"Non il sonno ma l'insonnia della ragione genera mostri"
- Gesualdo Bufalino -
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
domenica 31 marzo 2013
sabato 30 marzo 2013
moderno
Nel 2002, Fredric Jameson pubblica un libro, "Una modernità singolare", nel quale discute la modernità a partire da alcune questioni sollevate, dieci anni prima, da Perry Anderson, nel suo libro "A Zone of Engagement". Anderson - commenta Jameson - propone la Modernità come "un campo di forza triangolato da tre coordinate principali":
a) Convenzionalismo e Accademicismo, nel campo delle Arti (norme di produzione e di condotta).
b) Innovazione tecnologica.
c) Prossimità (immaginata) di una rivoluzione sociale.
Come ha fatto spesso, altre volte, Jameson recupera Balzac, per dar conto di questo campo di forza della Modernità, nel corso del diciannovesimo secolo - sebbene Anderson, invece, citi specialmente Manet, Baudelaire e Flaubert; così Jameson sottolinea la capacità di alcuni autori/opere (Balzac, Flaubert. Stendhal) di riuscire a captare una nuova dinamica non ancora visibile (o, geograficamente rappresentativa) ma che incideva direttamente sulle forma di vita allora nascenti. Ed è, in parte, quest'inquietudine della rottura imminente, a dare enfasi ad alcuni romanzi di questi autori: le contraddizioni della città, il divario tra i desideri dei personaggi e quello che vedono e vivono, la stupidità palese insita nei modi tradizionali di concepire il mondo, la letteratura, l'arte, il sesso, i corpi, ecc.
La Modernità non si risolve con le dicotomie, bensì nella fluidità delle contraddizioni nei casi specifici.
La città è la liberazione dalla mentalità provinciale, ma è anche il terreno delle illusioni, dell'inganno e dell'impotenza - insieme al sesso, che è sia liberatorio e fonte di conoscenza, quanto gioco di potere e assoggettamento. Il finale de "L'educazione sentimentale" di Flaubert rimane paradigmatico: nell'immagine dei due amici che si recano al postribolo, si condensa il sesso, la politica, la rivoluzione, la mappa della città e la temporizzazione delle aspettative e dei desideri. Dopo tutto, stanno solo ripetendo una scena precedente, ma la ripetizione della scena annuncia la ripetizione della Storia. La sua irreversibilità, la matrice autofagica della nostra concezione del tempo.
venerdì 29 marzo 2013
Liturgie
Il frammento che segue, è tratto da un pezzo, apparso sul manifesto, in cui Luciano Canfora recensisce "La politica nel mondo antico" di Moses Finley, pubblicato da Laterza nel 1985. Come potete leggere, si parla, fra le altre cose, di reddito di cittadinanza ...
" (...) Un punto cruciale è perciò, nella sua analisi, il concreto esplicarsi del potere popolare nella città democratica per eccellenza: la questione del salario assicurato a tutti dallo Stato e delle spese di utilità sociale imposte ai ricchi (che con parola greca, poi passata a significare altro, si chiamano liturgie). Finley combatte con efficace e brillante ricorso a documentazione recente e decisiva la agnostica tesi di Paul Veyne secondo cui il sistema delle liturgie non aveva implicazioni politiche. Le spese di utilità sociale — dimostra Finley — sono imposte dal demo per la soddisfazione di suoi precisi bisogni, ma sono anche di buon grado praticate dai possidenti, che proprio per questa via, accettando il sistema, di fatto se ne pongono alla testa.
Arthur Rosenberg — in uno splendido saggio scritto nel 1920 per le scuole operaie di Berlino (Democrazia e lotta di classe nell'Antichità: ora leggibile in traduzione italiana presso «La Memoria» di Sellerio, nel volume Il comunista senza partito) — aveva coniato una efficace immagine per descrivere questo fenomeno: il popolo mungeva i ricchi «come si fa con una mucca»; in questo modo, utilizzandoli e non espropriandoli, esercitava una «dittatura proletaria», il cui contrassegno moderno era il salario garantito dallo Stato (che — soggiungeva Rosenberg — trovò concreta applicazione nei mesi della Comune parigina del 1871). La prospettiva di Finley è però diversa. Mentre Rosenberg accentua l'originale forma di dittatura proletaria che venne a determinarsi, Finley vede il fenomeno soprattutto dal punto di vista di quella che chiama «la classe liturgica» e riconduce per certi versi il fenomeno sotto la categoria generale del «patronato» e della clientela (...).
- Luciano Canfora -
scarpe
Atheist Shoes (Scarpe Atee), è un'azienda, con sede in Germania, che produce scarpe, come quelle che si vedono nella foto sopra, "per persone che non credono in dio/dei". Queste scarpe vengono spedite anche negli Stati Uniti, fra gli altri paesi. Le spedizioni vengono effettuate facendo uso di scatole sigillate con un nastro adesivo che reca stampato il logo aziendale, un nastro come quello che si può vedere sotto.
Sembra che - spiega l'azienda sul suo sito web - che le scarpe spedite negli Stati Uniti ci mettano un po' troppo tempo, ad essere recapitate; quando, addirittura, non scompaiono. "Quando alcuni dei nostri clienti ci hanno chiesto di non usare il nastro con il marchio "ATHEIST", abbiamo cominciato a chiederci se i ritardi fossero causati dal Servizio Postale degli Stati Uniti, che si riteneva offeso dalla nostra palese empietà".
Allora, l'azienda ha deciso di effettuare un esperimento, spedendo 178 pacchi ad 89 persone, in 49 diversi Stati americani. Tutti i pacchi sono stati spediti da Berlino, nello stesso giorno, ed a ciascuna persona sono stati inviati due pacchi. Il primo dei due, era sigillato con il nastro adesivo "ATHEIST"; mentre il secondo, con un nastro adesivo del tutto anonimo. Il risultato è stato che i "pacchi atei" ci hanno messo, ad arrivare, dieci volte il tempo che ci hanno messo i pacchi anonimi!
fonte: http://io9.com
giovedì 28 marzo 2013
Tutte le isole han trovato. Tranne una!
Aprositus, l'inaccessibile. Così, pare l'avessero chiamata i romani, l'isola vagante nell'atlantico. Poi, Antilia, il nome che le diedero i portoghesi, prima che divenisse, ufficialmente l'isola di San Borondon, dal nome di Brendan from Clonfert, monaco irlandese che un bel giorno della sua vita (480-576) decide di imbarcarsi, insieme ad altri 14 monaci, alla ricerca del paradiso terrestre. E, a quanto pare, dopo 40 giorni di navigazione, lo trova!
Da qualche parte, ad ovest delle Canarie, al largo dell’isola di El Hierro.
Leggenda o no, gli abitanti delle Canarie, per tutti questi secoli hanno continuato a credere fermamente nella sua esistenza, e continuano ad esserci dettagliati rapporti, da parte di marinai che hanno tentato di avvicinarsi all'isola, che ne hanno visto le coste, le montagne e le valli, prima che tornasse a sparire, inghiottita dalla nebbia. Qualcuno asserisce perfino di essere riuscito a sbarcarvi, per breve tempo.
Ad ogni modo, i trattati internazionali continuano a recare traccia della clausola apposta dal Regno di Castiglia, e risalente alla conquista delle Canarie, che parla di sovranità sopra "le isole Canarie, già scoperte o ancora da scoprire ... ": ché non si sa mai!
Comunque, ancora nel 1958, la rivista ABC pubblicava a pagina 6 del numero del dieci agosto un articolo con una fotografia dell'isola vagante.
Poi, naturalmente, nel 2004, precisamente il 22 settembre, un aereo di linea della compagnia australiana Oceanic Airlines ...
PaneAmaro
All’inizio del Novecento arriva a New York l’ondata più numerosa di immigrati italiani. Nel 1906 sbarca ad Ellis Island una media di 980 italiani al giorno. Il totale per quell’anno tocca un record che non verrà mai superato: 358 mila. In quella grande ondata d’immigrazione appena finita, è arrivata dall’Italia anche una vasta gamma di militanti politici rivoluzionari.
“Il 16 settembre 1920, un minuto dopo mezzogiorno, mentre migliaia di impiegati escono dagli uffici per andare a pranzo, una bomba esplode al centro di Wall Street. Trentanove persone vengono uccise e centinaia rimangono ferite. E’ il più sanguinoso attentato terroristico nella storia della città di New York dopo l’attacco alle torri gemelle dell’ 11 settembre 2001. Ne è responsabile un gruppo clandestino di anarchici italiani in America”.
“Pane amaro” esplora i retroscena di quell’attentato e il legame fra chi mise la bomba e la vicenda di Sacco e Vanzetti. E’ un racconto con aspetti poco conosciuti, che lega una lunga serie di episodi di violenza politica alla storia della vasta comunità anarchica italiana della città di Paterson in New Jersey. Paterson era il centro dell’industria tessile americana dove oltre 25 mila operai lavoravano in condizioni particolarmente dure. Da Paterson era partito Gaetano Bresci, che aveva ucciso il re d’Italia Umberto I e gli anarchici che avrebbero assassinato il presidente degli Stati Uniti McKinley e numerosi leader europei.
Questo ed altro. è "Pane Amaro", di Gianfranco Norelli, un documentario che racconta l'avvincente epopea degli italiani d’America attraverso un ricco intreccio di rari filmati, foto d’epoca, documenti originali e interviste con storici e italoamericani la cui vita e’ stata profondamente influenzata dagli eventi narrati.
mercoledì 27 marzo 2013
il profumo del gelsomino
E' il 1897, quando a Storyville, quartiere a luci rosse di New Orleans, si legalizza la prostituzione che diventa la seconda industria della città, dopo il traffico portuale. Ma New Orleans ha un sistema fognario insufficiente e i vicoli, illuminati dalle fioche lampade a gas, la sera diventano un crogiolo di persone e di odori. La città si trova sotto il livello del mare e quando piove si allaga, e non è proprio una fragranza gradevole, quella che la pervade.
Così, nel tentativo di contrastarne la puzza paludosa, e con l'intento di accaparrarsi il maggior numero di clienti possibile, le prostitute cominciano ad usare un profumo di gelsomino (jazmin). Non fu una cattiva idea!
Cominciarono ad essere chiamate "jass-belles", loro, le puttane, e di quelli che uscivano dai bordelli, impregnati di quel profumo, si diceva che erano "jassed". Era, l'aggettivo, una sorta di sinonimo di "sexy"; ed anche ai musicisti che suonavano da quelle parti, si cominciò a chiedere di suonare in stile jassed. Uno stile che potesse muovere a ballare.
Se in città c'era un prepotente, be', allora questo era Jelly Roll Morton, l'uomo che si vantava di avere inventato il jazz. Suonava nei bordelli, e si dice che guardasse attraverso gli spioncini per vedere come si spogliavano le Jesse-bells al ritmo di come picchiava sui tasti del pianoforte. Un altro che non si tirava indietro, era Buddy Bolden, vero e proprio pioniere del jazz e bevitore famigerato. Chiedeva ai musicisti della sua banda - quando suonavano al Nancy Hank's Saloon - un tocco morbido, perché voleva riuscire a sentire "le puttane che strisciavano sul pavimento".
La maggior parte dei protettori erano anche musicisti e giocatori che, nei periodi di magra, andavano in questi tuguri per cercare di fare qualche soldo. Le serate andavano avanti per tutta la notte, e arrivavano pianisti da tutte le regioni del sud. Era difficile che non si lasciassero sedurre dal profumo di gelsomino. La musica era legata al sesso e al gioco d'azzardo. Alle porte dei bordelli, si annunciava su manifesti, a grandi caratteri, "Jass Music", con lo scopo di richiamare i passanti. Ma New Orleans era piena di teppistelli che si divertivano a cancellare la lettera J dai cartelli, di modo che si potesse leggere "ass music"; musica del culo. I proprietari si trovarono praticamente obbligati ... ad "inventare" il Jazz!
martedì 26 marzo 2013
Banda di Fratelli
25 ottobre 1415, Campo di Agincourt; in un mondo che Shakespeare riuscì a descrivere in tutta la sua realtà. Ottomila inglesi, cenciosi, con il morale a terra, squassati dalla dissenteria, sono riusciti a percorrere ad una velocità impressionante i 150 chilometri che separano Harfleur, caduta dopo settimane di assedio, dal luogo in cui adesso si trovano. Sono davanti al Somme; dall'altra parte li aspettano i francesi, riposati e pronti a combattere. Sono almeno il doppio, qualcuno dirà che erano sei volte gli inglesi! Lo scontro è inevitabile, a questo punto. Enrico V, si aggira, in incognito, fra le sue truppe scoraggiate. Ha messo tutto in gioco, compreso sé stesso, per far valere la sua pretesa al trono di Francia. E' disorientato e confuso, e soffre a vedere quella desolazione fra i suoi uomini. Non sa come farà, ma troverà la forza. La tirerà fuori quella forza, e la metterà tutta dentro un discorso. Un discorso ai suoi uomini, e da quel discorso i suoi uomini trarranno la calma e l'eccitazione che serve. Il discorso di San Crispino.
Chi è mai che desidera questo?
Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino.
Se è destino che si muoia, siamo già abbastanza, di cui privare il nostro paese
E se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di onore.
In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più.
Piuttosto proclamalo, Westmoreland, a tutto l'esercito
Che chi non ha lo stomaco per questa battaglia
Venga lasciato partire. Gli sia dato un lasciapassare,
E soldi, nella sua borsa, per il viaggio
Non vogliamo morire in compagnia di uomini
Che temono di accompagnarsi nella morte con noi
Questo giorno viene chiamato la festa di Crispino.
Chi sopravvivrà in questo giorno e tornerà a casa salvo
Si alzerà in punta di piedi, sentendo nominare questo giorno,
per farsi più alto, al nome di Crispino.
Chi vedrà questo giorno, e arriverà alla vecchiaia,
Ogni anno, alla vigilia, festeggerà con i suoi vicini
e dirà, "Domani è San Crispino".
Poi si tirerà su le maniche e mostrerà le cicatrici,
e dirà, "Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino".
I vecchi dimenticano; tutto viene dimenticato
Ma si ricorderà con fierezza
Quali gesta ha compiuto quel giorno. Allora i nostri nomi
suoneranno familiari nella sua bocca, come parole domestiche,
Enrico il Re, Bedford ed Exetr,
Warvick e Talbot, Salisbury e Gloucester,
saranno ricordati nei brindisi.
Ogni brav'uomo insegnerà questa storia al figlio,
E il giorno di Crispino non passerà mai,
da ora fino alla fine del mondo,
senza che noi non veniamo ricordati.
Noi pochi, noi pochi felici, noi banda di fratelli;
Perché chi oggi verserà il suo sangue insieme a me
Sarà mio fratello; per quanto umile sia,
Questo giorno la sua condizione si innalzerà;
e i gentiluomini che sono adesso a letto in Inghilterra
Malediranno sé stessi per non essere stati qui,
con il loro coraggio da quattro soldi, a sentire tutti parlare
Di chi ha combattuto con noi il giorno di San Crispino.
lunedì 25 marzo 2013
La paura e la birra
Durante la rivoluzione del 25 gennaio 2011, gli egiziani dicevano che il risultato principale della rivoluzione è stato quello di non aver più paura. Due anni e due mesi dopo, sotto il regime militare del CSFA, o quello dei Fratelli musulmani ed i loro alleati salafiti e jiadisti, malgrado l'uso regolare, da parte delle forze di polizia, di pallottole vere contro i manifestanti pacifici, che hanno fatto migliaia di feriti e centinaia di morti, malgrado le innumerevoli condanne alla prigione, malgrado i tribunali militari per i civili, le violenze delle milizie islamiche, le detenzioni illegali, la tortura anche nei confronti dei bambini,i centri di detenzione illegali dove si dà mano libera al sadismo dei torturatori, l'obbligo ai test di verginità nei confronti delle manifestanti, i loro frequenti stupri, malgrado gli arresti arbitrari, le menzogne, la fabbricazione di prove, i falsi esami medici, le varie leggi che restringono o proibiscono scioperi e manifestazioni, malgrado la legge marziale ed il coprifuoco, malgrado i carri armati nelle strade, davanti alle scuole e alle fabbriche, malgrado le minacce dei capi religiosi musulmani o cristiani nei confronti dei manifestanti che finiranno a bruciare all'inferno, malgrado gli appelli alla calma e alle manifestazioni pacifiche da parte dell'opposizione laica del FSN, malgrado la denuncia, da parte loro, dei manifestanti che si difendono come possono di fronte alla violenza istituzionale, malgrado i suoi progetti attuali di governare insieme ai salafiti e ai Fratelli musulmani, malgrado tutto questo, la violenza poliziesca del regime non fa più rientrare la gente, terrorizzata,a casa, ma, al contrario, li fa scendere in strada, ancora più numerosi, ancora più arrabbiati, ancora più determinati e coscienti.
Al punto che lo sport nazionale sta diventando l'incendio delle prefetture, dei commissariati, delle auto della polizia e di tutti gli edifici appartenenti alla polizia, ma anche ai Fratelli musulmani ed al loro partito, insieme al blocco delle strade e delle vie ferroviarie. E non si tratta solo del passatempo dei giovani militanti rivoluzionari, nelle grandi città, ma anche di quello di tutto un popolo perfino nel più piccolo villaggio del paese. Questo ora che - lo si è visto soprattutto nei mesi di febbraio e marzo 2013 -la paura ha cambiato di campo: i poliziotti e gli islamisti hanno paura e tutto il mondo lo può vedere. Fino a poco tempo fa, anche dopo la rivoluzione, contro le violenze dello stato o degli islamisti, si piegava la schiena, si sperava al più in un'inchiesta e si protestava pacificamente nella strada. La polizia usava la violenza contro queste manifestazioni ed ha ricominciato. Solo una minoranza osava alzare la testa e rispondere. La stampa, sempre più spesso, era d'accordo a denunciare la stanchezza del popolo egiziano che non avrebbe più sopportato le violenze esagerate dei suoi giovani rivoluzionari! Oggi, questo stato d'animo è ampiamente superato ed è tutto un popolo che esprime "sangue per sangue" e giustizia popolare diretta.
I poliziotti, umiliati, spaventati, incerti circa il loro avvenire, sotto gli ordini dei Fratelli musulmani di cui ieri erano a caccia, si sanno odiati da un popolo che non ha più paura di loro, riempiono gli ospedali psichiatrici o entrano in sciopero come a marzo, messi di fronte alle scelte dettate da una logica infernale: continuare ad uccidere e torturare sempre di più; arrendersi, sventolando una bandiera bianca, come si è visto fare a certi poliziotti, a Port Said in febbraio; o fare ancora pressione sul governo, come hanno fatto a marzo, domandando le dimissioni del ministro dell'interno ed un'altra politica sociale che non faccia più di loro i capri espiatori della collera popolare. In ogni caso, lo stato di polizia è in bancarotta.
Lo stesso vale per gli islamisti. Si vedono al Cairo dei taxi con la scritta "VIETATO AI FRATELLI MUSULMANI", i predicatori nelle moschee denunciano gli islamisti che sono dei falsi musulmani, i credenti nelle moschee cantano "A morte M.Badie" (Badie, il dirigente dei Fratelli musulmani), i manifestanti bruciano le bandiere del Qatar, delle donne hanno linciato dei salafiti che tentavano di molestarle, ancora delle donne hanno sfilato armate di coltelli da cucina minacciando tutti i molestatori, soprattutto islamisti, sempre delle donne si denudano davanti agli schermi di Internet, proclamando la libera disposizione dei propri corpi contro ogni religione, dei giovani conferenzieri di 18 anni fanno delle conferenze molto seguite sull'ateismo, dentro le moschee, centinaia di migliaia di manifestanti scandiscono slogan che identificano islamismo e fascismo.
La "Battaglia della collina" è stata la parte visibile di questo terremoto mentale. La religione di obbedienza saudita, concepita come una polizia dello spirito, è diventata insopportabile quanto lo stesso stato di polizia. Questo islam, imposto al popolo dai regimi militari di Sadat e Moubarak da tutta una serie di pressioni alle famiglie che mettevano il velo alle proprie figlie, e poi con i Fratelli musulmani, in un quadro di divisione dei poteri, dei sindacati professionali e della pubblica carità, ora tutta questa prigione mentale si disgrega.
Un aneddoto rivelatore: all'Università Al Ahzar del Cairo, prestigioso epicentro medio-orientale del conservatorismo religioso dominato dai Fratelli musulmani e dai Salafiti, dove le risate e la musica non sono ben visti, uno studente con la chitarra - come si immagina un hippie degli anni'60 - ha cominciato a suonare ed attorno a lui tutti quanti si sono messi a cantare, mentre in questo tempio della spiritualità e della misoginia c'è un movimento di sciopero che dura da più di una settimana ... per il miglioramento dei pasti, dei dormitori e per un maggior rispetto delle donne. Nell'Università britannica del Cairo, dove gli studi commerciali assumono per pochi soldi, gli studenti sono entrati in sciopero, chiedendo le dimissioni del direttore ed esigendo che si smetta di fare l'apologia del profitto all'interno degli studi. Il santo Corano o il santo Capitale ... tutti scappano!
Con la disgregazione della polizia e dell'autorità dei Fratelli musulmani e degli altri islamisti, è l'autorità stessa dello Stato che si disgrega, aprendo la porta alla democrazia diretta, come sperano alcuni, o al caos, come temono altri. Secondo Hani Shukrallah, uno degli editorialisti più letti del paese, l'Egitto è entrato in una nuova traiettoria storica, dello stesso tipo di quella che seguì alla disfatta di Napoleone sotto le piramidi, per Mohamed Ali, o dello stesso tipo di quella che seguì all'indipendenza, con Nasser. Con la disgregazione dell'autorità dello stato e della religione, l'emergere delle milizie islamiste, si può certo temere la possibilità di un'evoluzione di tipo somala, ma egli crede piuttosto a quell'Egitto dalla cultura multi-millenaria e ad una sorta di democrazia diretta dove il popolo prende più pienamente in mano il suo futuro.
Abbiamo visto, a febbraio e marzo, a Mahalla el Kubra o a Kafr el Sheikh, ma anche in certi villaggi, i tentativi da parte dei manifestanti di prendere in mano l'autorità municipale. Sembra che queste esperienze siano state più simboliche e momentanee, che reali e durevoli. Lo stesso è successo con la Polizia del Popolo a Port Said e con le sue prigioni per islamisti. Ma la strada è tracciata. Sicuramente, l'opposizione laica raggruppata nel FSN, dai liberali a certi facebookers trotskisti , si oppone con tutte le sue forze a questa democrazia diretta che assimilano al caos, mentre continuano a giurare sullo stato e sulle elezioni, anche se tutti gli egiziani hanno potuto verificare, con l'esperienza, che le elezioni non hanno niente di democratico e che improvvisamente la partecipazione alle elezioni è crollata.
Ma è quello che si è visto, soprattutto nella "battaglia delle colline", come si era già visto un poco nelle manifestazioni del dicembre 2012 e gennaio 2013, e che, come ha scritto un blogger (Bigpharaoh) , non avevamo più a che fare con "protestatari chic e con i facebookers di Heliopolis (quartiere chic del Cairo). Il quartiere di Moqattam, dove si trova la sede dei Fratelli musulmani, si è trovato circondato dai quartieri popolari e dalle bidonville, l'opposizione raffinata del FSN non è riuscita a controllare la rabbia della classe operaia ... Uno dei candidati socialisti di estrema sinistra alle presidenziali si è ritrovato con un braccio rotto dai manifestanti quando ha cercato di proteggere dei Fratelli musulmani, erano emerse delle milizie popolari di auto-difesa fra cui, la più mediatica fra di esse, i Black Bloc egiziani (...) Come ad Alessandria, dove quelli che avevano saccheggiato la sede dei Fratelli musulmani provenivano sempre dai quartieri popolari, e ne avevano abbastanza di vedere i Fratelli musulmani ed i Salafiti controllare la distribuzione del pane e del gas. (...) Questo è l'inizio di una rivoluzione della fame."
L'Egitto sta conoscendo, in effetti, una grave crisi del gas in bombola, del gasolio e del pane, tutti generi che stanno alla base della vita delle classi popolari. L'Egitto importa il 60% del suo gasolio e ne sovvenziona il suo costo, per due terzi, con il prezzo al consumo, sono circa 55 miliardi di lire egiziane ogni anno. Ora le riserve in dollari dello stato egiziano si sono prosciugate e non si trova più nelle condizioni di poter pagare l'importazione di gasolio. In cambio del suo aiuto, l'FMI ha chiesto un'ulteriore liberalizzazione dell'economia egiziana (in parte ancora dominata dallo Stato e, soprattutto, dall'esercito) e dei tagli drastici alle sovvenzioni per i prodotti di prima necessità. Per adesso, lo Stato, prima di abbassare le sovvenzioni, ha aumentato le tasso ed ha diminuito la distribuzione delle bombole di gas e del gasolio, provocando una grave penuria ed un innalzamento selvaggio dei prezzi al mercato nero.
A volte, occorre fare la fila per ore ed ore, se non una giornata intere, per fare il pieno di gasolio sovvenzionato. Molti camionisti, autisti di autobus e microbus, contadini con il trattore, non riescono più a trovare il carburante necessario per il loro lavoro. Il mercato nero si sviluppa sempre più. Qualcuno pensa che gli alti funzionari e le stazioni di servizio rubino, questi ultimi ricevendo, e rivendendo al mercato nero, più di quello che mettono in vendita a prezzo sovvenzionato. Le conseguenze sono dei significativi aumenti dei prezzi che investono tutti gli altri prodotti. Frutta e legumi, per esempio, il cui prezzo si è visto sovente moltiplicarsi in poco tempo per due o per tre. Ma ci sono anche i bus scolastici che fanno gasolio e non riescono ad assicurare il trasporto degli studenti, molti dei quali non riescono ad andare a scuola, soprattutto nei piccoli villaggi, ponendo numerosi problemi ai genitori. Nel mentre si avvicina il periodo degli esami, durante il quale 18 milioni di studenti hanno bisogno di spostarsi, nel paese.
I maggiori problemi derivano dalle interruzioni di elettricità, dovute al fatto che le centrali viaggiano a gasolio. Il ministero del petrolio ha già minacciato il ministero dell'elettricità di voler cessare di rifornire quest'ultimo di gasolio, se non paga più di 50 miliardi di debito. L'estate scorsa era già stata caratterizzata da delle significative interruzioni di corrente elettrica nei quartieri popolari (non in quelli ricchi), in un momento in cui le temperature arrivano a dei livelli altissimi e c'è pertanto bisogno di refrigeratori e climatizzatori. Questo aveva provocato, per tutta l'estate delle sommosse popolari e il rifiuto di pagare le bollette. Ora, già nelle ultime settimane, ci sono state di nuovo delle interruzioni di elettricità.
Ma il più grande di tutti i problemi è quello dei fornai e del pane. In effetti, i panifici pubblici, che producono e vendono il pane sovvenzionato, base dell'alimentazione dei più poveri, non hanno ricevuto la loro quota di gasolio sovvenzionato, cosa che ha già provocato penuria. Ma si teme soprattutto quello che il governo ha già annunciato: tessere di razionamento del pane sovvenzionato nel giro di due mesi, a partire da Port Said. Così, il ministero dell'alimentazione è stato saccheggiato per la seconda volta, la settimana scorsa, e ci sono state decine di piccole insurrezioni, blocchi stradali e ferroviari, assalti alle stazioni di servizio, che si sono succeduti nella stessa settimana, in tutto il paese, da sud a nord, per esigere il gasolio sovvenzionato.
A tutto questo, si aggiungono gli aumenti multipli delle tasse che hanno già alimentato la rabbia popolare nel dicembre 2012, davanti alla quale il governo ha fatto marcia indietro. Ma adesso tornano alla carica sotto la pressione del FMI. E' stato annunciato per questo mese un innalzamento delle tasse del 200% sulla birra, e del 100-150% sul vino. E, naturalmente, la cosa è stata spiegata con dei motivi religiosi. Lunedì scorso, il ministro dell'aviazione ha annunciato che verrà proibito la vendita di alcol, nei negozi duty-free degli aeroporti. Il governo, da parte sua, ha annunciato che le licenze per la vendita di alcolici non verranno più rinnovate facilmente, e che ne sarà proibita la consumazione nei quartieri della periferia del Cairo. E già dal 6 ottobre, nella città del Cairo non si trova più, un solo negozio autorizzato alla vendita di alcolici che venda le birre locali (Sakara, Meister, Rex, Stella) e quelle straniere.
Ma l'Egitto non è per niente fondamentalista, ci sono decine di milioni di egiziani che bevono, soprattutto birra. Anche gli integralisti, islamici o copti, bevono segretamente, e anche no. Questo ha fatto sì che le distillerie e i fabbricanti di alcol, più o meno clandestini, imprese familiari o anche più grandi, si moltiplicassero. Questo non c'entra niente col rifiuto dell'islamismo rigoroso dei Fratelli musulmani, o dei salafiti e con l'incendio ed il saccheggio dello loro sedi. Dopo tutto, la rivoluzione francese è cominciata con le proteste e le sommosse, alle porte di Parigi, contro le tasse supplementari che si volevano imporre sul vino. Ed Engels ha descritto, ai suoi tempi, le sommosse della birra di Baviera.
In ogni caso, gli egiziani sanno che il governo non potrà più imporsi con la sua polizia della morale e della mente. Il fallimento totale del coprifuoco che ha voluto imporre in febbraio nelle città del canale di Suez, mostra che la sua perdita di autorità non fa altro che spingere sempre di più il popolo egiziano contro tutti i fondamentalismi, e verso quella che viene chiamata "la disobbedienza civile", e che invece dovrebbe essere chiamata "sciopero generale", dal momento che il rifiuto di pagare le tasse, le imposte e le bollette elettriche, il rifiuto di obbedire alle autorità statali si mescola al rifiuto di obbedire ai padroni, per mezzo di scioperi multipli che coinvolgono operai, impiegati, studenti, giornalisti, insegnanti, avvocati, medici, negozianti e artigiani, nella ricerca della loro propria amministrazione diretta.
Lo spostamento del nucleo centrale della rivoluzione, dalle questioni politiche verso le questioni economiche, la gestione progressiva della rivoluzione da parte dei più poveri non è altro che la trasformazione progressiva della rivoluzione democratica in rivoluzione sociale, la ricerca, non solo di una democrazia politica diretta, ma anche di una democrazia economica, la rimessa in discussione della proprietà.
La rivoluzione egiziana è appena cominciata.
Jacques Chastaing, le 25 mars 2013
fonte: http://juralib.noblogs.org
anonimi
La disindividualizzazione (termine difficile a pronunciarsi!) è un processo psicologico che si è cominciato a studiare, alla fine del 19° secolo, da parte di Gustave LeBon, e poi indagato, nel 20°, da Leon Festinger, Stanley Milgram e, soprattutto, da Philip Zimbardo. Significa, essenzialmente, la perdita dell'identità; l'essere umano disindividualizzato scompare dentro sé stesso. Le conseguenze possono variare, e si va da uno stato di pre-coscienza, o di iper-coscienza, fino alla sparizione del senso di responsabilità relativo ai propri atti. Parimenti, l'assenza dell'Io può anche essere uno stato che si consegue volutamente, attraverso la meditazione, per esempio, oppure un effetto inconscio causato da un'esperienza. A tal fine, l'esperienza dell'anonimato è la più significativa.
Dapprima, la disindividualizzazione venne considerata come una conseguenza dell'appartenenza ad un gruppo; tanto più grande è il gruppo, tanto più grandi sono i comportamenti disindividualizzati. La dissoluzione dell'identità dentro la massa provoca, fra gli altri fenomeni, una perdita graduale della capacità di auto-valutazione e delle inibizioni, e allo stesso tempo un aumento dei comportamenti anti-normativi, antisociali e, perfino, sociopatici. L'essere umano deindividualizzato non solo perde la sua coscienza in quanto persona ma, a volte, arriva a considerare i suoi compagni negli stessi termini: sottrae loro umanità, li "cosifica" (lo so, lo so che si dice “reifica”!).
Nel 1971, Zimbardo condusse il suo famoso "Esperimento del Carcere di Stanford", nel quale 24 giovani universitari, tutti di classe media e di razza bianca, vennero selezionati per realizzare una simulazione delle condizioni di vita di una prigione. Per mezzo del lancio di una moneta, e senza stabilire nessuna differenza oggettiva, vennero divisi in due metà: guardiani e prigionieri. I guardiani potevano tornare a casa la sera, mentre i prigionieri dovevano rimanere nel seminterrato dell'Università di Stanford, dove aveva luogo l'esperimento, per i quattordici giorni e le quattordici notti di durata del test. Anche se tutti i partecipanti erano volontari, venivano pagati per la loro partecipazione ed avevano dovuto passare un esame psicologico mediante il quale erano stati considerati stabili ed in salute. Presto, i prigionieri cominciarono a mostrare una serie di comportamenti spersonalizzati che, in alcuni casi, diedero luogo a quelli che erano classificabili come "disturbi emotivi". Cosa ancora più notevole, i guardiani, armati di manganelli e vestiti con uniformi d'ispirazione militare, in opposizione ai pigiami bianchi dei prigionieri, svilupparono comportamenti violenti e sadici che, al di fuori dell'ambiente sperimentale, non avevano mai mostrato. E, non dimeno, tali comportamenti vennero accettati dai prigionieri. Dopo sei giorni, rendendosi conto che la situazione era diventata incontrollabile, Zimardo pose fine all'esperimento.
I comportamenti aggressivi, o sociopatici, di disindividualizzazione sembravano essere conseguenza dell'anonimato che derivava dall'appartenenza ad un gruppo; ad esempio, un linciaggio, o l'appartenenza ad un esercito. Nel caso di Stanford, Zimbardo affermò che i partecipanti erano diventati anonimi nell'appartenenza al "gruppo umano più grande possibile: il Sistema".
Tuttavia, l'anonimato è il risultato di una situazione. Può essere anche un atto deliberato, per esempio per accedere ad un successo collettivo, senza personalizzarlo, oppure, come nel caso di Stephen King e del suo pseudonimo Richard Bachman, per vedere se il successo di un prodotto sia dovuto alla sua qualità intrinseca o alla firma (le vendite dei libri di Bachman si moltiplicarono quando si seppe che il vero autore era King!). Allo stesso modo, l'anonimato può essere l'unica scelta quando c'è di mezzo la paura, come avviene per un testimone protetto o per un informatore; oppure, quando vengono rilasciate delle opinioni che non si vuole siano ricondotte al proprio nome, alla propria persona. Ecco, quando l'unico obiettivo è la polemica insita in tali opinioni, quando cerchiamo di renderle più violente, più irritanti e più amorali possibile, mentre però, al contrario, ci vergogniamo di esse e abbiamo paura di far sapere che siamo noi, i responsabili, quando non siamo disposti ad assumercene le conseguenze, allora, la disindividualizzazione come l'anonimato non sono più risultati, bensì obiettivi.
Se mettiamo insieme la paura, il comportamento disindividualizzato e "cosificante", e le possibilità offerte da Internet, per nascondere qualsiasi comportamento dietro una maschera sconosciuta, ecco che abbiamo il famoso "troll" di Internet.
Era il 2007, quando, per la prima volta, Michael Brutsch entrò su reddit con il nickname di "violentacrez" che aveva preso da un blog che frequentava, e cominciò a scrivere. A differenza di altri forum, dove l'anonimato è reale e praticamente obbligatorio, su reddit gli utenti non sono realmente anonimi, e l'assunzione di uno pseudonimo costituisce una sorta di personalizzazione. Dapprima, violentacrez si comportò come un troll abituale: dava risposte aggressive, insulti, provocava e si eccitava a ricevere risposte ugualmente offensive. Ben presto imparò a sbarazzarsi degli elementi accessori e concretizzò i suoi interventi riducendoli all'essenziale: puri insulti ed immagini sgradevoli. Cominciò ad aprire sub-forum con nomi auto-esplicativi, come "Hitler", "America giudea", "Strangola una cagna", "Incesto", "misoginia"; in questi forum lanciava messaggi a favore della violenza e del razzismo e pubblicava foto di donne maltrattate, lodando tali comportamenti. Reddit, però, non è un forum dedicato alle polemiche, è un super-forum, una sorta di microcosmo della società digitale, vi si pubblicano articoli scientifici, link a notizie, ecc. I messaggi di violentacrez, e i sub-forum che apriva, irritavano gli altri frequentatori, provocando così una spirale di risposte, contro-risposte e denunce agli amministratori, generando un'enorme quantità di traffico. La pagina principale di reddit è la pagina principale di Internet. Nel 2012, reddit ha ospitato interviste a personaggi come Woody Harrelson e perfino a Barack Obama, e la rivista Forbes lo ha menzionato come una delle risorse più influenti della Rete.
Com'è possibile che un sito del genere permettesse contenuti come quelli che pubblicava violentacrez? Tra le ragioni c'era anche quella che Brutsch si era offerto, volontariamente e gratuitamente, di moderare i sub-forum più delicati, a cominciare dai suoi; scaricando così una gran quantità di lavoro agli amministratori del sito. Brutsch è arrivato a moderare più di 400 sub-forum. Ad esempio, nel 2011, la seconda risorsa più trafficata di tutta Internet, è stato il subforum Jailbait, su reddit. Qui, violentacrez pubblicava, ed incoraggiava gli altri utenti a pubblicare, foto erotiche di minorenni in pose lascive. Come moderatore, poi, si incaricava di eliminare tutte quelle fotografie che potevano essere pedo-pornografiche, preoccupandosi del fatto che le ragazze che apparivano nelle immagini avessero più di 15-16 anni di età, mantenendosi così all'interno della legalità statunitense. Indicato dalla rivista "Tke Daily Dot" come l'utente più influente di reddit, violentacrez aveva praticamente carta bianca. Si vantava della sua fama e faceva quello che voleva. Aprì un nuovo subforum, "Creepshots", con foto di donne anonime, questa volta adulte, scattate senza consenso in luoghi pubblici.
Se aveva ragione Sigmund Freud, quando disse che "Il primo essere umano che ha insultato il suo nemico, invece di scagliargli contro una pietra, ha fondato la civiltà.", allora violentacrez era diventato il civilizzatore più incivile dell'intera storia di Internet!
Ma c'era un problema; la persona Brutsch cominciava ad essere invidiosa dello pseudonimo violentacrez. Vilentacrez era sulla cresta dell'onda e Brutsch non voleva essergli secondo. Mise a punto un proprio simbolo (la versione zombificata del proprio logo come violentacrez) e se lo stampò su una maglietta che indossava orgogliosamente ogni volta che si riuniva con altri utenti della Rete, negli incontri che avvenivano regolarmente. Lì, Brutsch teneva un comportamento gradevole e cordiale , commentava argutamente i contenuti della pagina su cui si ritrovavano. Era amabile, divertente ed acuto. Stava al centro dell'attenzione.
E fu questo paradosso dell'ego deindividualizzato che permise ad Adrian Chen di scoprire la vera identità di violentacrez. Il 10 ottobre del 2012. Brutsch ricevette una telefonata nell'officina, in Texas, dove lavorava. Chen gli disse che sapeva che lui era violentacrez e che avrebbe rivelato la sua identità. L'uomo crollò. Supplicò Chen di non farlo, che aveva un mutuo da pagare, una moglie disabile; che se lo avesse incontrato per strada lo avrebbe massacrato di botte; che se fossero venuto a saperlo i suoi capi lo avrebbero licenziato; che era un ex-militare; che lui non era realmente così e lo faceva solo per rilassarsi dal lavoro. Gli offrì di diventare il suo burattino su reddit; avrebbe fatto quello che Chen voleva.
Una settimana dopo la pubblicazione dell'articolo, su Gawker, la CNN trasmise un'intervista, nel corso della quale Brutsch dichiarava che, effettivamente, era stato licenziato dal suo lavoro, che aveva perso la sua assicurazione medica e non era più in grado di pagare il mutuo. Mostrava di essere pentito per il suo comportamento su reddit. Niente però spiegava e il comportamento del troll - la sua eccitazione nel provocare reazioni - e il paradosso del suo anonimato. Per quanto Michael Brutsch desiderasse rimanere anonimo, violentacrez desiderava ed aveva bisogno della fama.
Reddit, incoraggiata da molti dei suoi utenti, lanciò un contrattacco contro Gawker, bloccando i link al suo sito, accusando Chen di essersi comportato come un serpente e di aver portato a termine un atto di "vigilantismo", contro il diritto alla libertà di espressione. La paura di essere scoperti avrebbe portato molti utenti anonimi ad interrompere le loro pubblicazioni, facendoli così diventare docili strumenti del sistema e delle sue norme sociali. Sarebbe crollato tutto il sistema di Internet, fondato sul Libro Pensiero!
L'obiezione, per dirla con P.J. O'Rourke, sarebbe che "C'è solo un vero diritto umano fondamentale, il diritto di fare quello che più ti piace. E da esso proviene l'unico dovere umano fondamentale, il dovere di assumersene le conseguenze".
Si può credere che tutto quello che passa dall'altra parte di uno schermo, non riguardi la vita reale. Ma se si pensa alla quantità di tempo che si passa, quotidianamente, davanti ad un computer, ad un tablet ad uno smartphone, se si pensa a quante relazioni abituali si svolgono attraverso questi mezzi, se ci si ricorda di quel commento letto da qualche parte, di quella notizia, e del tempo speso a pensare alla risposta che si avrebbe voluto dare, la frase per risolvere la discussione, la combinazione migliore di parole, per chiarire, una volta per tutte, senza sapere dell'interlocutore né il nome, né l'età, né l'aspetto, se si pensa a tutto questo, allora prende forma la consapevolezza di come ci interessi realmente quello che passa sullo schermo. La frontiera del monitor si dissolve e tutto quello che sta da un lato di esso, come quello che sta dall'altro, forma parte inevitabile della vita. Della vita dell'individuo.
domenica 24 marzo 2013
Ulisse racconta …
“Vorrei aggiungere qualcosa a proposito di Ulisse come narratore. Il racconto che Ulisse fa a Eumeo, fingendosi un'altra persona, è un'altra Odissea, è un'Odissea diversa da quella da lui vissuta o comunque da lui raccontata nell'isola dei Feaci, analoga però a quella in cui Ulisse racconta d'essere stato in un posto da cui era passato Ulisse. E coloro che lo hanno visto raccontano altre avventure di Ulisse per cui nell'Odissea si apre l'altra Odissea di questo personaggio immaginario. In quest'altra Odissea si apre una terza Odissea che è ciò che di Ulisse si dice e si narra in quel posto. L'Odissea insomma è sempre la ricerca di un racconto. Che cosa va a cercare Telemaco nel suo viaggio presso Nestore e Menelao? Va a cercare 1'Odissea, cioè il racconto di ciò che è accaduto a suo padre. C'è del resto una continua ricerca di racconto anche nel viaggio di Ulisse. Durante la sosta presso Circe si apre l'episodio del viaggio nell'Ade. Lo stesso ritorno, di cui tanto si parla, è un racconto e quando Ulisse approda a Itaca deve provare a tutti la sua identità perché è trasformato in un altro. Nello stesso tempo, quando si sveglia dopo il sonno sulla spiaggia, deve venire Atena sotto forma di un fanciullo a dirgli che quella è la sua isola, perché altrimenti non la riconoscerebbe. Questa è la sola realtà del poema e si tratta di una realtà che ci sfugge, di un racconto che può anche essere tutto inventato.”
- Italo Calvino -
sabato 23 marzo 2013
figli e padri
Nell'agosto del 1966, dopo una serie di scandali e di arresti per i suoi spettacoli "osceni", Lenny Bruce venne trovato morto a casa sua, per un'overdose di morfina. Aveva 40 anni. Circa un anno e mezzo prima, mentre era in carcere per un'accusa di droga, aveva scritto questa lettera a suo padre.
Caro Padre,
Questa è la storia di un ragazzo e di suo padre che lo ha rovinato. Lui avrebbe voluto una biciletta, e suo padre gliene avrebbe portata una, a casa: e se non fosse stata di suo gradimento, l'avrebbe buttata per terra, dicendo: "Non voglio questa vecchia bicicletta da quattro soldi." E l'avrebbe presa a calci, saltandoci sopra; e il povero padre avrebbe detto, "Va bene, figlio mio, lavorerò 24 ore al giorno e ne avrai una più bella." Più otteneva, più diventava crudele, il figlio. Quando fu più grande, il padre non aveva più soldi, e spese gli ultimi centesimi della sua pensione per fare una festa di compleanno per il figlio. Era una bella festa, con la torta e tutto quanto; così il figlio prese la torta e la sbatté sul pavimento, dicendo, "Io non la mangio questa merda da quattro soldi!" E corse fuori sbattendo la porta in faccia al padre. Cominciò a rapinare banche e stazioni di servizio per ottenere quello che voleva; e alla fine uccise qualcuno e lo aspettava la sedia elettrica. Nel braccio della morte, il povero padre piangeva. "Oh, figlio mio, dove ho sbagliato con te?" E il figlio disse, "Vieni qui padre. Voglio dirti qualcosa all'orecchio." Il vecchio si chinò per ascoltare e il figlio gli strappò via l'orecchio con un morso. Sono in prigione perché mi hai rovinato.
Ti amo,
Lenny
fonte: www.lettersofnote.com
venerdì 22 marzo 2013
e io mi taglio lo stipendio!
Quando, nel 1933, Hitler andò al potere, rinunciò al suo stipendio di Cancelliere, che allora erano 29.200 marchi più altri 18.000 di indennità varie. Ovviamente, il suo apparato di propaganda si preoccupò di far sapere a tutta la Germania che quell'uomo non aveva altro interesse, se non quello del bene del suo popolo e che rinunciava al suo stipendio per donarlo alle famiglie dei membri delle SA e delle SS che erano morti negli anni precedenti, nel corso del suo cammino verso il potere. Questo fatto venne sventolato come una bandiera, di modo che tutti lo potessero sapere.
Una volta che tutti ebbero dato per scontato che Hitler stava al potere solamente per rendere un servizio al proprio paese, che nella sua vita austera non c'era altro se non la dedizione alla Germania, il leader nazista cambiò idea.
Un anno dopo revocò la sua rinuncia allo stipendio e cominciò ad intascare quello che gli era dovuto in quanto Cancelliere. C'è da dire che, in realtà, questi soldi non erano poi così tanti, se paragonati alla quantità di quelli che riceveva e gestiva per altri canali, ma la cosa è in sé esemplificativa.
Ah, la cosa non finisce certo qui. Quando morì il presidente della Germania, Hindenburg, nel 1934, Hitler si attribuì anche questo incarico, ed il corrispondente stipendio, che andò a sommarsi a quello di Cancelliere. Gli importi che percepiva come presidente erano anche più succosi: 37.800 marchi all'anno più le indennità per 120.000 marchi.
Nonostante tutto ciò, per anni, se non per decenni, l'immagine di Hitler, visto come uomo austero e disinteressato al denaro, ha continuato a durare ed è stata da molti considerata vera. Potenza della propaganda!
fonte: http://curistoria.blogspot.com.es/
O Caritas!
A differenza del marxismo tradizionale, con la sua teoria evoluzionista che parla di stadi successivi dei "modi di produzione",e a differenza di economisti come Kenneth Pomeranz, con il suo concetto trans-storico di "lavoro", la "critica del valore" pensa il capitalismo nei termini di una rottura violenta con le società pre-capitaliste. Come sostiene Robert Kurz, appoggiandosi al concetto di "rivoluzione militare" di Geoffrey Parker, il "big bang della modernità" è stata l'invenzione delle armi da fuoco, le quali hanno avuto delle conseguenze sociali gigantesche tra il 14° ed il 17°secolo, permettendo - seppur in maniera non volontaria - che il lavoro astratto (merci, denaro ...) facesse emergere una nuova forma di sintesi sociale. Il denaro, il lavoro, il mondo delle merci, sono forme sociali e categorie storicamente specifiche del capitalismo, che è assai più di un modo di produzione, o un'infrastruttura. Esso costituisce una forma di vita sociale feticista, dove l'inversione reale tra i soggetti e gli oggetti è la sua religione quotidiana. La "critica del valore" si è sempre fortemente appoggiata alle tesi dello storico francese Jacques Le Goff, soprattutto su quella che parla dell'irrilevanza del concetto di denaro quando si parla del Medio Evo, e dell'inesistenza del capitalismo in questo periodo. Si trova, in Le Goff e negli storici cui egli si appoggia (Bartolomé Clavero, Anita Guerreau-Jalabert), un materiale storico fruttuoso e pertinente, per continuare l'analisi dell'emergenza della forma di vita capitalista.
Più sotto, una recensione di Clément Homs del libro di Le Goff, "Il medioevo ed il denaro" (Lo sterco del diavolo: il denaro nel Medioevo, Laterza, Roma - Bari 2010), apparsa sulla rivista francese "Uscire dall'economia":
Un libro a tesi, ma soprattutto un libro che riprende gli ultimi contributi della storiografia, a proposito della questione, con un'apertura verso la storiografia straniera, la quale è molto interessante, soprattutto quando non è specialistica sul Medio Evo. Anche un libro che non sembra del tutto finito, riletto e limato, perché a volte dà l'impressione che i capitoli siano mal suddivisi, nel senso che non ci sono delle vere e proprie delimitazioni. Non faccio qui la sintesi dei materiali storici che l'autore utilizza per tutto il suo libro, ciò sarebbe impossibile o molto noioso; vado subito al cuore della sua tesi principale, al suo punto di arrivo, riassumendo i capitoli conclusivi.
Le Goff distingue nettamente la storiografia francese, che si colloca nell'interpretazione di Karl Polanyi, dalla storiografia anglosassone (vista anche nel suo attuale risveglio, "la storia globale" di Kenneth Pomeranz, Philippe Norel, ecc.) che ai suoi occhi non si trattiene dall'infilare un anacronismo dopo l'altro, parlando di "mercato della terra", dell'esistenza del "denaro”, o perfino della nascita del capitalismo nel Medio Evo. Le Goff ci tiene a sottolineare che, da lui in poi, la storiografia si è tenuta rigorosamente distante dalla tesi di Fernand Braudel, secondo la quale il capitalismo sarebbe emerso nel 12° secolo in Italia, e a partire dal 13° secolo in Francia: per lui e per la maggioranza degli storici è un completo anacronismo (anche Immanuel Wallerstein, discepolo di Braudel, ha lascato cadere quest'idea). Le tesi di Marx e di Weber, hanno ai suoi occhi il merito di aver lasciato fuori il Medio Evo, dalle origini della società capitalista. Per Marx, come per Weber, si sa che il capitalismo si impone fra il 16° ed il 19° secolo. Per Le Goff, il Medio Evo non si trova alle origini del capitalismo, e l'attività delle persone nel Medio Evo non ha niente del carattere proto-capitalista che gli viene attribuito (per esempio, al contrario di quanto scrive Todeschini, nel suo libro "Ricchezza francescana", Le Goff pensa che sia un anacronismo dire che esista un pensiero economico virtuale presso i francescani o presso gli scolastici).
Per Le Goff, non possiamo impiantare la nostra visione moderna del denaro su quello che si continua a chiamare, a torto, "il denaro" nel Medio Evo (parlare di "denaro" nel Medio Evo; perfino il titolo è un anacronismo, come dice il suo autore, ed è stato scelto in funzione delle regole editoriali). Il denaro nel Medio Evo chiaramente non è un'entità economica, la sua natura ed il suo utilizzo ne rilevano piuttosto la concezione non-economica (1). Non vi è nessuna traccia nelle fonti storiche del concetto di "denaro" in quanto forma monetaria della ricchezza. Il "denaro" si limita alla moneta(non esiste la parola "denaro" nelle fonti, i testi parlano sempre di questa o quella particolare moneta). Gli storici dell'usura medievale, a causa della loro fascinazione per il capitalismo, hanno la tendenza ad impiantare delle categorie moderne che possano loro servire da griglia di lettura per interpretare le fonti medievali. Lo storico insiste sull'importanza, nel Medio Evo, di un'economia della salvezza (Weber) e del dono, a causa del dominio della religione (questa tesi del dominio della religione è stata contestata da alcuni storici), così come pensava Polanyi. A questa tesi va unita quella di Maurice Godelier, sulla preminenza dei rapporti politico-religiosi nelle formazioni sociali non-capitaliste (2). La virtù suprema è perciò la "caritas", un valore sociale che comprende anche l'amicizia e l'amore, ma che soprattutto, in quest'epoca, costituisce il legame sociale fra Dio e gli uomini. E' la chiave fondamentale per capire senza anacronismi il Medio Evo, cioè a dire senza gli anacronismi della storiografia anglosassone che retro-proietta in modo universale le categorie capitaliste, sui nuclei sociali delle passate formazioni sociali. Facendo riferimento alla storica Guerreau-Jalabert, che gli sembra abbia già detto tutto, Le Goff riprende l'idea che "la diffusione della moneta nel Medio Evo deve essere vista come un allargamento del dono". Guerreau-Jalabert afferma che bisogna vedere il commercio e l'industria materiale come fermamente inglobati "in un sistema di valori che è sempre sottomesso alla caritas" e che tale attività non esistono nel modo in cui esisteranno nella società moderna. C'è sempre questo nucleo fondamentale dei rapporti sociali, nel Medio Evo, che riporta sempre alla "caritas".
Così la banca è "una pratica di frontiera", e tutte le banche del Medio Evo falliscono spesso a causa del radicamento sociale in cui operano (si conosce la sorte dei Bardi, dei Peruzzi, ecc.). Ogni volta, "la liquidità viene messa al servizio della comunicazione dei beni, che sono espressione della caritas", spiega Bartolomé Clavero. Le Goff, nelle sue tesi precedenti, a proposito dell'esistenza di un "lungo Medio Evo" che sconfina sul 16° e 17° secolo, pensava effettivamente che è solo nel 18° secolo che viene inventato il concetto di economia, e quello che le si accompagna. Si appoggia, per questo, sul libro di Clavero, "La grâce du don. Anthropologie catholique de l'économie moderne", per dimostrare che né il diritto, né l'economia, esistevano, in quanto tali, nel Medio Evo (3).
NOTE:
(1) - Su squesto tema, si può anche fare riferimento a "Les origines de la monnaie", a cura di Alain Testart; a "Anthropologie économique" di Francis Dupuy; per la questione delle origini sociali non economiche della moneta, si può vedere anche Castoriadis e Latouche.
(2) - Vedere Maurice Godelier - "Au fondement des sociétés humaines".
(3) Per dei punti di vista simili a quelli di Le Goff, si può vedere Jérôme Baschet, "La civilisation féodale. De l’an mil à la colonisation de l’Amérique".
giovedì 21 marzo 2013
tutto tartarughe …
"Piccole uova dentro grandi uova, a loro volta dentro un megamonolite piazzato in cima ad un pero che occupa un intero pianeta, l'ultima cosmogonia ci dice che l'infinito ha la forma di un uovo. Dio cova sopra l'abisso e ridacchia, ogni trilione di anni, o giù di lì."
- da: Philip Jose Farmer - "I cavalieri del salario purpureo" -
notizie on-line
Ai nostri giorni, è diventata oramai cosa comune leggere sul telefono le ultime notizie, e nessuno se ne stupisce più di tanto. Ma non credo che siano in molti a sapere che alla fine dell'ottocento, a Budapest, quando ancora la radio non era diventato un importante mezzo di comunicazione, ed i telefoni già proliferavano, c'era già chi voleva farla finita con la carta stampata, più o meno come oggi. E c'è da dire che l'idea funzionò! Il Telefono Hirmondò fu un periodico telefonico, creato dall'inventore ungherese Tivadar Puskàs, il quale già nel 1877, lavorando insieme ad Edison, aveva progettato la prima centralina telefonica.
Era il 1893 quando si diede inizio al periodico telefonico, ed in breve si diffuse per tutta Budapest. Era semplice, e funzionò assai bene per parecchi anni. Il cliente sottoscriveva per almeno un anno al periodico telefonico, ed in cambio gli veniva installato in casa un apparecchio telefonico dotato di auricolare, attraverso cui poteva ascoltare le notizie del giorno, ma anche concerti ad esempio, e sfruttare il contenuto che gli veniva proposto attraverso l'apparecchio telefonico, come se si trattasse di quella radio che, a quei tempi, era ancora solo all'inizio.
E, in effetti, il gruppo che produceva il periodico telefonico assomigliava parecchio a quello che, anni dopo, sarebbe stato uno studio radiofonico. C'erano redattori, speaker dalle voci invidiabili e musicisti, in un ambito che sfruttava la più recente tecnologia telefonica dell'epoca. All'inizio del ventesimo secolo, il periodico telefonico arrivò ad avere seimila abbonati e la sua rete si estendeva per tutta la città, come una sorta di una primitiva Internet. I suoi giorni finirono solo durante la seconda guerra mondiale, epoca in cui la radio oramai trionfava, però, nonostante tutto il periodico telefonico continuò a mantenere un grande numero di abbonati.
fonte: http://www.alpoma.net/
mercoledì 20 marzo 2013
ex libris
C'era un tempo, prima dei computer e di quei dispositivi chiamati lettori di e-book, in cui esistevano delle cose incantevoli e preziose che venivano chiamati libri. Uno dei modi più eleganti per sancire il fatto che un libro appartenesse a qualcuno, e non a qualcun altro, consisteva nello stampare in una pagina, all'inizio del libro stesso, una sorta di etichetta decorativa conosciuta col nome di ex-libris, seguita dal nome del possessore.
Questo ex libris di Albert Einstein, tratto da uno scarabocchio che aveva tracciato, con ogni probabilità, a margine di un foglio che descriveva l'effetto fotoelettrico, o qualcosa del genere, raffigura un solitario astronomo, arroccato in cima ad una montagna, con le braccia spalancate, come immerso in una sorta di onirico universo che lo circonda. Impressionante, e tipico di Albert Einstein.
fonte: http://io9.com
per piccino che tu sia …
A fronte di questo tripudio generale per l'elezione dell'ennesimo Papa, il 265simo di una serie ininterrotta (anche se spesso traballante) è forse il caso di dare un'occhiata all'insieme di questa struttura che ammorba il mondo da quasi due millenni.
Sotto l'aspetto del diritto internazionale, la cosiddetta Santa Sede è considerata un'entità sovrana, e come tale mantiene relazioni diplomatiche con la maggior parte dei paesi, è membro di vari organismi internazionali ed ha un osservatore permanente all'Assemblea delle Nazioni Unite. Ma la Santa Sede non va confusa con Città del Vaticano, indipendente solo a far tempo dai Patti Lateranensi stipulati nel 1929. Si tratta di due entità distinte, con distinti passaporti e con due diverse lingue ufficiali: il latino per la Santa Sede, l'italiano per Città del Vaticano.
Senza l'indipendenza della Città del Vaticano, la sovranità della Santa Sede potrebbe essere paragonata a quella dei Cavalieri di Malta (con sede a palazzo Malta, a Roma, gode di uno stato di extra-territorialità, come un'ambasciata; esercita alcune funzioni di stato sovrano, come battere moneta, francobolli, passaporti, targhe automobilistiche - anche se esistono solo 3 persone ad avere un passaporto dell'Ordine Sovrano dei Cavalieri di Malta): con un sacco di ambasciatori sparsi in tutto il mondo, l'Ordine è considerato sovrano, ma mancando di un territorio a sé stante, tale sovranità rimane dubbia.
Quindi, vien da dire, Città del Vaticano non è quello che si pensa che sia. Non è l'interfaccia diplomatica fra la Chiesa cattolica ed il resto del mondo; tale ruolo è svolto dalla Santa Sede. Piuttosto, Città del Vaticano è la testa di ponte che assicura al papato la sua tranquillità, uno scudo territoriale e non l'essenza della sua sovranità. Né il Vaticano è dove si pensa che sia. I suoi confini sono eccessivamente confusi, a fronte di un paese talmente piccolo; un quadrato di 440 metri per lato, se pensiamo solo all'enclave romana.
Ma dove sono i confini che dividono Città del Vaticano e l'Italia? Con al centro il colle Vaticano, il confine di stato con l'Italia è lungo circa 3,2 chilometri. A sud e ad ovest, seguono la linea delle mura leonine (le mura leonine delimitavano la città leonina, ed entrambe prendevano il nome da papa Leone IV; nel 1870 il governo italiano aveva offerto al papato l'intera città leonina: Città del Vaticano, oggi, comprende solo una parte di essa), la rotondità di Piazza San Pietro, a est, e a nord la forma di freccia di Via di Porta Angelica. Non mancano le "zone grigie", secondo alcuni delle vere e proprie contro-enclavi. Come non mancano, al contrario, le zone extraterritoriali, come quella a sud, dove non si applicano le leggi dello stato italiano, pur essendo ufficialmente italiana.
La pianta, sopra, mostra chiaramente, segnata in blu, la zona extraterritoriale. E' divertente notare il piccolo tratto rosso, a destra di piazza San Pietro. Una piccola striscia larga 3 metri e lunga 60. L'Italia sostiene che i Patti Lateranensi stabiliscono che questo sia territorio italiano, il Vaticano lo contesta. Ma il contenzioso non si limita al colonnato del Bernini, né ai limiti esterni come sono rappresentati nelle mappe. Sparse per tutta Roma ci sono dozzine di chiese e di altri edifici di particolare importanza cui è stato concesso lo status extraterritoriale, dai Patti Lateranensi, pur senza essere parte dell'indipendente Città del Vaticano.
Questa mappa, pubblicata nel 1931, mostra le aree extra-territoriali. L'articolo che l'accompagna spiega:
"Un'altra caratteristica interessante dello Stato Vaticano è data dal numero e dall'estensione di aeree che si trovano al di là dei suoi confini, in territorio italiano, sulle quali gode di diritti extraterritoriali, e su cui esercita perciò un'autorità molto grande, quasi suprema. L'Italia ha accettato di esentare tali aree dalle tasse e dall'obbedienza alle leggi di espropriazione per utilità pubblica: l'autorità papale è garantita da un servizio di polizia interno. ( ... ) Tali aree coprono una superficie di circa 170 acri (ndr: raddoppiando così la superficie della Città del Vaticano). La maggior parte di essa è formata dal Palazzo dei Papi, da Villa e Palazzetto Cybo, da Villa Barberini a Castelgandolfo - un gruppo di proprietà che era già stato riconosciuto come residenza estiva del Papa nel 1870. La seconda area consiste in Villa Gabrielli e dintorni, sul Gianicolo, il cui ingresso è vicino a Città del Vaticano, poi, tra questa ed il Vaticano c'è un'altra piccola area con il Palazzo del Sant'Uffizio. "Le altre aree consistono quasi tutte in chiese e palazzi che per lungo tempo sono stati sede degli uffici centrali della Santa Sede.":
Basilica di San Giovanni in Laterano; Palazzo del Laterano; Basilica di Santa Maria Maggiore; Basilica di San Paolo fuori le mura; Palazzo San Callisto; Palazzo di Propaganda Fide; Palazzo della Cancelleria; Palazzo del Sant'Uffizio; Palazzo dei Convertendi; Santa Maria di Galeria; Palazzo del Vicariato; Vari edifici sul colle del Gianicolo; Pontificio Seminario Romano Minore; Basilica di Santa Maria in Trastevere.
martedì 19 marzo 2013
piccole sconfitte
Fra i racconti di guerra di mio padre, ricordo, c'era sempre, ricorrente, questa storia dei tedeschi che, mentre si "ritiravano", riuscivano a tenere una postazione, una collina, una montagna, per settimane, con un solo obice, sparando e muovendolo per poi tornare a sparare, e così via. Gli alleati - continuava a raccontare - riprendevano l'avanzata solo quando i tedeschi, dopo aver giudicato di aver durato abbastanza, decidevano di abbandonare la postazione e di ritirarsi. Così per tutta l'Italia centrale.
Come tutte le storie che mi ha raccontato mio padre, era una storia vera.
Le battaglie di Stalingrado (agosto 1942/gennaio 1943) e di Kursk (luglio/agosto 1943) ribaltano le sorti della guerra, e l'Armata Rossa, come un rullo compressore, avanza inesorabilmente verso ovest, verso Berlino. La spinta verso est degli anglo-americani, comincia un po' più tardi; il D-Day si verifica il 6 giugno 1944. Dalla loro testa di ponte in Normandia, gli Alleati corrono attraverso la Francia, i Paesi Bassi e la Germania, nel tentativo di saldarsi all'inarrestabile avanzata dei sovietici.
Questo, più o meno, il sunto della storia! Ma un'occhiata un po' più ravvicinata e attenta, rivela un'immagine più complessa. Lo sbarco in Normandia fu preceduto da un'altra incursione da parte degli Alleati, nell'Europa controllata dall'Asse: l'invasione dell'Italia, il 3 settembre del 1943 (preceduta dallo sbarco in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943). E la campagna italiana, che risultò essere la più costosa di tutte le operazioni degli Alleati, in termini di perdite di fanteria, in ultima analisi fu irrilevante ai fini dell'esito della guerra. Le truppe tedesche del nord Italia si arresero meno di una settimana prima del giorno della vittoria, l'8 maggio 1945.
Di fronte all'invasione, lo stato fascista si sbriciola rapidamente e la Whermacht assume la difesa della penisola italiana, rallentando l'avanzata alleata ritirandosi strategicamente dietro linee successive.
1 - La "Linea Volturno" è la prima, quella più a sud. Corre dal Tirreno, da Castel Volturno, a nord di Napoli, fino alla Valle del Volturno e poi giù fino al Biferno che sfocia nell'Adriatico, all'altezza di Termoli. I tedeschi abbandoneranno la Linea del Volturno il 12 Ottobre 1943, ritirandosi verso la Linea Barbara.
2 - La "Linea Barbara", 20 miglia più sopra quella del Volturno, verrà infranta quasi un mese dopo, ai primi del novembre 1943. Un mese per percorrere 20 miglia!
3 - La "Linea Gustav", di maggior rilievo, poco a nord del fiume Garigliano, ad ovest, fino al fiume Sangro, ad est. Al suo centro, l'abbazia di Monte Cassino, sugli Appennini, il maggior ostacolo nella marcia degli Alleati verso Roma. Ci vollero 6 mesi di battaglie ed enormi perdite. Esisteva anche una "linea di riserva", accanto alla Gustav, la "Linea Adolf Hitler", ma quando divenne chiaro che sarebbe crollata subito, su insistenza dello stesso Hitler, venne ribattezzata "Linea Senger" (Il generale Fridolin von Senger und Etterlin era una figura intrigante: rampollo di una famiglia aristocratica cattolica, studente a Oxford, tenente nella prima guerra mondiale, membro laico dell'ordine Benedettino, riconosciuto come un efficiente comandante militare e come scettico rispetto al nazismo; il fatto che sia riuscito a portar via i tesori dell'abbazia senza che uno solo dei camion del convoglio venisse attaccato dagli alleati, lascia pensare che ci fosse un "accordo fra gentiluomini"! ). E siamo nel maggio del 1944!
4 - La "Linea Cesare" era l'ultima linea di difesa nazista, prima di Roma. Andava da Ostia a Pescara. Cadde ai primi di giugno del 1944.
5 - La "Linea Trasimeno" e la "Linea Arno"vennero usate dai tedeschi come linee di stallo, in modo che potessero fortificare la cosiddetta "Linea Gotica",a nord.
6 – La “Linea Gotica" correva da Pisa fino a Rimini ed era l'ultima speranza dei tedeschi di riuscire a contenere l'avanzata degli Alleati su per la penisola italiana. La linea tenne per tutto l'inverno 1944/1945, fino all'Aprile del 1945.
La tattica di stallo dei tedeschi aveva funzionato: gli Alleati non riuscirono a superare i confini italiani prima della fine della guerra. I tedeschi erano riusciti a perdere ... lentamente. L'unica cosa che potevano riuscire a fare. Una sorta di "propaganda" che riusciva, in qualche modo, a trasformare tutta una serie di piccole sconfitte in una qualche sorta di vittoria: sì, gli alleati avanzano, ma una lumaca potrebbe farlo più velocemente!
Il manifesto è francese (e proviene da qui), a parte il titolo che vuole richiamare la marcia britannica popolare fra le truppe. durante la prima guerra mondiale. Il grafico in basso a sinistra mette a confronto il record di lentezza (velocità) di una lumaca con quello degli Alleati che avevano invaso l'Italia. Dice che la massima velocità che può raggiungere una lumaca è quella di 80 centimetri al minuto, che si tradurrebbe in 320 chilometri nell'intervallo di tempo fra l'inizio dell'invasione (6 settembre 1943) ed il 1° aprile 1944. In quello stesso tempo, gli Alleati avanzavano per solo 180 chilometri. Una lumaca ci avrebbe messo poco più di metà tempo!
il corvo
Un Papa Corvo e Peronista
di JUAN PABLO MACCIA
Non è necessario essere teologo per darsi conto che si gioca qualcosa di grande attorno alla fumata bianca che avvisa che il celebre Cardinale Bergoglio è il nuovo Papa. Il primo Papa non europeo, latinoamericano, a pochi giorni di distanza dalla morte di Hugo Chávez. Prevedibile: lo sguardo del mondo sulla regione, i poveri e i meccanismi spirituali per capitalizzare la loro vitalità.
Il primo Papa, anche, della Compagnia di Gesù: gesuiti e intellettuali della Chiesa, pero soprattutto coloro che meglio combinano celestiale e terreno.
Papa argentino e “settentista”: Bergoglio è un vecchio quadro della Guardia de Hierro, della “destra” peronista; con un legame “oscuro” con la dittatura del ’76. Bel casino.
Eh Cristina!: dobbiamo muoverci velocemente e con astuzia. Le basi territoriali e sindacali sono emozionate (persino Pelloni!), il peronismo si divide, il Pro[1] brinda, i Trotzkisti troskean con l’oppio dei popoli (che buono che è l’oppio…).
Il Papa Francisco – Panchito per gli amici – porteño e “corvo” da sempre, viaggiava in autobus verso le villas[2] di Buenos Aires, celebrava la messa in Plaza Constitución e forniva supporto alle denunce de La Alameda[3] contro la schiavitù nei laboratori tessili clandestini e la rete della tratta, così come ai fanatici di Cristo Rey e alle crociate fasciste che si caricavano sulle spalle. Si tratta di un papa giovane e pericolosamente politico in una fase cruciale per l’occidente capitalistico: lo attende un compito di ricostruzione – di segno conservatore – che il cattolicesimo ha chiesto a gran voce dopo il fallimento di Ratzinger.
Guardo la biblioteca di mia cugina Laura, peronista e lettrice di Adorno. Trema Kierkegaard, ride Nietzsche, Spinoza si coccola, Gramsci tossicchia, Agamben diventa grosso, Rozitchner si tempra. La chiesa è meno un’istituzione residuale e più la rappresentazione istituzionale di una metafisica egemonica in tutto l’occidente capitalistico: è habitus, economia e legge. È regime di proprietà, denigrazione della sessualità e priorità dell’immateriale sul sensuale, del simbolico sui piaceri e gli affetti della materia. Con questo ci scontriamo da sempre e oggi – mi sembra – più che mai.
[1] Partito guidato da Mauricio Macri attualmente al governo della Città di Buenos Aires.
[2] Favelas.
[3] Nata sulla scorta delle mobilitazioni del dicembre 2001, La Alameda (Asamblea “20 de Diciembre” de Parque Avellaneda), conta oggi su un’ampia organizzazione che include un centro comunitario, una cooperativa finalizzata alla costruzione di una rete di economia solidale, l’Unión de Trabajadores Costureros che lotta contro lo sfruttamento nell’industria del vestiario e la Fondazione che raccoglie le denunce sulla tratta, il lavoro schiavo e infantile.
* Pubblicato su http://anarquiacoronada.blogspot.it/2013/03/un-papa-peronista.html *
lunedì 18 marzo 2013
Casablanca
Rick solleva gli occhi, distogliendoli dalla scacchiera. Quando vuole sfuggire il mondo senza che lo si venga a sapere, si siede al suo tavolo, convenientemente riservato, e da lì guarda, osserva il viavai delle persone che vagano per le sale fumose del suo locale. Il caldo è soffocante, spesso e denso, come i sogni di libertà che si possono leggere, quasi incisi sulla fronte, di ogni uomo e di ogni donna in quella città perduta sulla costa atlantica dell'Africa. E' così, per tutti ma non per Rick. I suoi sogni sono altra cosa. Ha combattuto nella guerra civile spagnola, da lì a Parigi, dove ha aspettato sotto la pioggia, fino alla disperazione, un amore che non seppe, né poté, arrivare in tempo. Adesso tutto quanto è solo scoramento.
Rick gioca da solo. Elabora gli schemi delle partite e soppesa la bontà delle sue idee. Sessantaquattro caselle e trentadue pezzi; le regole sono chiare, non possono essere infrante! Basta una pedina in meno e il gioco si trasforma in un dramma dove la morte fa capolino. Rick osserva quel mondo in miniatura, sopra il quale sperimenta le sue strategie e le sue tattiche. Le giocherà dopo, più tardi, al culmine della vicenda, quando l'aereo si alzerà in volo, portandosi via lontano, molto lontano, i fantasmi del suo passato.
Torna a guardare la scacchiera e pensa che "nel gioco degli scacchi" - come sosteneva Lasker - "le menzogne e l'ipocrisia non sopravvivono a lungo."
L’arte di titolare
Era il 1982, quando usciva il film di Ridley Scott, tratto da un racconto di Dick dal titolo "Do Androids Dream of Electric Sheep?". "Blade Runner" ci mostrava un futuro oscuro, un mondo inquinato e bagnato di piogge acide, un mondo violento e disperato che sarebbe diventato una sorta di paradigma dell'immaginazione, e il suo nome, quel "Blade Runner", una sorta di marchio di fabbrica denso di significati e di implicazioni. Solo che nel racconto di Dick, a partire dal titolo che si interroga sulla presenza o meno di pecore elettriche, nei sogni degli androidi, di "Blade Runner" non ce n'è traccia. Rick Deckard, il cacciatore di androidi è, per l'appunto giusto un cacciatore di androidi, e non viene mai definito un blade runner, neanche per sbaglio!
Ed è qui che entra in scena un altro scrittore, per molti versi accostabile a Philip Dick; William S. Borroughs. Bene, Burroughs nel 1979 aveva pubblicato un romanzo, anzi proprio una sceneggiatura cinematografica che si intitolava "Blade Runner (A Movie)"; una storia che apparteneva, come quasi tutti i libri di Burroughs, al genere della fantascienza, ma che non aveva niente a che fare con androidi o roba del genere. La storia gira intorno ad un gruppo di contrabbandieri, una banda di delinquenti giovanili chiamati "i Blade Runners" che trattano materiale chirurgico proibito , ambientato in degli Stati Uniti governati da una polizia fascista. Il nome della banda, fa riferimento al "correre sul filo di una lama; laddove la lama è quella dei bisturi in cui trafficano.
Sarà stato no il caso, fatto sta che mentre Ridley Scott si affannava alla ricerca di un titolo "giusto" per il film che stava girando, gli capitò fra le mani una copia del libro di Burroughs. Rimase talmente colpito dal titolo - non si sa nemmeno se abbia letto la storia - che ne acquistò i diritti (del titolo, trascurando di comprare quelli del racconto!). Chissà cosa sarebbe stato "Blade Runner" con un altro titolo?!?