ciascuno può verificarlo ogni giorno, parlando con gli amici o ascoltando le conversazioni nei caffè. Ma il problema diventa serio quando lo si generalizza in momenti storici cruciali. Mi limiterò a un solo esempio: nella Francia tra le due guerre, il mito delle «duecento famiglie» che avrebbero cospirato per dominare l'economia e la Repubblica - un mito creato dall'estrema destra - servì allora anche a mobilitare la sinistra del Fronte Popolare. Senza questo, sarebbe difficile capire come alcuni partiti fascisti francesi siano stati in grado di acquisire così rapidamente una base proletaria così ampia, come nel caso del Partito Popolare Francese [*9], il quale ha beneficiato di una significativa adesione di dirigenti e attivisti del Partito Comunista. Alla fine, la «plutocrazia» [*10] (nozione che viene usata esclusivamente dai fascisti) è stata confusa con i capitalisti (nozione che viene usata dai marxisti) in quella che è una comune avversione alle élite. Non si tratterebbe più di rimodellare il sistema economico, ma solo di cambiare l'élite. Oggi, lo stesso fenomeno si riproduce nel populismo, che cerca di mobilitare «il popolo» contro «le élite», entrambi definiti indipendentemente dalla loro classe sociale. Si usa un termine o un altro, a seconda del caso, l'importante è usare un termine alla moda conosciuto da tutti [*11]  che possa servire a dimenticare la rete formata dalle classi sociali, e il sistema economico che le sottende. Per quanto riguarda gli intellettuali e gli scienziati, anch'essi vengono messi nella categoria delle élite detestate, quando esprimono opinioni impopolari, indipendentemente dal fatto che non abbiano ricchezza o potere. Un fascista straordinariamente lucido [*12], Maurice Bardèche, nota in "Qu'est-ce que le fascisme?" - un'opera che è una lettura fondamentale per la comprensione del fascismo - «l'impossibilità per il fascismo di svilupparsi al di fuori dei periodi di crisi [*13]». E dopo aver constatato che il fascismo «non ha principi fondamentali» e «nessun committente naturale», Bardèche proclama che «si tratta di una soluzione eroica», per poi infine concludere: «È il partito della nazione arrabbiata». [*14] E, insiste Bardèche, «per il fascismo, questa rabbia della nazione è indispensabile». In questo modo, le classi si dissolvono nella massa, la lotta tra le classi si trasforma in risentimento [*15] , e ciò che era all'origine il programma dell'estrema sinistra, la quale progettava una ristrutturazione del sistema economico, si trasforma ora in un semplice rinnovamento delle élite. È la strada intrapresa oggi dalle teorie della cospirazione. L'altro grande tema che incrocia l'estrema destra e l'estrema sinistra che si oppone alle misure sanitarie, è quello della decadenza della civiltà. Alla fine del XIX secolo, e anche dopo la rivoluzione francese, l'estrema destra ha introdotto nella riflessione politica il tema della decadenza, sia con implicazioni strettamente culturali  che razziali. Alla fine del XIX secolo, questo tema venne adottato da una parte dell'estrema sinistra, la quale ha cominciato a presentare il capitalismo non come un regime di sfruttamento della forza lavoro, ma come un fattore di decadenza. Dopo alcuni precursori, come Benoît Malon, Georges Sorel e i suoi seguaci sindacalisti rivoluzionari - soprattutto in Italia - furono i primi a considerare sistematicamente il capitalismo come l'agente di un declino della civiltà [*16] , in grado di trascinare in basso la stessa classe operaia. Questo era il percorso che portava più direttamente al fascismo. «Sorel è per me il grande maestro», diceva un vecchio fascista radicale portoghese, Rolão Preto, intervistato da João Medina. «È stato lui quello che forse ha fatto tutto». In questa prospettiva, posso definire il fascismo come un tentativo di mobilitare la classe operaia al fine di impedire che il capitalismo finisca a causa sua preannunciata decadenza. Così, in un'epoca in cui, agli occhi di molti, il darwinismo incoraggiava la concezione della civiltà in termini biologici, la distanza tra le nozioni di decadenza della civiltà in termini biologici e la decadenza razziale diventava breve. Questo spiega perché originariamente delle personalità come Karl Pearson in Gran Bretagna, Georges Vacher de Lapouge in Francia o Ludwig Woltmann [*17] in Germania aderirono all'eugenetica e interpretarono la lotta di classe come un conflitto razziale. Allo stesso modo, l'eugenetica si fece strada negli ambienti anarchici, e le pratiche del vegetarismo e del nudismo, che oggi ci sembrano innocue, venivano viste come strumenti di redenzione biologica sia dagli anarchici che dai nascenti movimenti fascisti, come il Wandervögel [*18] in Germania, per esempio. Mentre alcuni vedevano l'attacco al capitalismo come un'ultima risorsa per salvare la civiltà o, in termini spengleriani [*19] , la cultura, altri volevano andare oltre e salvare la razza umana stessa. Questi labirinti ideologici, che sono apparsi e si sono aggrovigliati tra la fine del diciannovesimo secolo e la fine della seconda guerra mondiale, sono riemersi recentemente in quelle correnti di sinistra, oggi di moda nei campus universitari, per le quali il capitalismo dà luogo al proprio collasso, indipendentemente da qualsiasi lotta della classe operaia, una classe che sarebbe stata trascinata, insieme al capitalismo, nella stessa catastrofe della civiltà. Il terreno era già stato preparato dai postmodernisti e dai loro seguaci, con il loro rifiuto della nozione di progresso. Il fascismo appare nel momento in cui la destra riprende alcuni dei propositi e dei desideri, o delle paure, della sinistra, mentre la sinistra, a sua volta riproduce alcuni dei miti comunemente condivisi dalla destra. Questo è ciò che sta accadendo durante questa pandemia, nella quale converge una retorica apocalittica espressa da entrambe le parti, le quali si fondono in una rinascita, o piuttosto una rielaborazione, del fascismo, sia per la strada che nel campo delle idee. A prima vista, potrebbe sembrare strano che la pandemia, una congiuntura particolare situata al di fuori della politica, sia stata utilizzata in questo nuovo processo di politicizzazione. Ma i presupposti di tutto questo erano già stati elaborati dal movimento ambientalista.

4 -
L'atteggiamento negazionista nei confronti del Covid-19, delle misure sanitarie e dei vaccini, è del medesimo tipo, e fa ricorso alla stessa retorica e quegli stessi argomenti che il negazionismo del movimento ambientalista oppone ai progressi scientifici e agli esperimenti di laboratorio. Ma le radici del problema sono assai più profonde, e per comprenderlo bisogna sottolineare che il movimento ambientalista non è interessato alle relazioni sociali del lavoro, ma unicamente al punto di vista dei consumatori. Il movimento ambientalista cerca solo di promuovere prodotti, o ambienti rurali e urbani che presenta come sani, senza farsi delle domande sulle condizioni di lavoro richieste. Così, la sinistra, convertita all'ecologia, ha abbandonato ciò che la caratterizzava - una prospettiva di classe basata sul processo di produzione, per limitarsi alla sfera del consumo; quella che è la prospettiva tradizionale del liberalismo e del riformismo di destra. In un articolo pubblicato trentaquattro anni fa sulla "Revista de Administração de Empresas" [*20], Rita Delgado e io siamo giunti alla conclusione, analizzando il quadro portoghese tra il 1979 e il 1984, che «tre quarti degli incidenti mortali sul lavoro in questo campione erano dovuti a tecnologie primitive, o all'uso arcaico di tecnologie più avanzate». Questa constatazione ci ha portato a criticare l'ecologia quando essa «richiede l'uso di tecnologie arcaiche e il ritorno a un sistema di piccole imprese a conduzione familiare, che rallenterebbe lo sviluppo delle forze produttive». «Le comunità marginali degli ecologisti sono una proposta illusoria e demagogica», abbiamo scritto. «Di tutte le proposte avanzate dagli ecologisti, ciò che rimane in pratica non è la riduzione dei ritmi lavorativi, ma solo l'uso di tecnologie arcaiche. E così dobbiamo pertanto analizzare le conseguenze dell'uso di queste tecnologie arcaiche nel contesto generale del sistema capitalista». In Brasile, i risultati di questa predominanza della prospettiva del consumo su quella dei rapporti di lavoro sono particolarmente evidenti tra gli agro-ecologisti, come testimonia la loro posizione nei confronti dell'agricoltura familiare. Ricordo che in un intervista [*21] pubblicata sul sito web del Movimento dei lavoratori rurali senza terra, il MST, l'economista Jean Mar Von Der Weid, coordinatore delle politiche pubbliche della ONG "Agricultura Familial e Agroecologia" e membro della "Articulação Nacional de Agroecologia", dopo aver considerato che l'agroecologia «non è affatto un sistema che funzioni bene con manodopera salariata, perché funziona solo con delle mansioni semplici», ha dichiarato: «Se chiedete [a un lavoratore salariato] di svolgere un compito estremamente complesso, egli non sarà interessato a farlo, perché guadagnerà ugualmente per ogni ora lavorata». Questo economista ha pertanto riconosciuto che la lotta dei lavoratori rurali contro lo sfruttamento è un fattore che rende non sostenibile l'agro-ecologia, e ha concluso che «c'è una simbiosi perfetta tra l'agro-ecologia e l'agricoltura familiare» e che «in futuro, rispetto a oggi, ci sarà bisogno di molta più agricoltura familiare».
Infatti, ogni economista sa che il grado di sfruttamento nelle imprese familiari, che si tratti di laboratori o di imprese agricole, è molto alto perché i membri della famiglia non considerano il proprio lavoro come un costo e sono quindi disposti a lavorare molte più ore di quanto faccia un dipendente esterno alla famiglia. In Brasile, secondo il censimento agricolo del 2006, del numero totale di persone impiegate nell'agricoltura familiare l'89,4% era imparentato con il capo dell'azienda. Questo fatto viene cinicamente sfruttato dal MST e da tutti gli agro-ecologisti. Uno degli aspetti più evidenti di questa ricerca del plusvalore assoluto è l'uso del lavoro minorile, visto che il citato censimento ha rivelato che il 7,4% della forza lavoro impiegata nelle imprese familiari, o nelle aziende agricole, erano composte da bambini e adolescenti, mentre in quelle non familiari la percentuale si riduceva al 3,6%. Questa apparente digressione evidenziava, con l'aiuto di esempi eloquenti, alcune delle conseguenze pratiche di una prospettiva centrata sul consumo e distaccata dalle relazioni sociali lavorative. Ma il problema è più ampio e va al cuore del movimento ambientalista, perché quando esso invoca una concezione mitica della natura, per prevedere un altrettanto mitico esaurimento delle risorse naturali e per giustificare un abbassamento degli standard di vita, usa l'argomento del consumo per minare i rapporti di lavoro. E l'attuale pandemia fornisce una nuova opportunità agli ambientalisti per cercare di convincerci che stiamo consumando troppo e che dovremmo quindi adottare stili di vita ascetici. Questo appello è tanto più udibile perché alle due estremità dello spettro politico sono apparsi individui deliranti che accusano la società benestante di essere responsabile del Covid-19.
Non posso fare a meno di menzionare di nuovo un'ironica convergenza che avevo già menzionato in un altro articolo. «L'incoscienza di questo sovra-consumo ha giocato un ruolo importante nel degrado dell'ambiente», ha scritto David Harvey [*22], beniamino della sinistra marxista, concludendo che «Se freniamo l'attrazione per ill consumo eccessivo sconsiderato e insensato, possiamo ottenere alcuni benefici a lungo termine». Analogamente, il vescovo di Setúbal, che appartiene alla «sinistra» dell'episcopato portoghese, ha detto che «questo virus è arrivato per dimostrare che si può vivere decentemente e molto più felicemente con meno - con meno spreco di risorse, le quali sono per tutti e non solo per alcuni» [*23]. E questo lo dicono tutti i tipi di persone. Allorché ho definito il movimento ambientalista come una delle componenti del fascismo post-fascista, stavo preannunciando l'orizzonte in cui le teorie della cospirazione, il populismo anti-elitario e l'ossessione per la decadenza e la catastrofe finale si sarebbero fuse nell'amalgama ideologico che considera il Covid-19 e i vaccini come il risultato della manipolazione delle élite economiche, e la richiesta di misure sanitarie come una manipolazione delle élite politiche.
Ho dimostrato, con ampie prove, l'affiliazione tra ecologia e regimi fascisti, e in particolare tra agro-ecologia e nazionalsocialismo tedesco. In particolare, sotto forma di "Agricoltura Biodinamica" [*24], essa deve le sue origini a Rudolf Steiner, il fondatore dell'antroposofia. Il ministro del Reich per l'alimentazione e l'agricoltura, Führer dei contadini del Reich e capo del dipartimento centrale delle SS per la razza e la e colonizzazione con il grado di Obergruppenfuhrer, il secondo grado più alto nella SS, Walther Darré [*25] accolse molti dei discepoli di Steiner nel suo ministero. Tuttavia, per evitare la rivalità, o addirittura l'ostilità che l'antroposofia suscitava in alcuni settori del nazionalsocialismo, Darré fece un cambiamento di vocabolario e l'agricoltura biodinamica divenne «agricoltura organica», dottrina ufficiale del Terzo Reich. Dopo il 1945, l'ecologia venne relegata nello stesso oblio del resto dell'ideologia fascista, ma con la disfatta delle speranze generate dai movimenti per l'autonomia operaia negli anni '60, soprattutto con il dissolversi del mitico Maggio '68, la sinistra, disperata, ha resuscitato l'ecologia, e con essa l'agro-ecologia. Non dimentichiamo mai questa filiazione, perché essa ci permette di capire il negazionismo sanitario, il quale caratterizza quella che è la più recente reincarnazione del fascismo post-fascista. Le dottrine ecologiste si basano sul mito di una natura che viene presentata come se fosse un organismo, e sulla necessità di una fusione tra l'essere umano e la natura. Questo mito permea anche i deliri di coloro che attribuiscono il Covid-19 a uno squilibrio della natura causato dall'uomo. Analogamente, l'atteggiamento del movimento ambientalista verso la scienza e i laboratori è lo stesso del movimento anti-vaccino. [*26] Le critiche che alcuni fanno a quelli che loro chiamano «agro-tossici» [*27] sono le stesse critiche che altri fanno ai vaccini; la sfiducia che alcuni nutrono nei confronti di Pfizer o Johnson non è diversa dalla sfiducia che altri provano verso Monsanto o Syngenta. Di sfuggita, vorrei fare una digressione per sottolineare che Syngenta è stata acquistata nel 2016-2017 da una società statale cinese, ChemChina, il che non ha impedito alla MST, malgrado il suo proselitismo agro-ecologico, e l'ostilità verso ciò che chiama agrochimici, di aver assunto il ruolo di portavoce delle meraviglie del regime cinese. Oppure la MST S.A. [*28] avrebbe scoperto un vantaggio in un simile ruolo? In ogni caso, la sfiducia del movimento ambientalista nei confronti della scienza e delle scoperte di laboratorio ha aperto la strada all'aumento dell'attività del movimento anti-vaccino. In ogni caso, la sfiducia del movimento ambientalista nella scienza e nelle scoperte di laboratorio ha aperto la strada a una rinascita dell'attività del movimento anti-vaccino. Così, l'irrazionalismo generato un secolo fa nel quadro del fascismo classico riappare oggi, e allo stesso modo favorisce la confluenza di temi dell'estrema destra e dell'estrema sinistra.

João Bernardo, 02/09/2021, Pubblicato su Passa Palavra
Note di Yves Coleman

fonte: mondialisme.org

NOTE:

[*1] - "Stessa lotta", nell'articolo originale non era presente.
[*2] - https://passapalavra.info/2020/03/130263/
[*3] - Sono dei piccoli bar completamente aperti sulla strada, e che servono bevande, snack e pasticcini.
[*4] - https://passapalavra.info/2020/03/130296/
[*5] - Dottore in Sociologia, cantante e musicista, militante della causa afro-brasiliana, attivo contro i razzismo e il razzismo istituzionale del suo paese. Sul suo sito ci sono altre informazioni, http://deivisonnkosi.kilombagem.net.br/biografia/ . Vale la pena sottolineare come non esiti a spacciare notizie false sul Coronavirus e su Israele (come se quelle vere non bastassero!), anche a costo di dover poi ritrattare in seguito la sua dichiarazione (cfr. 7 aprile alle 14:24 su Facebook), e a tollerare insulti omofobi da parte di alcuni dei suoi 3.094 "amici", come quelli di un certo Paredes, il quale in un post esclama "Che questo ***** - o lesbica - (sic) di Israele possa morire!", mentre denuncia allo stesso tempo l'omofobia sulla propria pagina Facebook... La "confusione" (l'estremizzazione a destra) è decisamente universale negli ambiti "radicali".
[*6] - Secondo il sito web di questa ONG brasiliana, la "CUFA” (Central Única das Favelas) è una organizzazione riconosciuta a livello nazionale e internazionale in campo politico, sociale, sportivo e culturale, ed esiste da vent'anni. È nata dall'unione di giovani delle favelas, soprattutto neri, che cercavano spazi per esprimere i loro contenuti, le loro domande o semplicemente la loro voglia di vivere (...). La CUFA promuove attività nei campi dell'istruzione, tempo libero, sport, cultura e cittadinanza, come graffiti, DJ, break, rap, audiovisivi, street basket, letteratura e altri progetti sociali. Inoltre promuove, produce, distribuisce e diffonde la cultura hip hop attraverso pubblicazioni, dischi, video, programmi radiofonici, concerti, concorsi, festival musicali, cinema, laboratori artistici, mostre, dibattiti, seminari e altri media. Queste sono le principali forme di espressione della CUFA e servono come strumenti di integrazione e inclusione sociale.
[*7]https://monde-libertaire.net/index.php?articlen=4566  - "Coronavirus ovvero l'autoritarismo igienista", articolo di Odile in Le Monde libertaire del 3 marzo 2020.
[*8] - Cfr. l'articolo di João Bernardo: «Le Brésil n’est pas au Brésil. Il est dans le monde» (5 avril 2020) http://npnf.eu/spip.php?article723
[*9] - Il PPF, un partito fondato nel giugno 1936 da Jacques Doriot, due anni dopo la sua esclusione dal PCF nel 1934. Nel suo periodo d'oro, aveva tra 60.000 e 120.000 membri (gli storici non sono d'accordo sulle cifre), e al suo apice, durante il 1937/1938, la sua organizzazione giovanile aveva circa 36.000 membri. Si stima che circa un quarto dei "doriotisti" provenisse dal PCF.
[*10] -  Il termine plutocrazia viene oggi usato da Dieudonné e Alain Soral, ma anche da François Ruffin della France insoumise: «Sono un democratico. E non un firmocrate, o un plutocrate», tweet dell'11 gennaio 2021. Questo termine, senza la minima definizione teorica, lo si ritrova in diversi collaboratori della rivista "Le comptoir". Questa pubblicazione sostiene di essere «di sinistra» o addirittura «libertaria» o «radicale», se si deve credere al colore politico dei link Internet che essa raccomanda. Questo termine di «estrema destra» viene usato anche da due intellettuali intervistati da questa rivista, tra cui il sociologo Alain Accardo, un discepolo di Bourdieu, che contribuisce al mensile "La décroissance", e da Patrick Mc Grath Muniz, un artista portoricano artista che secondo Le Comptoir esibisce un'ideologia "civica" (?) e "critica" (?). Tuttavia, anche il social-chauvinista Emmanuel Todd sa che questo termine appartiene al vocabolario antisemita, vedi: https://www.lepoint.fr/economie/emmanuel-todd-annulons-la-dette-du-vieux-monde-13-12-2011-1406951_28.php .
[*11] - Nello stesso spirito si veda:  «“La caste” ? La gauche et l’extrême droite partagent le même vocabulaire» http://npnf.eu/spip.php?article867
[*12] - Bardèche è un impostore antisemita, cinico e disonesto, che usa un linguaggio anticapitalista e antimperialista. Cfr. il mio prossimo articolo su questo libro sui siti mondialisme.org e npnf.eu.
[*13] - Qu’est-ce que le fascisme ? p. 93, Les Sept Couleurs, 1961, disponibile online.
[*14] - Ivi, p.94
[*15] - Cfr. l’articolo di João Bernardo, «Lutte des classes ou ressentiment, il faut choisir»: http://npnf.eu/spip.php?article33 .
[*16] - Cfr. la serie di articoli di João Bernardo, «Ils ne savaient pas encore qu’ils étaient fascistes»: http://npnf.eu/spip.php?article859 .
[*17]Karl Pearson (1857-1936), matematico e biostatistico britannico, fu uno dei sostenitori del razzismo scientifico, dell'eugenetica e dell'antisemitismo. Ha affermato anche di essere un sostenitore delle
idee di Marx e del socialismo, e sostenne il movimento delle suffragette. Georges Vacher de Lapouge (1854-1936): «Antropologo francese, magistrato e poi bibliotecario, è un bibliotecario, è un teorico dell'eugenetica e una figura dell'antropo-sociologia. Ateo, anticlericale e socialista marxista militante, fu uno dei fondatori del Partito dei Lavoratori Francesi di Jules Guesde, prima di entrare nella SFIO, Section française de l'Internationale ouvrière. Ha sviluppato la teoria razzista di Gobineau nel tardo del XIX secolo» (Wikipedia). Ludwig Woltmann (1871-1907), «antropologo politico e teorico razzista tedesco, ispirato all'inizio dal marxismo. Ha sviluppato un'antropologia politica seguendo le linee del Darwinismo, che poi è stata ripresa dai nazisti» (Wikipedia). Va sottolineato che questi tre autori erano sia marxisti che antisemiti, il che la dice lunga sia sulle ambiguità dell'anticapitalismo marxista che su quelle del fascismo - un elemento questo che João Bernardo sistematicamente minimizza, sebbene questa dimensione essenziale sia stata analizzata in dettaglio da molti pensatori marxisti vicini alla Scuola di Francoforte e dallo storico Francesco Germinario, cfr. i miei articoli su due libri (non tradotti) di questo autore: "Fascismo e antisemitismo. Progetto razziale e ideologia totalitaria" [in italiano: ed. Laterza) e "Dal negazionismo alla sinistra. Paradigmi dell'uso e dell'abuso dell'ideologia" [in italiano: Asterios, Trieste 2017] sul sito web npnf.eu (Y.C.)
[*18] - Un movimento giovanile fondato nel 1896, ostile all'industrializzazione, che faceva l'apologia dei valori teutonici e del folklore germanico. Prima e durante la prima guerra mondiale, questo movimento ha subito nelle proprie file diverse scissioni su delle questioni come l'omosessualità e la coeducazione, e prima del 1933 diversi gruppi hanno sostenuto di essere Wanderfögel, e alcuni di loro si erano avvicinati agli scout. Dopo che presero il potere, i nazisti vietarono queste associazioni, pur recuperando la loro organizzazione ultra-gerarchica e la loro ideologia nazionalista.
[*19] - Oswald Spengler (1880-1936), autore de "Il declino dell'Occidente", opera che gli valse una celebrità internazionale, membro della corrente reazionaria di "Rivoluzione Conservatrice" che si opponeva alla Repubblica di Weimar, e ammiratore di Mussolini.
[*20] - https://rae.fgv.br/sites/rae.fgv.br/files/artigos/10.1590_S0034-75901987000300005.pdf
[*21]https://mst.org.br/2012/05/21/jean-marc-von-der-weid-o-poder-do-agronegocio-sobreestados-na-rio20/
[*22] - https://terrasemamos.files.wordpress.com/2020/03/coronavc3adrus-e-a-luta-de-classestsa.pdf
[*23] - https://www.dn.pt/edicao-do-dia/11-abr-2020/bispo-de-setubal-nao-sao-asdificuldades-que-poem-em-causa-a-igreja-mas-o-comodismo-12056726.html#media-1
[*24] - «L'agricoltura biodinamica è un'agricoltura che garantisce la salute del suolo e delle piante per fornire cibo sano agli animali e alle persone. Attribuisce grande importanza ai ritmi della natura e all'influenza degli astri, in particolare ai cicli lunari. Coinvolgendo l'astrologia nell'agricoltura, la biodinamica può quindi assumere un carattere esoterico». Si vede che l'oscurantismo militante di Steiner e le sue affiliazioni naziste, come evidenziato da João Bernardo, non preoccupano affatto gli autori di questo dizionario dell'ambiente online: https://www.actuenvironnement.com/ae/dictionnaire_environnement/definition/biodynamie.php4 .
[*25] - Cfr. João Bernardo, Contre l’écologie, Editions NPNF 2017, il capito dal titolo: «L’agriculture familiale et le nazisme».
[*26] - Per coloro che ritengono che Joao Bernardo "esageri" (cosa che a volte fa...) o che ricorre alla reductio ad Hitlerum, non posso che raccomandare questo affascinante riassunto ( https://clio-cr.clionautes.org/du-beurre-ou-des-canons-une-histoire-culturelle-delalimentation-sous-le-iiieme-reich.html ) del libro di Tristan Landry, «Du beurre ou des canons. Une histoire culturelle de l’alimentation sous le Troisième Reich, Hermann, 2021». Cécile Duhounaud, l'autore della recensione, inserisce questa discussione in un quadro storico molto più ampio che ci permette di capire l'efficacia della propaganda nazista sulle questioni agricole e alimentari, e il suo uso (o manipolazione, alcuni direbbero) dei temi ambientalisti.
[*27] - «Gli agrotossici sono prodotti chimici sintetici che vengono usati per controllare i parassiti e le malattie degli insetti. Aiutano a mantenere la redditività delle aziende di piantagione e la loro
e i loro sponsor. Questi prodotti causano gravi effetti, tra cui la contaminazione del suolo e delle fonti d'acqua, lo sviluppo di malattie e parassiti resistenti e l'avvelenamento delle persone e degli animali che vivono vicino alle piantagioni.
» Questo è un articolo del World Rainforest Movement che fornisce molte informazioni utili su questo argomento: https://wrm.org.uy/fr/les-articles-du-bulletin-wrm/section1/lesmonocultures-darbres-utilisent-un-produit-agrotoxique-persistant/ .