mercoledì 31 luglio 2013

Intrusi

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La foto, postata per la prima volta su questo sito del "Bralorne Pioneer Museum", Gold Bridge, British Columbia, è stata scattata, a quanto pare, in Canada, nel 1941 circa. Mostra degli spettatori che assistono alla riapertura del ponte South Fork, a Gold Bridge. In breve tempo, su tutto il Web, quest'immagine è assurta a simbolo della veridicità dei viaggi nel tempo, andando così a far compagnia ai fotogrammi che fanno parte del film muto "The Circus", girato da Chaplin nel 1928, in cui si vede una donna che cammina parlando in un telefono cellulare.

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Sarebbe un viaggiatore del tempo, quindi, il personaggio che appare nella fotografia, così decisamente fuori posto e fuori tempo, con i suoi occhiali da sole ed il suo abbigliamento casual (una felpa stampata), mentre regge nelle mani quella che ha tutta l'aria di essere una fotocamera compatta. Certo, se premettiamo il fatto che la teoria del fotomontaggio è del tutto inconsistente, in quanto la fotografia è stata sottoposta ad una serie di analisi ed un tribunale ha stabilito che non esiste nessuna manipolazione, rimangono solo due risposte possibili e, se non vogliamo credere alla teoria del viaggiatore del tempo, non rimane altro da fare che cercare di sapere se quegli oggetti, che ci sembrano così "fuori tempo", non siano invece perfettamente aderenti all'epoca in cui la foto è stata scattata. Come gli occhiali da sole, per esempio, che appaiono - come si può vedere da un fotogramma - sul naso di Barbara Stanwyck, nel film "La fiamma del peccato", di Billy Wilder, girato nel 1944.

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Anche la felpa, che a guardar bene reca sul petto una sorta di emblema bordato, una grande doppia V, esisteva già nel 1940, e se ne possono trovare esempi in altre foto, ad esempio su questo sito, e, soprattutto, sembra essere l'emblema di una squadra canadese di hockey, i Montreal Maroons, che ha giocato dal 1924 al 1938. Quanto alla macchina fotografica compatta, non è che in fondo sia molto diversa da una Kodak Folding Pocket, sul mercato già fin dall'inizio del secolo scorso.
Insomma, sembra che si dovrà ancora aspettare la prova che dimostri che il viaggio del tempo è stato/è/sarà possibile. Certo, se il tizio avesse avuto in testa, chessoio, un cappellino della Nike ....

martedì 30 luglio 2013

metti una sera a cena

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Hollywood, novembre 1972. George Cukor ha invitato Luis Buñuel a cena, per dargli il bentornato, dopo 28 anni di assenza. Non aveva mancato di avvertirlo che erano stati invitati anche altri amici, senza, però, avergliene fatto i nomi. Fatto sta che quel giorno, intorno ad un tavolo, davanti ad un buon pasto accompagnato da buon vino, si riunirono alcuni fra i più illustri nomi del cinema americano. Billy Wilder, Alfred Hitchcock, John Ford, William Wyler, George Stevens, Rouben Mamoulian, Robert Wise e, il più giovane di tutti, Robert Mulligan. Così, si possono riconoscere tutti i registi americani che vollero rendere omaggio all'anarchico spagnolo.
Nella foto, è presente - l'unico ancora vivo - Jean-Claude Carrière, collaboratore di Buñuel, con cui andrà a scrivere "Il fascino discreto della borghesia"; pellicola che, l'anno seguente, si aggiudicherà l'oscar come miglior film straniero. Durante la cena, John Ford - che dovette andar via prima che fosse scattata la foto - confessò a Buñuel che ammirava il suo cinema e lo invidiava per la totale libertà nelle riprese, e nonostante gli scarsi mezzi finanziari, mentre lui, con tutti quei soldi a disposizione, era sempre ostacolato dai produttori e dai dirigenti degli studios, sacrificato sull'altare del risultato al botteghino e delle opinioni dei critici.

lunedì 29 luglio 2013

Il santo odio e i catarifrangenti

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Al tempo di Stalin - e soprattutto all'inizio del suo mandato - la religione, in Russia, se la passava decisamente male. Man mano che i tentacoli del regime si insinuavano in tutti gli anditi della vita civile, la chiesa russa veniva smantellata, pezzo per pezzo, le gerarchie religiose venivano incarcerate, gli edifici di culto distrutti ed i fedeli dissuasi, con tutta la forza della parola, a recarsi ai loro appuntamenti con dio. Poi, ad un certo punto, con l'arrivo al potere in Germania, di un uomo chiamato Adolf Hitler, le regole del gioco cominciarono a cambiare. Stalin si rese conto che, a fronte della smisurata ambizione del führer, la religione poteva diventare utile, se non addirittura necessaria. Così, l'Unione Sovietica cominciò a riavvolgere la cassetta: le chiese vennero ricostruite, le gerarchie religiose vennero scarcerate ed i fedeli incoraggiati ad andare a messa. Insomma, una bella ondata di fede! E fu in tale contesto che, dai pulpiti, si cominciò a propagandare il concetto del "Santo Odio".
In poche parole, veniva stabilito che ammazzare non era peccato, se si trattava di levare dal mondo quei tipi con l'uniforme nazista. Anzi! In tal caso si riceveva l'approvazione di tutti i martiri, dei santi e del proprio dio.
Intanto, in Germania, Hitler si apprestava a percorrere il cammino inverso. La tolleranza del Reich nei confronti della Chiesa cominciava a vacillare, ed Himmler immaginava di cancellare ogni traccia del cristianesimo in Germania; aveva già quasi convinto Hitler che il popolo tedesco aveva bisogno di far piazza pulita delle sue vecchie credenze (il fatto che venisse adorato un ebreo, era cosa che lo metteva parecchio nervoso!) e si disponesse a considerare le proprie "radici pagane, fondate sull'indiscutibile superiorità della razza ariana".
Il compito di svolgere al meglio questa missione, venne delegato ad un'istituzione denominata "Ahnenerbe", incaricata di riscrivere la storia della Germania; insomma, ad inventarsela. Così si cominciarono a fare spedizioni in tutto il mondo: tipo, una spedizione in Iraq che doveva tornare portando le prove che dimostrassero come i Persiani fossero cugini di primo grado dei nazisti, e così via.
Fatto sta, però, che in una situazione di "sforzo bellico", come quello in cui si trovava impegolata l'economia tedesca, i fondi per le attività della creatura di Himmler si riducevano sempre più. Ragion per cui, si rendeva necessario cominciare a generare fondi propri. A tal fine, Himmler aveva sotto mano una sorta di inventore: Anton Loibl, già autista di Hitler. Una delle sue invenzioni sarebbe stata il catarifrangente da applicare ai pedali delle biciclette. Così, prevedendo lauti guadagni, l'Ahnenerbe decise di fondare un'impresa a metà con Loibl. Purtroppo, quando il capo delle SS cercò di registrare il brevetto del catarifrangente, si accorse che l'invenzione era già stata brevettata. Poco male, a quei tempi c'era una soluzione assai in voga, la quale venne senz'altro sfruttata, ed il brevetto dell'invenzione originale sparì. Il passo successivo, fu quello di obbligare tutte le fabbriche tedesche che producevano biciclette ad aggiungere, al proprio prodotto, il pedale speciale dotato di catarifrangente. Alcuni signori in uniforme nera, giravano per le fabbriche e si assicuravano personalmente che il messaggio di Himmler fosse stato recapitato. Alla fine, il pedale venne montato su tutte le biciclette costruite sia in Germania che nei paesi amici (leggi "annessi") ed i soldi cominciarono ad arrivare. Ma il denaro non era sufficiente a coprire le spese per il dispiegamento di mezzi che l'operazione di riscrittura della storia richiedeva, si fece perciò ricorso alla "contabilità creativa", falsificare bilanci ed inventarsi cifre.. Del resto, le banche potevano fornire denaro, su richiesta, e certamente nessuno riusciva ad immaginare un banchiere che entrava nel quartier generale delle SS, per richiedere la restituzione di un debito. E poi, in fondo, il denaro è solo carta stampata, mentre un banchiere è un corpo che può essere torturato o mandato in un campo di sterminio.
Vabbé, come fu, come non fu, l'Ahnenerbe continuò ancora un po' con le sue attività, fino a quando Hitler cominciò a sentire una radicale indifferenza per le origini della razza ariana ed a nutrire un interesse sempre maggiore per la resistenza delle pareti del suo bunker. Intanto, in Russia, il Santo Odio risultò decisivo per sconfiggere i nazisti, unito a qualche altro piccolo mezzo, come la mania di Stalin di fucilare qualche disertore (o chiunque ritenesse che un bastone non era sufficiente per affrontare un soldato della Wermacht), o come la deportazione di migliaia di famiglie in Siberia.
Così, alla fine si scoprì che i Persiani non erano affatto i cugini di primo grado dei nazisti, e che l'uomo di Cro-Magnon non era per niente il padre di tutte le razze inferiori. E l'unica eredità che ci hanno lasciato Himmler e l'Ahnenerbe - mentre cercavano le prove del dominio ariano sul mondo - sono i pedali rilucenti delle biciclette.

domenica 28 luglio 2013

Il cappotto di Marx

cappotto

"Osservate il cappotto di Schelling", scrive Walter Benjamin nella sua "Piccola storia della fotografia", "osservate il cappotto di Schelling, nella foto che ce lo ha tramandato". Lì  c'è il tempo, afferma Benjamin: "questo cappotto è diventato tanto immortale, quanto il filosofo: le forme che esso ha assunto sul corpo del suo proprietario non sono meno preziose, né delle rughe, né del suo viso".
C'è - a tal proposito - un piccolo libro, o meglio il capitolo di un libro, "Il cappotto di Marx: abbigliamento, memoria e dolore" di Peter Stallybrass. Purtroppo mai tradotto in italiano (lo si può leggere e/o scaricare qui, nella sua versione originale, in inglese). Impossibile non ricollegarlo a Benjamin e alle sue considerazioni sul cappotto di Schelling. Per Stallybrass, il cappotto di Marx è una tragica ed ironica, e quasi impercettibile, allegoria della vita quotidiana di Marx, e non solo. Un'allegoria di tutta la sua vasta e complessa opera. "Il cappotto invernale di Marx era destinato ad entrare e ad uscire dal Banco dei Pegni per tutti gli inverni, dagli anni '50 del 1800, fini all'inizio degli anni '60". E, continua Stallybrass, "Il suo cappotto determinava direttamente quale lavoro, Marx poteva fare o non poteva fare. Se il suo cappotto rimaneva presso il Banco dei Pegni nel corso dell'inverno, egli, allora, non poteva recarsi al British Museum. Se egli non poteva andare al British Museum, allora non poteva fare le sue ricerche per "Das Kapital". Gli abiti che Marx indossava determinavano così quello che lui scriveva".

sabato 27 luglio 2013

Attentati alla morale

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Nel 1947, Jean-Jacques Pauvert inizia ad editare le opere complete del marchese de Sade. Nel 1956, gli viene intimato di comparire davanti alla giustizia francese, per rispondere del reato di attentato alla morale. A seguito dell'avvenuta assoluzione, sarà proprio Pauvert a pubblicare, nel 1957, un resoconto del processo, una sorta di racconto del percorso sadiano, dal titolo "L'Affaire Sade". Pauvert si improvvisa, a tal scopo, editore di sé stesso e racconta di come la difesa si sia avvalsa di testimoni come André Breton, Jean Cocteau, Jean Paulhan e Georges Bataille, i quali, da diversi punti di vista, hanno confermato l'importanza dell'opera sadiana al fine della conoscenza della condizione umana. Nel 1957, ricorreva il centenario di altri due processi che avevano coinvolto due scrittori: Baudelaire, con "I fiori del male", condannato a pagare una multa, e Flaubert, con "Madame Bovary", che venne assolto.

venerdì 26 luglio 2013

Il ritorno della Colonna Durruti

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"Atto di omaggio ai nostri nonni": il 24 luglio 2004, a Terrassa (Catalogna, Spagna) si celebra un pubblico omaggio ai sopravvissuti della Colonna Durruti.
Fra gli altri, Gregoria Aramendiria, la vedova di Marià Casasús, morto tre giorni prima, Joaquina Dorado, Manuel Llàtzer, Abel Paz e Joan Ullés.

giovedì 25 luglio 2013

cinema: andata e ritorno!

"Con l'avvento del cinema sonoro, i produttori di Hollywood chiamarono negli Stati Uniti attori spagnoli per impiegarli nella realizzazione di pellicole da destinare agli immigrati. Lo stesso film veniva così girato due volte, di giorno con attori americani e di notte con attori ispanici. In seguito all'introduzione del doppiaggio, la pratica venne abbandonata e di quegli attori è rimasta pochissima traccia."
Quando alla fine dei '20 del secolo scorso, il parlato sconvolse i codici del cinema, le produzioni cercarono di correre ai ripari con qualche espediente (in attesa che s'inventasse il doppiaggio). Ad esempio, per non perdere il vasto mercato in lingua spagnola (Europa e, soprattutto, Sudamerica) si assoldarono attori nati negli States ma in famiglie dove si parlava il castigliano e poi si "importarono" attori spagnoli e sudamericani.
Antonio Vidal, Rosita Díaz, Julio Peña, Conchita Montenegro, Julio Crespo, Rosita Dían Gimeno e José Nieto furono alcuni degli attori ed attrici che fecero la valigia, insieme ad autori e registi come Gregorio Martínez Sierra, Edgar Neville, Miguel Mihura ed Enrique Jardiel Poncela.
Nel documentario si raccontano i traumi dell'essere proiettati in una sorta di terra di nessuno, Hollywood, tutta da inventare e fondata sull'apparenza, ma in cui valevano regole rigide d'eleganza e bon ton. Gli attori ispanici erano impiegati nella lavorazione parallela del film: prima si girava la scena anglosassone poi, cambiati gli attori talvolta con effetti comici per la taglia inadeguata dei costumi, si girava la scena in spagnolo. Presto vennero a galla i conflitti tra le inflessioni (la calata canterina degli argentini contro l'intonazione dei cileni).
Alcuni di questi attori ebbero comunque notorietà, come un giovanotto, bellissimo e impomatato, celebre nelle parti di seduttore che abbandonò tutto per farsi francescano; ed un'attrice che poi, nella guerra civile spagnola venne fatta prigioniera dai nazionalisti, il generale Negrìn mandò il figlio a liberarla ma tra i due scoppiò la passione e si sposarono e al generale toccò la parte del testimone.

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Diretto da Óscar Pérez e Mia de Ribot, "Hollywood Talkies" mette in scena, come spiegano gli autori, "il dramma dell'uomo moderno che intraprende un viaggio, in un luogo, in cerca di un mondo migliore, e ne ritorna del tutto disilluso".
"Tutto è cominciato quando abbiamo letto l'autobiografia di Luis Buñuel, nella quale l'autore commentava il suo viaggio negli Stati Uniti, raccontando come durante il viaggio sulla nave avesse incontrato degli attori spagnoli che andavano ad Hollywood. Da lì, abbiamo cominciato ad investigare rimanendo sorpresi dal fatto che su questo c'erano assai poche notizie" - spiega Pérez. Nel corso della loro ricerca, i due registi si sono imbattuti in tutta una serie di fotografie che hanno permesso loro di confrontare le versioni americane e quelle spagnole dei film, in seguito hanno potuto ascoltare delle interviste registrate da un giornalista spagnolo per un libro scritto negli anni '70, in cui vengono narrate queste esperienze. Nel corso del documentario, così, scorrono le immagini di quelle decine di spagnoli che si avventurarono in America  e finirono per fare "una vita da scrocconi, appena lavorando, ma riscuotendo un salario settimanale che permetteva loro di vivere bene".
La scelta "rischiosa" del documentario, è quella di non includere né frammenti di pellicola né testimonianze orali dei protagonisti, optando per uno sguardo molto personale sui sogni e le speranze di tutta una generazione. Le foto di Los Angeles, vista come una sorta di paradiso perduto, si contrappongono a quelle "scure" della Spagna, cui la maggior parte di loro torneranno, molti per morire nel corso della guerra civile.
Una delle storie, nella storia, è quella di Antoni Cumellas, che arrivò ad Hollywood insieme ad un'attrice, dopo aver vinto il concorso fotografico della Fox. Lei, l'attrice, si sposò con un regista nordamericano e rimase negli Stati Uniti, mentre lui, dopo aver perso il permesso di soggiorno, torno nella Spagna in guerra e, dopo essersi nascosto in casa di un prete, venne catturato dai repubblicani che lo scambiarono per un prete, e, non volendo tradire il suo protettore, il suo ultimo "sdoppiamento di personalità" finì per costargli la vita.

mercoledì 24 luglio 2013

a proposito

Opera prima di Jean Vigo, girata nel 1930, un documentario muto, che qui si può vedere nella versione successivamente musicalizzata, in modo magistrale, da Marc Perrone, "A propos de Nice" è una sorta di diario di viaggio a Nizza. Uno sguardo acuto e critico sulla borghesia e l'aristocrazia della città, con la fotografia di Boris Kaufman, fratello di quel Dziga Vertov che tanta influenza avrà nelle opere successive di Vigo.
"In questo film, mostrando alcuni aspetti fondamentali di una città, viene messo sotto processo uno stile di vita ... gli ultimi sussulti di una società, così perduta nella sua fuga dalla realtà, fino a disgustare e rendere auspicabile una soluzione rivoluzionaria." - così descrive il film, lo stesso Vigo, alla sua proiezione di fronte al "Groupement des Spectateurs d'Avant-Garde".

martedì 23 luglio 2013

ben scavato!

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Si facevano chiamare Diggers ed erano una combriccola composta da cavalieri psichedelici, ladri visionari ed utopisti pratici, autoproclamatisi difensori del Santo Crocicchio di San Francisco dall’assalto delle forze congiunte di polizia, pubblicitari, mafiosi e turisti. Imitando spavaldamente Robin Hood, trasformarono dal '68 al '69 Haight Ashbury in una succursale della foresta di Notthingham, proclamando senza appello la fine del denaro e il diritto di ognuno di accedere ad una vita libera. Agendo da kamikaze in incognito, misero in piedi una struttura di distribuzione gratuita di cibo, vestiti e droghe varie. Pionieri dello scambio cosmico organizzarono una struttura di appartamenti per gente scappata di casa e per chi non aveva posto per dormire, un sistema di trasporto per persone e cose, un servizio medico, una sartoria. Impiantarono delle fattorie fuori città per coltivare prodotti agricoli destinati alle loro mense e per fare rilassare la gente stressata dai ritmi urbani. Tutto totalmente gratis! Meglio non farsi troppe domande sulla provenienza dei capitali per fare funzionare l’impresa: si sa solo che li prendevano dove c’erano. Ispirati dall’esempio dei Provos olandesi organizzarono una serie di Happenings provocatori (come il bruciare mazzette di dollari davanti alle banche) e l’epocale Human-be-in al Golden Gate Park. Per vanificare le indagini sul loro conto, producevano una letteratura delirante mutuata dai surrealisti, si firmavano “cavallo del mirtillo fresco, bocca pelosa piena di torsoli di mela”, i loro punti di riferimento spaziavano dalle comunità utopiche a Breton e Artaud, dall’LSD al Vangelo, passando per Nostradamus. La loro avventura finì, schiacciata dall’impossibilità di gestire l’arrivo a San Francisco di centinaia di migliaia di persone, nonché dal confronto con le autorità e la mafia che andava facendosi sempre più duro. Anche se teoricamente rigettavano il ruolo di leader, in pratica tra loro emersero alcune figure carismatiche, come Emmett Grogan (autore scomparso di Ringo Levio cui Dylan ha dedicato il suo album Street Legal), Peter Coyote (oggi attore a Hollywood) e Peter Berg (scomparso editore di Planet Drum). Le loro gesta ispireranno più avanti le azioni di Jerry Rubin e di Abbie Hofmann (gli Yippies), con una differenza significativa: i Diggers vivevano praticamente in clandestinità evitando qualsiasi contatto con i media, mentre questi ultimi si agiteranno come pazzi per finire sotto i riflettori. Il nome Diggers (scavatori) deriva da un movimento inglese del XVII secolo, fondato da Gerard Winstanley, erede del millenarismo eretico medievale che propugnava l’abolizione di ogni tipo di autorità e della proprietà privata, il mutuo appoggio, l’occupazione delle terre incolte; un movimento che ebbe vita breve (1648-49) ma che esercitò una profonda influenza sul pensiero anarchico.

lunedì 22 luglio 2013

Quelli che non lo amano …

"Kuhle Wampe" è il titolo di questo film. Anzi, meglio, "Kuhle Wampe, oder: Wem gehört die Welt?" - Kuhle Wampe, ovvero: a chi appartiene il mondo?
Girato nel 1931 a Berlino, da Slatan Dudow, mette insieme uno straordinario cast di artisti, dal co-autore Bertolt Brecht al cameraman Günther Krampf (Nosferatu), dal compositore Hanns Eisler al cantastorie Ernst Butsch all'attrice Hertha Thiele. Censurato già nel marzo del 1932, il film verrà bandito dai nazisti nel 1933.
Il film si svolge all'inizio del 1930, a Berlino. Un giovane disoccupato - il fratello di Anni, la protagonista - si suicida lanciandosi da una finestra, disperato dopo aver passato inutilmente un'altra giornata in cerca di un lavoro. Poco dopo, tutta la sua famiglia verrà sfrattata dall'appartamento e sarà costretta a trasferirsi a Kuhle Wampe. "Kuhle Wampe", nel film, è il nome di una tendopoli di disoccupati, sul Müggelsee, alle porte di Berlino. Kuhle Wampe che in slang berlinese vuol dire "pancia vuota".
Anni, la sola della famiglia ad avere un'occupazione, rimane incinta del suo fidanzato, Fritz. Fritz intende sposare Anni, ma anche lui rimane disoccupato. Il culmine del film arriva nella descrizione del loro ritorno a casa sul treno (una scena che sembra abbia diretto, oltre che scritta, lo stesso Brecht). Anni e Fritz, insieme ad un pugno di lavoratori, discutono con uomini e donne della classe media sulla situazione della crisi mondiale. Uno dei lavoratori sottolinea come nessun benestante potrà mai cambiare il mondo, in nessun caso. Alla domanda, posta in modo provocatorio da uno dei ricchi: "Chi altri, allora, potrà cambiare il mondo?", Gerda, l'amica di Anni, ribatte: "Coloro che non lo amano!".
Il film si chiude sulle note di "Solidarity Song", con musica di Hanns Eisler e testo di Brecht.

domenica 21 luglio 2013

il problema della zavorra

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Da sempre, in tutti i paesi nel corso dei secoli, quando una città era devastata, per cause naturali o dovute all'azione umana, la popolazione superstite si affannava a ricostruire sulle rovine di quelle che erano state le loro case. Guerre, grandi incendi, uragani, terremoti ... rendevano necessaria una completa ricostruzione, per cui si livellavano i detriti, in modo che le nuove costruzioni potessero venire erette. Queste tecniche hanno sempre finito per creare delle nuove piccole colline sull'accumulo dei detriti che rimanevano dopo, e a seguito delle catastrofi: tali sono gli esempi di Troia e di Gerico, ma anche, più di recente, dopo la seconda guerra mondiale, la ricostruzione di Amburgo.
C'è però un caso particolarmente curioso, nel quadro delle distruzioni e ricostruzioni conseguenti alla seconda guerra mondiale, per cui le rovine di una città quasi completamente distrutta hanno finito per formare la pavimentazione di una città situata a più di 5000 miglia di distanza: le rovine della città di Bristol (Gran Bretagna) sono servite per pavimentare gran parte di Manhattan!
Bristol è stata per tutta la durata della guerra uno dei punti strategici e nevralgici della difesa inglese del proprio territorio, dal momento che giocava il ruolo di essere uno dei principali porti marittimi per la comunicazione con gli Stati Uniti. Lì arrivava la maggior parte delle navi americane con il loro carico di armi e generi di prima necessità (cibo, medicine ...), dopo aver attraversato l'oceano pattugliato da innumerevoli navi tedesche, destinato ai cittadini britannici assediati. E normalmente, nel corso del viaggio per mare, il carico stesso svolgeva funzione di zavorra per le navi.
Ora, a Bristol, e in generale in tutto il Regno Unito interamente consacrato all'industria bellica, la produzione di altri beni di consumo era praticamente nulla, e quel poco di non bellico che si produceva, era obbligatoriamente destinato al consumo interno di prima necessità, quindi non esisteva alcun genere prodotto per l'esportazione, e che potesse servire come zavorra per il viaggio di ritorno delle navi americane. Era quindi necessario trovare un sostituto. E cosa ci poteva essere di meglio, in un paese in guerra continuamente bombardato, se non ... le macerie? FU così che le rovine di Bristol, con l'accordo dei due paesi, finirono per diventare la pavimentazione di Manhattan.
Una volta che le navi arrivavano a New York, era necessario sbarazzarsi di tutta quella zavorra inutile. La soluzione adottata fu quella di utilizzare tutte queste macerie come terra di servizio igienico-sanitaria per la costruzione di nuove aree residenziali a Manhattan. In particolare, in tutta la zona dell'East River.
Poi, più tardi, nel 1942, il sindaco di New York, Fiorello la Guardia, decise di erigere un monumento che venne collocato in prossimità di un ponte pedonale che attraversava il fiume, in ricordo degli eventi di Bristol e nel luogo dove venivano scaricate le macerie. Da allora, e fino ad oggi, questa zona è conosciuta come il Bacino Bristol. C'è una targa dedicata alla memoria dei caduti e a  tutti coloro che hanno servito nella lotta contro i tedeschi. La targa venne scoperta, durante una cerimonia, da un nativo di Bristol, la cui famiglia aveva sofferto sulla propria pelle i tremendi bombardamenti: Cary Grant.

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fonte: http://sentadoenlatrebede.blogspot.com

sabato 20 luglio 2013

I granatieri di Proudhon

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"Il capitalista, si dice, ha pagato le giornate degli operai; per essere esatti, bisogna dire che il capitalista ha pagato, ogni giorno, una giornata a quanti operai ha impiegato, ciò che non è affatto la stessa cosa. Perché questa forza immensa che risulta dall'unione e dall'armonia dei lavoratori, dalla convergenza e dalla simultaneità dei loro sforzi, egli non l'ha pagata per niente. Duecento granatieri hanno alzato sulla sua base in qualche ora l'obelisco di Luxor; si suppone che un sol uomo, in duecento giorni non sarebbe pervenuto ad alcun risultato. Separate i lavoratori gli uni dagli altri e può anche darsi che il salario corrisposto a ciascuno superi il valore del prodotto individuale: ma non è di questo che si tratta. L’opera compiuta in venti giorni da una forza di mille uomini è stata pagata quanto lo sarebbe quella compiuta dalla forza di un singolo in cinquantacinque anni; ma questa forza di mille uomini ha fatto in venti giorni quel che la forza di uno solo non riuscirebbe a portate a termine in un milione di secoli: è giusto questo mercato?"

Quest'idea, fondamentale, di Proudhon, Marx la trova già espressa in Thomas Sadler, un economista inglese, nel 1830.

"Il lavoro combinato dà risultati che il lavoro individuale non potrebbe mai produrre. Man mano che l'umanità aumenterà di numero, i prodotti del lavoro complessivo eccederanno di molto la somma risultante da una semplice addizione di quest'aumento... Nelle industrie meccaniche, come nel campo scientifico, un uomo può fare oggi in un giorno più di quanto un individuo isolato potrebbe fare in tutta la sua vita. L'assioma dei matematici che il tutto è uguale alla somma delle parti, non è più vero se applicato al nostro caso. Quanto al lavoro, questo grande pilastro dell'esistenza umana (the great pillar of human existence), si può dire che il prodotto degli sforzi accumulati eccede di molto tutto quello che gli sforzi individuali e separati possano mai produrre." (Th. Sadler, "The law of population", London 1830.)

venerdì 19 luglio 2013

ecco il motivo!

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« Vi sono ... dei periodi, che si ripetono nell'anno, che diventano fatali per la virtù di un gran numero di giovani parigine. Allora, nelle case di tolleranza, o laddove le indagini della polizia lo documentano, vi sono ragazze che si impegnano nella prostituzione clandestina assai più che in tutto il resto dell'anno. Mi sono spesso interrogato sulle cause di quest'impennata della curva della corruzione, e mai nessuno, nemmeno l'amministrazione dei bordelli, ha saputo risolvere questo problema. Così ho finito per rapportarmi alle mie proprie osservazioni, e l'ho fatto con tanta perseveranza che alla fine sono riuscito a risalire al verosimile motivo di questa prostituzione progressiva ...e ... di circostanza ... All'avvicinarsi delle feste, la festa del Re, le feste della Vergine ... queste giovani ragazze vogliono regalare delle strenne, fare dei doni, offrire dei bei bouquet; esse desiderano, così tanto, per sé stesse, un vestito nuovo, un cappellino alla moda, e, prive come sono dei mezzi pecuniari indispensabili ... esse li trovano dedicandosi per qualche giorno alla prostituzione ... Ecco il motivo della recrudescenza degli atti di perversione, in certi periodi e a fronte di certe solennità religiose. »

- F.F.A. Béraud, Les filles pubbliques de Paris et la police qui les régit, Paris-Leipzig, 1839 -

giovedì 18 luglio 2013

pistoleros

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«¡Socorro, auxilio, pistoleros!», gridò Franco, vedendo che cercavano di entrare con la forza, nella sua abitazione posta nella Comandancia Militare delle Canarie, a Santa Cruz de Tenerife. Erano solo pochi mesi che si trovava nella capitale delle isole Canarie, ma aveva già previsto che uno di questi giorni sarebbe stato l'obiettivo di un qualche attentato, ragion per cui aveva preso le sue precauzioni; fra le quali, quella di dormire con porte e finestre ben chiuse e allucchettate, nonostante il caldo di quelle giornate di luglio!

Antonio Vidal

Dopo la fine della guerra civile spagnola, nel 1939, così come durante il suo corso, il problema di eliminare Francisco Franco se lo posero in parecchi. Assai meno noto, però, è il fatto che qualcuno aveva messo a punto un piano per far fuori il futuro dittatore ben quattro giorni prima del sollevamento militare, e dell'inizio della guerra. Fatto sta che in quei giorni, quando Franco era solamente il comandante militare delle isole Canarie, erano già trapelate le informazioni relative alla pianificazione del colpo di stato. Quello che si muoveva non era affatto un segreto particolarmente ben custodito, tanto che era arrivato alle orecchie della CNT e della Defensa Confederal de Canarias, facente parte della Federazione Anarchica Iberica (FAI); queste organizzazioni, con l'aiuto di Antonio Vidal (un noto anarchico catalano che risiedeva alle Canarie), il cervello dell'operazione, presero allora la decisione di assassinare il futuro caudillo.
La storia, com'è andata, ce la racconta Ricardo Garcia Luis, nel suo libro "Crònica de vencidos", in cui riproduce tutta una serie di documenti e testimonianze circa gli accadimenti.
Ci fu una riunione, "sfortunata" in quanto nessuno immaginava che fra i congiurati ci fosse chi avrebbe tradito, informando l'alto comando militare delle intenzioni di Vidal e compagni. Sarebbero stati in tre, a prendere parte all'operazione - così decisero: Antonio Tejera Alonso, conosciuto come "Antoñé", Martín Serarols Treserras, detto "El Catalán", ed un terzo di cui non è arrivato il nome. Non erano soli, comunque. C'era anche Maria Culi Palou, nota come "Maruca", la proprietaria del ristorante "Odeon", ma anche di una "cantina", frequentata dai soldati, che si trovava vicino al ristorante. Quella sera del 14 luglio 1936, nella cantina, oltre ai soldati, clienti abituali, c'erano anche tre civili che non erano venuti lì per ubriacarsi. Dalla cantina, attraverso una botola e seguendo un passaggio, arrivarono sul tetto della Comandancia, e da lì, percorrendo un corridoio, si trovarono davanti alla porta dell'abitazione del futuro dittatore. L'idea era quella di aprire la porta e liquidarlo seduta stante, ma Franco s'era chiuso dentro, dal momento che aveva ricevuto la soffiata a proposito delle intenzioni degli anarchici. I tre non stettero a pensarci su due volte e cominciarono a cercare di buttar giù la porta, ma il generale cominciò ad urlare, chiedendo aiuto e provocando così la fuga degli attentatori che riuscirono a scappare senza essere visti e riconosciuti. Chissà come sarebbe andata la storia, se ….

mercoledì 17 luglio 2013

un esercito di disegnatori

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Physiologies

« La rovente lotta politica degli anni 1830-1835 aveva formato un esercito di disegnatori ... che ... fu messo poi politicamente fuori combattimento dalle leggi di settembre. In una fase, dunque, in cui aveva indagato tutti i segreti della sua arte, quest'esercito fu di colpo costretto ad un unico campo operativo: la descrizione della vita borghese ... E a partire da questo presupposto che si spiega la colossale revue della vita borghese che si diffuse in Francia verso la metà degli anni Trenta ... Tutto sfilava ... giorni di gioia e di dolore, lavoro e riposo, costumi coniugali e usanze della vita da scapolo, famiglia, casa, bambini, scuola, società, teatro, tipi umani, mestieri. »

- Eduard Fuchs -  Die karikatur der europäischen völker vom altertum bis zur neuzeit - Monaco 1921 -

martedì 16 luglio 2013

scorciatoie pericolose

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Quella che si vede sopra, è l'immagine di un manifesto di propaganda edito dal NSDAP (Partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi) nel 1932. "Morte ai bugiardi", recita la scritta a caratteri cubitali; un anticapitalismo di basso livello volto a denunciare mentitori e corrotti (gli uomini politici della Repubblica di Weimar), l'alta finanza (Hochfinanz), le tasse del "capitale rapace" (che si oppone al capitale buono che crea posti di lavoro) ed il marxismo (scienza ebrea, per i nazisti). Dal XX al XXI secolo: dal nazismo ... alla denuncia della "oligarchia finanziaria" o del "capitalismo da casinò". Un facile capro espiatorio che possa servire da grande teoria critica al piccolo altercapitalismo di sinistra.

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Negli anni novanta è stato proclamato il trionfo oramai mondiale e definitivo dell'economia di mercato - al punto che alcuni dei suoi apologeti ritenevano che non fosse nemmeno più necessario utilizzare degli eufemismi, riprendendo come una sfida il nome "capitalismo", per lungo tempo vituperato, per farne l'elogio. Ma in capo ad una dozzina d'anni, con lo scoppio delle bolle speculative e con l'inizio del movimento altermondialista, il vento cominciò a girare.
A partire dalla crisi del 2008, la critica del "capitalismo" si è di nuovo impadronita dello spirito e, talvolta, delle strade, Gli "indignati" e "Occupy Wall Street" sono stati emulati in tutto il mondo. In numerosi paesi, soprattutto negli Stati Uniti e in Spagna, si sono formati i più importanti movimenti sociali, dopo decenni. Nella sinistra radicale, alcuni hanno guardato più in là, vedendo nelle rivolte delle "primavere arabe" i segni premonitori della prossima rivoluzione mondiale. Ma al di là delle proteste organizzate, è nei media ufficiali e nei discorsi del caffè del commercio che ci si continua a porre la domanda: bisogna "limitare" il capitalismo? Quello che sta attraversando è perciò - è il minimo che si possa dire - una "crisi di legittimità”?
Ma cosa viene rimproverato al capitalismo? Come tutti sanno, questo nuovo "spirito anticapitalista" ha principalmente due bersagli: la finanziarizzazione dell'economia e la rapacità di una "élite" economica e politica totalmente scollegata dall'immensa maggioranza della popolazione. Su un piano più generale, si sottolineano anche le ineguaglianze sempre più crescenti a livello di reddito ed il deterioramento delle condizioni lavorative - però attribuendoli, come tutti gli altri mali sociali, alla finanza e alla corruzione.
Si può facilmente obiettare che qui non si tratta di una critica del capitalismo, ma solamente della sua forma più estrema: il neoliberismo. In effetti, l'anticapitalismo attuale (nel senso più ampio) chiede soprattutto il rafforzamento dei poteri pubblici, l'adozione di politiche economiche keynesiane (programmi di rilancio dell'economia invece del salvataggio delle banche) e la salvaguardia dello Stato-provvidenza. I marxisti tradizionali chiamerebbero tutto questo una critica della "sfera della circolazione". Sottolineando che la finanza ed il commercio, così come l'intervento dello Stato, non producono valore ma si limitano a distribuirlo e a farlo circolare.
Bisogna riferirsi - dicono - alla sfera della produzione, dove il profitto nasce dallo sfruttamento dei lavoratori, la qual cosa è resa possibile dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Ora, gli "indignati" ed i vari "occupy" tengono raramente conto di questo. Ma anche se lo facessero, non sarebbe ancora sufficiente: Marx ha dimostrato - anche se i marxisti lo hanno dimenticato in fretta - che la proprietà privata dei mezzi di produzione è, essa stessa, la conseguenza del fatto che, nel capitalismo - e solamente nel capitalismo -, l'attività sociale prende la forma della merce e del valore, del denaro e del lavoro astratto. Un vero superamento del capitalismo non può essere concepito senza la liberazione da tali categorie.
I movimenti sociali di cui si sta parlando non amano troppo le discussioni teoriche. Ai loro occhi, esse minano l'unità e l'armonia così tanto ricercata. Quel che conta è il "tutti insieme". Nelle assemblee, per il bene della democrazia, nessuno può parlare per più di due minuti. Un movimento come "Occupy Wall Street", forte dell'appoggio, o della "comprensione", di Barack Obama e della "guida" iraniana Khamenei, della presidentessa brasiliana Dilma Roussef, dell'ex-primo ministro inglese Gordon Brown e del presidente venezuelano Chavez, per non parlare di alcuni banchieri come George Soros, di diversi premi nobel per l'economia e di uomini politici del partito repubblicano; un tale movimento non può perdersi dietro sottigliezze dogmatiche. Ed i teorici di sinistra accorrono a dar loro ragione: attaccare le borse e le banche - dicono - costituisce già un buon inizio.
Davvero? Ogni critica del capitalismo è necessariamente di sinistra e viene pronunciata in nome dell'emancipazione sociale? Non esiste un anticapitalismo populista e di destra? Ci si sbaglia, identificando la "destra" esclusivamente con la destra liberale, quella che sostiene tutto il potere ai mercati e l'individualismo sfrenato in campo economico. Da quando la destra e la sinistra esistono - cioè a dire dalla Rivoluzione francese - si è sempre visto rappresentanti della destra che denunciavano certi aspetti del capitalismo. Ma sempre in maniera parziale, e soprattutto con lo scopo di canalizzare la rabbia delle vittime del capitalismo verso certe persone e verso certi gruppi sociali, cui viene attribuita la responsabilità della miseria.
In tal modo, questi uomini di destra mettono le fondamenta del sistema al riparo da qualsiasi contestazione. Così avvenne con gli slogan anticapitalisti che portarono Hitler al potere, nel mezzo delle più grave crisi del capitalismo del ventesimo secolo. Troppo spesso si dimentica che l'acronimo NSDAP sta per "Partito nazional-socialista degli operai tedeschi", e che i fascisti amano fare dichiarazioni roboanti contro la "plutocrazia occidentale", contro "l'alta finanza" e contro "Wall Street".
Le spiegazioni offerte dall'estrema destra attirano una parte delle vittime della crisi, perché sembrano loro spiegazioni ovvie. Si concentrano quasi sempre sul ruolo svolto dal denaro. Ieri era la classe degli "usurai", oggi quella degli "speculatori". "Rompere la schiavitù dei tassi d'interesse": ecco quello che potrebbe essere uno slogan del "movimento di occupy". A dire il vero, è stato uno dei principali punti programmatici del partito nazista, ai suoi inizi.

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Marx ha dimostrato che il denaro è il rappresentante della parte "astratta" e quantitativa del lavoro, che il denaro è una merce e che è normale, nel capitalismo, che venga pagato, come avviene per tutte le merci, un prezzo per il suo utilizzo (l'interesse). Ora, nella retorica anticapitalista di destra (comunque sempre ipocrita e mai messa in pratica quando la destra è al potere), il lavoro ed il lavoratori vengono santificati (per inciso, la destra conta fra i lavoratori anche i "capitalisti creatori", quelli che investono il loro capitale nella produzione reale "al servizio della comunità" e creano posti di lavoro). Il capitale monetario, invece, sarebbe il campo dominato dai "parassiti" egoisti che sfruttano gli onesti lavoratori e gli onesti capitalisti, prestando loro il denaro - i nazisti lo chiamavano il "capitale rapace". Quest'identificazione di tutti i mali del capitalismo con il denaro e le banche ha una lunga storia e inevitabilmente impatta con l'antisemitismo. Ed anche oggi, la descrizione degli speculatori si richiama implicitamente, e perfino esplicitamente, a degli stereotipi antisemiti. L'odio nei confronti dei "politici corrotti" non manca certo di fondamento - ma quando lo si assolutizza, finisce per scambiare il sintomo per la causa e viene attribuita alla cattiva volontà soggettiva di alcuni attori quello che è dovuto a dei vincoli sistemici i quali vengono totalmente ignorati. L'identificazione unilaterale del capitalismo con "l'imperialismo americano" procede nella stessa direzione e sovente mette insieme attivisti di sinistra e di estrema destra.
Nei movimenti sociali degli anni '60 e '70 del secolo scorso, questa confusione fra contenuti di sinistra e di destra sarebbe stata inimmaginabile. Oggi, capita di raccattare volantini, distribuiti nel corso di eventi, in cui solo le sigle delle organizzazioni che li firmano ci fanno capire se sono di un gruppo di sinistra o di estrema destra. In effetti, la sinistra ha grandi difficoltà a distinguersi dalla destra, per tutto quello che riguarda la critica della finanza. Essa ha mal assimilato Marx, quando questi ha dimostrato che la finanza è una semplice conseguenza della logica di mercato e del lavoro astratto.
Ha seguito, piuttosto, spesso senza ammetterlo, la critica del denaro proposta da Proudhon. La sinistra ha scelto, come fece Lenin, il "capitalismo finanziario" come facile bersaglio dei suoi attacchi, anziché criticare il lavoro in sé. Se oggi ci si accontenta di attaccare le banche ed i mercati finanziari, si rischia non solo di non fare un solo "primo passo" nella giusta direzione, ma di pervenire ad una designazione dei "colpevoli" e di aiutare a conservare un ordine socio-economico che pochi oggi hanno il coraggio di mettere veramente in discussione.
Il numero di gruppi di estrema destra che pretendono di essere anticapitalisti è ancora piccolo, in Francia. Ma la Grecia ha mostrato che, in tempi di crisi, tali gruppi possono incrementare in modo esponenziale l'adesione al loro programma, in poco tempo. Il grande rischio è che i loro argomenti comincino a diffondersi fra i manifestanti, che hanno certamente le migliori intenzioni del mondo, ma che sembrano incapaci di vedere dove riesce a portare la confusione fra critica della finanza e critica del capitalismo.


- Anselm Jappe -

fonte: http://palim-psao.over-blog.fr

lunedì 15 luglio 2013

Senza dire niente

omnibus

« Quello che si vede senza sentire è molto più ... inquietante di quello che si sente senza vedere. E qui abbiamo un fattore assai significativo per la sociologia della grande città. I rapporti fra le persone nella grande città ... si caratterizzano per una marcata preponderanza dell'attività della vista su quella dell'udito. E questo ... innanzitutto, a causa dei mezzi pubblici di trasporto. Prima che ci fosse lo sviluppo degli omnibus, delle rotaie, dei tram, nel diciannovesimo secolo, la gente non aveva mai avuto occasione di potere, o dovere, guardarsi l'un l'altro, reciprocamente, per dei minuti o per delle ore, di seguito, senza parlare. »

- Georg Simmel, Mélanges de philosophie relativiste. Contribution à la culture philosophique, Paris, 1912 -

domenica 14 luglio 2013

La luce dell'informazione

JacquesFabien

Considerazioni davanti ad un istituto per ciechi, e davanti ad un manicomio, sulla luce elettrica e sulle informazioni.

« Vengo ai fatti. La luce zampillante dell'elettricità è servita, dapprima, a rischiarare le gallerie sotterranee delle miniere; poi, il giorno dopo, i luoghi pubblici, le strade; il giorno dopo ancora, le fabbriche, i laboratori, i magazzini, gli spettacoli, le caserme; il giorno successivo, l'interno delle case, le famiglie. Gli occhi, alla presenza di questo nemico radioso, si sono adeguati bene; ma, gradualmente, è sopravvenuto l'abbaglio, effimero dapprima, poi periodico, e poi, definitivamente, ostinato. Ecco quale è stato il primo risultato.
- Capisco, ma la follia dei grandi sognatori?
- I pezzi grossi della finanza, dell'industria, del commercio, hanno trovato buono ... far compiere ai loro pensieri il giro del mondo, rimanendo a riposare. Per questo, ciascuno di loro ha inchiodato, nel suo studio, in un angolo del suo ufficio, quei fili che collegano la sua scatola elettrica con le nostre colonie d'Africa, d'Asia, d'America. Comodamente seduto davanti al suo tavolo, fa parlare le sue dita con i lontani destinatari dei suoi messaggi disseminati su tutta la superficie del globo.
Uno gli racconta, alle dieci del mattino, del naufragio di un panfilo milionario ...; un altro, alle dieci e cinque, del fulmine che si scarica sul più solido edificio delle due Americhe; un terzo, alle dieci e dieci, l'ingresso trionfante nel porto di Marsiglia di un bastimento pieno di tutto quel che si raccoglie nei dintorni di San Francisco. Tutto, colpo su colpo.
Queste povere teste, per quanto robuste, cadrebbero, come cadrebbero le spalle di Alcide delle halle, si si mettesse in testa di caricarsi dieci sacchi di frumento, anziché uno. Ecco il secondo risultato. »

- Jacques Fabien - Paris en songe - Parigi, 1836 -
(scaricabile qui per intero)

sabato 13 luglio 2013

spettri urbani

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« Il romanticismo al suo declino ... si crogiola nelle leggende. Mentre George Sand travestita da uomo - si dice - attraversa Parigi in compagnia di Lamartine travestito da donna, nel contempo Dumas fa scrivere i suoi romanzi nelle cantine, e lui beve dello champagne, ai piani superiori, insieme a delle attrici; ancora meglio, Dumas non esiste affatto, è un essere mitico, una ragione sociale inventata da un sindacato di editori. »

- J. Lucas-Dubreton - La vie d'Alexandre Dumas Père - Parigi, 1928 -

venerdì 12 luglio 2013

è la stampa, bellezza!

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« La stampa mette in piazza un'abbondanza di informazioni, il cui effetto stimolante è tanto più forte quanto più esse sono sottratte ad un qualche utilizzo. (Soltanto l'ubiquità del lettore, della quale infatti viene prodotta l'illusione, renderebbe possibile il loro utilizzo!). Il rapporto reale di queste informazioni con l'esistenza sociale è determinato dal fatto che l'industria dell'informazione dipende dagli interessi di borsa, e ad essi si orienta. Con il dispiegamento dell'industria dell'informazione, il lavoro spirituale si sovrappone parassitariamente ad ogni lavoro materiale, così come il capitale porta sempre più alle sue dipendenze ogni lavoro materiale. »

- Walter Benjamin -

giovedì 11 luglio 2013

Prima Pagina

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« Un osservatore perspicace un giorno ha detto che l'Italia fascista era diretta come un grande giornale, e, oltretutto, da un grande giornalista: un'idea al giorno, concorsi, sensazioni, una direzione abile ed insistente del lettore verso certi aspetti della vita sociale smisuratamente ingranditi, una sistematica deformazione della comprensione del lettore per determinati scopi pratici. A dirla tutta, i regimi fascisti sono dei regimi pubblicitari. »

- Jean de Lignières - Le centenaire de la Presse (giugno 1936) -

mercoledì 10 luglio 2013

shock

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« Con l'invenzione dei fiammiferi, attorno alla metà del secolo, entra in scena una serie di innovazioni che hanno in comune il fatto di azionare un'articolata serie di meccanismi con un gesto brusco. Questo processo avviene in molti ambiti; è visibile, fra gli altri, nel telefono, dove al posto del continuo movimento con cui si doveva girare la manovella dei vecchi apparecchi, subentra lo stacco del ricevitore. Tra gli innumerevoli gesti di azionare, gettare, premere, ecc., è stato particolarmente ricco di conseguenze quello dello "scatto" fotografico. Era sufficiente premere un dito per fissare un avvenimento per un tempo illimitato. L'apparecchio comunicava all'istante, per così dire, uno shock postumo. A esperienze di questo tipo, si aggiungevano esperienze ottiche, ad esempio quelle provocate dalle pagine del giornale dedicate alle inserzioni, ma anche quelle provocate dal traffico metropolitano. Muoversi in quest'ultimo, implicava per il singolo una serie di shock e di collisioni. Negli incroci pericolosi è attraversato, come da colpi di batteria, da innervazioni in rapida sequenza. (...) Così la tecnica sottoponeva il sensorio umano ad un training di tipo complesso. E venne il giorno in cui il film rispose ad un nuovo e urgente bisogno di stimoli. Nel film, la percezione a shock acquista valore come principio formale: ciò che determina il ritmo della produzione a catena è, nel film, alla base del ritmo della ricezione. »

- Walter Benjamin -

martedì 9 luglio 2013

Un libro

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Lettera di Guy Debord a Gérard Lebovici

29 settembre 1976

Caro Gérard,

Ti ho inviato ieri, per raccomandata, la fotocopia del Rizzi. E' fuor di dubbio che l'unica soluzione è pubblicare solamente la prima parte. Cosa tanto più legittima, dal momento che l'autore ammette di aver cambiato idea per due volte nel corso della scrittura della sua opera. La prima parte è stata "concepita a Londra verso la fine del del 1938 e poi fissata a Milano nel mese di marzo 1939". E' quella che ci interessa. Nella primavera dello stesso anno, mentre scriveva il IV capitolo della "terza parte", ebbe come un colpo di fulmine, una sorta di rivelazione, molto infelice, che egli stesso ammette che senza dubbio avrebbe messo in pericolo il suo equilibrio e la sua sanità mentale! E ci credo. Egli cambia poi di nuovo posizione nella postfazione, passando dalla freddezza sovra-storica di chi attende senza paura la fine delle dittature ad un'emozione apocalittica che sarebbe cessata solo nell'istante della fine del mondo.
Credo che sia indispensabile pubblicare "L'URSS: collettivismo burocratico" con, in copertina, questo sottotitolo: "La Burocratizzazione del mondo, Prima parte" (il libro uscirà nel dicembre del 1976). Dal momento che questo titolo generale è tuttora noto, in certi ambienti, come qualcosa che si è molto cercato di nascondere. Mentre il sottotitolo di questa "prima parte" (La proprietà di classe) deve essere visto come sottotitolo del frontespizio interno del libro. Te ne allego un modello, insieme  al testo di presentazione da mettere sulla quarta di copertina.
Ho l'impressione che le correzioni scritte a mano siano esatte, e e quindi da mantenere, con forse un paio di eccezioni ( che poi sarebbero le stesse dell'autore). Ne ho aggiunto una dozzina, in evidenza tipografica manifesta.
Nel modello della quarta di copertina, credo di avere stabilito abilmente il nostro diritto a pubblicare a parte la metà di un libro che non costituisce affatto un tutt'uno, di modo che i cretini non abbiano a parlare di "masperizzazione". Per il resto delle considerazioni, credo sia il momento di colpire duro. Penso che, sotto questa forma, questo libro debba essere pubblicato al più presto: le voci circolano rapidamente in questo ambiente, e potrebbero prevedere il terribile colpo che stiamo per assestare all'ala più avanzata del "recupero", se nessuno ci anticipa.
Spero di ricevere al più presto buone notizie delle vostre imprese.
Amicizia

Guy

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Ecco il libro più sconosciuto del secolo, e si tratta appunto del libro che, fin dal 1939, ha risolto uno dei principali problemi in cui questo secolo si è imbattuto: la natura della nuova società russa, la critica marxista della forma di dominio che vi è apparso. Fu nel 1939 che il trotzkista italiano Bruno Rizzi pubblicò, con i propri mezzi, a Pari­gi, le parti prima e terza, ma non la seconda [inclusa anch'essa nella presente edizione], della sua opera La Bureaucratisation du Monde, firmata Bruno R. e redatta in francese. Subito condannate da Trotzky e dalla Quarta Internazionale, le tesi di Rizzi, che forniva­no la prima definizione della burocrazia come classe dirigente, sono state sistematicamen­te ignorate da due generazioni di compagni di strada o di pseudo-critici dello stalinismo; i quali, il più delle volte, sono stati gli stessi uomini che cambiavano menzogna a seconda del vento, che facevano sempre mostra di apprestarsi a sfondare una porta aperta da trenta o quarant'anni, ma vendendoci per sovrapprezzo le loro chiavi personali, e che alla fine indietreggiavano sempre davanti all'ampiezza titanica dello sforzo, che avrebbe messo fine al loro impiego. Essi non saranno ripubblicati da alcuno. Altri hanno saccheggiato Rizzi con una sicumera tanto più tranquilla quanto più quelli preferivano ignorarlo. I rari detentori di un libro così ben scomparso che non ne esiste un esemplare nemmeno alla Biblioteca Nazionale, ne hanno approfittato con discrezione per farla da ricercatori di punta, e piacerebbe loro non perdere questa reputazione: dopo il 1968, i diversi esperti in contestazione titolari di uno stand presso quasi tutti gli editori francesi hanno esumato ogni sorta di scritti meno brucianti, ma mai Rizzi, che non tutti ignoravano. L'americano Burnham fu il primo a farsi un nome, con The Managerial Revolution (La rivoluzione manageriale), recuperando immediatamente questa critica proletaria della burocrazia, travestendola per proprio conto da inetto elogio di un innalzamento tendenziale del potere di decisione dei competenti «manager» nell’impresa moderna, a scapito dei semplici detentori di capitali. E più tardi la rivista francese «Socialisme ou Barbarie», riprendendo la denuncia dello stalinismo, manifestamente trovò in quest'opera fantasma di Rizzi la principale fonte delle sue concezioni, sicché l'originalità che i commentatori accon­sentono a riconoscere, tardivamente, a quel focolaio di riflessione ormai spento, parrebbe certo più considerevole se tutti continuassero a nascondere Bruno Rizzi. Il lettore di oggi percepirà agevolmente alcuni errori nella comprensione strategica delle forze in gioco nel momento molto cupo in cui questo testo comparve. Le sollevazioni dei lavoratori, da Berlino Est nel 1953 al Portogallo nel 1974-75, hanno in seguito molto migliorato la teoria di Rizzi. Il nostro partito non ha avuto ragione in un giorno; ha sviluppato la sua verità attraverso due secoli di lotte mutevoli. Ancora oggi non ha del tutto ragione, dato che di fianco ad esso è ancora possibile sopravvivere e falsificare. Ma già la società dominante, che non sa più gestirsi, non sa nemmeno più rispondergli.

(Guy Debord, dalla IV di copertina)

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Qui si può leggere un estratto.

lunedì 8 luglio 2013

La lettera dimenticata

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Londra, 8 marzo 1881

Cara cittadina,
Una malattia nervosa che da dieci anni periodicamente mi colpisce mi ha impedito di rispondere prima alla vostra del 18 febbraio. Mi spiace di non potervi dare un esposto succinto, e destinato alla pubblicazione, sul quesito che mi avete fatto l'onore di propormi. Già da mesi ho promesso un lavoro sullo stesso tema al Comitato di Pietroburgo. Spero tuttavia che bastino alcune righe a togliervi ogni dubbio circa il malinteso intorno alla mia sedicente teoria.
Analizzando la genesi della produzione capitalistica io dico: « Al fondo del sistema capitalistico v'è dunque la separazione radicale del produttore dai mezzi di produzione ... La base di tutta questa evoluzione è  l'espropriazione dei coltivatori agricoli, dei contadini. Essa non si è finora compiuta in modo radicale che in Inghilterra ... Ma tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale percorrono lo stesso movimento » (Il Capitale, edizione francese, p. 315). La « fatalità storica » di questo movimento è dunque espressamente limitata ai paesi dell'Europa occidentale. Il perché di questa limitazione è spiegato nel capitolo XXXII: « La proprietà privata fondata sul lavoro personale ... sarà sostituita dalla proprietà privata capitalistica fondata sullo sfruttamento del lavoro altrui, sul salariato » (op.citata, p. 340).
In questo movimento occidentale, si tratta quindi della trasformazione di una forma di proprietà privata in un'altra forma di proprietà privata. Per i contadini russi, si tratterebbe invece di trasformare in proprietà privata la loro proprietà comune.
Perciò, l'analisi data nel Capitale non fornisce ragioni né pro né contro la vitalità della comune rurale; ma lo studio apposito che ne ho fatto, e di cui ho cercato i materiali nelle fonti originali, mi ha convinto che la comune è il punto di appoggio della rigenerazione sociale in Russia. Tuttavia, perché essa possa funzionare come tale, occorrerebbe prima eliminare le influenze deleterie che l'assalgono da tutte le parti, poi assicurarle condizioni normali di sviluppo organico.
Ho l'onore, cara cittadina, di essere il vostro devotissimo

Karl Marx

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Quella che precede, è la risposta, scritta da Marx, alla domanda postagli da Vera Zasulic, anche a nome dei suoi altri compagni, circa « i destini possibili della nostra comune rurale, e sulla teoria secondo la quale tutti i paesi del mondo devono, per legge storica inevitabile, attraversare tutte le fasi della produzione capitalistica », teoria che alcuni gli attribuivano e che poneva i rivoluzionari russi davanti ad un dilemma: « Delle due l'una: o la comune rurale, liberata dal peso delle smisurate esigenze del fisco, dei pagamenti ai signori e di un governo arbitrario, è in grado di evolvere sulla strada socialista (...) o invece è destinata a morire, e allora al socialista, in quanto tale, non resta che abbandonarsi a calcoli più o meno infondati per stabilire in quante decine d'anni la terra del contadino russo finirà nelle mani della borghesia, e in quante centinaia d'anni, forse, il capitalismo raggiungerà in Russia un grado di sviluppo simile a quello dell'Europa occidentale, e quindi egli dovrà svolgere la sua propaganda unicamente fra i lavoratori cittadini che, nel frattempo, si troveranno immersi in una marea di contadini gettati, dalla disgregazione della comune rurale, sul lastrico delle grandi città, in cerca di salario. »

Ma la lettera ha una storia assai curiosa. Innanzitutto, c’è da sottolineare come Marx, in gravi condizioni di salute, prima di rispondere, abbia vergato pagine e pagine di bozze preparatorie alla lettera, prima di compilarla nella sua stesura definitiva, e spedirla. Poi, c'è da aggiungere che la lettera definitiva non venne mai resa pubblica, e invano Rjazanov (che nel 1911 ne aveva trovato copia fra le carte di Lafargue) chiese alla Zasulic e a Plekhanov conferma del suo arrivo a destinazione. Solo nel 1924, quando la lettera venne fuori dall'archivio di Axelrod, si ebbe la prova che la lettera "dimenticata" aveva raggiunto i suoi destinatari.

sabato 6 luglio 2013

Infami!!

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Da qualche tempo, è in corso una polemica (riguardante soprattutto gli anglofoni) a proposito del sito Libcom - una sorta di piattaforma di attualità libertaria on-line - e di Aufheben - rivista comunista-libertaria vicina all'ambito comunitarista - entrambe con sede in Inghilterra.
Libcom è nota per essersi sempre pronunciata contro gli anarchici insurrezionalisti, contro il sabotaggio e contro i movimenti di liberazione degli animali e della terra. E' nota anche per aver cercato di sabotare la campagna di solidarietà, svolta dall'Anarchist Black Cross, a favore della liberazione di John Bowden, detenuto antiautoritario che sta scontando una lunga pena in Inghilterra.
Nel gennaio del 2011, un gruppo comunista greco, TPTG (Ta Papaidia Tis Galarias), scopre  che il Dr. John Drury, uno dei principali editori di Aufheben, fa parte di un'equipe scientifica che pubblica regolarmente degli articoli su dei giornali della polizia inglese, ed anima delle conferenze per la polizia. Questo gruppo di ricercatori è specializzato nelle tattiche poliziesche per la gestione della folla e della contro-insurrezione. TPTG, allora, invia, una lettera aperta agli inglesi, lettera che viene fatta circolare un po' dappertutto.
Ci si poteva immaginare che il personaggio in questione sarebbe stato cacciato a calci in culo dall'ambito antiautoritario, in seguito alle rivelazioni dei compagni greci, ma così non è stato. Per niente. Al contrario, Aufheben, di concerto con l'amministrazione del sito Libcom, ha lanciato una campagna in difesa del Dr. Dury! Inoltre, è stata censurata, su Libcom, ogni cosa che facesse riferimento alla polemica, ormai intitolata "AufhebenGate", portando come argomento la loro "amicizia" con il collaboratore.

fonte: http://www.non-fides.fr/?Libcom-et-Aufheben-travaillent

siciliani

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« Diciamo che scrivo su di me, per me e talvolta contro di me. Prendiamo ad esempio questa realtà siciliana nella quale vivo: un buon numero dei suoi componenti io li disapprovo e li condanno, ma li vedo con dolore e "dal di dentro"; il mio "essere siciliano" soffre indicibilmente del gioco di massacro che perseguo. Quando denuncio la mafia, nello stesso tempo soffro poiché in me, come in qualsiasi siciliano, continuano a essere presenti e vitali i residui del sentire mafioso. Così, lottando contro la mafia, io lotto anche contro me stesso, è come una scissione, una lacerazione. »

Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora, p.74.

venerdì 5 luglio 2013

centesimi

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« Oggetti tra loro di egual valore, ma di tipo diverso, subiscono ... una diminuzione del significato della loro individualità per effetto della possibilità, per quanto mediata o ideale, di venir scambiati ... Il diminuire dell'interesse per l'individualità delle merci porta ad una diminuzione di questa stessa individualità. Se i due lati di una merce ... sono la qualità ed il prezzo, sembra logicamente impossibile che l'interesse sia legato ad uno solo di essi: infatti, essere a buon mercato è un'espressione vuota se non significa che il prezzo basso si riferisce ad una qualità relativamente alta ... Tuttavia, ciò che concettualmente risulta impossibile è psicologicamente reale ed efficace; l'interesse per uno dei due lati può aumentare ad un punto tale che l'altro lato, logicamente implicato, scompare del tutto. L'esempio tipico di questo caso è il "magazzino da 50 centesimi". Qui il principio di valutazione della moderna economia monetaria trova la sua più completa espressione. Al centro dell'interesse non c'è più la merce, ma il prezzo - un principio che in altri tempi sarebbe sembrato non solo spregevole, ma anche impossibile. Si è giustamente notato che la città medievale ... mancava di un'economia capitalistica sviluppata, e che questo sarebbe stato il motivo per cui l'ideale dell'economia non era visto tanto nella diffusione (che è possibile soltanto con prezzi bassi), quanto piuttosto nella bontà del prodotto offerto. »

- Georg Simmel, Philosophie des Geldes - Leipzig, 1900 -

giovedì 4 luglio 2013

L’uomo della folla

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« Già nel 1863, Balzac aveva scritto, nella "Modeste Mignon": "Povere donne di Francia! Certo preferireste restare anonime, per ordire la trama del vostro piccolo romanzo d'amore. Ma come potreste riuscirvi in una civiltà che sulle pubbliche piazze fa registrare arrivo e partenza delle carrozze, che conta le lettere e le timbra alla spedizione e di nuovo alla consegna, che impone i numeri alle case e presto nei suoi libri catastali avrà messo ... tutto il paese, fino al più piccolo lotto."
A partire dalla Rivoluzione francese, un'estesa rete di controlli aveva stretto sempre più saldamente la vita borghese nelle proprie maglie. La numerazione delle case è un utile punto di riferimento per comprendere l'avanzare della normazione nella metropoli. L'amministrazione di Napoleone l'aveva resa obbligatoria a Parigi dal 1805. Nei quartieri proletari, a dire il vero, questa semplice misura poliziesca aveva incontrato delle resistenze: ancora nel 1864, del quartiere degli ebanisti, Saint-Antoine, si diceva: "Se si chiede ad un abitante di questo sobborgo il suo indirizzo, lui darà sempre il nome della sua casa, e non il freddo numero ufficiale". Simili resistenze alla lunga nulla poterono, naturalmente, di fronte all'intenzione di compensare, con un complesso tessuto di registrazioni, l'assenza di tracce che la scomparsa degli individui nelle masse delle metropoli porta con sé. (...) Una serie di misure tecniche doveva venire in aiuto al processo di controllo amministrativo. Agli albori del procedimento di identificazione, il cui standard attuale è dato dal metodo Bertillon, vi è la determinazione dell'identità personale mediante la firma. L'invenzione della fotografia rappresenta una cesura nella storia di questo procedimento. Per la criminalistica essa ha avuto un'importanza non inferiore a quella della stampa per la letteratura. La fotografia consente per la prima volta di fissare in modo duraturo ed inequivocabile le tracce di un uomo. Il racconto d'investigazione nasce quando viene consolidata la più decisiva di tutte le vittorie sull'incognito dell'uomo. Da allora, non hanno avuto fine i tentativi di trarlo in arresto nelle parole e nei fatti. (...) Un uomo diventa tanto più sospetto quanto più è difficile rintracciarlo. »

- Walter Benjamin -

mercoledì 3 luglio 2013

Il lavoro dell'arte e l'arte del lavoro

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« Prendendosi gioco degli uomini d'affari e dei grandi industriali, carpì loro il segreto del successo. Al suo sguardo acuto non sfuggì che ogni ricchezza si fonda in ultima analisi sull'arte di far lavorare gli altri per noi; così egli, genio precursore, trapiantò il principio della divisione del lavoro dai laboratori dei sarti di moda, degli ebanisti, dei fabbricanti di molle d'acciaio negli atelier d'arte drammatica, dove gli attori, prima di questa riforma, con una testa e una penna non guadagnavano più del magro salario di un operaio singolo. Tutta una generazione di geni teatrali gli deve addestramento, formazione, buoni guadagni, non di rado perfino ricchezza e notorietà. Scribe sceglieva l'argomento, ordinava la trama nelle sue linee generali, fissava gli effetti e le uscite brillanti, mentre i suoi allievi si occupavano del dialogo o dei versi. Se facevano dei progressi, il giusto compenso era la citazione del loro nome (accanto a quello della ditta) nei titoli; finché i migliori si emancipavano e cominciavano a produrre lavori teatrali in proprio, circondandosi magari a loro volta di nuovi aiutanti. Così, non senza la protezione delle leggi della stampa francese, Scribe divenne multimilionario. »
- da: Friedrich Alexander Theodor Kreyßig - Studien zur französischen Cultur und Literaturgeschichte - Berlin, 1865 -

martedì 2 luglio 2013

applausi

joker

Megan Garber, giornalista del theatlantic.com, ha pubblicato un interessante articolo sugli "applausi" nell'epoca degli SMS, di Twitter e dei "mi piace" su Facebook.
La storia - comincia la Garber - inizia in pieno declino dell'Impero Romano, nel 7° secolo, quando l'imperatore Eraclio organizza un incontro con un re barbaro che voleva intimidire. L'armata imperiale, a quei tempi, non faceva più impressione a nessuno, sebbene Eraclio continuasse ad arruolare sempre più uomini per rinforzare le proprie truppe. Ma il suo fine non era militare, li arruolava per essere applaudito! Tutto questo non salverà l'Impero, però Eraclio scrive una nota in cui ci parla di una delle usanze più antiche e più comuni fra gli uomini: quella di battere le mani, di applaudire.
Nel mondo antico si applaudiva per acclamare, ma serviva anche a comunicare; era in un certo qual modo, espressione di potere: una maniera con cui, gli uomini piccoli e fragili, per mezzo del tuonare delle loro mani, ricreavano il rombo ed il fracasso della natura.
"Oggigiorno, gli applausi ricadono, più o meno, nello stesso genere di usanza (...). Si applaude coscientemente. Si applaude educatamente. Si applaude, nel migliore dei casi, con entusiasmo. Si applaude, nel peggiore, con ironia. In poche parole, troviamo il modo di rappresentarci in quanto folla - per mezzo della folla."
"Ma" - prosegue la Garber - "stiamo anche reinventando l'applauso in un mondo in cui, tecnicamente, le mani non ci sono. Si applaude lo status Facebook degli altri. Si condividono i link, o si ritwitta quello con cui ci troviamo d'accordo, per amplificarne l'effetto. Si chiede l'amicizia, si segue (follow), si mette +1, si raccomanda, si menziona, perché sappiamo che l'audience è il metodo di pagamento per questi contenuti. Troviamo nuovi modi d'esprimere il nostro entusiasmo, di comunicare i nostri desideri, di codificare le nostre emozioni affinché esse possano essere trasmesse."
La tesi della Garber è che "gli applausi, sia partecipativi che osservativi, siano stati una forma antica di medialità di massa, che collegavano in maniera istantanea, visuale ed udibile, le persone le une alle altre, e queste ai loro capi. Sono stati un'analisi dell'opinione pubblica, la quale rivelava le affinità ed i desideri del popolo collegato insieme. Sono stati il "me" qualificato che cedeva il posto alla folla quantificata. Sono stati il "Big Data" prima della massificazione dei dati.
L'usanza di applaudire - come si diceva - è molto antica, e se ne trovano numerose menzioni nella Bibbia, per esempio, anche se la formalizzazione, all'interno della cultura occidentale, avviene nel contesto del teatro. Ma è nell'antica Roma che diviene un gesto politico, utilizzato dai capi per poter valutare la loro popolarità.
"Prima dei sondaggi telefonici, prima del voto in tempo reale per mezzo degli SMS, prima che il web proponga i cookies, i capi romani accumulavano dati sul popolo, a  partire dagli applausi." L'applauso sarebbe dunque, in quell'epoca, una "tecnologia politica", e si sarebbe manifestata negli anfiteatri, dove l'imperatore si legittimava facendosi applaudire.
"Quelle arene sono, per Roma, l'equivalente della radio e della televisione, l'incarnazione nell'antichità di quello che è oggi la domanda-risposta su Twitter, le interviste su youtube: era quello che permetteva al potente di interagire con i suoi sudditi, in massa. Davano l'illusione, e non la realtà, di una libertà politica. E l'applauso - medium e messaggio allo stesso tempo - diventava il veicolo della prestazione. Era il modo in cui il popolo rispondeva ai suoi capi."
Con il tempo, gli applausi si faranno sempre più sofisticati, anche per mezzo dell'Opera, o delle sinfonie, che richiedevano che si applaudisse in determinati momenti, piuttosto che in altri. Ma, alla fine, gli applausi si sono standardizzati ed istituzionalizzati - sottolinea Garber - e sono diventati un'aspettativa, più che una ricompensa.
Ma adesso troviamo dei nuovi modi per reinventare l'applauso, di farlo ridiventare ciò che era stato: una forma collettiva e codificata di comunicazione. Troviamo nuovi modi per reinventare il pubblico elogio! Mettiamo i link, clicchiamo su "mi piace", condividiamo. E ne siamo consapevoli, siamo consapevoli del nuovo ruolo che ci viene dato in questo mondo nuovo. Siamo allo stesso tempo spettatori ed attori. I nostri applausi ne fanno parte, dando un senso assai reale allo spettacolo. Siamo tutti, ciascuno a modo suo, una claque. Con la differenza che, oggi, i nostri applausi sono più importanti, sono delle performance in sé. Gli elogi vengono registrati, il ritmo dell'applauso viene tracciato, i modelli vengono analizzati e poi sfruttati.
Applausi silenziosi, assai più rumorosi.

- Articolo originale: "A Brief History of Applause, the ’Big Data’ of the Ancient World" -

lunedì 1 luglio 2013

Il dottor Kafka e l’uomo grasso

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Portai a Kafka alcuni libri nuovi della libreria Neugebauer. Quando sfogliò un volume con i disegni di George Grosz, disse: « Questa è la classica raffigurazione del capitalismo; un uomo grasso con il cilindro che siede sul denaro dei poveri ».
« Ma è solo un'allegoria », osservai.
Franz Kafka corrugò le sopracciglia. « Lei dice 'solo'! L'allegoria, nel profondo degli uomini, diventa la rappresentazione della realtà, e questo è naturalmente falso. Ma il travisamento è già qui.»
« Allora, secondo lei, dottore, l'illustrazione è sbagliata. »
« Non intendo proprio questo. E' giusta, ed è sbagliata. E' giusta solo da un certo punto di vista, è sbagliata nella misura in cui dichiara che la visione parziale è una visione d'insieme. Che l'uomo grasso sia il capitalismo non è del tutto esatto. L'uomo grasso domina il povero all'interno di un determinato sistema. Ma non è il sistema stesso. Non è neanche colui che lo domina. Anzi, l'uomo grasso porta egli stesso delle catene che non mostra nell'illustrazione. Il disegno è incompleto. Per questo non è un buon disegno. Il capitalismo è un sistema di dipendenze: dall'interno verso l'esterno, dall'esterno verso l'interno, dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto. Tutto è dipendente, tutto è concatenato. Il capitalismo è uno stato del mondo e dell'anima. »
« Lei allora come lo rappresenterebbe? »
Il dottor Kafka alzò le spalle e sorrise tristemente.
« Non lo so. Noi ebrei non siamo pittori. Non sappiamo rappresentare statisticamente le cose. Le vediamo sempre fluire, muoversi, mutare, siamo narratori. »
L'entrata di un impiegato interruppe la nostra conversazione.
Quando il visitatore importuno lasciò l'ufficio, avrei voluto riprendere l'interessante argomento della conversazione che avevamo appena iniziato Ma Kafka disse, per concludere: « Lasciamo perdere. Un narratore non può parlare di ciò che narra. Narra o tace. Questo è tutto. Il suo mondo comincia a risuonare in lui oppure affoga nel silenzio. Il mio mondo si sta smorzando. Sono completamente bruciato. »
- da: Conversazioni con Kafka, di Gustav Janouch -