martedì 30 giugno 2009

Onore e Gloria



"Ippoloco balzò via, ed egli (Agammenone) abbatté anche lui tagliandogli le mani con la spada e, troncandogli il collo, lo mandò a rotolare come un tronco rotondo attraverso la mischia"
- Iliade XI 145-7 -

Mentre la battaglia infuria, soltanto il poeta può osservare l'impresa di Agamannone che trasforma Ippoloco in un tronco rotolante. Gli altri eroi sono troppo occupati a cercare la gloria per sé stessi. Ma un trofeo è una testimonianza durevole, di cui fare mostra in tutte le occasioni appropriate. Tra popoli più primitivi, a questo scopo onorifico, serve la testa della vittima. Nella Grecia di Omero l'armatura ha sostituito la testa. Per questo, di tanto in tanto, gli eroi smettono di combattere, anche con grande pericolo personale, per spogliare dell'armatura un nemico ucciso. Per le sorti della battaglia quest'uso era peggio che assurdo, poteva mettere in pericolo tutta la spedizione. Ma noi commettiamo un errore di giudizio se vediamo lo scopo nell'esito della battaglia, perché una vittoria senza onore era inaccettabile. Non ci poteva essere onore senza pubblica proclamazione, e non ci poteva essere pubblicità senza la testimonianza di un trofeo!

lunedì 29 giugno 2009

Entropia ed Utopia



Non so bene perché, ma ad un certo punto succede. Forse è davvero un problema di ... entropia, ma mai e poi mai avrei creduto che, una sera, andando ad un concerto, mi potesse sorgere la domanda a proposito del solito "ma che cazzo ci faccio, io, qui?", mentre mi chiedevo perché mai non fossi rimasto a casa a guardarmi un buon film!
Eppure, eppure ... L'inizio era stato come al solito, il piacere di rivedere le facce amiche era lo stesso di sempre. Le facce amiche. Già, magari il problema sta proprio lì, in questa specie di alchimia, per cui tutto era nato da una sorta di rapporto di amicizia complice, ma poi. Poi le cose cambiano, per forza di cose. Entropia, appunto. Forse tutte cose anche dette, seppure, a quanto pare, non abbastanza. Ma pare che gli amici, ai piedi del palco, alla fine sono diventati ... spettatori, in qualche modo. E, con gli spettatori, si va poco lontano. Ché agli spettatori, paganti o meno, bisogna dare qualcosa di diverso di quello che si dà agli amici. Qualcosa in meno e qualcosa in più. Leggi e regole di mercato. E se poi non si dà né l'uno né l'altro, ecco che qualcosa comincia a franare. Forse manca l'anima, forse manca la complicità: che agli spettatori non viene più richiesta. E allora diventa un rapporto stanco, in cui uno sta sul palco e l'altro ascolta. E c'è poco da salvare la musica, quando è così. E forse è meglio, addirittura, se la musica è ferita, che crepi! Come in un rapporto oramai finito e tenuto insieme coi lacci e con lo sputo. Magari ricordandoci di quando sia stato bello, il rapporto, e pensando agli amici, parenti e figli, che ci riempivano la casa, e che non ci sono più. E sul perché, sembrano quasi cose di cui non si vuole e non si deve parlare. Pecore nere che forse hanno fatto uno sgarro a qualcuno. Forse bisognerebbe avrere la voglia e la forza di ricostruire qualcosa, parlando con franchezza e guardandosi negli occhi, far capire a tutti i meccanismi (ché non sono solo affare degli addetti ai lavori), e parlare e coinvolgersi. Oppure gli è solo che "tutte le cose hanno la mestizia della fine", e non siamo più ... tutti musicisti, come amava dire qualcuno che - suo malgrado - non c'è più. Come l'utopia, che qualcuno ha perseguito, di un modo diverso di fare musica, anche insieme a chi non l'ha fatta mai ...

domenica 28 giugno 2009

Amici



La foto, come si può vedere, risale a più o meno venticinque anni fa. Era la fine d'agosto del 1984, un fase di mezzo della mia vita. Un periodo si era chiuso, e quello successivo tardava ad aprirsi. Non sapevo bene cosa fare - mi pare di ricordare - e così ebbi una buona idea, e per la prima volta in vita mia decisi di andarmene in Grecia. Insieme a Salvatore, prendemmo un treno per Brindisi dalla stazione di Santa Maria Novella, mentre fuori non sembrava affatto agosto: una sera da lupi!
Una notte in treno, e poi una nave, la prima, per Patrasso. Volevamo andare su un'isola, non avevamo affatto deciso quale. La nave era strapiena, come la stazione di Patrasso, come il trenino a scartamento ridotto che di lì a qualche ora prendemmo, diretti al Pireo. Al porto di Atene ci saremmo arrivati solo alle due del giorno (o della notte) successivo, con molte ore di sonno in meno e quattro amici in più. Quattro romani, due coppie di cui solo di due ricordo ancora nome e cognome, diretti a Santorini che da allora in poi ci sarebbero stati compagni di viaggio e di vacanza. Una vacanza un po' strampalata ma felice, cominciata alla grande, dividendoci un paio di polli allo spiedo, prima, e poi un biglietto per la prima nave che sarebbe partita all'alba. Il tipo che ci vendette i biglietti, parlando un italiano perfetto, si preoccupò anche di scrivere un biglietto, per i marinai della nave, che ci avrebbe permesso di salire subito a bordo. Magari per riposare un po', prima della partenza, pensammo noi. Ma la speranza di chiudere occhio venne subito vanificata dall'arrivo di un paio di quei marinai che portavano con sé una cassa di birra e una bottiglia di ouzo. Portavano doni ... danaos atque dona ferentes ...Ecco la foto, parla di quella notte, di barzellette scambiate in lingue improbabili, di sorrisi e di brindisi.

venerdì 26 giugno 2009

Epigrafe contro il giorno



"It's always night, or we wouldn't need light." - Thelonious Monk

"E' sempre notte, o non avremmo bisogno di luce". L'epigrafe, in calce al nuovo libro di Pynchon.
Il Jazz e, in particolare, il bebop sono un interesse che attraversa tutta la vita di Pynchon. Appare in varie forme in tutte le sue opere, e viene fuori in vari frammenti biografici .
Come studente di college, Pynchon , per sua stessa ammisione, "ha passato un sacco di tempo nei jazz club, seguendo la terapia di almeno due birre".
In gioventù, Pynchon, a quanto si dice, si riferiva a Monk come ad un dio!
E forse, la frase - che sembra essere una frase attribuita a Monk, e non qualcosa che lui abbia detto - parla di un'America alla luce del giorno, e della sua (dell'America) ferma negazione della notte.

mercoledì 24 giugno 2009

Impossibile!



GIOVANNI SALERNO
Un epitaffio anche per lui, il farnetico savio che parlava solo in versi, ora d'invettiva cortese ("Tu si crastu - e ccu tia nun ci cuntrastu", "Tu sei becco e non litigo con te"), ora d'amore, di straziato ineffabile amore ("Ahi, ahi, l'orologino al polso - che io ti ho regalato con amore convolso!"). Consumando pennini e quaderni senza numero, accanto all'amica lucerna, nella sua cella di solitario, mise in distici rimati l'universo. Fu triste tutta una sera quando uno studente cattivo lo sfidò a trovare un'impossibile rima con "fegato".
Qualche anno più tardi una cirrosi epatica tornò a proporgli l'enimma.

Gesualdo Bufalino - da "Museo d'Ombre" -

martedì 23 giugno 2009

Oh My God, Charlie Darwin!




C.R.D. (1809 - 1882)

L'uomo che non volle mai.
La terra sotto ai piedi gli dava il mal di mare.
"Precursose", "sovvertitore", "geniale", "un titano":
lui non volle, si oppose,
sin dall'inizio, con tutti i mezzi,
nausea, emicrania, ipocondria.

La scuola, nient'altro che un vacuo.
Fa lo scemo- Mediocre e pigro per beffa.
Lo studio ripugnante, un'insostenibile noia,
tempo perso. Nulla capisce di matematica,
dimentica i classici, rimane ignorante come un maiale
circa la politica, la storia e la filosofia.

Pretenderebbero che diventasse medico:
non può vedere il sangue.
Vorrebbero farne un curato:
non sa il latino.
Buono a nulla. Si astiene da tutto,
indugia, evita sempre di trarre conseguenze,
incapace di farsi avanti coi gomiti.

Il matrimonio: Terribile spreco di tempo.
Bambini: Tutto sommato meglio di un cane.
Da qualsiasi divertimento gira alla larga:
il divertimento è la peggior cosa.

Poi il famoso giro del mondo: quasi controvoglia,
quasi per svista. A bordo
giace ore intere sul tavolo di navigazione.
Vertigine, fiacchezza.
Raccoglie problemi, dati, preparati.
Le sue convinzioni le tiene per sé.

Un pomeriggio legge Malthus
(come passatempo): palpitazioni,
brividi violenti, e in cervello
una tempesta elettrica. Da allora
fu perso. Il resto è evoluzione:

L'origine della specie nasce
e si sviluppa, "naturalmente", senza sosta,
una nuova specie d'idee, in un processo
che sgretola colui che sgretola, gradualmente,
pian piano, e inesorabilmente.

Indietreggia, si sposa,
s'installa in un remoto villaggio,
evita viaggi, socialità,
si schermisce: pensionato a trentatre anni.

La mia testa si è tramutata in una specie di macchina,
destinata a macinare valanghe di fatti
per trasformarle in leggi generali.

Sette anni Sui banchi coralliferi, struttura e localizzazione.
Ventun anni Sulle abitudini e i movimenti
delle piante rampicanti.
Otto anni Sui cirripedi
(due volumi sulle specie viventi e due su quelle fossili)

Il guscio si trasforma in un robusto edificio
che protegge il corpo a guisa di corazza.
Della mia vita successiva non vi è dunque,
eccezion fatta per le mie pubblicazioni,
nulla da riferire.

Ordine del giorno: massimo quattro ore di lavoro,
quindi la visita alle serre.
Lunga siesta, avvolto in uno scialle,
sul sofà. Cambio d'abito. Dopo cena
qualcuno, al piano, suona un notturno.
Si va a letto presto. Insonnia:
Le sue notti erano pessime,
spesso giaceva sveglio o sedeva eretto.

(Cfr. A quindici miglia [in linea d'aria]
un altro invalido che controvoglia
e senza sosta lavora per sovvertire:
Epatalgia, nausea, foruncolosi;
debole come una mosca, insonne, tormentato
dall'eccessivo cacasangue;
Io sono una macchina, condannata
a ingoiare libri, per poi
riversarli, sotto forma diversa
nel letamaio della storia)

Infiniti dettagli, accumulati come calcare corallifero
in cassetti, cartelle, scartoffie.

Povero diavolo, commenta il suo giardiniere,
sta lì in piedi a fissare per minuti interi
un girasole.
Se solo avesse qualcosa da fare,
gli farebbe un gran bene.

Dolorosa atrofia. Sensazione
di essere totalmente essiccato.
Non resta altro che la scienza.
Tanto peggio.
A volte la odio.

Non vuole, non volle mai,
eppure vota la vita intera alla "natura",
con il suo grossolano spreco, il suo infimo acciarpamento
e la sua orrida ferocia: metodico
come un contabile o un lombrico.

La formazione dell'humus
tramite l'attività dei vermi,
con osservazioni circa le loro abitudini:

Frutto di un'attività di cinquant'anni.
Nella storia del mondo più significativi
di quanto non si pensi, essi macinano la terra
nel loro ventriglio per trasformarla in humus
a tonnellate, in silenzio e senza sosta.

H.M. Enzensberger - Mausoleum -

lunedì 22 giugno 2009

Blues della vita quotidiana



La gente aveva smesso di sperare. Ora la Depressione faceva parte dell'esistenza quotidiana, e l'esistenza quotidiana è la cosa più difficile da cambiare: l'hanno scoperto tutti gli imperatori, i re e i conquistatori. Era il Presente, erano gli anni Trenta, e non si poteva avere l'uno senza gli altri. Persino le canzoni erano condizionate dalla Depressione. Brother Can You Spare a Dime? "Non sarò più lo stesso, le stelle hanno perso significato per me..."; "Non ci sono più soldi in banca..."; "Le patate costano meno, i pomodori costano meno ...".
Per la prima volta, l'amore, nelle canzoni, si classificava al secondo posto.

- Cornell Wollrich -

venerdì 19 giugno 2009

tradimenti



I filosofi del giorno d'oggi si vergognano ancora di confessare che hanno tradito gli uomini, per la borghesia. Se noi tradiamo la borghesia per gli uomini, non ci vergogniamo di confessare che noi siamo dei traditori!

- Paul Nizan -

giovedì 18 giugno 2009

tragedia e calunnie



Nel Protagora, l'unico dialogo di Platone direttamente rivolto contro i sofisti, nessun tema del pensiero sofistico viene affrontato, in nessun momento del dialogo. In ciò, Platone è un calunniatore di genio! Ha trasferito sui pensatori che voleva eliminare ( e che in larga misura è riuscito ad eliminare materialmente, poiché quasi nessun testo dei sofisti è sopravvissuto ai suoi attacchi) il vizio proprio della sua filosofia: la "sofistica".
Platone non soltanto inventa la nozione peggiorativa di sofista, ma crea anche, con la sua filosofia, il vizio "sofistico" che attribuirà ai suoi nemici. Resta il fatto che Platone, dei sofisti, teme la concezione tragica della natura dell'uomo e dell'esercizio del pensiero.
In tal senso, ciò che rimprovera ai sofisti assomiglia alquanto a ciò che, in altri tempi, Rosseau rimprovererà ai grandi classici del diciassettesimo secolo francese: scrittori poco raccomandabili (Moliére, La Fontaine, ecc.), che si fanno beffe della "verità", indifferenti alle disgrazie altrui, senza moralità, mossi nell'esercizio del loro mestiere da due soli impulsi: il denaro e i piaceri.
Nell'attacco c'è la medesima dissimulazione: invece di dichiarare il vero disaccordo, si preferisce dire, ingegnosamente, qualsiasi altra cosa.
Platone rimprovera ai sofisti non di essere scettici, atei, materialisti, ma di essere cupidi e vanitosi: nello stesso modo per cui Rousseau rimprovera a Moliére e a La Fontaine, non la visione tragica, bensì "l'immoralità".

- Clément Rosset -

mercoledì 17 giugno 2009

omaggio



Duro e deciso, un po' segnato dal destino, come un samurai o un esule ai tropici con chissà quali cupi segreti ...

martedì 16 giugno 2009

monadi



G.W.L. (1646 - 1716)

Non conosciamo i suoi sentimenti. La periferia si mostra corretta
come in ogni perfetto congegno. L'abito del consigliere aulico
è adorno di galloni, bottoni, fasce, frange e merletti.
Sotto il fil di ferro della parrucca, il circuito stampato,
un groviglio assai fitto. Im moto immoto regna
sotto la scatola cranica. Registrazione, elaborazione
e memorizzazione dei dati: Schedatura delle conoscenze.
Monatliche Auszüge, Journal des Savants, Acta eruditorum.
Ciò che il mondo perplesso eredita, è un fienile
colmo di animali, perizie, aides-memoirés, cataloghi,
miscellanee,; un guazzabuglio di indici e indici
di indici ed indici di indici di indici ...

(Noi del controspionaggio non fummo mai del tutto convinti di L.Certo,
è un genio, nessuno glielo contesta. Eppure qualcosa gli manca:
e sono proprio questi gli errori. I suoi "connotati umani",
un certo gusto del denaro, una leggera podagra, sono camuffamenti,
raffinati nodi nella sua struttura programmata, trucchi
per trarci in inganno. E ce l'ha quasi fatta. Prova ne è che
in sede di governo fino ad oggi nessuno ha sollevato dubbi.
Noi però lo diciamo chiaro e tondo: L. è un prodotto fittizio
e presumibilmente presta servizio per una remota e ignota potenza).

Ma proprio Hannover, dove le abitazioni sono tanto anguste!
Questo suo prediligere borghi gretti e contadi
della provincia tedesca, malconci e maleolenti,
onde non dar nell'occhio, dà anzi da pensare.
Colleziona fossili e pare anch'egli petrificato. Invece,
frenetico, espande la sua rete, esplora, registra. Incontra
ad Amsterdam Spinoza, Newton a Londra, Kircher a Roma, a Basilea
i Bernouilli. Interessi cinesi: scambio di corrispondenze
con Pechino. Novissima Sinica: del sistema numerico binario
e dell'I Ching. Colloqui nei parchi sulla pianificazione delle ricerche,
trattative nelle cancelleria. Sballottato in carrozza,
ronza, come un'intera accademia, per le carraie d'Europa.

(Dai nostri dossier, dice la Cia, risulta quanto segue:
Vita Privata: inesistente. Interessi sessuali: nulli. Cretinismo
emotivo. Il suo rapporto col prossimo è il discorso, altri rapporti
non ne ha. Ciò che irrita inoltre non poco, è la sua
insana diligenza. In qualsiasi situazione e luogo, ovunque
e sempre, scrive, legge o calcola. Quella sua macchinetta
ch estrae le radici, l'ha sempre sotto mano. E il cilinbdro ruota.
Come un automa. Come un automa che ha costruito un automa).

I suoi programmi se li scrive da sé. Gli algoritmi sono nuovi:
calcolo infinitesimale e delle probabilità. D'arti lulliche
si inebria: un vero e proprio trip: Characteristica universalis.

Che la macchina del mondo, seppur inconsapevole, nondimeno è ragionata,
è un presupposto che gli ronza in testa. Trattasi dunque soltanto
di estrarla, codesta ragione. O calcoli combinatorii! O sancta simplicitas!
I Ching: si raccolgono un paio di achillee, si procede dividendo gli steli
e contando, dividendo e contando e dividendo gli steli e si ottiene l'oracolo,
un metodo generale grazie al quale non v'è verità della ragione
che non potrà essere ricondotta ad una sorta di calcolazione.
Si stabilirebbe al tempo stesso un codice o un linguaggio, in grado
di spezzare l'errore e di indirizzare altresì la ragione.

(Noi però presumiamo che sia nella natura stessa degli automi
d'ottimare l'ottimismo. Idea fissa in loro è l'armonia.
E la loro coscienza, ch'è felice, la palesa immancabilmente.
A parte tutto ciò la commissione si domanda, come mai questo L.
abbia scoperto, con duecento anni di anticipo, l'algebra di Boole,
e come risposta non trova che un'unica spiegazione possibile:
L. è un astronauta meccanico, una sonda, un ordigno ultraterreno).

Formula sentenze metafisiche in quantità del tutto incalcolabili,
ed emette una nube di filosofemi che cela la sua padronanza
delle scienze padronali: Navigazione, Commercio, Manufatture:
i vantaggi di queste cose scaturiscono dalla conoscenza della natura
e della matematica. Nello sfruttamento delle miniere metallifere dell'Harz
sorgono problemi di regolazione idrica: secchielli e ruote dentate,
argani e verricelli non bastano. Falla anche il controllo dei gas.
Egli progetta quindi ingegnosi sistemi di trasporto e areazione, pompe
e canali d'evacuazione. Inoltre si immerge negli enigmi del fosforo,
delle colture di colza, delle riforme monetarie; inoltre propone osservatorii,
bancogiri, colorifici; inoltre pianifica, senza il minimo scrupolo,
il sostegno del corso dell'argento e la conquista d'Egitto.

(Il Santo Uffizio constata: non vengono da noi condivise le obiezioni
che contro di lui si sollevano, in quanto L. è soltanto una macchina,
ed esseri superiori, ai quali è stata assegnata la terra come dimora,
si servono di lui. Si accalcano e si muovono per il mondo
migliaia d'invisibili mani, quelle degli angeli, che delle sue
si servono a guisa di guanti e con finalità che noi non supponiamo).

Sovente la verità ci si fa incontro, truccata, indebolita,
d'incarnato pallido, dalla scarsa capigliatura, dalle mani fredde,
oppurre camuffata, addirittura corrotta e mutilata: dal fare rigido
e compassato, dal ronzio funzionale e monotono di bambola meccanica,
il che riduce il suo valore e rendimento. Sento in bocca
un sapore di ferro: ecco finalmente egli stesso lo ammette.
Fantasia non ne ha. Eppure quando fossimo in grado di svelarla
(la verità) sapremmo dal fango trarre l'oro, dalle grotte il diamante
e dalle tenebre la luce, evidenziando con massima chiarezza
il progresso delle nostre cognizioni. Già, già!
Uno sconosciuto pretende ch'egli si fosse, negli ultimi giorni,
adoprato infine a decifrare il linguaggio degli angeli.

H.M. Enzensberger - Mausoleum -

lunedì 15 giugno 2009

Se qualcuno ti fa morto ...

danzando



LETTERA APERTA AL P.C.I.

Compagni, camerati,
- mi spetterebbe - ha detto Majakovskij -
un monumento da vivo! -
Son'io quel desso che non vi spiegate
ancora ieri poi stanotte o mai
sono quel tu generico, la statua
d'un centravanti dell'azzurro in corsa
con la testa tra i piedi senza palla
Cento all'ora del campo,
sono l'affanno che si disamora
trovando tondo tondo nella rete
nient'affatto avversaria
un mondo già segnato da nessuno
altro che me quando non ero nato.
Ed ecco fatto quello che non faccio
ed ecco detto quello che dicevo
ecco premiato quello che volevo
esatto a dirmi che non sono esatto
Eccomi morto quando più vivevo -
Tattica - mi rispondono le stelle -
tu non sai stare al gioco della corsa -
- Oh, risultare! - Torna, ma stanotte,
se vuoi tornare, dopo la partita,
ché bianca verde rossa oltre Montale
è finita lo sai perché finita
dentro un solo comune meriggiare
è l'eccezione che credevi tale:
occasione di folla sminuita
il tuo tardo arrivare
rimette in palio il palio d'una vita
vinta quell'altra notte in fondo al mare
E la speranza è tanta
che non mi basta più
ma tale che m'avanza musicale
la vita.

- Carmelo Bene -

venerdì 12 giugno 2009

giovedì 11 giugno 2009

incisioni



sul coltello di Caravaggio, in calligrafia elegante, inciso a forza di denti stretti , sta ancora scritto
" Nessuna Speranza....
Nessuna Paura. "

mercoledì 10 giugno 2009

Françoise-Marie-Charles Fourier



C.F. (1772 - 1834)

Avete visto le polverulente anime nelle botteghe dei trecconi
e dei mercanti, gli stanchi scritturali e i commessi,
con le loro soprammaniche, i loro polverini e raschietti,
li avete visti, pieni di macchie d'inchiostro, declassati una volta per tutte,
sedere incatenati in perpetuo alle loro casse e ai loro scrittoi?
Il secolo dei generi coloniali e della concorrenza
ne pullula, ne abbisogna e non li tiene in alcun conto.

Immaginate dunque il suo letto freddo e il suo pane raffermo
e considerate quanto sia puntuale e rassettato e quali siano i suoi
divertimenti: al sabato sera una partita di biliardo,
un conversare col gatto, indi potare e annaffiare le piante.
Sì, a un vivaio somiglia la suia dimora, a una serra.
L'ordine regna tra le palme domestiche e la simmetria, e grave
aleggia un tanfo come di hascish, grave e verde nell'aria.

Con "imprecazioni annibaliche" maledice negozi e commerci,
ma invano. Perché a Rouen sottopone ai clienti rotoli di stoffa,
a Marsiglia rivende spezie, salmodia listini dei prezzi a Lione,
bestemmia coi sensali dietro le quinte della Borsa e ronfa offerte,
come ogni commesso viaggiatore percorre selciati, preme maniglie,
pesa pacchetti e deve, a Parigi, con la sua fantastica penna,
scribacchiare cifre e nomi per conti correnti d'estranei.

"Keplero", dice, "ed io". E su oscuri giornali annuncia
un dì la sua scoperta: "L'attrazione passionale,
l'armonia universale, il mistero dei quattro movimenti,
la determinazione matematicamente provata di tutti i corpi celesti
e dei loro abitanti", e la rivelazione di un'era di collettiva felicità.
Colombo, Newton, Descartes ed io: udite? "Ecco, arriva il matto!"
gli gridano appresso nei giardini del Palais Royal gli scolaretti.

Ma non lasciatevi ingannare: non è un "critico della società",
ne è il nemico. Fabula rasa, ovvero, "il dizionario assoluto".
E' questo il minimo. Così dev'essere. Poiché "le passioni
hanno sempre ragione, e il nostro errore non è di bramare troppo,
ma troppo poco." Udite? "Nella sua sorprendete opera, accoste
a un ammasso di stoltezze trovansi, sovente in verba oscuri,
assai ingegnose arguzie", in cui promette ora a venire
orgasmi e fiori, profitti e sfarzi, meloni e avventura.

Mirate con quanta serietà studia! Ama la scienza,
aborrisce la menzogna e viaggia con un metro da falegname
per misurare piazze e giardini. Di tutto parla, di tutto
s'intende e d'ogni cosa tiene registro. Cosa significa dunque
il melodramma, il cavolfiore e l'oro? Cos'è la tenia? la via lattea?
la massoneria? la banchina siberiana? il pipistrello, la cometa?
Swedenborg, dice, ed io, e sprofonda in allegorie.

Ma cosa farà mai di quelle sue tabelle di folle minuzia,
di quelle sue deliranti enumerazioni, di quei suoi manoscritti
rosi dai topi, sul "Nuovo Mondo dell'Industria e dell'Amore"?
Ve li regala! Avete inteso? vi regala i suoi calcoli,
le sue ordinate orgie e i suoi sistematici pasticci di frutta,
eccoveli, prendete le sue cerimoniali estasi,
i suoi erotici vaticini, e mangiate, e fottete, e bevete!

Basta, grida, basta con la noia! la monogamia! la censura!
la paura! il dovere! e la povertà! Abbasso, udite, ascoltate,
abbasso con l'ascesi! la gerarchia! e l'inferno industriale!
E chiama, e urla, e vocifera in quella sua lisa giacchetta
sotto il tiglio domestico, e balbetta preciso, e d'improvviso
il paradisiaco marchingegno, le molle, le camme, le bielle,
le ruote dentate ed elicoidali dell'armonia passionale

da sole, come per miracolo, senza sforzo, si mettono in moto. Vedete!
Lo volete adesso? come roteano e danzano l'una all'altra avvinta
in perfetto ordine, felici, le sue creature: fate e fachiri,
geni, cherubini, magnati, baccanti, eroine,
sibille, vestali, serafini, paladini e cortigiane.
Ora s'infiamma, millanta la propria ignoranza, si vanta
che nessuno lo conosca, lui, il profeta, il "paria della scienza".

Perché è "un garzone di bottega, che annienterà la cabala
dei filosofi e smentirà i quattrocentomila volumi
dei farisei!" (Com'è squisitamente confuso! Com'è sublime nel ridicolo!
Com'è astutamente ingenuo!) "Non sarebbe forse auspicabile", domanda,
"che avessi ragione io a dispetto di tutti?" E ininterrottamente
scrive a principi, imperatori, ministri, ambasciatori e banchieri
i suoi illeggibili memoriali, le sue petizioni e i suoi manifesti.

"Dovranno quindi", scrive solenne, "regnare gli istinti e gli umori,
finanche le manie e le fisse!" Ma presto sopraggiunge l'inverno,
gli rubano le idee. "Il domani è voluttà", scrive.
I suoi allievi con le loro lusinghe lo soffocano. "Evviva
la gozzoviglia!" Eppure non si fida di loro. "Il lusso, il superfluo!"
Freddo e riflessivo infierisce contro la marmaglia, amareggiato
distingue e si ripete, ingarbugliato in solitarie invettive.

Gli fa eco solo il silenzio. Osservatelo attentamente. Come tende
l'orecchio! Ha forse suonato o bussato qualcuno? Immaginatelo,
inflessibile e immobile come Bartleby, con gli occhi aperti, sarà,
o come Pécuchet al suo scrittoio, fiero e immodesto, una mattina,
la portinaia a trovarlo, sotto le foglie, morto, in ginocchio,
al quinto piano, nella Rue Jean-Jacques Rousseau,
tra vasi di piante, in un narcotizzante e verde odore di semi.


H.M. Enzensberger - Mausoleum -

martedì 9 giugno 2009

vuoto



"Non ero né tra il pubblico ad applaudire, né sul campo a giocare, ma in qualche sotterraneo ad osservare con indifferenza le strutture di base.
I miei amici non c'erano più ...
Una volta tipi del genere venivano chiamati nichilisti, ma è una parola troppo forte per il vuoto."

- Jim Harrison -

lunedì 8 giugno 2009

la storia siamo noi



"... Cominciai a lavorare sul serio, al mattino mi alzavo alle 5 per il primo turno; oppure rientravo a casa a mezzanotte quando facevo il secondo stanco morto, abbattuto. Al circolo continuavano a rompermi le scatole perché facessi attività di partito. Il Capra ingenuamente arrivava perfino al ricattino involontario: "Come, noi ti abbiamo aiutato a trovare un posto, ora datti un po' da fare." Così cominciai a lavorare per la cellula, il sindacato, la commissione interna. Ma in modo svogliato. Poi vennero i fatti di Piazza Statuto.
Fu il primo segno del risveglio. Nell'estate del 1962, per la prima volta la base rivoluzionaria scavalcò apertamente il partito, mandò affanculo i vecchi tromboni. La battaglia durò tre giorni e l'Unità ci chiamò teppisti allineandosi coi borghesi. Fu il crollo per molti compagni delle ultime illusioni di un ravvedimento rivoluzionario del PCI. Mi ricordo di Pajetta: era con noi, non sapeva cosa fare, il grande dirigente non era più davanti a un folla entusiasta, ma in mezzo a gente esasperata che gli stava mangiando il piedistallo eretto in tanti anni sul suo passato di combattente. Quando gli arrivò una pietrata, allora si risvegliò mettendosi a sbraitare contro i padroni e gli sbirri, spingendoci all'attacco. Il suo passato di partigiano riemergeva dall'inconscio. Poi, a mente fredda, il giorno dopo, su l'Unità ci chiamò fascisti! Demmo tante botte in quei giorni e ne prendemmo. Alcuni compagni del gruppo come "Piero il tranviere" erano addirittura arrivati con le pistole. Mi ricordo bene di Adriano in quei giorni, si batteva contro tre o quattro poliziotti per volta.
La delusione più grossa l'avemmo l'ultimo pomeriggio; la polizia, quelle carogne fasciste del battaglione Padova avevano arrestato uno dei nostri più cari compagni della Fgci, Garino. Si era rimasti in pochi, eravamo alla fine; durante una delle ultime cariche Garino si era buttato avanti da solo, contro i plotoni che avanzavano compatti. Lo chiusero in mezzo pestandolo selvaggiamente, cercammo di strapparlo ai poliziotti, ma erano in troppi, ci ritirammo tutti pesti. Poi, la sera, andammo alla festa dell'Unità rionale: cercammo di fare una colletta per Garino e per gli altri. I dirigenti ci aggredirono con aspre critiche dicendo che ci eravamo lasciati trascinare dai fascisti e dai teppisti provocatori. Ricordo quella scena con rabbia e con dolore. C'era la tavolta solita, di "capoccia". Le bottiglie di barbera, gli agnolotti, i salamini caldi: la classica tavola piemontese a cui si riduceva ormai tutta la prassi rivoluzionaria di un partito che aveva innalzato un tempo su tutta la merda fascista e borghese la bandiera rossa della speranza e della rivolta. Tra un agnolotto e l'altro cu rimproverarono con disprezzo, loro che non si erano mossi dalla botte del vino per tutto il giorno. "Se quelli che si sono battuti contro la polizia sono fascisti", gridammo, "siamo fascisti pure noi!" "Certo che quasi quasi vi siete comportati da teppisti." Fu la rottura. Prendemmo un tavolo con salamini e vino e bagna cauda e lo sbattemmo in faccia ai dirigenti. E quella sera, per la prima volta fra compagni, finì con altre botte..."

Testimonianza, sui fatti di Piazza Statuto, di Sante Notarnicola, 25 anni, operaio chimico

venerdì 5 giugno 2009

Il senso della vita



Simon Wagstaff, dopo aver vagabondato per tutto l'Universo, finalmente arriva presso un'antichissima razza di alieni "scarafaggioidi" che attendevano la sua visita da millenni.
In un colloquio con il vecchissimo Bingo, il più antico della sua razza, Wagstaff scopre che i terrestri si sono evoluti a partire dai rifiuti organici, gettati, dagli esploratori di quel pianeta, nei mari della Terra. Ad un certo punto, il terrestre chiede perché l'artefice dell'Universo - denominato "L'Entità" - abbia creato tutto per poi sparire.
L'alieno, dopo avere invitato l'interlocutore a bere un po' di birra, risponde:

"Simon si alzò in piedi e urlò: - Ma perché? Perché? Perché? Non sapeva quali tormenti e angosce avrebbe fatto patire, senza nessun motivo, a miliardi di miliardi di esseri viventi?

- Certo - disse Bingo

- E allora perché? - urlò Simon Wagstaff - Perché? Perché?

Il vecchio Bingo bevve un bicchiere di birra, ruttò e rispose: - Perché no?"

- Philip J. Farmer ( Kilgore Trout) - Venere sulla Conchiglia -

giovedì 4 giugno 2009

Ciao David!

quelli che ... li voto ancora una volta e poi basta ...



E' passato un po' di tempo, e qualcosa è cambiato da quando, nel 1973 su "Temps Moderns", Sartre scrisse questo lungo articolo che rimetteva sui piedi il problema delle elezioni.
Credo che, ad ogni scadenza elettorale (ché le elezioni, come la guerra, ti costringono a parlare di esse) non sia male riproporlo.


Élections, piége a cons

Nel 1789 fu stabilito il voto censitario: significava far votare non gli uomini ma le proprietà, i beni borghesi, che non potevano dare i suffragi che a se stessi. Questo sistema era profondamente ingiusto poiché si escludeva dal corpo elettorale la maggior parte della popolazione francese, ma non era assurdo. Certo gli elettori votavano isolatamente e in segreto: questo tornava a separarle gli uni dagli altri e a non ammettere tra i loro suffragi che dei legami di esteriorità.

Ma questi elettori erano tutti dei possidenti, dunque già isolati dalle loro proprietà che si richiudevano su di loro ridando alle cose; agli uomini tutta la loro impenetrabilità materiale Le schede elettorali, quantità discreta, non facevano che tradurre la separazione dei votanti e si sperava, addizionando i suffragi, di far scaturire l'interesse comune del più gran numero, cioè il loro interesse di classe. Nelle stesso periodo la Costituente adottava la legge Le Chapelier il cui fine confessato era di sopprimere le corporazioni ma che mirava, inoltre, ad interdire ogni associazione dei lavoratori tra loro e contro i loro datori di lavoro. Così i non-possidenti, cittadini passivi che non avevano nessun accesso alla democrazia indiretta, cioè al voto usato dai ricchi per eleggere il loro governo, si vedevano ritirare, per sovramercato, ogni permesso di raggrupparsi e di esercitare la democrazia popolare o diretta, la sola che si convenisse loro poiché non erano suscettibili di essere separati dai loro beni.
Quando, quattro anni più tardi, la Convenzione rimpiazzò il suffragio censitario col suffragio universale, non credette bene, tuttavia, di abrogare la legge Le Chapelier, in modo che i lavoratori, definitivamente privati della democrazia diretta, votarono come proprietari anche se non possedevano niente. I raggruppamenti popolari, vietati ma frequenti, divennero illegali rimanendo legittimi. Alle assemblee elette dal suffragio universale si sono dunque opposti nel 1794, nel 1848 nella Seconda Repubblica e infine nel 1870, dei raggruppamenti spontanei ma a volte molto estesi che dovevano essere chiamati appunto classi popolari o popolo. Nel 1848, in particolare, si credette di vedere, opposto ad una Camera eletta col riconquistato suffragio universale, un potere operaio che si era costituito nelle strade e negli Ateliers Nationaux. Si sa come finì: nel maggio-giugno 1848 la legalità massacrò la legittimità. Di fronte alla legittima Comune di Parigi, l'ultralegale Assemblea di Bordeaux trasferita a Versailles non ebbe che da imitare questo esempio. Alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo le cose sembrarono cambiare: si riconobbe agli operai il diritto di sciopero, le organizzazioni sindacali furono tollerate. Ma i presidenti del Consiglio, capi della legalità, non sopportavano le spinte ricorrenti del potere popolare. Clemenceau in particolare si distinse nel reprimere gli scioperi. Tutti, ossessionati dalla paura dei due poteri, rifiutavano la coesistenza del potere legittimo, nato qua e là dall'unità reale delle forze popolari, e di quello, falsamente uno, che essi esercitavano e che riposava, in definitiva, sull'infinita dispersione dei votanti. Di fatto erano caduti in una contraddizione che non avrebbe potuto risolversi che con la guerra civile, dal momento che l'uno aveva la funzione di disarmare l'altro. Votando domani noi andiamo, ancora una volta, a sostituire il potere legittimo col potere legale. Questo, preciso, di una chiarezza in apparenza perfetta, atomizza i votanti in nome del suffragio universale. Quello è ancora in embrione, diffuso, oscuro a se stesso: fa tutt'uno, per il momento, con il vasto movimento antigerarchico e libertario che si incontra dappertutto ma che non è ancora organizzato. Gli elettori fanno parte dei raggruppamenti più diversi. Ma non è in quanto membri di un gruppo bensì come cittadini che l'urna li aspetta.

Quella cabina elettorale, piantata nell'aula di una scuola o di un municipio, è il simbolo di tutti i tradimenti che l'individuo può commettere verso i gruppi di cui fa parte. Essa dice a ciascuno: «Nessuno ti vede, non dipendi che da te stesso; stai per decidere nell'isolamento e in seguito potrai nascondere la tua decisione o mentire». Non c'è bisogno di altro per trasformare tutti gli elettori che entrano nell'aula in traditori in potenza gli uni degli altri. La diffidenza accresce la distanza che li separa. Se noi vogliamo lottare contro l'atomizzazione è necessario prima tentare di capirla. Gli uomini non nascono nella separazione: vengono su nell'ambiente familiare che li fa durante i loro primi anni. In seguito essi faranno parte di diverse comunità socio-professionali e fonderanno essi stessi una famiglia. Li si atomizza quando grandi forze sociali - le condizioni di lavoro in regime capitalista, la proprietà privata, le istituzioni, ecc. - si esercitano sui gruppi di cui essi fanno parte per . smembrarli e ridurli alle unità di cui si pretende che essi si compongano. L'esercito, per non citare che un esempio di istituzione, non considera mai la persona concreta del richiamato, che non può afferrarsi che sulla base della sua appartenenza a dei gruppi esistenti. Esso non vede in lui che l'uomo, cioè il soldato, entità astratta che si definisce per i doveri e per i rari diritti che rappresentano i suoi rapporti col potere militare. Questo «soldato», che esattamente il richiamato non è ma al quale il servizio militare intende ridurlo, è altro in sé da se stesso e identicamente altro presso tutti i commilitoni di una stessa classe. E' questa identità stessa che li separa poiché essa non rappresenta per ciascuno che l'insieme prestabilito delle sue relazioni con l'esercito. Così, durante le ore di addestramento, ciascuno è altro da sé e, nello stesso tempo, identico a tutti gli Altri che sono altri da se stessi. Egli non può avere rapporti reali con i suoi compagni che se, durante i pasti o di sera, nella camerata, essi si spogliano tutti insieme del loro essere-soldato. Tuttavia la parola atomizzazione, così spesso impiegata, non rende la vera situazione delle -persone disperse e alienate dalle istituzioni. Non si può ridurle alla solitudine assoluta dell'atomo anche se si tenta di sostituire le loro relazioni concrete con le persone, con dei semplici legami di esteriorità. Non li si può escludere da tutta la vita sociale: il soldato prende l'autobus, compra il giornale, vota. Questo presuppone che egli usi dei «collettivi» con gli Altri. Semplicemente, i collettivi si indirizzano a lui come a un membro di una serie (quella di coloro che comprano i giornali, dei telespettatori, ecc.). Egli diventa identico quanto all'essenza a tutti gli altri membri, differendone solo per il suo numero d'ordine. Noi diremo che è serializzato. La serializzazione dell'azione la si ritrova nel campo pratico-inerte dove la materia si fa mediazione tra gli uomini nella misura in cui gli uomini si fanno mediazione tra gli oggetti materiali (dal momento che un uomo prende il volante della sua auto egli non è altro che un guidatore tra gli altri e perciò contribuisce a rallentare la velocità di tutti e la sua stessa, e questo è il contrario di ciò che desiderava quando voleva possedere lui stesso un'automobile).
A partire da ciò nasce in me il pensiero seriale che non è il mio proprio pensiero ma quello dell'Altro che io sono e quello di tutti gli Altri; bisogna chiamarlo pensiero d'impotenza perché io lo produco in quanto io sono l'Altro, nemico di me stesso e degli Altri e in quanto io porto dovunque questo Altro con me. Supponiamo un'azienda dove non c'è stato uno sciopero da venti o trent'anni, ma dove il potere d'acquisto dell'operaio diminuisce costantemente a causa del «caro-vita». Ciascun lavoratore comincia a considerare una azione rivendicativa Ma i venti anni di « pace sociale » hanno stabilito poco a poco tra i lavoratori relazioni di serialità. Ogni sciopero - fosse anche di ventiquattr'ore - richiederebbe un raggruppamento di lavoratori. In questo momento il pensiero seriale - che separa - resiste fortemente alle prime manifestazioni del pensiero di gruppo. Esso sarà razzista (gli immigrati non ci seguirebbero), misogino (le donne non ci capirebbero), ostile alle altre categorie sociali (i piccoli commercianti e i contadini non ci aiuterebbero), diffidente (il mio vicino è un Altro; dunque non so come potrebbe reagire), ecc. Tutte queste proposizioni di separazione non rappresentano il pensiero degli operai stessi, ma quello degli altri che essi sono e che vogliono mantenere il loro statuto d'identità e di separazione. Se il raggruppamento riuscisse, non si troverebbe più traccia di questa ideologia pessimista. Non aveva altra funzione che di giustificare il mantenimento dell'ordine seriale e dell'impotenza in parte subita, in parte accettata.

Il suffragio universale è un'istituzione, dunque un collettivo, che atomizza o serializza gli uomini concreti e si rivolge in essi a delle entità astratte, i cittadini, definiti da un complesso di diritti e doveri politici, cioè dal loro rapporto con lo Stato e le sue istituzioni. Lo Stato ne fa dei cittadini dando loro, per esempio, il diritto di votare ogni quattro anni, a condizione che essi rispondano a delle condizioni molto generali - essere Francesi, avere più di ventun'anni - che non caratterizzano veramente nessuno di loro. Da questo punto di vista tutti i cittadini, siano essi nati a Perpignan o a Lilla, sono perfettamente identici, come abbiamo visto che lo erano i soldati nell'esercito: non ci si interessa dei loro problemi concreti che nascono nelle loro famiglie o nei loro raggruppamenti socio-professionali. Di fronte alle loro solitudini astratte e alle loro separatezze si ergono gruppi o partiti che sollecitano i loro voti. Si dice loro che essi delegano il loro potere a uno o più di questi raggruppamenti politici. Ma, per «delegare la sua autorità», bisognerebbe che la serie costituita dall'istituzione del voto ne possedesse almeno una piccola parte. Ora, questi cittadini, identici e fabbricati dalla legge, disarmati, separati dalla diffidenza di ciascuno verso gli altri, mistificati ma coscienti della loro impotenza, non possono in nessun caso, fin quando hanno lo statuto seriale, costituire questo gruppo sovrano del quale ci è stato detto che emana tutti i poteri, il Popolo. Considerato che si è loro concesso suffragio universale, l'abbiamo visto, per atomizzarli ed impedirgli di raggrupparsi tra loro. Solo i Partiti, essendo originariamente dei gruppi - d'altronde più o meno serializzati e burocratizzati -, possono considerarsi come aventi un embrione di potere. In questo senso bisognerebbe rovesciare la formula classica, e quando un Partito dice: «Sceglietemi!», non intendere con ciò che gli elettori gli deleghino la loro sovranità, ma che i votanti, rifiutando di unirsi in gruppo per accedere alla sovranità, designano una o più comunità politiche già costituite ad estendere il potere, che esse già possiedono, sino ai confini nazionali. Nessun partito potrà rappresentare la serie di cittadini perché esso deriva la sua potenza da se stesso, cioè dalla sua struttura comunitaria; la serie d'impotenza non può, in alcun caso, delegargli una porzione d'autorità. Ma al contrario il Partito, quale che esso sia, usa la sua autorità per agire sulla serie reclamandone i voti; e la sua autorità sui cittadini serializzati non è limitata che da quella di tutti gli altri partiti messi insieme. In una parola, quando io voto, io abdico al mio potere - cioè alla possibilità che è in ciascuno di costituire con tutti gli altri un gruppo sovrano che non ha nessun bisogno di rappresentanti - e affermo che noi, i votanti, siamo sempre altri da noi stessi e che nessuno di noi può in alcun caso abbandonare la serialità per il gruppo, se non per interposta persona. Votare è senza dubbio, per il cittadino serializzato, dare il suo voto a un Partito, ma è soprattutto votare per il voto, come dice Kravetz, cioè per l'istituzione politica che ci mantiene nello stato d'impotenza seriale. Lo si è visto, nel giugno 1968, quando de Gaulle ha chiesto alla Francia, in piedi e costituitasi in gruppi, di votare, cioè di andare a dormire e di avvolgersi nella serialità. I gruppi non-istituzionali diffidarono; gli elettori, identici e separati, votarono per l'U.D.R. che prometteva di difenderli contro l'azione dei gruppi che essi, solo qualche giorno prima, costituivano. Lo si vede ancora oggi quando Séguy chiede tre mesi di pace sociale per non spaventare gli elettori, in verità perché le elezioni siano possibili, cosa che non sarebbero più se quindici milioni di scioperanti, decisi e istruiti dall'esperienza del 1968, rifiutassero di votare e passassero all'azione diretta. L'elettore deve continuare a dormire e compenetrarsi della sua impotenza; così sceglierà dei Partiti che esercitino la loro autorità e non la sua. Così ciascuno, chiuso sul suo diritto di voto come il proprietario sulla sua proprietà, sceglierà i suoi padroni per quattro anni senza vedere che questo preteso diritto di voto non è che l'interdizione di unirsi agli altri per risolvere con la praxis i veri problemi.

Il tipo di scrutinio, sempre scelto dai gruppi dell'Assemblea e mai dagli elettori, aggrava le cose. La proporzionale non strappava i votanti alla serialità, ma almeno utilizzava tutti i voti. L'Assemblea dava una immagine corretta della Francia politica, cioè serializzata, poiché i Partiti erano rappresentati proporzionalmente al numero dei voti che ciascuno aveva ottenuto. Il nostro scrutinio al contrario, si ispira al principio opposto che è, diceva assai giustamente un giornalista, 49% = 0. Se in una circoscrizione al secondo turno, i candidati dell'U.R.D. ottengono il 50% dei voti, vengono tutti eletti. Il 49% dell'opposizione precipita nel nulla: corrisponde a circa la metà della popolazione che non ha il diritto di essere rappresentata.

Con questo sistema, prendiamo un elettore che ha votato comunista nel 1968 e i cui candidati non sono stati eletti. Egli vota - supponiamo - per lo stesso P.C. nel 1973. Se i risultati sono differenti da quelli del 1968, ciò non dipenderà da lui poiché egli avrà, nei due casi, dato il suo voto agli stessi candidati. Perché il suo voto sia utile, è necessario che un certo numero di elettori che hanno votato nel 1968 per la maggioranza attuale, se ne distacchino, stanchi e decidano di votare più a sinistra. Ma, intanto, non è affare del nostro uomo farli decidere; e poi, essi sono verosimilmente di un altro ambiente, e lui non li conosce nemmeno. Tutto avviene altrove e altrimenti: con la propaganda dei partiti, con certi organi di stampa. L'elettore del P.C., quanto a lui, non ha che da votare, è tutto quello che gli si chiede: egli voterà ma non parteciperà alle azioni che mirano a modificare il senso del suo voto. E poi, molti di quelli ai quali si potrebbe far cambiare idea sono ostili all'U.D.R. ma visceralmente anticomunisti: essi preferiscono eleggere dei «riformatori» che diventeranno così gli arbitri della situazione. E non è verosimile che questi si schierino con P.S. e P.C.; essi apporteranno la loro forza complementare all'U.D.R. che come loro vuole conservare il regime capitalista. L'alleanza dell'U.D.R. e dei riformatori, questo è il senso oggettivo del voto dell'elettore comunista: che in effetti è necessario perché il P.C. conservi i suoi suffragi e li aumenti, ed è questo aumento che diminuirà il numero degli eletti della maggioranza e li determinerà a gettarsi nelle braccia dei riformatori. Non c'è niente da dire se si accettano le regole di questo gioco da coglioni. Ma, in quanto il nostro elettore è se stesso, cioè in quanto uomo concreto, il risultato che egli avrà ottenuto come Altro identico non lo soddisferà affatto. I suoi interessi di classe e le sue determinazioni individuali coincidono per fargli scegliere una maggioranza di sinistra. Egli avrà contribuito a inviare all'Assemblea una maggioranza di destra e di centro dove il partito più importante sarà ancora l'U.D.R. Così quando quest'uomo metterà la scheda nell'urna, questa riceverà dagli altri un significato altro da quello che egli aveva inteso darle: ritroviamo qui l'azione seriale che abbiamo trovato nel settore pratico-inerte.
Andiamo ancora più in là: poiché io affermo, votando, la mia impotenza istituzionalizzata, la maggioranza in carica non ci pensa due volte a dividere e manipolare il corpo elettorale, avvantaggiando le campagne e le città che «votano bene» a spese delle periferie e dei sobborghi che «votano male». Tanto che perfino la serialità dell'elettorato viene trasformata. Se era perfetta, un voto valeva l'altro. Siamo lontani dal conto: servono centoventimila voti per eleggere un deputato comunista, trentamila per mandare all'Assemblea un U.D.R. Un elettore della maggioranza vale quattro elettori del P.C. Egli vota contro ciò che bisogna chiamare una supermaggioranza, cioè contro una maggioranza che vuole mantenersi in carica con altri mezzi che la serialità pura dei voti.
Perché voterò? Perché mi hanno convinto che il solo atto politico della mia vita consiste nel portare il mio suffragio nell'urna una volta ogni quattro anni? Ma è il contrario di un atto. Io non faccio che rivelare la mia impotenza ed obbedire al potere di un Partito. Inoltre, io dispongo di un voto di valore variabile se obbedisco all'uno o all'altro. Per questa ragione, la maggioranza della futura Assemblea non riposerà che su una coalizione e le decisioni che prenderà saranno dei compromessi che potranno non riflettere affatto i desideri che esprimeva il mio voto. Nel 1959 la maggioranza ha votato per Guy Mollet perché egli pretendeva di fare al più presto la pace in Algeria. Il governo socialista che prese il potere decise di intensificare la guerra: ciò che portò molti elettori a passare dalla serie, che non sa mai per chi vota né per che cosa, al gruppo d'azione clandestina. E' ciò che essi avrebbero dovuto fare molto prima ma, di fatto, fu l'improbabile risultato dei loro voti che denunciò l'impotenza del suffragio universale.

In verità tutto è chiaro se si riflette e si arriva alla conclusione che la democrazia indiretta è una mistificazione. Si pretende che l'Assemblea eletta sia quella che riflette meglio l'opinione pubblica. Ma non c'è opinione pubblica che non sia seriale. L'imbecillità dei mass-media, le dichiarazioni del governo, la maniera parziale o monca in cui i giornali riflettono gli avvenimenti, tutto ciò viene a cercarci nella nostra solitudine seriale e ci zavorra di idee di pietra, fatte di ciò che noi pensiamo che gli altri pensino. Senza dubbio in fondo a noi stessi ci sono esigenze e proteste ma, invece di essere convalidate dagli altri, si annientano in noi lasciando dei «bleus à l'ȃme» e un senso di frustrazione. Così, quando ci chiamano a votare, io, io Altro, ho la testa farcita di idee pietrificate che la stampa e la televisione vi hanno accatastato e sono queste idee seriali che si esprimono col mio voto ma non sono le mie idee. L'insieme delle istituzioni della democrazia borghese mi sdoppia: ci sono io e tutti gli Altri che mi si dice che io sono (Francese, soldato, lavoratore, contribuente, cittadino, ecc.). Questo sdoppiamento ci fa vivere in quella che gli psichiatri chiamano una crisi d'identità perpetua. Insomma chi sono io? Un altro identico a tutti gli altri e abitato da questi pensieri d'impotenza che nascono dovunque e non sono pensieri in nessun posto, o sono me stesso? E chi vota? Io non mi riconosco più.

Tuttavia ci sono quelli che votano come essi dicono, «per cambiare i mascalzoni», il che vuol dire che ai loro occhi il rovesciamento della maggioranza U.D.R. ha priorità assoluta. E io riconosco che sarebbe bello far cadere per terra questi politici bacati. Ma si è riflettuto che per rovesciarli si deve mettere al loro posto un'altra maggioranza che conserva gli stessi principi elettorali?

U.D.R., riformatori e P.C.-P.S. sono concorrenti: questi partiti si mettono su un terreno comune che è la rappresentanza indiretta, il loro potere gerarchico e l'impotenza dei cittadini: in breve, il «sistema borghese». Che il P.C. che si pretende rivoluzionario si sia ridotto, dopo la coesistenza pacifica, a cercare il potere borghesemente accettando l'istituzione del suffragio borghese, dovrebbe far riflettere. È a chi addormenterà meglio i cittadini: l'U.D.R. parla di ordine, di pace sociale, il P.C. tenta di far dimenticare la sua immagine di marca rivoluzionaria. Ci riesce così bene, di questi tempi, con l'aiuto dato dai socialisti, che, se riuscisse a prendere il potere grazie ai nostri voti, respingerebbe sine die la rivoluzione e diventerebbe il più stabile dei partiti elettorali. Ci sono tanti vantaggi a cambiare? In ogni caso, si annegherà la Rivoluzione nelle urne, cosa che non deve stupire, poiché, in ogni caso, sono fatte per questo.

Certi, tuttavia, vogliono essere machiavellici, cioè servirsi dei loro suffragi per ottenere un risultato altro che seriale. Essi sperano, mandando, se possono, una maggioranza P.C.-P.S. alla nuova Assemblea, di costringere Pompidou a gettare la maschera, a sciogliere la Camera, in altri termini a forzarci alla lotta attiva, classe contro classe o piuttosto gruppo contro gruppo, forse alla guerra civile. Che strana idea, di lasciarci serializzarci conformemente ai voti del nemico perché reagisca con la violenza e ci obblighi a costituire dei gruppi. E' un errore. Il machiavellismo ha bisogno di partire da dati certi e di cui si può prevedere l'effetto. Non è questo il caso: non si possono prevedere a colpo sicuro i risultati di un suffragio serializzato: è prevedibile che l'U.D.R. perderà dei seggi e che il P.S.-P.C. e riformatori ne guadagneranno; il resto non è così probabile da definirvi su una tattica. Un solo segno: il sondaggio dell'I.F.O.P. pubblicato da France-Soir il 4 dicembre: 45% a P.C.-P.S., 40% all'U.D.R., 15% ai riformatori. E questa curiosa constatazione: ci sono molti più suffragi per P.C.-P.S. che gente persuasa che questa coalizione vincerà. Dunque ci sarà molta gente - tenuto conto di tutte le incertezze di un sondaggio - che voterà per la sinistra con la certezza che questa non raccoglierà la maggioranza dei suffragi: ancora di questa gente per la quale l'eliminazione dell'U.D.R. è prioritaria ma che non ha tanta voglia di rimpiazzarla con la sinistra. Queste osservazioni danno dunque, nel momento in cui scrivo, 5 gennaio 1973, per probabile una maggioranza U.D.R.-Riformatori. In questo caso, Pompidou non scioglierà l'Assemblea, preferirà mettersi d'accordo con i riformatori: la maggioranza si ammorbidirà un po', ci saranno meno scandali, cioè ci si metterà d'accordo perché siano meno facilmente scoperti, J.-J. S.-S. e Lecanuet entreranno nel governo. E' tutto. Il machiavellismo si ritorcerà dunque contro i piccoli Machiavelli.
Se essi vogliono tornare alla democrazia diretta, quella del popolo in lotta contro il sistema, quella degli uomini concreti contro la serializzazione che li trasforma in cose, perché non cominciare da qui? Votare, non votare è lo stesso. Astenersi, in effetti, è confermare la nuova maggioranza, quale essa sia. Qualunque cosa si faccia a questo proposito, non si sarà fatto niente se non si lotta nello stesso tempo, questo vuol dire fin da oggi, contro il sistema della democrazia indiretta che ci riduce deliberatamente all'impotenza, tentando, ciascuno secondo le sue risorse, di organizzare il vasto movimento antigerarchico che contesta dappertutto le istituzioni.

Jean Paul Sartre

(«Les Temps Modernes», gennaio 1973).

mercoledì 3 giugno 2009

territori



"Vedere attraverso, vedere dentro, comprendere. Questo è sempre in disaccordo con le posizioni altrui; è una controeducazione, un apprendimento negativo che sbilancia tutti ii punti di vista e li spinge ai loro confini, ai limiti, agli estremi.
Lì regna Ermes, e in queste regioni che sono terra di nessuno non può esservi nulla di forestiero, di estraneo. Nulla che sia escluso."

James Hillman

lunedì 1 giugno 2009

Abili alibi condivisi



"Per non esporre qui la cosa che nei suoi termini generali, dirò che mi sono sempre limitato a dare l'impressione vaga di possedere grandi doti intellettuali, e perfino artistiche, di cui avevo preferito privare la mia epoca, che non mi pareva meritare il loro uso."

- Guy Debord - da Panegirico -