giovedì 30 giugno 2011

Un colpo al cerchio

Renouardexpressions

Ogni periodo storico sviluppa una sua propria ideologia pseudo-rivoluzionaria. Possono variare le sue forme, ma il contenuto essenziale è sempre lo stesso: questa ideologia, nonostante i suoi sempre nuovi abbellimenti rivoluzionari, non è altro che il riformismo spacciato per radicalismo. Coloro che lo praticano sono come sempre opportunisti e ciarlatani, le tattiche usate sono sempre volte ad ingannare e confondere. In questo particolare momento storico, diventa sempre più chiaro che il termine "anarchismo" si candida a rimpiazzare quelle ideologie diventate ormai inutili per la classe dominante. Con il crollo dell'autocrazia meglio conosciuta con il nome di Unione Sovietica, il "marxismo" non poteva più servire a continuare a svolgere il ruolo storico di ossificata ideologia "rivoluzionaria", e pertanto venne subito buttato nella pattumiera, per essere sostituito da un'altra forma di radicalismo di consumo. Il suo rimpiazzo non è nient'altro che l'anarchismo, fratello gemello del marxismo storico.
Un anarchismo che non è affatto la continuazione del pensiero e della pratica di quei milioni di uomini e donne che hanno combattuto sulle barricate, autogestite le loro fabbriche e le loro collettività, e piantato i semi per una forma nuova di società; non lo è più di quanto, quella mutazione, recentemente deceduta, conosciuta come "marxismo" fosse la continuazione del pensiero e della pratica di quei milioni di uomini e donne che hanno formato consigli operai, messo in atto scioperi generali, e combattuto per emanciparsi dalla loro esistenza di schiavi salariati.
Questo nuovo "anarchismo" non è nient'altro che il residuato di tutti i peggiori elementi dell'anarchismo: individualismo, primitivismo, anti-organizzativismo, riformismo, e terrorismo che si manifesta per mezzo di casuali atti di violenza che mancano di qualsiasi connessione organica con la lotta della classe operaia.
Nessuna teoria, se non quella di fare da appendice di sinistra ai partiti liberali del capitalismo. E nonostante le loro superficiali differenze e le loro dispute teoretiche (liberazione animale, liberazione della Terra ed altre simili assurdità), la pratica effettiva rivela chiaramente come tutti gli elementi di questa nuova ondata di finto radicalismo rappresentano una sola ed unica manifestazione di riformismo.
Il tipico neo-anarchico spesso è solo uno studente privilegiato dotato di un'intelligenza normale che un bel giorno ha trovato che il Partito Democratico non era sufficientemente radicale (anche se, in generale, lo era abbastanza per ottenere il suo voto nel corso delle elezioni capitaliste).
Invece di usare questo semi-risveglio come un trampolino di lancio verso una comprensione approfondita del pensiero radicale, della sua storia e della sua pratica, questo neofita ha immaginato che la sola strada che gli rimaneva era quella di mostrare al mondo lo pseudo-radicalismo appena scoperto. Ed il modo migliore per mostrarlo, e dimostrarlo, era quello di frequentare ed accompagnarsi ad una sottocultura locale e molto isolata. Una sottocultura priva di ogni coerenza teorica e pratica, ed unita solo da una sua estetica. In questo modo, il nostro giovane radicale impara la prima cosa sul neo-anarchismo: il bisogno di sostituire il radicalismo genuino con uno stile di vita 'rivoluzionario'. Così chi più ne ha più ne metta: il Dumpster-Diving (letteralmente "il tuffo nei cassonetti)e il veganesimo diventano rivoluzionari, e il desiderio di svolgere un'attività radicale si traduce in partecipazione ai black bloc (oggi, la caricatura di un'azione rivoluzionaria che si svolge in una situazione non-rivoluzionaria).
A parte vaghi riferimenti a termini come "autonomia" e "anti-autoritarismo", il neo-anarchico non sviluppa mai un'idea chiara a proposito di quale sia l'obiettivo finale, ed a causa di questa confusione a proposito dei fini sviluppa una serie distorta di mezzi. E questi mezzi si risolvono nelle stesse tattiche che hanno sempre usato i riformisti, quale che fosse la loro parvenza. Ragion per cui, il neo-anarchico vota, riciclando le solite trite banalità a proposito del minore dei due mali, senza mai riuscire a capire che la democrazia parlamentare serve solo alla borghesia. 
Parimenti, il neo-anarchico crede fermamente che qualsiasi sindacato sia meglio di nessun sindacato, e cerca attivamente di organizzare i lavoratori dentro i sindacati capitalisti, senza comprendere che la loro unica ragione di esistere è data dal cercare di integrare la classe operaia dentro un sistema sociale che è oramai fallito, e non di aiutarla ad emanciparsi.
Tutto questo lo porta anche ad essere contro la creazione di organizzazioni, dal momento che tali atti sarebbero contro i principi dell'anarchismo (così come loro li hanno interpretati), che l'autonomia degli individui ne verrebbe seriamente compromessa (rivelando così la loro prospettiva teorica borghese che parte sempre dall'individuo astratto, e mai dalla concreta società umana).
L'anarco-liberale tralascia qualsiasi analisi della società capitalistica, che sottolinei la sua composizione economica di base e la sostituisce con la sciocca nozione che tutte le oppressioni sono completamente uguali (aprendo così la strada a molteplici alleanze fra borghesia e proletariato).
Il neo-anarchico pensa meccanicamente che 'nessuna pubblicità è cattiva pubblicità' e che i media, un'entità che suppone neutra, possono essere usati come un alleato che simpatizza per la tua causa. Il nuovo 'anarchico' supporta l'idea reazionaria dell'autodeterminazione per le nazioni, senza pensarci, agitando una bandiera di Hezbollah o una bandiera dell'Iraq per una dimostrazione (in questo caso particolare, letteralmente, non è cambiato nulla dai tempi dell'"anti-imperialismo" dei leninisti).
Il neo-anarchico, come i suoi antenati socialdemocratici e leninisti, non ha mai realmente rotto con il liberalismo. Oggi, il nuovo 'anarchico' è semplicemente lo stesso vecchio riformista che indossa un abito diverso e parla una lingua leggermente diversa: un liberale che porta una bandana nera in modo da cercare di provare l'esistenza di una qualche sorta di radicalismo che non non c'è mai stato da quelle parti. Anche se il fatto che questo riformismo cerchi di farsi passare per radicalismo, può sembrare un fenomeno innocuo, è deleterio nei fatti. Quando insorgerà una situazione rivoluzionaria, saranno senza dubbio la tesi anarco-liberali che si batteranno per difendere il capitalismo e lo Stato, e faranno questo da sotto la maschera del radicalismo. Così come il 'marxismo' venne messo in campo per distruggere la rivoluzione e contenere il movimento spontaneo dei lavoratori, l'"anarchismo" è stato chiamato in vita per eseguire lo stesso compito in futuro. I suoi ranghi sono pieni di liberali che tentano di farsi passare per radicali. A causa di questo, tutta la natura dell'anarchismo oggi sta cambiando. Le tattiche rivoluzionarie sono state dismesse in favore delle tattiche riformiste - spesso con l'approvazione di alcuni cosiddetti leader dell'anarchismo contemporaneo, la critica rivoluzionaria è stata sostituita da uno stile di vita, l'analisi di classe è stata sostituita da un'identità politica settaria, e l'anarchismo, come già il marxismo prima di esso, si prepara a svolgere il compito di salvare il capitalismo.

- Gli amici di Debord -

( liberamente tradotto da http://www.notbored.org )

mercoledì 29 giugno 2011

Bakunin in America

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Nel settembre del 1861, Bakunin si trova da quattro anni in Siberia, dove è stato esiliato dopo essere stato liberato dalla fortezza dove ha languito dal 1851. E' allora che gli si offre quell'opportunità di fuga che non manca di cogliere. Approfittando della scarsa vigilanza dei suoi sorveglianti (e forse anche della loro corruttibilità), riesce a raggiungere l'Oceano Pacifico, dove il capitano di una nave americana in partenza per il Giappone accetta di prenderlo a bordo. Arriva a Yokohama, e da lì si imbarca sul "Carrington", che lo porta fino a San Francisco. Un giro del mondo che si concluderà alla fine di dicembre 1861, quando Bakunin arriva a Londra, a casa del suo amico scrittore Alexander Herzen.
In America, Bakunin arriva in un paese che, negli ultimi mesi, è piombato in una guerra civile che durerà quattro anni e che farà quasi un milione di morti. Il conflitto lo costringe ad andare sulla East Coast facendo un lungo giro, di nuovo in nave, attraverso l'America Centrale e l'istmo di Panama. Ed è da Boston è che poi riuscirà ad imbarcarsi per l'Europa.
Del soggiorno di Bakunin in Nord America, si sa poco. La sua corrispondenza è notoriamente molto ellittica. La principale fonte di quello che pensava al suo arrivo in America è una lettera che egli inviò ad Herzen da San Francisco il 15 Ottobre, 1861, poi scrisse di nuovo il 3 novembre, dalla nave che lo sta portando a Panama, raccontando di non poter prendere la diligenza per attraversare il Missouri, dal momento che c'è una guerra. E, di nuovo, il 3 dicembre da New York, prima della sua partenza per Londra. Si sa, d'altronde, che Bakunin nutriva una profonda ammirazione per la libertà politica nord-americana, al punto che se avesse dovuto abbandonare la Svizzera, avrebbe cercato di ottenere la cittadinanza statunitense.
Tuttavia, esiste un'altra fonte, a proposito del suo soggiorno americano, che viene indicato dall'articolo di Robert Cutler, "Una Fonte ritrovata su Bakunin nel 1861: Il Diario di F.P. Koe", Canadian Slavonic Papers 35, nn. 1-2 (marzo-giugno 1993), p. 121-130. Questo articolo, insieme ad alcuni estratti dal diario di Koe è pubblicato dall'autore dell’articolo sul sito http://www.robertcutler.org/bakunin/ar93csp.htm .
Frederick Pemberton Koe (1829-1889) incontra Bakunin sulla nave che li porta dal Giappone a San Francisco. A quel tempo, Koe aveva portato a termine un giro del mondo che la sua famiglia aveva incitato ad intraprendere per allontanarlo da una giovane cattolica di cui si era innamorato (Koe e la sua famiglia erano protestanti). Bakunin, che nella sua giovinezza aveva dovuto confrontarsi con gli ostacoli che i suoi genitori frapponevano allo sviluppo personale delle sue sorelle, era stato senza dubbio assai sensibile alla storia di Koe, e il diario di quest'ultimo dice che lo incoraggiò a violare i divieti della famiglia (cosa che Koe fece, dal momento che avrebbe sposato la giovane donna l'anno seguente). Inoltre, durante il viaggio, Bakunin racconta a Koe la sua vita, gli parla della sua giovane moglie che ha lasciato in Siberia e che dovrebbe riunirsi a lui, gli canta delle canzoni russe tradizionali e, secondo le sue abitudini, chiede in prestito dei soldi al suo compagno di viaggio.Anche se, dal diario, emerge ben poco delle idee politiche di Bakunin, al tempo della sua fuga dall'esilio in Siberia, il documento ha il pregio di riuscire a presentarci come Bakunin poteva apparire a chi lo aveva incrociato.

martedì 28 giugno 2011

Cambio Tempo

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I tempi cambiano, e bisogna cambiare insieme ai tempi. Almeno, così sembra pensarla l'artista di strada che ha preso in mano il pennello ed i colori, per misurarsi con il monumento all'Armata Rossa che si vede nella foto. I soldati sovietici, grigi e marziali, si trasformano in un'allegra combriccola di cui fanno parte Superman e Capitan America, ma anche Babbo Natale e perfino Ronald McDonald, il personaggio simbolo della catena di "fast-food"! Già, i tempi cambiano, anche per le strade di Sofia, in Bulgaria.

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lunedì 27 giugno 2011

FC-START

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Esiste una tendenza incorreggibile nel cinema, che prova, ogni volta che può, a dare un lieto fine alle sue storie, o ancora, a correggere mediante un lieto fine le storie della storia. A conti fatti, tutto l'impianto di un film come "Fuga per la vittoria" di John Huston ha molto poco a che fare con la storia vera cui si ispira, e che riguarda, anziché un aggregato internazionale guidato da Pelè, Ardiles e Bobby Moore, una squadra di calcio, la Dinamo di Kiev ed una partita contro una squadra composta da ufficiali tedeschi della Luftwaffe. Una partita che, in caso di vittoria della Dinamo, prevedeva l'esecuzione dei suoi giocatori.
La storia comincia nel settembre del 1941, quando Kiev, capitale dell'Ucraina, viene occupata dall'esercito nazista. Nei mesi successivi, nella città cominciano ad arrivare, a centinaia, i prigionieri di guerra, ai quali non viene permesso né di lavorare né di vivere dentro a delle case. Costretti ad un'indigenza assoluta, questi prigionieri si aggirano per le strade della città. Fra loro, c'è anche Nikolai Trusevich, che aveva giocato come portiere della Dinamo. 
A Kiev viveva Josef Kordik, panettiere di origine tedesca, e tifoso della Dinamo. Era trattato bene dai nazisti, proprio grazie alle sue origini. Un giorno, mentre camminava per strada, Kordik vede un mendicante e subito si rende conto che si tratta del suo idolo, il gigantesco portiere Trusevich.
Sebbene fosse illegale, il commerciante riesce ad assumere e a far lavorare il portiere nella sua panetteria. Trusevich gli è riconoscente. I due uomini parlano spesso e i discorsi vanno a finire sempre lì, il calcio e la Dinamo, fino a quando al fornaio non viene una brillante idea: anziché impastare il pane, Trusevich dedicherà il suo tempo a cercare di trovare i suoi compagni di squadra. Verrà pagato ugualmente e, allo stesso tempo, potranno salvare altri giocatori.
Il portiere comincia ad aggirarsi per quello che rimane della sua città, devastata, e, uno per uno, in mezzo ai mendicanti, trova i suoi ex-compagni di squadra. Kordik dà lavoro a tutti, cercando di non farsi scoprire. Per sovrammercato, Trusevich scopre in città anche dei rivali del campionato russo, tre calciatori del Lokomotiv che salva. Nel giro di poche settimane, una squadra intera si ritrova a lavorare nel panificio.
Riuniti dal panettiere, non passa molto tempo che i giocatori si ritrovano a fare il passo successivo e tornano a giocare, incoraggiati dal loro mecenate. Dal moneto che la Dinamo, come squadra, era stata sciolta e vietata, decisero di darsi un nome del tutto nuovo. Nasce l'FC START che, grazie a dei contatti tedeschi, comincia a giocare sfidando squadre di soldati nemici e selezioni di calcio che si muovono nell'ambito del Terzo Reich.
Il 7 giugno del 1942 giocano la loro prima partita, e benché denutriti e dopo aver lavorato per tutta la notte precedente nel forno della panetteria, vincono per 7 a 2. L'avversario successivo è una squadra della guarnigione ungherese, e anche qui vincono per 6 a 2. Dopo, infilano 11 gol ad una formazione rumena. Il problema viene fuori quando, il 17 luglio, battono per 6 a 2 una compagine dell'esercito tedesco. Molti nazisti cominciano ad essere infastiditi dalla fama crescente di questo gruppo di "fornai", e cercano di trovare una squadra migliore da mandare in campo. E' al MSG, squadra ungherese, che viene affidato il riscatto, solo che l'FC START vince per 5 a 1, all'andata, mentre la rivincita finisce per 3 a 2, sempre a favore dei fornai. 
Il 6 agosto, i tedeschi, convinti della loro superiorità, decidono di mettere in campo una squadra composta da ufficiali membri della Luftwaffe, il Flakelf (che era già stato usato da Hitler come strumento di propaganda). Volevano farla finita con l'FC START che aveva guadagnato un'enorme popolarità a Kiev e dintorni, presso la popolazione sottomessa dai nazisti. Niente da fare, nonostante i calci dei nazisti, l'FC START vince per 5 a 1.
Pochi giorni dopo la sconfitta della squadra tedesca, viene scoperta tutta storia del panettiere, la sua truffa ai danni dei nazisti. Da Berlino, arriva l'ordine di ucciderli tutti, la squadra e il panettiere. Ma i nazisti, occupanti Kiev, non si accontentano di questo, non vogliono che l'ultima immagine dei russi sia una vittoria sul campo di calcio, e pensano che uccidendoli sarebbe stata questa l'immagine che avrebbero consegnato alla storia. La superiorità della razza ariana, in particolare nello sport, è una sorta di ossessione per Hitler. Ragion per cui, prima di ucciderli, devono batterli sul campo.
Per il 9 agosto, viene annunciata la rivincita che avrà luogo nello stadio Zénit. Prima dell'incontro, un ufficiale delle SS entra negli spogliatoi e parla in russo, dice di essere l'arbitro e chiede che sul campo, i calciatori del'FC START rispettino le regole e salutino, prima dell'incontro, con il braccio alzato. I calciatori russi, maglia rossa e calzoncini bianchi, schierati in campo, alzano il braccio, ma al momento del saluto lo portano al petto e, anziché "Heil Hitler", urlano "Fizculthura" (uno slogan sovietico che proclama la cultura fisica).
I tedeschi, maglia bianca e calzoncini neri, vanno in vantaggio per primi ma, al momento di andare negli spogliatoi per la fine del primo tempo, il risultato è di 2 a 1 in favore dell'FC START.
Questa volta, ci sono più visite negli spogliatoi, e vengono affettuate con le armi al seguito e con disposizioni ben chiare e precise. Se vincono, non ne rimmarrà nessuno, vivo. I giocatori hanno paura e, da parte di molti, si manifesta l'intenzione di non giocare il secondo tempo. Poi, il pensiero corre alle famiglie massacrate, ai crimini subìti, alla gente in tribuna che soffre e che spera, per loro. Giocano. Una vera e propria danza. Alla fine della partita, quando hanno già vinto per 5 a 3, Klimenko si ritrova da solo davanti al portiere tedesco. Lo dribbla, e si ritrova da solo, con la palla, davanti alla porta. Quando tutti si aspettano il gol, si gira e calcia la palla al centro del campo. Un gesto di disprezzo, di burla, di superiorità totale. Lo stadio vene quasi giù per le grida di trionfo.
I nazisti permisero ai calciatori di lasciare il campo, come se nulla fosse accaduto. Un paio di giorni dopo, addirittura, l'FC START gioca contro il Rukh e lo batte per 8 a 0. Ma la fine era già stata scritta. Dopo questa ultima partita, la Gestapo andò a far visita al panificio.   Solo due sopravvissero, Goncharenko e Sviridovsky che non erano nella panetteria e che rimasero in clandestinità fino alla liberazione di Kiev, nel novembre del 1943. Il resto della squadra venne tortutato a morte.

sabato 25 giugno 2011

Passaggi

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Alcuni giocatori della nazionale di calcio della Libia sono passati con i ribelli. Si vede che i calciatori libici non sono così stupidi come le loro controparti in altri paesi! Torna alla mente, l'Ungheria del 1956, quando i migliori giocatori scapparono in occidente. Da allora, il calcio ungherese non si è più ripreso, e non si sono più visti, nella nazionale ungherese, giocatori del calibro di Puskas o di Kocsis ...

Fonte: BBC Radio4, 24 giugno 2011.

venerdì 24 giugno 2011

Quando passi da queste parti …

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Peter Michael Falk (New York, 16 settembre 1927 – 24 giugno 2011)

come un gatto

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"Some day we'll take the good things of the earth
That the parasites hoard and sell;
We'll keep our products for ourselves,
And bosses can go to hell.
The earth is on the button that we Wobblies wear;
We'll turn the SAB CAT loose or get our share!

- Ralph Chaplin, The Harvest Song -

Era il 1913, quando Ralph Chaplin scrisse questa canzone, facendo assurgere il Gatto Nero, il gatto del sabotaggio, a simbolo degli IWW (Industrial Workers of the World) americani. La schiena arcuata, gli artigli e i denti scoperti, pronto a combattere, diverrà un'icona e da allora, fino ad oggi, riempirà manifesti, volantini, testate di giornali.
La scelta, a quanto pare, venne fatta a suo tempo proprio ... dal gatto! C'è una storia che racconta di uno sciopero che non stava andando proprio bene. La partecipazione era scarsa, e diversi membri del sindacato si trovavano in ospedale, picchiati brutalmente dai poliziotti. Nel campo degli scioperanti, fra le tende e il fuoco, il morale era basso, quando arrivò un gatto nero, secco e affamato. I lavoratori decisero di nutrirlo, considerato che stava assai peggio di loro, e man mano che il gatto riacquistava peso e salute, curiosamente la partecipazione allo sciopero aumentava, insieme alla combattività degli scioperanti. Alla fine, vennero accolte tutte le richieste fatte dagli operai. E il gatto rimase con i wobblies, e divenne la loro mascotte.

(Grazie a Salvatore ed al suo blog)

giovedì 23 giugno 2011

mafia

mafia


A seguire, la prefazione al libro "Mafia" di Henner Hess, scritta da Leonardo Sciascia. Una lettura interessante. Ieri come oggi.


Questo libro è stato scritto da un giovane tedesco dopo un lungo e attento soggiorno in Sicilia e attraverso una ricerca, archivistica e bibliografica, tanto minuziosa quanto precisa (mentre di solito la minuziosità è nemica della precisione, quando viene esercitata su una materia traboccante, sfuggente, contraddittoria e controversa). Credo sia una tesi di dottorato, come si dice oltralpe di quegli studi per cui si accede alla docenza e se si paragona (questa tesi, ma anche altre, di francesi e tedeschi, in cui ci siamo imbattuti in questi ultimi anni) a quel che da noi si produce per arrivare alla libera docenza (che in effetti è libera solo se non la si esercita) o alla cattedra, si è assaliti dalla malinconia, se non addirittura dalla disperazione. Ma lasciamo perdere.
A parte la mole della ricerca, quel che immediatamente colpisce il lettore di questo saggio è il buon senso, e cioè una specie di condizione a tabula rasa, senza pregiudizio, con cui l’autore ha voluto e saputo mettersi di fronte al fenomeno mafioso e sì che sarà stato difficile per lui, straniero, che prima di arrivare in Sicilia e agli archivi siciliani soltanto disponeva di tesi e schemi altrui, di teorie più o meno addentellate alla realtà, di impressioni più o meno false (i viaggiatori, gli “inviati”) e quasi sempre improntate ai romantici effetti che dà il vagheggiamento della “pianta uomo” di classificazione stendhaliana il brigante italiano nel secolo scorso, il mafioso siciliano nel nostro.
Già alla prima pagina, il buonsenso con cui il lavoro è stato condotto e il buonsenso della tesi cui è pervenuto appare evidente: “Contrariamente all’imputato Mini (Mini non è un famoso mafioso di cui ci si è dimenticati, ma sta per Tizio un tizio medio o grosso mafioso), la maggior parte della gente, in particolare fuori d’Italia (ma anche in Sicilia), si fa un’impressione abbastanza precisa della mafia un’associazione a delinquere centralizzata, retta duramente, con riti di iniziazione e statuti. Il pubblico è stato ampiamente informato sia dalla letteratura specializzata sia attraverso la stampa quotidiana, i romanzi polizieschi e del brivido e i gialli della televisione. Ma chi cerca di approfondire i fatti e di risalire lungo la catena delle fonti, ottiene un quadro completamente diverso e, come è accaduto a me nello svolgere questo lavoro, approderà alla convinzione che l’imputato Mini non mente affatto quando, alla domanda se fa parte della mafia, risponde ‘non so che significa’. In realtà egli conosce individui detti mafiosi non perché siano membri di una setta segreta ma perché si comportano in un determinato modo e cioè in maniera mafiosa”. A riscontro di questa affermazione, che il saggio svolge e dimostra, varrebbe la pena riportare per intero una intervista ai “presunti” (la sostantivazione dell’aggettivo ormai si impone mai l’opinione pubblica italiana è stata così convinta della colpevolezza di una persona o di un gruppo di persone come da quando sono state escogitate le espressioni “indiziato di reato” o “presunto colpevole” – e in quanto al “presunto mafioso”, la presunzione non resta tale ma si materializza in una limitazione della libertà personale abbastanza somigliante al carcere) pubblicata nel 1971 dal settimanale “L’europeo”. Ai “presunti” confinati nell’isola di Linosa.
Per cominciare, nessuno di loro ha mai sentito parlare di mafia se non dagli inquirenti e dai giornalisti. Ed ecco le sette risposte che il giornalista Magrì riscuote alle domande “cos’è la mafia, cosa vuol dire essere mafioso”: “Prima che i giornali sventolassero ai quattro canti questa parola mafia, nessuno ne sapeva niente”; “Secondo me è un tipico modo di vivere dei siciliani che non viene compreso in continente”; “E’ una gentilezza che si fa alla gente che merita rispetto; “Per loro, la mafia è la deformazione del prestigio” (e si sente l’eco della definizione del giurista Giuseppe Maggiore “una ipertrofia dell'io”); “Mafia è una parola antica che significa cava di pietra. Cava di pietra dove si riunivano le persone perseguitate dai dominatori della Sicilia; persone che si costruivano una loro giustizia. Ora, invece, i politicanti la tirano fuori per inserirla nella delinquenza”; “Ormai la mettono dovunque. Ma dei costruttori che si mettono insieme per costruire, o dei carrettieri che si mettono assieme per sfruttare la sabbia, che sono mafiosi? Sono industriali”. “Io, sul mio onore, non riesco a capire né il significato di mafia né quello di mafioso”.
Per coloro che credono di avere un’idea precisa della mafia, ma maturata sull’informazione della cronaca quotidiana e di qualche saggio tra i più inattendibili (pochissimi, per esempio, conoscono le illuminanti pagine di Hobsbawm), queste risposte suscitano ironica incredulità e danno addirittura nel comico. Invece esse sono, alla lettera, vere e il “presunto” che impegna il suo onore sulla dichiarazione che non riesce a capire che cosa significhi mafia, che cosa mafioso, non rischia poi molto – e non soltanto nel senso di una nozione dell’onore che più ha a che fare con l’omertà che con la verità. Per lui i termini mafia, mafioso non hanno senso indicano quel che per lui sono parentela, comparatico, amicizia, rapporti di affari; il saper tenere fede a questi rapporti e il rivolgerli a un fine di reciproco profitto, di miglioramento economico e sociale; un giudizio sulle cose del mondo, sulla necessità della forza, della legge e dell’ordine non dissimile da quello che vede realizzato nello Stato o nel sistema da cui emana lo Stato. Non hanno cioè, questi termini, quel senso di cui noi li carichiamo.
E ne abbiamo la controprova in questa dichiarazione che viene fuori dalla stessa intervista: “Io non sono ricco e non ho soldi. Anzi non so neppure come vivere. E anch’io sono mafioso. Io facevo il tosatore di cani insieme con mio padre. Avevamo una bella clientela, a Palermo. La migliore gente baroni, principi, avvocati, ingegneri. A ventotto anni entrai nei cantieri navali. Anzi, in una ditta appaltatrice dei cantieri navali. Prima che entrassi io c’era sempre disordini, scioperi, caos insomma. Ci sono andato io e ho sistemato tutto. Certo, uno si domanda ma com’è che ho potuto sistemare tutto? Bisogna vedere come l’ho sistemato. L’ho sistemato in maniera che gli operai avessero tutti i diritti. Ero, insomma, una specie di commissione interna, il tramite tra gli operai e il padrone. Poi successe che litigai con un operaio, la polizia lo fece suo…”. Ignorando la definizione - questa sì, a tutti gli effetti, precisa – che è stata data della mafia (“un’associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”), il “presunto” candidamente ne offre la puntuale verifica meravigliato che si possa chiamare mafiosa un’idea e realizzazione dell’ordine, della pace sociale, del diritto tanto ovvia e per tutti soddisfacente.
Per tutti, tranne uno quell’uno che la polizia intrusa ha fatto suo. Ma davvero si deve far conto di uno, se tutti gli altri sono d’accordo? E quando mai si è vista rispettata l’opinione del singolo a Palermo, in Sicilia, in Italia? La polizia, si sa, è pagata per tenere l’ordine e quando c’è chi mette l’ordine senza scomodarla, spesso se ne appaga ma qualche volta, per dimostrare che non mangia a ufo, o per favorire qualche politicante, fa suo qualche scontento e comincia allora il disordine. Colui che diciamo mafioso si ritiene insomma delegato all’ordine più e meglio della polizia e per la semplice ragione che il sistema, nella versione siciliana, non consente alla polizia efficace penetrazione e controllo. In un certo senso, del sistema ci sono soltanto alcuni effetti e si conoscono soltanto due modi di controllo, due alternative. E valga come parabola questo episodio. Un commerciante subisce un furto, capisce da chi gli viene il colpo, gli si presenta, discorre del più e del meno, poi, entrato in confidenza, con non coperta allusione, gli dice “ma se avevi bisogno di soldi non potevi dirmelo? Che bisogno c’era di farmi uno sgarbo?”. Lo sgarbo sarebbe il furto il commerciante non ignora gli eufemismi e le metafore che si debbono usare, ma evidentemente sbaglia i tempi, se l’altro duramente gli risponde che questo non è il modo di parlare: “e quand’anche fossi stato io, a farle lo sgarbo, lei si presenta male”. La punizione piomba quasi immediata altro furto, questa volta in casa. Il commerciante ci si rode, soffre. Non sa che fare; e anzi sa di non poter fare proprio niente.
Ed ecco che gli si presenta un tale, che gli propone, senza mai spiegarsi nettamente, “di far finire la cosa”. Il prezzo sarebbe, per il commerciante, l’avallo di cambiali per due milioni. Il commerciante pensa mi faranno pagare le cambiali, ma mi restituiranno la roba. Firma. Paga. Ma la roba non gli ritorna. Dimagrisce, si ammala e quando racconta la ragione del suo male, come l’ha raccontata a noi, finisce così: “I casi sono due o mandano Mori o mettono in libertà quelli; qui non si ragiona più, non si vive più…”. “Quelli” cioè i “presunti” che stanno al confino. E in quanto alla polizia, niente da fare se non c’è uno come Mori i pieni poteri, gli arresti indiscriminati, le carceri piene di “quelli” e di “questi altri”. L’alternativa è netta, assoluta le infinite risorse dell’uomo d’ordine nell’Italia miracolosa miracolata miracolistica, in Sicilia si riducono a due.

- Leonardo Sciascia -

mercoledì 22 giugno 2011

Una luce violenta, senza compassione!

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Durante la seconda metà degli anni venti, durante lo scorso secolo, comincia a diffondersi una corrente fotografica documentaria, espressione del movimento operaio legato alla Terza Internazionale Comunista.
Nel 1926, durante la Repubblica di Weimar, viene indetto un concorso di fotografia dalla rivista AIZ (Arbeiter Illustrierte Zeitung). Contemporaneamente, in Unione Sovietica, viene fondata la rivista "Sovetskoe Foto" che si propone di guidare e coordinare la cultura fotografica sovietica.
Nascono discussioni e dibattiti sul realismo, sul reportage fotografico, sulla "fattografia". Da queste sorgenti, la "fotografia operaia" comincia ad espandersi, fino ad articolarsi come un vero e proprio paradigma per tutti i movimenti di sinistra nel Centro e nel Nord Europa, e negli Stati Uniti. Le sue ramificazioni si stendono fino alle esperienze dei Fronti Popolari in Spagna ed in Francia.
Sergei Tretyakov, David Seymour, Robert Capa, Paul Strand, Tina Modotti, Walter Ballhause e Max Alpert, fra gli altri, se ne fanno carico.
Il teorico della "Fattografia", Sergei Tretyakov, sostiene un'arte giornalistica, descrittiva, oggettiva, che si fonda sulla stampa e che viene realizzata da un nuovo tipo di autore-produttore, che mette in pratica un programma materialista dell'arte circoscritto alla produzione industriale.
A partire dal 1929, cominciano a formarsi le prime associazioni di fotografi operai.
E' l'origine del foto-giornalismo. E' l'opposizione alla stampa borghese con i mezzi visivi. Alla fine del 1931, una rivista come AIZ, in Germania, tirava 500mila copie settimanali. Culmine, e punto finale, che coincide con la caduta della Repubblica di Weimar e con la fine di qualsiasi sperimentazione culturale in Unione Sovietica.
Nella prima metà degli anni '30 l'esperimento è oramai diventato un movimento politico che stende la sua rete nell'Europa Centrale e arriva negli Stati Uniti della Grande Crisi con la "Photo League", dove si incontrano Aaron Siskind, Harold Corsini, Morris Engel, Sid Grossman, e Tina Modotti.
L'esperienza si conclude nella seconda metà degli anni '30, quando l'operaio si trasforma dapprima in soldato e infine in sconfitto, tutto questo sugellato dalla fine della Guerra Civile Spagnola che aprirà le porte alla Seconda Guerra Mondiale. In questo periodo, si situa la rivista francese "Regards" che raccolse le opere di Robert Capa, Louis Aragon, Henri Cartier-Bresson, Josep Renau, ed Eli Lotar.
E' la fine di un'iconografia e di un movimento, la fotografia operaia, che è stato un momento chiave di tutta la storia della fotografia. Un movimento che è stato marginalizzato e dimenticato e che, invece, merita un posto centrale nel dibattito fotografico che ha avuto luogo fra le due guerre, dal momento che ha creato una sorta di sfera pubblica fotografica.

martedì 21 giugno 2011

Una vita

koestler

"Sono andato al comunismo come si va ad una sorgente di acqua fresca e sono uscito dal comunismo come chi striscia fuori dall'acqua avvelenata di un fiume coperto dai detriti delle città allagate e pieno dei cadaveri degli annegati. Questa è, in breve, la mia storia dal 1931 al 1938".
L'autobiografia di Arthur Koestler (1905-1983), riassume un secolo di ombre in due volumi, "La freccia blu" e "La scrittura invisibile".

Durante la Guerra civile spagnola, il 25 gennaio 1937 a Valencia, Koestler partecipò con il poeta W.H. Auden ad una festa. Quindici giorni dopo aspettava la morte in un carcere di Siviglia. Corrispondente del giornale britannico "News Chronicle", era stato arrestato a Malaga il 9 febbraio 1937, per ordine di un ufficiale, Luis Bolin, che lo accusava di pubblicare articoli contro il bando ribelle del generalissimo Franco, e che aveva giurato di ucciderlo "come un cane rabbioso". Le truppe repubblicane avevano lasciato la città e se lo erano lasciato alle spalle. Perché? La cosa non è mai stata chiarita. Uno dei suoi biografi, Michael Scammell, suggerisce diverse possibilità: la prima è la sua lealtà al console britannico, Sir Peter Chalmers Mitchell, con il quale aveva stretto amicizia. Era disgustato dalla codardia dei disertori nelle zone repubblicane, e voleva dimostrare che non era come gli altri e che non era disposto ad abbandonare la sua macchina da scrivere.
Visse in una cella di isolamento.Per diverse settimane, non gli venne permesso di lasciarla, un buco di sei passi e mezzo di lunghezza. Insultato dalle guardie, ignorato dalle autorità penitenziarie, arrivò a credere di essere stato condannato a morte. Di notte, udiva gli altri detenuti implorare le loro madri quando venivano prelevati dalle loro celle per essere fucilati.
Nel frattempo, Chalmers Mitchell aveva inviato un telegramma da Gibilterra al "News Chronicle" circa la detenzione di Koestler e da quel momento aveva iniziato una campagna internazionale per la sua liberazione. William Randolph Hearst definì l'arresto come una "violazione inaccettabile dei diritti dei giornalisti ad esercitare la loro professione". Intervenne il governo francese e, in Inghilterra, l'Unione nazionale dei giornalisti pretese la mediazione politica: Cinquantasei membri del Parlamento firmarono una lettera a sostegno di Koestler. Infine, dopo le trattative tra la Lega delle Nazioni Unite, la Croce Rossa ed il Vaticano, il rilascio fu organizzato per mezzo di uno scambio di prigionieri. Koestler venne trasferito a Gibilterra sotto la custodia delle autorità britanniche il 14 maggio, dopo 94 giorni di prigionia.

Nella Vienna tra le due guerre, Koestler lavorò come segretario di Vladimir Jabotinsky, uno degli ideologi del movimento sionista. Si recò in Turkmenistan, in qualità di govane e ardente simpatizzante del comunismo societico, dove incontrò Langston Hughes, poeta afroamericano del Rinascimento di Harlem, il movimento della poesia jazz. Nella Berlino della Repubblica di Weimar entrò nel cerchio dell'infame agente del Kommitern Willi Münzenberg e stabilì contatti con importanti artisti comunisti tedeschi dell'epoca: Johannes Becher, Bertolt Brecht e Hanns Eisler. Era solito pranzare con Thomas Mann ed ubriacarsi con Dylan Thomas e strinse una forte amicizia con George Orwell. Flirtò con Mary McCarthy, e convisse a Londra con Cyril Connolly. Nel 1940, Koestler venne liberato da un campo di prigionia francese, grazie anche all'intervento di Harold Nicholson e di Noël Coward.Nel 1950, contribuì a fondare il Congress for Cultural Freedom, insieme al giornalista Mel Lasky e al filosofo Sidney Hook.Nel 1960,  consumò LSD con Timothy Leary, e nel 1970, tenne conferenze che impressionarono i giovani scrittori del tempo, fra i quali Salman Rushdie.
E 'difficile trovare un altro importante intellettuale del ventesimo secolo che in vita non si sia incrociato con Koestler, o un movimento intellettuale del Novecento cui Koestler non si sia unito, od opposto. Dall'educazione progressista e dalla psicoanalisi freudiana attraverso il sionismo, il comunismo e l' esistenzialismo, le droghe psichedeliche, la parapsicologia e l'eutanasia, egli visse affascinato dai capricci filosofici, politici ed apolitici del suo tempo.
Le passioni di Koestler erano profonde. La sua fede nel comunismo lo ha portato a combattere in Spagna ed in viaggio attraverso l'URSS. Il suo sionismo, in un kibbutz vicino ad Haifa. In momenti diversi, ha sostenuto la violenza, sia per ottenere il trionfo dell'utopia comunista che per stabilire lo stato di Israele. Anche quando si è rivoltato contro le sue fedi precedenti (e contro i tuoi amici allora) lo ha fatto con sincerità. Il riconoscimento gli è arrivato più come anti-comunista che grazie al successo dei suoi libri, tra cui "Buio a mezzogiorno", una storia immaginaria sull'interrogatorio di un importante membro di un partito comunista senza nome. Il suo coinvolgimento con il sionismo revisionista è probabilmente meno noto; ne "La tredicesima tribù" sostiene che gli ebrei europei moderni discendono da i Khazari dell'Asia centrale, e non dagli ebrei che vivevano nella Palestina di un tempo. Tesi molto popolare fra i nemici del sionismo.Negli ultimi anni della sua vita, la sua passione per la telepatia e per altre pseudo-scienze arrivò al punto da fargli lasciare in eredità il suo patrimonio ad una cattedra di parapsicologia.

La mattina del 3 marzo 1983, Amelia Marino, la domestica spagnola dei Koestler, mentre si recava al lavoro, vide una nota scritta da Cynthia Koestler: "Per favore non salire. Telefona alla polizia e dì loro di venire a casa."
Trovarono Arthur, sulla sedia con la schiena al balcone ed un bicchiere vuoto in mano. Cynthia sul divano, alla sua sinistra. Erano morti da 36 ore. Un overdose di barbiturici.

lunedì 20 giugno 2011

Archivi

LesCaixdAmsteram

Siamo agli inizi del 1939, quando, nella Barcellona assediata dalle truppe fasciste, ad un gruppo di uomini viene assegnata una missione particolare: mettere in salvo gli archivi della CNT e della FAI, e trasferirli ad Amsterdam, all’Istituto Internazionale di Storia Sociale. Si tratta di ventidue casse, nei cui faldoni si trova, ben documentata, tutta la storia degli stretti legami esistenti fra la Confederaciò Nacional del Treball (CNT), che ha tentato la rivoluzione in Catalogna, e - ad esempio - il movimento makhnovista, che aveva lottato in Russia contro il regime zarista, fino a quando non venne liquidato dai bolscevichi. I collegamenti con i ribelli protagonisti della grandi rivolte in Patagonia, restituitici alla memoria dalla penna di Osvaldo Bayer. Documenti che permettono di coniugare le storie di quegli anni, nelle varie parti del mondo. Lettere manoscritte, fotografie, filmati. Una storia che parte da avvenimenti come la Comune di Parigi, passando  per Francisco Ferrer e Buenaventura Durruti, il cui significato arriva perfino a proporre una chiave di lettura degli ultimi avvenimenti di questo nuovo, ventunesimo, secolo.
Ora, tutto questo è un docu-film, “Les caixes d’Amsterdam”, prodotto dalla Televisió de Catalunya e diretto da Felip Solé. Interviste, vecchie e nuove, interventi, filmati, immagini, si succedono a cercare di ricostruire, di capire e proiettare sul futuro, un'opera -la rivoluzione - che lungi dall'essere morta e imbalsamata, si ripropone ancora col fuoco dell'attualità.

 

“Les caixes d’Amsterdam”
Un documental de Televisió de Catalunya dirigit per Felip Solé.

Fitxa tècnica:

Cap de Documentals: Joan Salvat
Productora executiva: Muntsa Tarrés
Direcció i realització: Felip Solé
Producció: Lluís Mabilon
Guió: Àngels Molina
Locució: Joan Massotkleiner
Ajudant de realització: David Burillo
Documentació: Mercè Bofill
Investigació: Àngels Molina i Roger Caubet
Assessorament històric : Josep Maria Solé i Sabaté i Octavio Alberola
Operador de càmera: Joaquim Murga
Disseny gràfic: Xavi Comas
Tècnic de so: Toni Garcia
Muntatge musical: Adolfo Pérez

venerdì 17 giugno 2011

Scavare la cenere

ceniza


Armato della sua macchina fotografica Leica, il fotografo Robert Capa è il protagonista di "Tristísima ceniza", il nuovo fumetto scritto da Mike Begoña, e disegnato da Iñaket, in un'opera che dà voce agli sconfitti della Guerra Civile Spagnola.
Dopo la distruzione di Guernika, giornalisti e fotografi di tutto il mondo si diressero verso il Paese Basco, dove nel maggio 1937 si era combattuta la battaglia di Sollube. Le truppe antifranchiste si difesero strenuamente su questo monte vicino a Bilbao, ma l'esercito ribelle, inarrestabile, riuscì ad avanzare fino alla capitale basca. In quei luoghi, in quei momenti della storia della Spagna e dell'Europa, si poteva incontrare il fotoreporter Robert Capa, che di lì a poco avrebbe sofferto per la sorte subita dalla sua amata Gerda Taro su un altro fronte della guerra, in Catalogna.
Insieme a Robert e a Gerda, si muovono altri eroi della resistenza contro la rivolta nazionalista: Francisco Artasánchez, membro delle brigate basche, Esther Zilberberg, militante delle organizzazioni operaie in Belgio che si trasferì in Spagna per difendere la Repubblica, oppure Luis Lezama Leguizamon, un membro della nobiltà basca che venne incarcerato per le sue simpatie franchiste.

"Quando ho scritto la sceneggiatura non sapevo se la storia di Robert e Gerda avrebbe preso molto o poco spazio. Le storie di amicizia, di solidarietà o di 'compagneria' possono essere importanti quanto le storie d'amore, e anche di più. In realtà, esse sono anche storie d'amore . E ci sono molte storie nel libro." - Assicura Begoña. Lo scrittore ha portato a termine un lavoro encomiabile di documentazione, abbeverandosi a fonti sia orali che scritte. "Le testimonianze orali del tempo sono, naturalmente, sempre più rare. I colloqui con Peter Artasánchez, fratello di uno dei protagonisti, sono state fondamentali,"
I disegni di Iñaket, si incentrano sulle emozioni e sulle espressioni dei personaggi. "Si trattava di vedere un epoca idealistica che lascia il posto ad un'altra più 'cenere', ma nella quale i suoi personaggi non si arrendono e lottano per una vita dove ci sia più libertà", dice l'illustratore.
"Vedere che stava prendendo forma, che cresceva, mentre andavamo avanti, che non sarebbe stata dimenticata in un cassetto. Imparare a raccontare una storia, completarla e vederlo finita, con la soddisfazione di aver imparato ... "

giovedì 16 giugno 2011

Irlanda e Spagna

jackwhite

Capitan Jack White, l'ideatore ed il fondatore, nel 1913, dell'Irish Citizens Army, la prima milizia operaia della storia, nata per proteggere i picchetti operai dagli assalti della polizia metropolitana di Dublino e dalle gang pagate dai padroni. Ha 57 anni, nel 1936, quando arriva in Spagna con una colonna di auto-ambulanze. Rimarrà affascinato dalla rivoluzione  spagnola e dalle collettività della CNT, arrivando, a battersi, in armi, contro gli stalinisti, nelle giornate del maggio 1937.

UN RIBELLE A BARCELLONA - Le prime impressioni spagnole -

Sono arrivato a Barcellona come amministratore della seconda unità della Croce Rossa inglese. Insieme a due infermieri, dovevo trovare un luogo adatto, da qualche parte sul fronte di Teruel, per impiantare un ospedale. Purtroppo l'unità è stata cancellata, eccetto per quattro ambulanze che ora sono in viaggio da qualche parte tra Parigi e Barcellona. Alcune di queste ambulanze andranno, credo, alla prima unità a Grañen. Finché non arrivano, in ogni caso,  non ho niente da amministrare e niente da fare, così un amico della CNT-FAI mi ha chiesto di scrivere le mie impressioni per la radio o per la stampa.

La mia prima e più profonda impressione che ho ricevuto, è stata quella della nobiltà naturale del popolo catalano. Ho avuto questa impressione fin da Port Bou, dove abbiamo dovuto passare sei ore in attesa del treno per Barcellona. Un sole splendente mi tentava a fare una nuotata nella baia. Dopo essermi spogliato, ho lasciato la mia giacca, con dentro circa 80 sterline inglesi in tasca, sugli scogli vicino ad una strada frequentata, con un senso di completa sicurezza. Mezz'ora in Catalogna, e qualche conversazione nel mio povero spagnolo, mi faceva già sentire che ero tra amici, che avevano apprezzato lo sforzo dei lavoratori e degli intellettuali inglesi venuti ad aiutare la loro causa. Non avrei mai rischiato una tale grossa somma di denaro, lasciandolo incustodito in un qualsiasi luogo per fare un bagno in Inghilterra. Qui ho sentito che era custodito dalla solidarietà rivoluzionaria della Catalogna e perfino della solidarietà internazionale della classe operaia, di cui ora la Catalogna è il baluardo.
Questa impressione di onore e di ordine rivoluzionario è stata confermata da tutto quello che ho visto, e vissuto, durante la settimana in cui sono stato a Barcellona. Una volta, dopo una mattinata passata a correre di qua e di là per compiere i passi necessari ad andare a Valencia - questo, prima della cancellazione dell'unità, quando dovevo andare al fronte per trovare un posto per il nostro ospedale, il più presto possibile - ho inavvertitamente pagato il tassista quattro pesetas più del dovuto. Me li ha restituiti, dicendomi "eso sobra". Questo è successo mentre stavo varcando la porta del Comitato Regionale della CNT-FAI, il quartier generale di quei terribili anarchici, dei cui misfatti si legge tanto oggi sulla stampa capitalista. Non intendo entrare in polemica, filosofica o politica, registro semplicemente le mie esperienze, senza paure o favoritismi. E 'un fatto, che le chiese di Barcellona sono state bruciate, e molte di esse, i cui tetti e i cui muri sono ancora in piedi, vengono usate come ambulatori o come spacci, anziché come fortezze, cosa che avevano fatto in precedenza i fascisti. Ho il sospetto che la loro funzione attuale sia più vicina ai fini di una religione basata dal suo fondatore sull'amore per Dio e per il prossimo. Comunque sia, la distruzione delle chiese non ha distrutto l'amore e l'onestà in Spagna. Se non ci si basa sull'amore di Dio, ci si basa sulla fratellanza, sull'altruismo ed il rispetto di sé, tutte cose che devono essere vissute, per poterci credere. Mai, finché non sono arrivato nella Barcellona della rivoluzione, avevo visto i camerieri, e perfino i lustrascarpe, rifiutare una mancia! Qui, il rifiuto di qualsiasi cosa che eccede il prezzo esatto di un servizio è invariabile, come la cortesia con cui viene svolto. Questa cortesia riesce a farti sentire, per la tua mancia, un borghese ottenebrato, incapace di cogliere il rispetto di sé dei lavoratori. Ho imparato la lezione fin dal primo giorno. Ed ora non li offendo più.

Avrete sentito parlare, senza alcun dubbio, della rivolta di Dublino del 1916. Quella rivolta è vista oggi come puramente nazionale, i cui obiettivi non sarebbero andati oltre l'indipendenza nazionale dell'Irlanda. E' stato convenientemente dimenticato che non solo c'era un programma sottoscritto dai leader "borghesi" che aveva uno spirito di estrema democrazia liberale, ma che anche, insieme ai leader borghese, c'era James Connolly, un socialista internazionalista, che alcuni considerano il più grande combattente ed organizzatore rivoluzionario del suo tempo. Al comando dell'Irish Citizen Army, che io avevo fondato, egli fece causa comune con i separatisti repubblicani contro il nemico imperiale. Si era nel mezzo di una grande guerra. La rivolta venne spietatamente soppressa dall'Inghilterra e sedici dei capi vennero giustiziati. Connolly stesso, nonostante fosse ancora gravemente ferito -  era nell'Ufficio Postale di Dublino quando venne colpito e raso al suolo da una cannoniera - fu legato ad una sedia e fucilato da un plotone di esecuzione.

Qui in Catalogna, l'unione della classe operaia e della nazione inizia sotto auspici migliori di quanto fossero possibili in Irlanda. In Catalogna la ricostruzione interna socialista va di pari passo con la lotta armata contro il fascismo spagnolo e internazionale. Siete più avanti di noi nel sindacalismo anarchico e nella costruzione socialista. Siete più avanti di noi nel trattare con la minaccia clerico-fascista. Spesso e ripetutamente in Irlanda, il movimento rivoluzionario repubblicano fa un po'di strada verso il socialismo, e subito corre indietro terrorizzato, quando la Chiesa cattolica romana smette il suo finto tuonare di condanna e di scomunica.
Io provengo da una famiglia protestante dell'Ulster. C'è un detto in Ulster (la provincia a nord-est dell'Irlanda) "Roma è un agnello nelle avversità, un serpente nella normalità ed un leone nella prosperità". Sono lieto che in Catalogna abbiate reso Roma un agnello. In Irlanda, Roma è ancora un leone, o meglio un lupo travestito da pecora. I sacerdoti infiammano la folla e poi fingono di deplorare la violenza di massa che hanno istigato. La scorsa Domenica di Pasqua, ho dovuto lottare per tre chilometri contro gli azionisti cattolici che ci hanno attaccato per le strade perché marciavamo per onorare la memoria dei morti repubblicani, caduti nella settimana di Pasqua del 1916.

In Irlanda, come in Spagna, sono stati i preti a dare inizio ai metodi di ferro e fuoco contro il popolo. Eppure, si lamentano amaramente quando le loro stesse armi vengono rivolte contro di loro.

Compagni della Catalogna! Nella vostra ora, quando tenete le barricate, non solo per voi stessi ma per tutti noi, vi saluto con la voce dell'Irlanda rivoluzionaria, un po' soffocata oggi, ma destinata a riconquistare la sua forza. Mi ritengo onorato di essere tra voi, per servire se posso essere utile in qualsiasi modo.

J. R. White

 

mercoledì 15 giugno 2011

Fortuna e Gloria

british

La morte di Sir Patrick Leigh Fermor, avvenuta pochi giorni fa, all'età di 96 anni, cala di fatto il sipario su tutto uno straordinario gruppo di guerrieri inglesi irregolari il cui contributo alla sconfitta di Hitler fu significativo in termini militari. Tutti questi uomini erano "scrittori di viaggio", a modo loro. Esploratori, archeologi, linguisti dilettanti, antropologi, al limite semplicemente avventurieri. Nel 1940, dopo il collasso delle forze armate convenzionali che aveva lasciato la maggior parte del continente europeo sotto il controllo nazista, e dopo che Winston Churchill aveva lanciato l'appello ad incendiare l'Europa per mezzo della guerriglia, questi uomini si misero all'opera.
Yomini brillanti e coraggiosi, "poco adatti alla mensa ufficiali", che tuttavia hanno delle competenze militari e che hanno, inoltre, una profonda conoscenza di molte "zone difficili", nei Balcani, nel Mediterraneo e in Medio Oriente.
Leigh Fermor ha vissuto in Grecia prima della guerra, ha preso parte alla rivoluzione del 1935, ed ha assistito all'invasione tedesca. Della Grecia, parla la lingua e ama la cultura, cosicché può essere infiltrato senza problemi nell'isola di Creta. Nel 1944, con l'aiuto di alcune forze speciali britanniche ed una squadra di partigiani cretesi, riesce a rapire il comandante dell'occupazione tedesca, il generale Heinrich Kreipe, e ad imbarcarlo, dopo una lunga marcia forzata, su un motoscafo che lo porta verso l'Egitto e la prigionia. L'umiliazione delle autorità tedesche non poteva essere più completa. Forse risentito per questi motivi, catturato, Kreipe aveva assunto un atteggiamento odioso ed auto-commiserevole. Fino a quando arrivarono sulla cresta del monte Ida e improvvisamente esplose un'alba brillante. Annota Leigh Fermor nelle sue memorie:
"Fumavamo in silenzio, quando il generale, quasi tra sé, disse lentamente: Vides et ulta stet nive candidum Soracte ("Vedi come il Monte Soratte spicca bianco di neve profonda). Era l'apertura di una delle poche odi di Orazio che conoscevo a memoria. Ho continuato a recitare dove lui si era interrotto. ... Gli occhi blu del generale si volsero, lontano dalla montagna, verso di me, e quando ebbi finito, dopo un lungo silenzio, disse: "Ach so, Herr Major!" Fu molto strano. "Ja, Herr General". Come se per un attimo la guerra avesse cessato di esistere. Ci eravamo abbeverati entrambi alla stessa fonte, tempo prima, e le cose furono diverse tra di noi, per il resto del nostro tempo insieme."
Ovviamente, questo non portò ad alcuna "riconciliazione", e molti dei commilitoni di Kreipe furono giustiziati, alla fine della guerra, per le atrocità commesse contro i civili cretesi. Uno dei "colleghi" di Leigh Fermor, un altro distinto classicista di nome Montague Woodhouse, una volta raccontò che gli abitanti dei villaggi greci lo incitavano a colpire più duramente possibile i nazisti, proprio in modo da rendere convenienti le inevitabili rappresaglie. Ma la brutalità del combattimento non nega il momento sul monte Ida, dove l'idea della cultura segna un breve trionfo sulla barbarie. (Woodhouse, dopo la guerra, divenne un politico conservatore, sostenitore della Guerra Fredda, ma mentre combatteva Hitler era molto felice di lavorare con i comunisti e con i combattenti nazionalisti, ed ha scritto nelle sue memorie che "l'unica guerra sopportabile è una guerra di liberazione nazionale".)
Questa "Lega di Gentiluomini" comprendeva un cast di personaggi da letteratura classica!
Bernard Knox, che era andato con il poeta John Cornford a combattere per la Repubblica spagnola, venne successivamente paracadutato in Francia e in Italia per organizzare la resistenza ed il sabotaggio contro la Repubblica di Vichy e Mussolini e poi, dopo la guerra, istituì ad Harvard il Centro per gli Studi Ellenici. Nicholas Hammond, che aveva percorso con il fucile in mano le montagne dell'Epiro e della Macedonia, in seguito, grazie ai suoi studi del terreno, riuscì a suggerire, a coloro che cercavano il tesoro della tomba di Filippo il Macedone, di prendere in considerazione lo scavo di Vergina (ed aveva ragione). Alcuni di quella fratellanza erano molto a sinistra: Basil Davidson contribuì ad organizzare i partigiani rossi di Tito, in Bosnia, e dopo la guerra andò a lavorare con i ribelli africani che combattevano contro l'impero fascista del Portogallo.
Frank Thompson, fratello dello storico marxista Edward Thompson, fu ufficiale di collegamento per la resistenza in Bulgaria prima di essere tradito e giustiziato.
Altri sono stati più ambivalenti: Sir Fitzroy Maclean era un aristocratico conservatore, ma contribuì a convincere Churchill che le forze di Tito in Jugoslavia erano combattenti migliori dei monarchici, quando si trattava di uccidere i nazisti. Sul lato più tradizionale della temerarietà, Billy McLean e Julian Amery vennero fuori dalla guerriglia di resistenza in Albania con un odio profondo per il comunismo, ed in seguito parteciparono a vari tentativi donchisciotteschi di violare la cortina di ferro. Il Colonnello David Smiley dopo aver partecipato ad azioni irregolari su quasi tutti i teatri bellici del mondo, negli anni 1960 e 1970 fu l'organizzatore dell'esercito dell'Oman.

Ora la tromba ha suonato per l'ultimo, e forse il più byroniano, di questa generazione, Leigh Fermor (era stato perfettamente interpretato da Dirk Bogarde nel film "L'agguato" o "Colpo di mano a Creta" - I'll Met by Moonlight - diretto da Michael Powell e Emeric Pressburger nel 1957, che raccontava l'operazione Kreipe).
Nel mezzo di una guerra che è stata totale, Patrick Leigh Fermor ha combattuto una lotta pulita ed ha tenuto fede alla parola data a coloro la cui causa egli aveva adottato.

martedì 14 giugno 2011

il socialismo di Godard

Godard non dà risposte, pone semplicemente delle domande. Senza alcuna logica apparente. I colori sono spesso striati, il suono sovente si rompe, a voler riflettere un universo caotico, quel tanto. Ci sono gatti, c'è un lama, c'è un asino .. ed Alain Badiou, il filosofo, che parla in un anfiteatro vuoto. Un bel po' di mare, di azzurro, di schiuma bianca ..Ad un certo momento qualcuno annuncia: "Amici miei, ho trovato la scatola nera". Ecco, forse questo film di Godard vorrebbe essere la scatola nera della nostra epoca: vorrebbe raccontare la distruzione delle cose.
Ma i colori striati, il suono che si rompe, fanno tornare in mente il cinema lettrista. E Godard, come al solito, prende quel che può da quegli anni '50 che tanto ha odiato, e odia. Ce l'ha con Isidore Isou e con il suo "Traité de bave et d'éternité" che, nei primi anni '50, doveva annunciare la fine del cinema e l'inizio di una nuova critica del capitalismo. Godard era a Cannes, quando quel film venne proiettato per la prima volta. Non gli piacque. Allora, il film di Isou riuscì ad ottenere qualche premio, grazie a Cocteau. A Canners era presente anche Eric Rohmer, alla proiezione del "Trattato", solo che si chiamava ancora Jean Marie Maurice Schérer. Fu durante quell'evenienza che Guy Debord incontrò Isou ed i lettristi.
Insomma, Godard ha fatto un altro film ed ha così finito di costruire la bara. Ma non è lui l'impresario delle pompe funebri: lui è ... il cadavere! Ben coadiuvato dalla piccola parte giocata dall'unico e solo Alain Badiou. Ancora appassionato maoista nel 2011, Badiou c'è e si masturba tutto da solo, come fa sempre. Mentre Godard non ha alcuna intenzione di uscire dalla palude dove continua infelicemente a trovarsi.

Socialisme
di  Jean-Luc Godard
Francia-Svizzera 2010

lunedì 13 giugno 2011

Rosa di fuoco

rosa

Clara Zetkin, socialista e femminista oltre ad essere la più cara amica di Rosa Luxemburg, ritornò in Germania, dopo una visita a Mosca, con chiare istruzioni impartitele da Lenin. Doveva curare la pubblicazione di tutte le opere della Luxemburg. Dal momento che, a prescindere dai suoi "errori" - affermava Lenin - era un'aquila della rivoluzione. Tuttavia, secondo Lenin, un manoscritto doveva essere letteralmente bruciato: "La Rivoluzione Russa", il saggio che la Luxemburg aveva scritto nel 1918 quando si trovava nella cella di una prigione (lei aveva sempre accolto le sentenze che la imprigionavano come un'opportunità per meglio riflettere, ed alcune delle sue lettere più eloquenti sono state scritte dalla prigione). Il saggio sarebbe stato pubblicato nel 1922 da Paul Levi, il suo avvocato e, secondo alcuni, anche il suo amante, per qualche tempo. Egli scelse con cura il momento più adatto, dopo la rivolta di Kronstadt, una delle prime contro il regime bolscevico.
Rosa Luxemburg aveva già ammonito Lenin a proposito del fatto che le rivoluzioni non permettono a nessuno di giocare con esse al maestro di scuola. L'anno prima lo aveva accusato di stare subordinando la Russia "allo spirito servile di uno Stato poliziesco". Così, affermava ne "La Rivoluzione Russa" che nessuno meglio di Lenin sapeva che "il socialismo richiede un completa trasformazione spirituale nelle masse", ma - continuava con disinvolta spregiudicatezza - Lenin "sbagliava completamente nella scelta dei mezzi che per lui dovevano essere: i decreti, la forza dittatoriale del sorvegliante di fabbrica, pene draconiane, il governo del terrore."

venerdì 10 giugno 2011

metafora

hellblazer

Bisogna continuare ad andare avanti, da soli, nel bosco, fino a raggiungere il luogo più buio di tutti; e lì mettersi a sedere. E una volta seduti, lasciare che il tempo si sospenda. A quel punto tutti i fantasmi immaginari cominceranno a mostrarsi. Dapprima li confonderai con gli impercettibili rumori del sottobosco, li scambierai per ombre prive di forma che si sottraggono alla vista. Può succedere qualsiasi cosa! Forse troverai la luce, o magari, più prosaicamente, finirai per mettere il piede dentro una pozzanghera, e imprecherai. Più facilmente ti sentirai stanco, e resterai seduto. Molto più a lungo di quanto avresti mai voluto preventivare. E qualcuno di quei fantasmi immaginari si metterà seduto accanto a te. Sarà gentile; te ne chiederà perfino il permesso, prima di cominciare a parlare, piano. E forse queste sono tutte solo fantasie che non portano da nessuna parte. Ma una cosa è certa! Se trovi il coraggio per tornare indietro dal posto più buio di tutti...potresti anche lasciarti le tue paure alle spalle.

giovedì 9 giugno 2011

uomini e donne di tribunale

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Come suol dirsi ... la seduta è tolta.
Cesare Battisti torna libero, finalmente. Libero di vivere, di camminare, di tornare a scrivere i suoi libri o, se preferisce, di stare su una spiaggia a prendere il sole. Smette di essere ostaggio, del suo passato e del rancore dei "parenti delle vittime". Smette di essere un simbolo, e degli anni settanta da scarcerare, e della sete di vendetta di chi in quegli anni ebbe paura, poca o tanta non importa. Torna al silenzio, il suo e quello di chi ha sostenuto la sua innocenza, così come torna al silenzio di tutti i suoi detrattori. Tacciono le accuse di ... ubiquità, così come tacciono le scuse non richieste, le dichiarazioni stampa, qualche volta oltre il limite. Niente, si spegne l'eco. Nessuno dichiarerà guerra al Brasile, nessun corpo speciale andrà a "riprenderselo", non ci sarà nessun embargo. Né di acqua minerale né di pietra pomice. Con buona pace del fronte variopinto che va da Borghezio a Vendola e oltre. Torneranno ad occuparsi di altri processi, di votazioni, di referendum, di sedute in parlamento. Nuove alleanze e nuove rotture, le solite. Dichiarazioni. I padroni continueranno a fare la lotta di classe mentre i sindacati continueranno a lamentare le ingiustizie subite e i referendum-ricatto, che peraltro continueranno a votare e a far votare, invece di buttare all'aria seggi e urne. La produzione continuerà a non essere sabotata. Del resto siamo tutti un grande paese che sta festeggiando i suoi 150 anni di storia comune e di stragi, più o meno comuni. Lontano da tutto questo, Cesare Battisti resterà in Brasile. Presto verrà dimenticato. Così, potrà anche tornare a scrivere, chissà! Attendo nuove.

mercoledì 8 giugno 2011

Fuga per la Vittoria

GrafSpee

Quella riprodotta nella foto, è la "Graf Spee", una corazzata che faceva parte della Marina da Guerra tedesca, sotto Hitler. Negli anni compresi fra il 1936 e il 1938 effettuava servizio di controllo marino internazionale lungo le coste della Spagna, ai tempi della Guerra Civile. Nel Giugno del 1939, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, ebbe assegnata una nuova missione: doveva distruggere le navi che assicuravano l'approvvigionamento alle forze alleate. Per questo, fra settembre e dicembre, aveva già affondato nove navi inglesi. Arrivò nel porto di Montevideo il 14 dicembre e ne salpò il 17, non prima di aver sbarcato mille mebri dell'equipaggio . Ad aspettarla, c'era la flotta britannica. Il capitano Langsdorff, che comandava la nave, decise di colarsi a picco insieme alla corazzata.
E' il 29 marzo del 1940, quando, alla stazione di Santa Fe, Argentina, da un treno scende un paio di centinaia di tedeschi. Fra loro c'è Heinrich Theelen, marinaio ed un passato di calciatore nella divisione minore del Borussia Mönchengladbach. Non perde tempo, e subito va a tentare la fortuna, proponendosi come giocatore negli uffici dell'Union Santa Fe. Si fa chiamare Enrique, "spagnolizzando" il proprio nome. Debutta il 31 marzo in un'amichevole con il River Plate. 
Il giornalista Nicolàs Lovaisa che ha ricostrutito tutta la storia, rileva che Theelen si è trovato ad affrontare, nella sua carriera, tre dei migliori giocatori della storia del calcio argentino: Carlos Peucelle, el Charro Moreno ed il Maestro Pedernera. Gerhard Lange, capo telegrafista del Graf Spee che vive ancora a Santa Fe, racconta che Theelen diceva di avere problemi a comunicare con i compagni in campo.
Il figlio di Theelen, che ancora vive in città, racconta: "Mio padre, dopo aver sposato mia madre, nel 1945, alla fine della guerra, volle tornare in Germania, a cercare la sua famiglia. Se ne andò alla fine di quell'anno, mia madre era incinta. Tornò e giocò ancora nella "Unión Progresista" della "Liga Esperancina". Finita la carriera, fece il riparatore. E' morto a Colonia, in Germania, nel 1973."

Fonte:  Clarin

martedì 7 giugno 2011

La Partita

bogdanov

Una partita a scacchi, sotto il sole di Capri. Gorkij osserva, attento, le mosse dei due contendenti che si fronteggiano: Bogdanov e Lenin. Curiosamente i nomi dei tre russi, sono tre pseudonimi, ma non è questo che importa. Il luogo è la casa di Gorkij, a Capri, che per sette anni, dopo la fallita rivoluzione del 1905, ospiterà uno dei più attivi circoli rivoluzionari in esilio. "La Scuola di Capri", la prima Università rivoluzionaria della storia, verrà aperta qui, nel 1909. e Vi arriveranno contadini ed operai, dalla lontana Russia, le spese di viaggio pagate, il soggiorno gratuito. Di questa scuola, Aleksandr Malinovskij (Bogdanov) è il principale animatore. Il suo conflitto con Vladimir Ilyich Ulyanov (Lenin) non si limita agli scacchi! Nel 1907, appoggiato dalla maggioranza del partito bolscevico, ha sostenuto una strategia che prevede la rinuncia alla lotta parlamentare, in favore della creazione di una struttura clandestina. Di fatto, è il capo del partito bolscevico, mentre siede, faccia a faccia, di fronte al suo avversario. E' arrivato da Parigi, Lenin, dove la sua scuola, di Parigi, oppone alla visione del suo avversario, di una rivoluzione guidata dal basso, quella di una rivoluzione guidata da Lenin. Per questo, qualche anno dopo la partita di scacchi, nel 1911, farà sì che Bogdanov venga espulso dal Comitato Centrale, arrivando ad accordarsi con i menscevichi, pur di raggiungere il suo scopo. Finché ha potuto, Aleksej Maksimovic Peskov (Gorkij) ha continuato a fare di tutto, nel tentativo, vano, di riavvicinare i due leader, per il bene comune. Non ci riuscirà.
E Bogdanov vincerà inutilmente l'unica partita a scacchi giocata contro Lenin.

Lenin_-_Bogdanov_-_Gorkij

lunedì 6 giugno 2011

Brazil

uruguay-nazi

 

Era trascorso poco più di un mese dall'attacco giapponese a Pearl Harbour, quando il presidente degli Stati Uniti, Franklin Roosvelt, convocò una riunione, a Rio de Janeiro, di tutti governi del continente americano, al fine di mettere a punto la rottura unilaterale delle relazioni con l'Asse Roma-Berlino-Tokio. Questo, dal momento che Uruguay, Argentina, Brasile e Cile non l'avevano ancora fatto, ed i nordamericani erano preoccupati a causa delle velleità filo-naziste del presidente brasiliano, Getulio Vargas.
Tanto che il suo ministro della guerra, Eurico Gaspar Dutra, aveva festeggiato la caduta di Parigi e il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, il generale Goes Monteiro, avrebbe trascorso i suoi ultimi anni con la certezza della vittoria nazista e con la Gran Croce dell'Aquila tedesca appuntata sull'uniforme.
Gli Stati Uniti non riuscivano a dormire tranquilli per tre motivi: la possibilità di un attacco tedesco sulla costa brasiliana, un colpo di stato filo-nazista in Argentina e un'insurrezione delle comunità tedesca ed italiana nel sud del Brasile. Di fronte a questa ipotetica catena di eventi fatali, il governo degli Stati Uniti aveva messo a punto il piano "Pentola dell'Oro", che prevedeva l'occupazione di tutta la costa brasiliana, da Belem a Rio de Janeiro, per mano di un contingente di non meno di 100.000 marines. Il piano venne sospeso, ma ne vennero messi a punto altri, nei quali si pensava di occupare le basi aeree di Belem, Natal, Recife e Salvador, riducendo ad una cifra che variava da 15.000 a 65.000, il numero dei marines coinvolti in queste azioni.
Alla fine, tutti questi piani non vennero attuati, a causa dell'attacco giapponese, e 150 Marines vennero dislocati presso le basi di Belem, Natal e Recife. E, per mezzo di un'offerta di una grossa partita di armi, i brasiliani accettarono, a malincuore, di rompere le relazioni con l'Asse. E così si salvarono ...

venerdì 3 giugno 2011

I denti di Brecht

berlino

Si dice che Aristotele fosse convinto del fatto che le donne avessero un numero di denti inferiore a quello degli uomini. Curiosamente, però, nonostante fosse stato sposato per ben due volte, mai che gli fosse venuto in mente di controllare in bocca ad una, o ad entrambe, delle sue mogli! Succede, e succede più spesso di quanto venga da pensarlo. Ad esempio, succede che si sostenga, senza aver mai guardato "in bocca" a chi di dovere, lo stalinismo, vero o presunto, di chi è, o è stato comunista. Stalinista, ovviamente, è diventato in modo retroattivo anche Marx. Per non parlare di Lenin, sul quale, mi pare, una volta, Barbara Spinelli, su "La Stampa", ebbe a scrivere che avesse, addirittura, concepito i campi di concentramento, al fine di segregarvi i reduci ... della Guerra Civile Spagnola!!!
Ragion per cui, non stupisce più di tanto sentire rivolgere la stessa accusa ad un Brecht. Probabilmente, la cosa sta scritta in qualche libro nero del comunismo. E poi, che diamine, ha ricevuto - mentre era in vita - il "premio Stalin", senza parlare del fatto che ha preferito trasferirsi a vivere nella Repubblica Democratica Tedesca, lasciando gli Stati Uniti d'America e Hollywood. Poco importa, se fa dire al signor Keuner, in una delle sue storie, che "tra un salotto elegante e una cucina, aveva scelto di stare in cucina, per mettere le mani in pasta insieme con le cuoche". Ed è in quella cucina che si trova Brecht, il 17 giugno del 1953, quando scoppia l'insurrezione operaia, a Berlino, nella Stalinallee. Riunisce la Berliner Ensemble, a casa sua, Brecht. Approvano lo sciopero, e alla domanda "che fare?" risponde: "Bisogna armare gli operai!" Sono in strada, dove si sentono anche slogan come "morte ai comunisti!". Forse sono provocatori, infiltrati provenienti da Berlino Ovest. Certo, c'è, ci può essere un pericolo fascista. Brecht discute con gli operai, li incoraggia a continuare, li mette in guardia. Sciopero! Prova a mediare con il governo. Scrive a Walter Ulbricht, dirigente comunista, ma della sua lettera verrà resa nota sola la chiusura, la solidarietà al partito. Scriverà e renderà pubblica, giorni dopo, a sugello, suggerendo al governo

La Soluzione (di B. Brecht)

Dopo la rivolta del 17 giugno
il segretario dell’Unione degli scrittori
fece distribuire nello Stalinallee dei volantini
sui quali si poteva leggere che il popolo
si era giocata la fiducia del governo
e la poteva riconquistare soltanto
raddoppiando il lavoro. Non sarebbe
più semplice allora che il governo
sciogliesse il popolo e
ne eleggesse un altro?

giovedì 2 giugno 2011

Fascisti!

dn2

Quello che segue, è un pezzo scritto da George Orwell, il 24 marzo del 1944 sulla rubrica settimanale che teneva sul Daily Tribune, e parla di fascismo. Credo possa ancora servire, e parecchio, a chi - come me - conserva la parola "fascista" nel proprio arsenale di insulti.

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Di tutte le domande senza risposta del nostro tempo, forse la più importante rimane questa: "Che cos'è il fascismo?".
Un'organizzazione di studi sociali che si trova negli Stati Uniti ha recentemente fatto questa domanda ad un centinaio di persone diverse, ed ha avuto risposte che vanno da "democrazia allo stato puro" fino a "diabolico allo stato puro". In Inghilterra, se chiedete ad una persona comune, con capacità di pensare, di definire il fascismo, di solito risponde indicando il regime tedesco e quello italiano. E questa è una risposta insoddisfacente, dal momento che i principali stati fascisti sono molto diversi sia per struttura che per ideologia.
Per esempio, se non è facile che Germania e Giappone facciano parte dello stesso quadro, è ancora più difficile per alcuni degli stati di piccole dimensioni che possono essere definiti come fascisti. Si dà per scontato, di solito, in effetti, che il fascismo sia intrinsecamente bellico, che prosperi in un clima di isteria di guerra e che non possa che risolvere i propri problemi economici con i preparativi per la guerra o attraverso la conquista di altri paesi. Ma questo non è il caso, ovviamente, né del Portogallo né delle diverse dittature sudamericane. Si presume inoltre che l'antisemitismo sia uno dei tratti distintivi del fascismo, però si dà il caso che alcuni movimenti fascisti non siano antisemiti. Le polemiche erudite, la cui eco ancora investe, da anni, le riviste nordamericane, non sono riuscite a precisare se il fascismo sia o non sia una forma del capitalismo. Senza dubbio, quando si applica il termine "fascismo" alla Germania, al Giappone, all'Italia di Mussolini, sappiamo, a grandi linee, a cosa ci riferiamo. E' nella politica interna che la parola ha perso l'ultimo residuo di significato che poteva avere. Se si esamina la stampa, si scopre che non esiste praticamente nessuna associazione di cittadini - né partito politico, naturalmente, né alcuna organizzazione, di qualsiasi classe  - che non sia stata accusata di fascismo negli ultimi dieci anni.
Qui non mi riferisco all'uso verbale del termine "fascista". Mi riferisco solo a quello che ho visto pubblicato. Ho letto le parole "di simpatie fasciste", oppure "di tendenza fascista", o solamente "fascista" rivolta con  serietà ai seguenti gruppi:

Conservatori: tutti i conservatori sono soggetti all'accusa di essere soggettivamente filo-fascisti. Il governo britannico in India e nelle colonie viene considerato qualcosa di identico al nazismo. Organizzazioni che potrebbero essere definite di tipo patriottico o tradizionale, vengono bollate come cripto-fasciste o "di mentalità fascistoide".
Ad esempio: i Boy Scout, la polizia metropolitana, l'MI5, La Legione Britannica. Frase-chiave: "Le scuole private sono un terreno di coltura per il fascismo."

Socialisti: i difensori del capitalismo classico affermano che il socialismo e il fascismo sono la stessa cosa. Alcuni giornalisti cattolici sostengono che i socialisti sono stati i principali collaborazionisti nei paesi occupati dai nazisti. La stessa accusa viene rivolta, da un'altra angolatura, ad una parte del partito comunista, soprattutto durante le sue fasi di ultra-sinistra. Tra il 1930 e il 1935, il Daily Worker regolarmente si rivolgeva al Partito Laburista definendolo Fascista Laburista. Alcuni nazionalisti indiani credono che i sindacati britannici siano organizzazioni fasciste.

Comunisti: Una scuola di pensiero considerevole rifiuta di riconoscere che vi sia qualche differenza tra il regimi nazista e quello sovietico, e sostiene che tutti i fascisti e tutti i comunisti hanno lo stesso obiettivo, e che sono anche, in certa misura, le stesse persone . Sul Times (prima della guerra), più di un leader si è riferito all'URSS come ad un "paese fascista". Inoltre, da un altro punto di vista, la cosa è condivisa da anarchici e trotzkisti.

Trotzkisti: i comunisti incolpano i trotskisti, cioè l'organizzazione di Trotsky, di essere un gruppo di cripto-fascisti pagati dai nazisti. Cosa in cui la sinistra, quasi in blocco, credeva ciecamente ai tempi del Fronte Popolare. Nei momenti storici di ultra-destra, i comunisti tendono ad applicare tale accusa a tutte le fazioni che si pongono alla loro sinistra.

Cattolici: fuori dai propri ranghi, la Chiesa cattolica viene universalmente considerata come un'organizzazione proto-fascista, sia oggettivamente che soggettivamente.

Pacifisti: i pacifisti e gli altri gruppi contrari alla guerra sono spesso accusati di rendere all'Asse, le cose molto più facili, e vengono loro attribuiti anche sentimenti pro-fascisti.

I sostenitori della guerra: quelli che si oppongono alla guerra spesso basano le loro argomentazioni sul fatto che le aspirazioni dell'imperialismo britannico sono anche peggiori del nazismo, e tendono a tacciare di "fascista" tutti coloro che auspicano una vittoria militare. Inoltre, tutta la sinistra tende a identificare il militarismo con il fascismo. I soldati con una certa consapevolezza politica, quasi sempre si riferiscono ai loro superiori bollandoli come "fascisti" o "fascisti per natura". Accademie, uniformi, gagliardetti, il saluto gli ufficiali, sono considerati comportamenti che propendono al fascismo. Prima della guerra, arruolarsi era considerata come prova di tendenze fasciste. Il reclutamento obbligatorio e l'esercito professionale vengono denunciati come fenomeni parafascisti.

Nazionalisti: il nazionalismo è considerato universalmente come intrinsecamente fascista, ma questo vale solo per i movimenti nazionali che l'oratore disapprova. I nazionalismi arabi, polacchi, finlandesi, il Partito del Congresso dell'India, la Lega musulmana, il sionismo e l'IRA sono stati descritti come movimenti fascisti.

Come si diceva, si è visto che la parola "fascismo" è quasi priva di significato. Nella conversazione, naturalmente, viene utilizzata in modo più erroneo che sulla stampa. L'ho sentita applica ai contadini, ai commercianti, al credito sociale, alle punizioni corporali, a proposito della caccia alla volpe, della corrida, al Comitato del 1922, al Comitato del 1941, a Kipling, a Gandhi, a Chiang Kai- shek, all'omosessualità, ai programmi radiofonici di Priestley, agli Ostelli della gioventù, all'astrologia, alle donne, ai cani e non so a che altro.
Trovo significativo, in tutto questo casino, che ci sia dietro una sorta di significato nascosto. E' chiaro che ci sono grandi differenze, alcuni molto facili da individuare, ma non altrettanto da spiegare, tra i regimi chiamati fascisti e quelli cosiddetti democratici. In secondo luogo, se "fascista" significa "in sintonia con Hitler", alcune delle accuse che ho elencato sopra sono, ovviamente, molto più giustificate di altre. In terzo luogo, anche quelli che utilizzano la parola "fascista" senza alcuna esitazione, come arma, danno alla parola un senso emozionale. Nel dire "fascismo" si riferiscono, grosso modo, a qualcosa di crudele, senza scrupoli, arrogante, oscurantista, illiberale e opposto alla classe operaia.
Fatto sta che il fascismo è anche un sistema politico ed economico. Allora, come mai non disponiamo di una definizione chiara e largamente accettata? Purtroppo, non l'abbiamo, o almeno non l'abbiamo ancora. Chiarire il motivo per cui è così, sarebbe troppo lungo, ed in sostanza è impossibile definire in modo soddisfacente il fascismo, senza riconoscere cose che nemmeno i fascisti, né i conservatori, né i socialisti di tutte le scuole sono disposti a riconoscere. Tutto ciò che si può fare rimane di usare la parola con una certa prudenza e non, come al solito, al basso livello di una parolaccia.

- George Orwell -

 

mercoledì 1 giugno 2011

La Formula del Terrore

terror-medido

Un gruppo di esperti del King’s College di Londra ha realizzato uno studio sui film del terrore e sugli elementi che questi devono avere per rendere al meglio, ed hanno concluso che il grado di terrore di un film è dato dal prodotto dell'equazione che si vede sopra, nella quale:
 
T= Grado di Terrore
sm= Sensazione di Mistero
sa= Sensazione di essere in Trappola
er= Elementi Reali
sp= Solitudine del Protagonista
h= Scenografía
sv= Sangue e Interiora
es= Effetti Sonori
ep= Scene di Persecuzione
s= Soprassalti
ef= Elementi Fantastici
o= Oscurità
n= Numero di Personaggi
et= Stereotipi

Secondo tale formula, "Shining" di Kubrik è il film che ha ottenuto il miglior punteggio, insieme a "Psycho" di Hitchcock e a "Lo Squalo" di Spielberg. Se si guarda alla formula, noi vediamo, per esempio, che il numero di personaggi (più personaggi ci sono, meno paura si crea) e gli stereotipi (se lo abbiamo già visto prima, non ci spaventa) sottraggono punti. Così come, riferendosi a "Shining", si nota come mescola più elementi (persecuzione, isolamento, elementi fantastici uniti al reale, oscurità, sangue), e lo fa distribuendo bene il tutto.

- Tratto da http://quedramaslosmios.blogspot.com -