"Osservate il cappotto di Schelling", scrive Walter Benjamin nella sua "Piccola storia della fotografia", "osservate il cappotto di Schelling, nella foto che ce lo ha tramandato". Lì c'è il tempo, afferma Benjamin: "questo cappotto è diventato tanto immortale, quanto il filosofo: le forme che esso ha assunto sul corpo del suo proprietario non sono meno preziose, né delle rughe, né del suo viso".
C'è - a tal proposito - un piccolo libro, o meglio il capitolo di un libro, "Il cappotto di Marx: abbigliamento, memoria e dolore" di Peter Stallybrass. Purtroppo mai tradotto in italiano (lo si può leggere e/o scaricare qui, nella sua versione originale, in inglese). Impossibile non ricollegarlo a Benjamin e alle sue considerazioni sul cappotto di Schelling. Per Stallybrass, il cappotto di Marx è una tragica ed ironica, e quasi impercettibile, allegoria della vita quotidiana di Marx, e non solo. Un'allegoria di tutta la sua vasta e complessa opera. "Il cappotto invernale di Marx era destinato ad entrare e ad uscire dal Banco dei Pegni per tutti gli inverni, dagli anni '50 del 1800, fini all'inizio degli anni '60". E, continua Stallybrass, "Il suo cappotto determinava direttamente quale lavoro, Marx poteva fare o non poteva fare. Se il suo cappotto rimaneva presso il Banco dei Pegni nel corso dell'inverno, egli, allora, non poteva recarsi al British Museum. Se egli non poteva andare al British Museum, allora non poteva fare le sue ricerche per "Das Kapital". Gli abiti che Marx indossava determinavano così quello che lui scriveva".
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
domenica 28 luglio 2013
Il cappotto di Marx
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