giovedì 30 giugno 2022

Nec Plus Ultra

Il testo che segue, costituisce un frammento tratto dal libro di Robert Kurz, "La guerra di ordinamento mondiale: la fine della sovranità e le trasformazioni dell'imperialismo". Il brano tratta della pulsione di morte e della logica di auto-annichilimento trasversale al processo di modernizzazione, e ai suoi soggetti; e, naturalmente, alle sue classi sociali. Viene qui riproposto in quanto considerato come un contributo fondamentale ai fini della comprensione - critica e integrale - della violenza e della soggettività in questa nostra epoca di catastrofe.

La metafisica della modernità e la pulsione di morte del soggetto senza limiti
- di Robert Kurz -

Evidentemente quella che si pone è la questione di come Hans Magnus Enzensberger possa ricadere, a partire da un'analisi che rimane tuttavia lucida, in una simile ignoranza voluta e in una pacifica coesistenza con le "costrizioni". Dopo tutto, l'alternativa all'intervento militare occidentale contro i processi di imbarbarimento indotti dalla relazione stessa di capitale globale, non è il ritirarsi, senza prospettive, lasciando la presunta competenza alle soluzioni nel proprio cortile, ma è proprio l'ampliamento della critica sociale, che ormai può essere formulata solo nel contesto globale, circa le forme diventate insostenibili del moderno sistema produttore di merci e della sua soggettività (strutturalmente "maschile"). Il paradigma della lotta di classe, immanente alla forma, dev'essere sostituito dal paradigma di una critica del contesto formale comune, trasversale alla classe, di una moderna socialità negativa, basata sulla monetizzazione e sulla concorrenza anonima, così come sulla relazione di dissociazione sessuale.
Qual è allora l'origine della riluttanza, e non solo da parte di Enzensberger, ad adottare questa critica della forma? La ragione deve risiedere nel fatto che questa critica, di lungo raggio e di natura categoriale, della modernità dovrebbe abbandonare ogni terreno familiare. Tutta la critica sociale precedente, e non solo del movimento operaio nel senso più stretto, nell'ambito del movimento di ascesa e di espansione del capitalismo, si riferiva positivamente al sistema di idee dell'illuminismo borghese del XVIII secolo e, pertanto, alla costituzione del soggetto borghese. Tale soggetto, da sempre pensato primariamente come maschile, doveva agire in maniera emancipatrice proprio per via della sua forma, qualunque fosse la copertura ideologica. Non solo la cosiddetta nuova sinistra ha ereditato questo mondo immaginario del vecchio movimento operaio, così come anche, e soprattutto, lo ha invocato l'intellighenzia tedesca del dopoguerra, contro la fatalità della storia tedesca. Illuminismo, soggetto, politica, democrazia: è questo ciò che sono stati Marx e i profeti.
Tanto più ci costa oggi arrivare a concludere che la storia tedesca ed il nazionalsocialismo sono stati parte integrante della storia de capitalismo mondiale, e che all'interno di questa forma non esiste più alcuna alternativa che possa essere connotata positivamente, e che quello che si trova al centro dell'attualità della miseria mondiale è la forma stessa del soggetto borghese moderno, che è diventato disfunzionale in maniera assoluta e senza soluzione possibile. Ora, nei limiti dell'illuminismo borghese e della riproduzione nella forma della merce, la metafisica reale della modernità si mostra nel suo aspetto più ripugnante. Dopo che il soggetto borghese illuminato si è spogliato delle sue vesti, diventa evidente che sotto tali vesti non si nasconde niente: che l'essenza di questo soggetto è il vuoto; che si tratta di una forma "in sé", senza alcun contenuto. Quello che  Enzensberger vuole rendere esotico è la sua stessa propria essenza sociale, come soggetto dell'illuminismo borghese (ed evidentemente maschile). Quando egli pensa di star descrivendo l'esotismo dello "incomprensibile", sta invece ritraendo la metafisica della modernità occidentale stessa: «Quello che conferisce all'attuale guerra civile una nuova e sorprendente qualità è il fatto di essere condotta senza alcun impegno, di no essere, letteralmente, preoccupata di niente.» (ivi, p.35). Ma è proprio questo orrore a non essere l'alieno, l'esterno, mentre invece, al contrario, quello che viene alla luce è solamente il più intimo Io del soggetto della merce, del denaro e della concorrenza: l'essenza del cittadino democratico. Il niente di cui si tratta è il vuoto assoluto del "soggetto automatico" (Marx) della modernità, che si auto-valorizza.

Ad esprimersi nel denaro, è questo ciò che è la forma del valore, la quale, in quanto astrazione reale metafisica oggettivata, domina l'esistenza moderna come se fosse un dio secolarizzato e reificato, e di cui la metafisica della cittadinanza democratica non è altro che il rovescio, non avendo "in sé" alcun contenuto sensibile o sociale; sta in questo mondo come una forza negativa, ma non è di questo mondo. È il vuoto metafisico che si nasconde dietro le lotte degli interessi apparentemente così tanto razionali e dietro l'apparente volontà di autoaffermazione degli individui astratti. Gente che, come Beck ed Enzensberger, preferisce non prendere atto di questa testa di Gorgone fatta di vuoto sconnesso dal mondo al centro della modernità. Ma ad occhieggiare da dietro la maschera di colui che viene allegramente individualizzato, è proprio questa mostruosità metafisica costituita da colui che è il "gestore di sé stesso" della postmodernità. In un clima globale di concorrenza e di annichilimento reciproco, di minaccia permanente dell'esistenza sociale e, allo stesso tempo, di una precaria ricchezza monetaria speculativa che può svanire in qualsiasi momento, prospera una volontà di annientamento diffusa, che agisce al di là delle "situazioni di rischio" esterne, e che è altrettanto astratta e vuota di contenuto della forma sociale che costituisce la base del processo di valorizzazione del capitale. La forma "valore" e, di conseguenza, la forma "soggetto" (denaro e Stato) per la sua essenza metafisica è in sé autosufficiente e, malgrado ciò, deve "esteriorizzarsi" nel mondo reale; ma lo fa solamente per poi tornare invariabilmente a sé stessa. Quest'espressione metafisica apparentemente banale (e, sotto l'aspetto sensibile e sociale, di fatto orribilmente banale) del movimento di valorizzazione costituisce il vero tema di tutta la filosofia dell'illuminismo, cosa che è molto chiara in Kant e soprattutto in Hegel; e ciò che viene descritto in maniera precisa ed affermativa, è la forma dialettica del movimento di questo "processo di esteriorizzazione" di un vuoto metafisico nel mondo reale. A questa autosufficienza, ma con un necessario movimento di esteriorizzazione, e, in ultima analisi, autoreferenzialità della vuota forma metafisica chiamata "valore" e "soggetto", resta ancorato un potenziale di distruzione del mondo, dal momento che la contraddizione fra il vuoto metafisico e la "obbligatorietà della rappresentazione" del valore nel mondo sensibile può essere solo risolta nel niente e, pertanto, nell'annientamento. Il vuoto del contenuto del valore, del denaro e dello Stato si deve esteriorizzare in tutte le cose di questo mondo senza eccezione alcuna, per poter rappresentarsi come reale: dallo spazzolino da denti fino alla più sottile emozione, dall'oggetto utile più semplice fino alla riflessione filosofica o alla trasformazione dei paesaggi e di interi continenti. Vita e morte, tutta l'esistenza umana e tutta l'esistenza della natura servono unicamente questa capacità di auto-rappresentazione, alla maniera di Proteo, del vuoto sociale metafisico del capitale e dello Stato. In questo movimento interminabile del fine in sé metafisico (i fini del desiderio degli individui in concorrenza fra di loro vengono inclusi in questo processo gerarchicamente superiore di auto-riflessione del "soggetto automatico"), le cose di questo mondo e i desideri degli individui non sono riconosciuti a partire dalla loro qualità intrinseca, ma al contrario questa viene eliminata, per essere trasformata in mera "gelatina" (Marx) del vuoto metafisico, e quindi assimilando la forma del valore sempre uguale a sé stessa (in una prospettiva superficiale: "economizzandosi", vale a dire, trasformandosi nel mero ed indifferente materiale del movimento della valorizzazione). Questo dà origine ad un duplice potenziale distruttivo: un potenziale "comune", per così dire quotidiano, quale risulta sempre dal processo di riproduzione del capitale, ed un altro per così dire finale, quando il "processo di esteriorizzazione" sbatte contro i limiti assoluti. La metafisica reale del moderno sistema produttore di merci distrugge il mondo parzialmente, come "effetto collaterale" del "successo" della sua esteriorizzazione; e diventa una volontà assoluta di distruggere il mondo, non appena smette di riuscire a rappresentare sé stesso nelle cose del mondo. Si potrebbe perciò parlare di una pulsione di morte dell'umanità moderna costituita in maniera capitalistica, che ha anche un'origine sessualmente specifica. Al centro della filosofia dell'illuminismo si trova la rispettiva espressione ideale, l'adorazione dell'astrazione vuota di una "forma in quanto tale" (Kant). Questa logica dell'annientamento si può manifestare in modo banale nello svolgersi perfettamente normale degli affari, ad esempio, nella distruzione delle condizioni naturali della vita per mezzo dell'esternalizzazione dei "costi" dell'economia imprenditoriale, nella scarsa offerta a interi gruppi di popolazione di alimenti e di cure mediche per mancanza di "capacità di finanziamento", nella non necessaria morte di massa di neonati e bambini nelle regioni globali di povertà, ecc..

Ma la medesima logica di annientamento può anche manifestarsi immediatamente come esplosione di violenza e, in quell'atto, provocare questa dissoluzione della coscienza di sé, che può essere osservata non solamente sui fronti di battaglia delle guerre capitaliste, ma anche nelle grandi esplosioni di crisi del XX secolo. Oggi questo disfarsi dell'io sembra diventare il principio che presiede al mondo. La volontà di annichilimento finale del soggetto metafisicamente costituito si indirizza perfino contro proprio tale soggetto, nella misura in cui egli è di questo mondo, ossia, sensibilmente esistente. E non è in alcun modo un caso che, in quest'orgia di autodistruzione, l'essenza "maschile" di tale soggetto torni ovviamente ad irrompere in superficie. Naturalmente, quello che agisce immediatamente "nel soggetto" non è il vuoto metafisico reale del valore, la forma sociale del movimento del capitale; ma questa attuazione di crisi, questa transizione alla violenza senza limiti avviene attraverso la trasmissione delle forme di socializzazione e dei meccanismi psichici. In questo contesto, proprio la così tanto celebrata individualizzazione postmoderna che, in realtà, è solo la forma più esacerbata della soggettività astratta (separata) dell'essere umano costituito in maniera capitalista, fino al massimo grado di abbandono totale, si rivela come la forma di transizione verso l'assoluta perdita di sé, in cui i meccanismi psichici della pulsione di morte si sviluppano fino alla manifestazione immediata, come il sociologo e psicologo carcerario Götz Eisenberg descrive in maniera eloquente: «I conflitti sociali vengono riprivatizzati e si addensano in uno spazio mentale interiore, che è inadeguato all'assorbimento di tali energie. È troppo stretto. L'infelicità incarcerata non può fermarsi, cerca una via d'uscita [...] Dietro le immagini delle umiliazioni attualmente sofferte emergono le immagini del passato della propria vita, provenienti dall'infanzia, ma che si rivelano solo ora. Funzionando come un amplificatore, esperienze di offese e rifiuti molto antiche si uniscono alle umiliazioni attuali e solo in questo modo riescono a conferire a queste ultime il loro peso [...] L'energia emotiva raccolta all'interno si diffonde, si ricompone in un altro luogo, si disloca e forma nuovi collegamenti [...] Il mondo interiore si trasforma in un caleidoscopio di frammenti che si intersecano, creando immagini sempre più grottesche e spaventose. Parti psicotiche della personalità, che tutti portiamo dentro di noi in quanto essere "parzialmente socializzati (Mitscherlich), riemergono in primo piano, guadagnando così una sorta di egemonia psichica. Si va addensando un odio arcaico per degli oggetti che ci perseguitano dentro e fuori di noi, la percezione si confonde, il mondo diventa sempre più scuro finché, alla fine, tutto diventa un oggetto "malefico e persecutorio". Ora, la calma ed il dominio di sé funzionano solo con un grande sforzo; sotto cova qualcosa. Fantasie paranoiche cominciano a riempire l'intero campo visuale interiore. Ora manca solo un'ultima spinta perché la meccanica della sventura entri in azione.» (Eisenberg 2002, p. 24 s.). L'astrazione di questa volontà di annichilimento riflette la doppia autocontraddizione della relazione del capitale: da un lato, essa riguarda l'annientamento degli "altri", apparentemente con la finalità dell'auto-conservazione a qualsiasi prezzo, dall'altro lato, è anche una volontà di auto-annientamento, che riguarda la mancanza di senso della propria esistenza nell'economia di mercato. In altre parole, il confine fra omicidio e suicidio diventa sempre meno netto. Si tratta, al di là del "rischio" della concorrenza, di una furia di annichilimento talmente illimitata che la distinzione fra il proprio io e quello degli altri comincia a scomparire, cosa che, a sua volta, può essere descritto come un meccanismo psichico: «Per sfuggire alla propria catastrofe narcisista e allontanare insopportabili sensazioni di paura, impotenza e abbandono, il proprio sé stesso interiore viene rivolto all'esterno, mettendo in atto una messinscena omicida e suicida. Può accadere che la preservazione della propria autostima e dell'integrità della personalità costituisca una motivazione di comportamento umano che ha un peso maggiore rispetto alla protezione della propria sopravvivenza sminuita. Prima che tensioni interne possano lacerare il proprio io, il criminale lacera parti del mondo esterno in una sorta di difesa preventiva [...] La furia distruttiva del bambino che si sente abbandonato, ignorato e disperato e che vorrebbe spaccare tutto quello che gli sta intorno, è limitata dalla sua mancanza di forza fisica; ora la stessa rabbia esplosiva abita il corpo di un adulto, che può avere accesso alle armi, alle automobili o perfino agli aerei.» (Eisenberg, ibidem, pp. 25s.).

L'io astratto del soggetto del denaro si dissolve nella concorrenza della crisi finale, portando alla luce l'essenza di quello che è sempre stato celato al suo interno, quello che è il vuoto della sua esistenza, identico all'autodistruzione. Nei sempre più frequenti collassi delle relazioni socio-economiche, indotte come sono dal mercato mondiale della globalizzazione, nel processo di decomposizione di intere società, ormai non è più possibile una auto-definizione degli individui, in quanto questi continueranno a muoversi all'interno della forma sociale dominante (cosa che fino ad oggi hanno fatto in modo spontaneo). La chiacchiera democratica può solo aumentare ed attizzare la rabbia, poiché essa stessa non è altro che un'espressione ipocrita e beata della medesima logica di annientamento contro l'essere umano e contro la natura. I fenomeni di distruzione e di annientamento di sé stessi, quali li descrive Enzensberger per mezzo della gioventù maschile, sono diventati al giorno d'oggi, sotto vari aspetti, universali. Da una parte, non sono solo gli autori di azioni immediate di annichilimento e di auto-annichilimento (anno dopo anno, sempre più frequenti) a rappresentare questa perdita di sé stessi. Gli apparenti autori di atti di violenza costituiscono solo la punta di un iceberg, il fenomeno evidente di uno stato della società che è molto più generalizzato. Ad ogni assassino suicida corrispondono migliaia e milioni di persone con sentimenti simili, ma che (ancora) non sono passati all'azione, giocando con queste cose nella loro immaginazione, o sfogandosi con prodotti mediatici corrispondenti (il semplice fatto che tali prodotti, i cosiddetti video violenti e numerose altre forme di esaltazione mediatica della violenza, possono essere fabbricati in termini di produzione redditizia di massa è un chiaro segnale di quanto profondamente questo problema riguarda la società). In secondo luogo, avviene che non sono solo i perdenti dichiarati, come quelli delle banlieue o di Mogadiscio, ad ammazzarsi gli uni con gli altri, o a tagliare consapevolmente il filo che li lega alla vita. La guerra civile molecolare si svolge anche, e con particolare impatto, fra la gioventù isolata nella pseudo-normalità di coloro che guadagnano salari sopra la media, i vincenti della crisi ed i fanatici della decenza, la cui condizione mentale di senzatetto e di perdita di sé stessi non coincide a quella degli assassini minorenni degli slum. Il culto dell'omicidio e dello stupro, considerato come uno sport, così come il culto della messinscena del suicidio, diffuso anche nei quartieri ricchi e benestanti di Rio de Janeiro, di New York o di Tokio. L'ormai proverbiale Amok, con la sua conseguente auto-esecuzione nelle scuole degli Stati Uniti, è frutto della fantasia dei virgulti delle classi medie danarose. E anche i bombaroli suicidi palestinesi o dello Sri Lanka sono in genere provenienti da "buone famiglie".

Alla fine, si deve precisare che non si tratta di eruzioni degli strati più anziani di una cultura premoderna, la quale, sotto la maschera della modernità capitalista e dell'universalità globale, si evidenzierebbe negli "esclusi", per esempio, sotto la forma dell'islamismo che prolifera nel mondo musulmano. Sebbene il sistema unico, universale, globale e metafisico reale del capitale abbia una colorazione culturale differente nelle varie regioni del mondo, secondo gli standard delle tradizioni ancestrali, delle concezioni religiose, dei comportamenti sociali ed estetici ecc., questa colorazione, questa differenza culturale, non costituisce l'essenziale, il nucleo profondo, in cui la costituzione capitalista e l'integrazione sul mercato mondiale costituirebbe una specie di vernice meramente esteriore. La situazione è esattamente quella opposta. Dopo secoli di storia di assestamento al capitalismo e dopo l'imposizione della relazione di capitale come relazione mondiale immediata, la stessa ed unica forma universale del soggetto che "incarna" il vuoto metafisico del valore identico in ogni parte e che costituisce l'io interiore degli individui, come essenza del tutto incolore ed anche senza alcuna qualità, mentre la differenza culturale ormai rappresenta soltanto una maschera esteriore, quasi folkloristica. È anche per questo motivo che le "bombe viventi" (Enzensberger, ibidem, p. 36) erranti per il mondo del capitale globalizzato sono i prodotti più genuini di questo stesso mondo: soggetti identici della medesima metafisica reale, in cui è diventata evidente la pulsione di morte propria di questa socializzazione negativa. Gli autori delle azioni Berserker nelle scuole degli Stati Uniti e i bombaroli suicidi islamici sono più uniti dalla loro forma del soggetto e, quindi, dalle loro azioni, di quanto siano separati dai loro differenti sfondi culturali. Quello che è evidente negli autori delle azioni Berserker vale anche per i bombaroli suicidi, che apparentemente sono più influenzati da motivi ideologici: Anche fra di loro, similmente a quello che Hannah Arendt già identificava nella generazione perduta del periodo fra le due guerre mondiali, la predisposizione a sacrificare la propria vita non ha «la minima somiglianza con quello che siamo soliti intendere per idealismo». I motivi religiosi che, non a caso, hanno sostituito le ideologie moderne propriamente dette, sono espressione di questa universale perdita di sé stessi, che sfocia nella «predilezione appassionata per l'organizzazione della propria vita secondo concetti destituiti di qualsiasi senso», finendo per buttarla via come un fazzoletto di carta usato. La follia religiosa che infuria in tutto il mondo e che anche in Occidente ha dato origine ad un gran numero di sette (ivi incluse anche "sette suicide" dichiarate) oramai non possiede alcun tipo di coerenza; è composta sincreticamente da ogni tipo di elementi religiosi smarriti ed arricchiti con i prodotti della decomposizione delle ideologie passate, dal culto di Hitler fino alla "messa nera". Il culto assurdo del male corrisponde alla pulsione di morte nel centro vuoto della ragione illuminista, che viene messa a nudo.

Questo processo era già iniziato nell'epoca delle guerre mondiali, ed è stato interrotto solo dall'ultima fase di intenso sviluppo fordista dopo il 1945. Infatti, il nazismo può essere considerato come una specie di precursore o prototipo della velenosa miscela di idee che oggi circola in tutto il mondo, secondo varie ricette. Anche i nazisti mescolavano la loro patologica "visione del mondo" a partire da motivi pseudo-religiosi disconnessi fra loro, miti arcaici sintetici, ideologie moderne e prodotti collaterali del pensiero delle scienze della natura associati all'ascesa del capitalismo. Anche i nazisti si caratterizzavano per il culto della "mascolinità" violenta specificamente moderna ed i relativi codici. Ed anche per i nazisti ad essere in questione non erano, o quanto meno non erano solo, gli interessi imperiali ma, ugualmente, una furia di annientamento che aveva tutti contorni di un fine in sé, che è culminato in un'orgia di auto-annichilimento e di auto-sacrificio. Oggi, tuttavia, il medesimo contesto motivazionale ormai non si presenta più come nazionale e specificamente tedesco, bensì globale ed universale; la vertigine assassina non si organizza più come un "Reich" nazionale ed imperiale, ma, semmai, nel contesto dello "imperialismo globale ideale" e nella dispersione molecolare per tutto il globo terrestre. L'enfatizzazione esacerbata di atti di culto esteriori, sia nelle sette occidentali che in quelle islamiche, si riferisce alla stessa assenza di contenuto. Se le antiche religioni hanno sempre avuto alle spalle lo sfondo riproduttivo delle civiltà agrarie, ormai non si può più constatare niente del genere per le idee zombie di queste nuove "generazioni perdute", ora globali, per le quali non esiste alcun futuro nella sua costituzione capitalista. Dall'altro lato, lo "sfondo degli interessi" delle precedenti moderne ideologie, provenienti dalla storia dell'ascesa del capitalismo, non riesce più a stabilire una qualche coerenza ideale. Lo stesso "interesse" si inselvaggisce e si decompone, ed insieme ad esso l'ideologia, che è ugualmente spogliata di qualsiasi contenuto coerente. L'avidità per il successo sul mercato da parte dei virgulti dei vincitori minoritari della globalizzazione e l'avidità dell'economia di saccheggio per le "merci occidentali" nelle regioni al collasso si trasforma immediatamente nella vuota e totale mancanza di interesse del soggetto dell'Amok e del suicidio, maschile e giovanile. I McDonald e la jihad [guerra santa] costituiscono di fatto le due facce della stessa medaglia, sebbene molto più orribili di quanto li abbia rappresentati Benjamin Barber nel suo libro "Coca-Cola e Guerra Santa" (Barber 1996). La "sete di morte" non è un motivo specificamente islamico ma, piuttosto, l'universale grido di disperazione di un'umanità che si auto-giustizia nella sua forma del mondo capitalista. E gli autori sono, al 90 o quasi al 100%, uomini in competizione con violenza, alla fine non meno di quanto lo fossero all'inizio di questa meravigliosa "civiltà".

- Robert Kurz -  Pubblicato su Exit! n°14 del Maggio 2017 -

mercoledì 29 giugno 2022

Alle radici …

Questo libro ricostruisce le grandi correnti del pensiero politico italiano nell’età giolittiana (i socialisti riformisti e i socialisti rivoluzionari; il meridionalismo di Salvemini; i nazionalisti) e alla vigilia della Prima guerra mondiale (Croce, Gentile, Salvemini). Dedica poi ampio spazio alle concezioni di Gramsci, di Giovanni Amendola, di Sturzo, e discute le analisi del fascismo formulate da Gobetti e da Salvatorelli. In un ultimo capitolo vengono prese in esame le principali espressioni dell’ideologia fascista (Gentile, Rocco, Spirito), e dell’antifascismo (Croce, Gramsci, Rosselli). Ne esce un quadro che si differenzia profondamente da quello tracciato tradizionalmente su questi temi (viene messo in rilievo, per esempio, il forte influsso esercitato da Giovanni Gentile su Gramsci; così come viene documentata l’ispirazione antiliberale dell’opera di Gobetti).

(dal risvolto di copertina di: Giuseppe Bedeschi, "Miti e ideologie. Il pensiero politico italiano dall'età giolittiana al fascismo". Le Lettere € 22,80)

Gramsci «allievo occulto» della filosofia di Gentile
- di Giancristiano Desiderio -

Antonio Gramsci riteneva che il pensiero di Croce fosse «il momento mondiale della filosofia tedesca», e, nonostante ne subisse il fascino e, anzi, proprio in forza di ciò, auspicava che si scrivesse un Anti-Croce. Ma la motivazione vera della proposta di Gramsci risiede nella sua formazione gentiliana.
Sì. proprio cos': perché più dell'influenza dello storicismo di Croce poté sul giovane Gramsci il neo-idealismo o attualismo di Gentile. Ad esempio, sul settimanale torinese «Il Grido del popolo», del 19 gennaio 1918, il giovane ideologo comunista scriveva che Gentile era «il filosofo italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del pensiero. Il suo sistema della filosofia è lo sviluppo ultimo dell'idealismo germanico che ebbe il suo culmine in Hegel, maestro di Marx, ed è la negazione di ogni trascendentalismo, l'identificazione della filosofia con la storia, con l'atto del pensiero in cui si uniscono il cero e il fatto di una progressione dialettica mai definitiva e perfetta». Ce n'è quanto basta per sottolineare l'ammirazione di Gramsci per Gentile e mettere in luce che tanto Gentile volle ricavare da Marx una filosofia della prassi quanto Gramsci volle riprendere da Gentile una filosofia rivoluzionaria tradotta nella storia.

A fornire questa lettura del pensiero di Gramsci è Giuseppe Bedeschi con il suo gran saggio "Miti e ideologie" (Le Lettere). Bedeschi fornisce al lettore un libro da leggere e studiare per capire i passaggi storici più importanti del primo Novecento - la Grande guerra, il «biennio rosso», il fascismo - che hanno condizionato il «secolo breve». Ci sono in questo libro pagine e pagine di grande finezza interpretativa: il capitolo iniziale sul socialismo riformista e rivoluzionario, il meridionalismo di Salvemini, il «liberalismo» operaista di Gobetti, e ancora pagine su Croce, Amendola, Mosca, Sturzo e Giolitti.
Tuttavia, è proprio il giudizio di Bedeschi su Gramsci - rigorosamente documentato - che merita la giusta attenzione perché, per riprendere quanto scrisse Sergio Romano, emerge con nettezza che proprio Gentile è stato «il maestro occulto del Partito comunista italiano». Non a caso la stessa interpretazione che Gramsci diede sia della rivoluzione bolscevica sia dell'esigenza di uscire dal Psi e fondare il Pcd'I s'intende appieno solo se si evidenzia la «intonazione neo-idealistica» con cui il pensatore sardo usò il volontarismo di Lenin contro il materialismo di Marx. In Gramsci il classico rapporto marxista tra «struttura» e «sovrastruttura» è rovesciato: non è l'economia che determina la coscienza, ma è la coscienza che determina l'economia. Marx giunge a Gramsci attraverso Gentile. E questo vale non solo per il giovane Gramsci ma anche per il Gramsci dei "Quaderni del carcere" che elabora l'egemonia del moderno Principe sostituendo allo Stato etico la «società regolata»  del Partito comunista.

Giancristiano Desiderio, Pubblicato sul Corriere del 19/05/2022 -

martedì 28 giugno 2022

Il protagonista è morto !!

Il colpo di scena finale (The Twist Ending), è un espediente che viene utilizzato in tutta la narrativa, e sembra essere particolarmente diffuso nei romanzi noir. Funziona sorprendendo il pubblico, spingendolo in principio verso una direzione, per poi poterli togliergli alla fine il tappeto da sotto i piedi.
Se fatto bene, gli spettatori apprezzeranno il brivido e lo shock in più.
Se fatto male, invece, finirà per sortire l'effetto per cui il pubblico potrebbe anche sentirsi imbrogliato.

I più comuni includono:

* - L'Inversione di identità: il protagonista si rivela essere l'assassino, oppure il narratore si rivela essere tutt'altro che un osservatore neutrale, come inizialmente si pensava .
  * - Era tutto quanto un sogno: è uno dei finali più comuni, tant'è che gli insegnanti di narrativa dicono agli studenti di non farne mai uso.
  * - Il protagonista è morto: si scopre che il narratore, o il protagonista erano sempre stati per tutto il tempo... morti.
* - Ritorno alla Terra: quello che ci è stato fatto credere che fosse un pianeta alieno, distopico, in realtà   per tutto il tempo era sempre il nostro vecchio pianeta Terra.
      Questo tropo funziona anche con un film che sembra sia ambientato in un diverso periodo temporale.

Carnival of Souls (1962) - Durata    78 min B/N. Regia:    Herk Harvey. Soggetto:    Herk Harvey. Sceneggiatura:    John Clifford. Fotografia: Maurice Prather. Montaggio:    Bill de Jarnette e Dan Palmquist. Musiche:    Gene Moore.

Nella scena iniziale, una donna di nome Mary e i suoi amici vengono coinvolti in una gara di velocità automobilistica, la quale si conclude con la loro auto che precipita giù da un ponte. Tutti gli altri muoiono, ma Mary riesce a salvarsi, uscendo dall'auto e nuotando fino a terra. Si trasferisce quindi nello Utah e lavora come organista in una chiesa. Mary si sente attratta da un vecchio luna park abbandonato alla periferia della città, dove viene tormentata dalle anime dei defunti. Solo alla fine del film si scopre che Mary era morta anche lei nell'incidente iniziale, ed era questo il motivo per cui poteva vedere le altre persone morte.

Negli annali dell'horror, Carnival of Souls viene considerato come il primo utilizzo del finale «Il protagonista è morto».

Passa il pacco, finché puoi !!

Le forbici della crisi
- di Michael Roberts -

La scorsa settimana, il Segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen ha dichiarato al Congresso degli Stati Uniti che «stiamo entrando in un periodo di transizione, passando da una ripresa storica a una crescita stabile e costante. Questo passaggio è un elemento centrale del piano del Presidente per riportare l'inflazione sotto controllo e senza sacrificare i guadagni economici che abbiamo ottenuto». È vero che l'economia statunitense, dopo il crollo della pandemia (che, in termini di produzione nazionale, redditi e investimenti, è stato il periodo peggiore dagli anni '30 - persino peggiore della Grande Recessione del 2008-9), si è ripresa.  Ma tal ripresa non la si può certo definire «storica».  Quanto all'affermazione che l'economia statunitense - nell'ultimo anno, la più performante tra le principali economie -  si stia dirigendo verso una «crescita stabile e costante», essa non sembra essere supportata dalla realtà. Sì, c'è una sorta di "piena occupazione" - vale a dire che il tasso di disoccupazione ufficiale è vicino ai minimi storici - ma molti di questi posti di lavoro sono part-time, temporanei o a contratto.  E molti di essi sono mal pagati.  Il tasso di partecipazione all'occupazione, che misura il numero di persone che lavorano rispetto a quelle in età lavorativa, rimane ben al di sotto dei livelli pre-pandemia, livelli che erano già in declino.

Allo stesso tempo, la crescita della produttività è stata spaventosa.  Dopo la pandemia, sempre più americani hanno ripreso a lavorare, ma la produzione nazionale non corrisponde all'aumento dell'occupazione, ragion per cui la produttività per lavoratore è crollata,e questo  a partire da dei tassi di crescita che erano già deboli.  Di conseguenza, i costi unitari del lavoro (costi salariali per unità di prodotto) sono aumentati vertiginosamente, riducendo i margini di profitto.

E nonostante le rassicurazioni della Yellen, le prospettive per l'economia statunitense per il resto dell'anno, e per il prossimo non sono promettenti, anzi sono addirittura desolanti.  Secondo il modello di previsione del PIL della Fed di Atlanta, l'economia statunitense, dopo la contrazione del primo trimestre di quest'anno, nel trimestre in corso dovrebbe crescere a un ritmo inferiore a meno dell'1% nel trimestre in corso.

Ancora più contrari all'opinione della Yellen, sono gli ultimi rapporti della Banca Mondiale e degli economisti dell'OCSE circa le prospettive dell'economia mondiale, inclusi gli Stati Uniti.  Il rapporto della Banca Mondiale sulle prospettive economiche globali per il mese di giugno è stato intitolato "Il rischio di stagflazione aumenta insieme a un forte rallentamento della crescita". Le previsioni economiche della Banca Mondiale sono state scioccanti.  « Ci si aspetta che la crescita globale crolli per una percentuale che va dal 5,7% nel 2021 al 2,9% nel 2022; significativamente inferiore al 4,1% previsto a gennaio.  Si prevede che nel 2023-24 la crescita si aggirerà intorno a tale ritmo, e questo perché la guerra in Ucraina interromperà l'attività, gli investimenti e il commercio nel breve termine, la domanda repressa si affievolirà e gli aiuti di politica fiscale e monetaria verranno ritirati. A causa dei danni della pandemia e della guerra, quest'anno il livello di reddito pro capite, nelle economie in via di sviluppo, sarà inferiore di quasi il 5% rispetto al trend pre-pandemia. La crescita delle economie avanzate dovrebbe rallentare bruscamente, passando dal 5,1% nel 2021 al 2,6% nel 2022; 1,2 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni di gennaio. Si prevede un'ulteriore moderazione della crescita fino al 2,2% nel 2023, che riflette in gran parte l'ulteriore riduzione del sostegno dato dalla politica fiscale e monetaria, fornito durante la pandemia. Anche tra i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo la crescita dovrebbe scendere dal 6,6% nel 2021 al 3,4% nel 2022; ben al di sotto della media annuale del 4,8% che abbiamo avuto nel periodo 2011-2019. Le ricadute negative dovute alla guerra, saranno superiori all'eventuale spinta a breve termine da parte di alcuni esportatori di materie prime derivante dall'aumento dei prezzi dell'energia. Le previsioni di crescita per il 2022 sono state riviste al ribasso in quasi il 70% dei Paesi emergenti, tra cui c'è la maggior parte dei Paesi importatori di materie prime, insieme ai quattro quinti dei Paesi a basso reddito ».  Pertanto, la Banca Mondiale prevede una stagnazione della produzione che si aggiungerà all'inflazione ancora presente. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la Banca Mondiale prevede una crescita del prodotto nazionale di appena il 2,5% quest'anno, del 2,4% nel 2023 e del 2% nel 2024 - una crescita «stabile e costante», si potrebbe dire, però solo ai bassi livelli che l'economia statunitense ha sperimentato nella lunga depressione in atto dal 2009.  Si prevede anche che la performance degli Stati Uniti sarà la migliore tra le economie capitalistiche avanzate: entro il 2024, l'area dell'Eurozona riuscirà a raggiungere solo l'1,9%, e il Giappone appena lo 0,6%. Gli economisti della Banca Mondiale ritengono che l'impatto combinato della pandemia e della guerra lascerebbe la produzione economica globale, nei cinque anni dal 2020 al 2024, oltre il 20% al di sotto del livello che era implicito nella crescita tendenziale tra il 2010 e il 2019.  L'impatto sui Paesi poveri sarà assai maggiore, con le economie in via di sviluppo un terzo in meno del previsto, e con la produzione dei Paesi in via di sviluppo importatori di materie prime - particolarmente colpiti dal forte aumento dei prezzi di cibo e carburante provocato dall'invasione russa - che sarà oltre il 40% in meno del previsto! La visione degli economisti dell'OCSE è, se possibile, ancora più pessimistica. Nell'Economic Outlook di giugno, dal titolo "Il prezzo della guerra", gli economisti dell'OCSE sottolineano il costo della guerra tra Russia e Ucraina. « Il mondo sta pagando un prezzo pesante per la guerra della Russia in Ucraina. Si tratta di un disastro umanitario che ha provocato migliaia di vittime e costretto milioni di persone ad abbandonare le proprie case. La guerra ha anche innescato una crisi del costo della vita che ha colpito la popolazione di tutto il mondo. Se associata alla politica cinese dello zero-COVID, vediamo che la guerra ha portato l'economia globale su un percorso di rallentamento della crescita e di aumento dell'inflazione; una situazione che non si vedeva dagli anni Settanta. L'aumento dell'inflazione, in gran parte determinato dai forti aumenti dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, sta causando difficoltà alle persone a basso reddito e sta sollevando seri rischi per la sicurezza alimentare nelle economie più povere del mondo ». Secondo le proiezioni, quest'anno la crescita del PIL mondiale rallenterà bruscamente, attestandosi intorno al 3%. Si tratta di una percentuale ben al di sotto del ritmo di ripresa previsto lo scorso dicembre. La crescita sarà nettamente più debole del previsto in quasi tutte le economie. Molti dei paesi più colpiti si trovano in Europa, la quale è fortemente esposta alla guerra a causa delle importazioni di energia e dei flussi di rifugiati.  La crescita globale rallenterà ulteriormente fino a raggiungere il 2,8% nel 2023, ovvero quasi alla "velocità di stallo", con il Regno Unito che non registrerà alcuna crescita; il risultato peggiore di tutto il G20 (a parte la Russia). Anche gli Stati Uniti rallenteranno ad appena l'1,2%. 

E nelle principali economie, nel resto dell'anno l'inflazione dei prezzi di beni e servizi non sembra destinata a diminuire.  I prezzi del greggio potrebbero salire anche oltre gli attuali 120 dollari al barile. Jeremy Weir, amministratore delegato di Trafigura, società che si occupa di commercio di materie prime, ha dichiarato che i mercati energetici si trovano in una situazione "critica", a causa del fatto che le sanzioni sulle esportazioni di petrolio della Russia, in seguito all'invasione dell'Ucraina, hanno esacerbato le già scarse forniture create da anni di investimenti insufficienti. « Abbiamo una situazione critica. Penso davvero che ci sia un problema per i prossimi sei mesi ... una volta che si arriva a questi stati parabolici, i mercati possono muoversi e possono avere picchi notevoli ». Un movimento parabolico nei mercati, viene generalmente definito come una situazione in cui un prezzo che è cresciuto improvvisamente si impenna a livelli mai visti prima, imitando il lato destro di una curva parabolica. Weir ha aggiunto che è altamente probabile che i prezzi del petrolio possano salire a 150 dollari al barile o più nei prossimi mesi, con le catene di approvvigionamento messe a dura prova dal tentativo della Russia di riorientare le proprie esportazioni di petrolio lontano dall'Europa.

I prezzi dell'energia non stanno aumentando a causa di una "domanda eccessiva", e nemmeno a causa del "price-gouging" [ La truffa dei prezzi si verifica quando un venditore aumenta i prezzi di beni, servizi o merci a un livello molto più alto di quello considerato ragionevole o equo. Di solito, questo evento si verifica dopo uno shock della domanda o dell'offerta. Wikipedia (inglese) ], ma semplicemente perché l'offerta viene limitata. L'offerta è calata durante la pandemia, e ora le esportazioni russe sono state sanzionate, e non possono essere sostituite dal petrolio saudita o dalle forniture statunitensi.

Dopo la pandemia, il crollo della catena di approvvigionamento globale continua, in particolare dall'inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, ma anche prima: si veda qui sotto la misurazione della compressione dell'approvvigionamento della Fed di New York .

Tra le principali economie, il Regno Unito è il paese destinato ad avere l'inflazione più alta del G7, e fino al 2024 la crescita più bassa. Una combinazione di elevati prezzi dell'energia, sterlina in calo, crescita economica vacillante, deterioramento dell'ambiente per le piccole imprese, famiglie deboli, restrizioni commerciali nei confronti della Russia, una banca centrale che sta stringendo i cordoni della borsa e un'inflazione complessiva che ha raggiunto i massimi da quattro decenni hanno prodotto un ambiente tossico per l'economia britannica.  Il cosiddetto "indice di miseria", che misura il tasso di disoccupazione più il tasso di inflazione, come indicatore della "miseria" delle famiglie operaie, sta tornando verso dei livelli che non si vedevano dall'era Thatcher.

Il nesso esistente tra l'aumento dei prezzi e dei salari, ha portato a una forte riduzione dei redditi reali.  L'aumento dei prezzi sta superando la crescita dei salari quasi ovunque, e le famiglie stanno assistendo a una perdita di reddito a loro disposizione (cioè al netto degli aumenti dei prezzi e delle tasse), e  per far quadrare i conti sono quindi costrette a intaccare i risparmi (alcuni dei quali sono stati accumulati durante le chiusure per la pandemia).

Come già dimostrato in alcuni post precedenti, contrariamente a quanto sostenuto dai politici mainstream, dai governatori delle banche centrali e dagli economisti, non esiste una spirale "salari-prezzi". I salari non stanno facendo salire i prezzi.  Anzi, sono i profitti ad essere aumentati bruscamente come quota di valore dopo la pandemia. Tuttavia, l'aumento del costo unitario del lavoro (come mostrato sopra), dovuto alla bassa crescita della produttività, sta iniziando a intaccare i margini di profitto.

Il calo dei margini di profitto finirà per portare a una diminuzione della redditività, e persino a un calo della massa dei profitti.  Questo potrebbe essere il segnale di un nuovo crollo, soprattutto se i costi dei prestiti per gli investimenti dovessero aumentare a causa del rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, attuato nel vano tentativo di "controllare" l'inflazione.  Il calo dei profitti è la formula per un eventuale crollo degli investimenti e della produzione.  Questa è una delle due lame delle forbici del crollo.

L'altra lama è il debito.  E come ho sottolineato in molte occasioni, ritengo che il prossimo crollo verrà innescato da un crollo del debito aziendale. In particolare, ricordiamo le dimensioni delle cosiddette "società zombie", le quali non ottengono profitti sufficienti a coprire nemmeno gli impegni di servizio del debito, e degli "angeli caduti", quelle società che hanno preso in prestito troppo per poi investire in attività rischiose che ora possono esplodere.  Le società che si sono indebitate sono destinate ad avere problemi a causa dell'aumento del costo dei prestiti e della riduzione della liquidità da parte delle banche.  La Federal Reserve ha già alzato i tassi di interesse, passando dal "quantitative easing"  al "quantitative tightening" [ L'inasprimento quantitativo è uno strumento di politica monetaria restrittiva applicato dalle banche centrali per ridurre la quantità di liquidità o offerta di moneta nell'economia. Wikipedia (inglese) ], con il conseguente crollo dei prezzi dei mercati azionari.

Gli economisti della Banca Mondiale sono preoccupati. « L'inasprimento, più rapido del previsto, delle condizioni finanziarie a livello mondiale potrebbe spingere i Paesi a una crisi del debito come quella che abbiamo visto negli anni Ottanta. Questa è una minaccia reale e ci preoccupa. Anche gli aumenti piuttosto contenuti dei costi di indebitamento saranno un problema », ha dichiarato Franziska Ohnsorge, autrice principale del rapporto della Banca Mondiale. I dati della Banca Mondiale mostrano come il debito estero dei Paesi a basso reddito sia aumentato di 15,5 miliardi di dollari, raggiungendo così nel 2020 circa 166 miliardi di dollari. Il debito estero dei Paesi a medio reddito è aumentato di 423 miliardi di dollari, superando gli 8,5 miliardi di dollari; il che li rende particolarmente esposti all'aumento dei tassi di interesse.  Le banche centrali stanno aumentando rapidamente i tassi di interesse in quello che appare come il più ampio inasprimento della politica monetaria da oltre due decenni. Nei tre mesi fino alla fine di maggio, le autorità monetarie hanno già annunciato più di 60 aumenti dei tassi. Se ne prevedono altri nei prossimi mesi. Qualsiasi flessione dei profitti, e qualsiasi aumento dei prestiti, esporrà quegli strati di aziende che sono prossime al fallimento.  Nel Regno Unito, il presidente del Financial Stability Board, Martin McTague, ha commentato: « C'è ancora un problema enorme con le piccole imprese. Si trovano ad affrontare qualcosa come il doppio del tasso di inflazione per i loro prezzi di produzione, e questo è una bomba a orologeria. Hanno letteralmente poche settimane prima di esaurire la liquidità, e ciò significherà che centinaia di migliaia di imprese e molte persone perderanno il lavoro ». McTague ha fatto riferimento ai dati dell'Office for National Statistics (ONS), da cui risulta che 2 milioni (ovvero circa il 40%) delle piccole imprese del Regno Unito hanno meno di tre mesi di liquidità in riserva per sostenere le operazioni. Ha osservato che il 10% (ovvero 200.000) è in grave pericolo e 300.000 hanno solo poche settimane di liquidità. « È una possibilità molto concreta perché... non hanno riserve di liquidità. Non hanno modo di affrontare il problema ». In Europa, il più grande gestore di asset finanziari ha paragonato alcune parti del settore del private equity a uno "schema Ponzi" [ Lo schema Ponzi è un modello economico di vendita truffaldino ideato da Charles Ponzi, che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi "investitori", a loro volta vittime della truffa. Wikipedia ] che presto dovrà essere affrontato.  « Alcune parti del private equity assomigliano in un certo senso a uno schema piramidale », ha detto Vincent Mortier, chief investment officer di Amundi Asset Management. « Si sa che si possono vendere [asset] a un'altra società di private equity per 20 o 30 volte gli utili. Ecco perché si può parlare di Ponzi. È una cosa circolare ».  In altre parole, le società di private equity acquistano aziende che hanno prestiti enormi, e poi le rivendono l'una all'altra e con prestiti ancora più grandi.  Alla fine, qualcuno perderà da questa forma di finanziamento «che passa il pacco». I livelli di leva finanziaria (prestiti) sono aumentati in proporzione, portando a un indebitamento che ha raggiunto i massimi storici. La forbice tra il calo della redditività e l'aumento dei costi del debito si sta chiudendo e finirà per ridurre gli investimenti, i posti di lavoro, i prezzi e i salari.

- Michael Roberts - Pubblicato il 10/6/2022 su Michael Roberts Blog. Blogging from a Marxist economist -

lunedì 27 giugno 2022

« Sono io la vittima » !!

La gioia dell'odio
- Una nota sul "caso Céline -
Jean-Luc DEBRY

La sua misantropia, la sua misoginia, il suo razzismo, il suo antisemitismo - che Jankélévitch distingueva dal razzismo a partire da questa specifica paura dell'altro, dell'impercettibilmente altro -, il suo universo di odio e di risentimento, l'ilarità e l'esultanza che gli procurava, il suo modo di sguazzare nel proprio pantano, sarebbero pertanto la conseguenza dell'esperienza che Céline ha avuto della guerra - la "Grande", come la chiamava. La recente pubblicazione di Guerre, manoscritto ritrovato e pubblicato da Gallimard [*1], è a questo proposito un elemento, non tanto di giustificazione, quanto di comprensione di ciò che è stato chiamato, in mancanza di un termine migliore, il "caso Céline".
Sembra mostrare fino a che punto la violenza che divorava la sua anima, lo abbia spinto verso un eccesso senza tenerezza, caratteristico del suo "stile". Un'inclinazione che tanto affascina quanto respinge. Questa violenza di contenuto e di forma, nasce nel fango e nel sangue della follia bellica, dove i sopravvissuti ai massacri venivano fucilati poiché la loro sopravvivenza era sospetta e dove, al contrario, si decretava, con l'arroganza dell'arbitrio con i galloni, che altri storpi sarebbero diventati eroi decorati - pagliacci manipolati, insomma - che avrebbero ispirato la necessità di altri massacri a venire. Il plotone o la medaglia: una scelta che riassume la promessa di futuro per l'anima sfigurata, per la persona spezzata interiormente. Una società che si gloria della morte atroce dei propri figli giustificherebbe perciò una rabbia mostruosa, a immagine di ciò che essa ha generato. Il crimine giustificherebbe il desiderio di vendetta della vittima impotente. Così, la sua rabbia sublimata, vigorosa e devastante, la rabbia folle che abitava Céline, poteva sembrare scagionare ciò che non riusciamo a comprendere con la ragione. Nel caso di Céline, negli anni Trenta e Quaranta, questa rabbia furiosa cercherà un bersaglio su cui concentrarsi. Lo troverà nell'antisemitismo delirante e vigliacco dello scrittore.

L'esultanza che l'odio per tutto reca in sé, l'ebbrezza inebriante e affascinata che esso sprigiona, ci trascina fino alla nausea, allorché sappiamo già cosa succederà dopo, di quel pozzo senza fondo, sappiamo di quell'abisso profondo in cui l'acrimonioso Céline è sprofondato senza mai esprimere il minimo pentimento. L'autore del Voyage si dedicò, infatti, senza badare a spese, a questa particolare forma di inversione vittimaria che è stato il suo marchio di fabbrica, ripetendo incessantemente e fino alla morte: «Sono io la vittima!» La cosa peggiore, se non stiamo attenti, potrebbe essere sviluppare un gusto per questo odio viscido. Il pericolo c'è, evidente, perché in fondo la prosa di Céline è "godibile", tanto per usare il termine così abusato negli anni Settanta, i quali sono stati gli anni della sua riscoperta. Piacevole, sì, ma al punto che ci si vergogna di condividerlo senza vergogna o ritegno. Il meccanismo del resto è ben noto: nasce dall'attrazione voyeuristica e dal godimento malefico che crea la tentazione di condividere la felicità del torturatore. Questa dipendenza sadica deve mettere in discussione anche il piacere del lettore, ma soprattutto conferma l'evidenza che la cesura attuata da Céline è stata indiscutibilmente l'origine di un rutto che ha provocato, in uno stesso movimento, un malessere e una gioia malvagia che, grazie al successo di Céline, ha portato la letteratura dalla parte di un aldilà sconfinato di follia sanguinaria; il cui indispensabile corrispettivo sarebbe Camus. «Odio quindi sono», ci sorride, facendo una smorfia, Céline, che, vittima di un suicidio europeo, ha perso la ragione. In lui, non c'è altro che un nichilismo (non romantico, e solo per un centesimo) che non ha altro fine che sé stesso. In breve, il desiderio di uccidere e di far soffrire con parole che precedono l'atto, la cui esecuzione è affidata ad altri. «Céline non è privo di meriti», osserva Houellebecq da qualche parte, «è solo ridicolmente sopravvalutato.» Ed è proprio da qui che nascono i problemi, da questa sopravvalutazione a cui ci prestiamo ben volentieri. Ci sono spettacoli orribili come questo da cui non si può sfuggire. Anche se si distoglie lo sguardo, lo sguardo torna sempre all'orrore. Come calamitati. A differenza dei Giono, dei Cendrars o dei Giraudoux de "La guerre de Troie n'aura pas lieu" - la cui invettiva di Ettore merita ancora di essere ricordata [*2] - Céline si lascia infinitamente travolgere dal piacere dell'odio senza mai riprendersi. Non ha mai smesso di girare il coltello nella piaga, fino al momento in cui ha trovato lo "stile" letterario che lo ha reso famoso. Un caso, davvero!

- Jean-Luc DEBRY - 20 giugno 2022 -

Note :

[*1] A questo proposito, si legga l'indispensabile studio di Philippe Roussin - "Déshonneur et patrie: retour sur l'affaire Céline" - pubblicato sul sito "En attendant Nadeau". https://www.en-attendant-nadeau.fr/2021/12/15/deshonneur-patrie-affaire-celine/

[*2] Hector – « O voi che non ci ascoltate, che non ci vedete, ascoltate queste parole, vedete questa processione. Noi siamo i vincitori. Non ti dispiace, vero? Anche tu lo sei. Ma noi siamo i vincitori viventi. È qui che inizia la differenza. È qui che mi vergogno. Non so se nella folla dei morti i morti vittoriosi possano essere distinti da un tondo. I vivi, vincitori o meno, hanno la vera coccarda, la doppia coccarda. Questi sono i loro occhi. Abbiamo due occhi, miei poveri amici. Vediamo il sole. Facciamo tutto quello che si fa al sole. Mangiamo. Beviamo... E al chiaro di luna!... Dormiamo con le nostre mogli... Anche con le vostre... [...] O voi che non odorate, che non toccate, respirate questo incenso, toccate queste offerte. Poiché finalmente è un generale sincero a parlarvi, imparate che non ho uguale tenerezza, uguale rispetto per tutti voi. Per quanto siate morti, c'è tra di voi la stessa proporzione di coraggiosi e codardi che c'è tra noi che siamo sopravvissuti, e non mi farete confondere, con una cerimonia, i morti che ammiro con quelli che non ammiro. Ma quello che devo dirvi oggi è che la guerra mi sembra la ricetta più sordida e ipocrita per equiparare gli esseri umani, e non ammetto più la morte come punizione o espiazione per il codardo che come premio per il vivo. Quindi, chiunque tu sia, tu assente, tu inesistente, tu dimenticato, tu senza occupazione, senza riposo, senza essere, capisco infatti che è necessario, chiudendo queste porte, scusare vicino a te questi disertori che sono i sopravvissuti, e sentire come un privilegio e un furto questi due beni che si chiamano, con due nomi la cui risonanza spero non ti raggiunga mai, il calore e il cielo. » [Jean Giraudoux, La guerre de Troie n'aura pas lieu, atto II, scena 5 (estratto), 1935].

fonte: A Contretemps. Bulletine de critique bibliografique

domenica 26 giugno 2022

Parassiti ?!??

È antisemita chiamare "parassiti" i padroni?
- Personificazione del Capitale, i «veri creatori della ricchezza» ed opposizione Finanza/Capitale industriale -

L'altro giorno mi è stato chiesto se chiamare i padroni "parassiti" fosse antisemita. A mio avviso, è meglio evitare di usare questo termine poiché riecheggia il linguaggio dell'estrema destra e incoraggia una visione distorta del capitalismo. Se si vuole comprendere il motivo per cui questo e altri termini o espressioni ambigui, possono essere antisemiti, bisogna anche cominciare a capire perché possono essere problematici, e quali sono i presupposti che li rendono equivoci, o addirittura ambigui. Ciò consentirà ai vostri interlocutori di cogliere meglio, in futuro, il perché alcuni elementi del loro vocabolario politico possono essere considerati antisemiti, sperando che così possano evitare le trappole che portano poi ad accuse di antisemitismo. L'incapacità di comprendere queste argomentazioni - e la relazione esistente tra l'antisemitismo, la critica più ampia del "capitale finanziario e industriale", e la personificazione del Capitale (questi ultimi due elementi vengono comunemente usati dall'estrema destra) - ha spesso messo in difficoltà quei militanti progressisti che avevano ben altre intenzioni. Per esempio, le accuse di antisemitismo rivolte al movimento Occupy Wall Street, sono state in gran parte provocate dalla diffusione di questo genere di immagini e narrazioni riguardo la critica dell'economia capitalista. Ne testimonia la promozione, fatta da Matt Taibi, dell'immagine di un vampiro dell'abisso [*1], al fine criticare Goldman-Sachs, una banca storicamente "ebraica".  Oppure, per il fatto che per spiegare la cosa abbia pubblicato [*2] gli scritti di Eduard Limonov, fascista russo e sostenitore di Terza Posizione. Cosa questa, che non ha fatto altro che aggravare il problema.
Basandosi sul lavoro di Marx, la sinistra considera generalmente il capitalismo come se fosse un sistema olistico e onnicomprensivo. I capitalisti pagano i propri dipendenti per il loro lavoro, ma guadagnano sulle loro spalle senza svolgere quei compiti che fanno svolgere agli altri. Ma Marx non opera una distinzione tra i settori di attività economica: il capitalismo è altrettanto problematico per tutti. Esiste tuttavia un altro modo di vedere le cose, che si concentra sui "produttori" [*3], ossia sui "veri creatori di ricchezza". Questo punto di vista si ritrova comunemente nei movimenti populisti ed è fortemente utilizzato dall'estrema destra, in particolare dagli antisemiti. "I sostenitori del 'lavoro produttivo” valorizzano coloro che sostengono essere i veri "creatori della ricchezza" di una nazione: gli operai che creano dei prodotti materiali, come gli operai delle fabbriche e gli agricoltori. Li contrappongono a quelli che lavorano in delle industrie il cui "prodotto" ha una forma astratta e immateriale, come le banche, la pubblicità o l'istruzione. (Tutto ciò viene a volte presentato come se si trattasse di una divisione tra "capitale industriale" e "capitale finanziario" (una distinzione questa, che che il Partito Nazista promuoveva nella sua propaganda). In questo discorso, i lavoratori vengono presentati come sottoposti alla pressione congiunta delle élite dall'alto, da una parte, e quella dei "parassiti" sotto di loro nella scala sociale, dall'altra: ad esempio, sono schiacciati dalle tasse che servono per sostenere chi non lavora.

Esistono diverse versioni di questo discorso, progressista, implicitamente razzista e antisemita, ma anche apertamente  razziste e antisemite. Così, ad esempio, i sindacati elogeranno gli operai delle fabbriche e attaccheranno i banchieri con lo slogan: «Main Street non Wall Street». Questa espressione è politicamente neutra. Si tratta di una versione moderatamente razzista che consiste nel contrapporre «gli autenti americani del Midwest ai banchieri della East Coast e agli immigrati clandestini» (cioè coloro che i "veri" lavoratori sono costretti a sostenere con le loro tasse). Infine, c'è anche una versione apertamente razzista e antisemita: «I neri e gli immigrati, sostenuti dall'élite ebraica, vivono come parassiti sulle spalle dei bianchi.» Per l'estrema destra, i lavoratori virtuosi sono sempre quello specifico gruppo nazionale o razziale che scelgono di difendere. I suoi nemici sono i banchieri e/o gli ebrei, a seconda di quanto la narrazione divenga esplicitamente antisemita. Il problema è questo: Perché, come sostengono i sostenitori del "capitale produttore" e del "lavoro produttore", un tipo di industria capitalistica sarebbe cattiva mentre invece un'altra sarebbe buona, o quanto meno perché mai non dovrebbe essere oggetto di immagini demonizzanti? Perché il proprietario di una fabbrica che si appropria del plusvalore del lavoro dei suoi operai dovrebbe essere buono mentre il banchiere sarebbe cattivo? Entrambi occupano semplicemente delle posizioni diverse all'interno dello stesso sistema capitalistico, e hanno bisogno l'uno dell'altro: il banchiere presta denaro al padrone per costruire la sua fabbrica. Direttamente o indirettamente, entrambi i loro profitti provengono dai prodotti dei lavoratori, che non ricevono l'intero valore dei beni che producono. L'elogio dei "veri creatori di ricchezza", e più in generale la divisione tra capitalismo finanziario e capitalismo industriale vengono  talvolta definiti come una critica "tronca" o "incompleta" del capitalismo.Il capitalismo presenta diversi elementi che funzionano in modo interconnesso. Ciascun individuo specifico che occupa un posto di lavoro è sostituibile da un'altra persona; il problema non è quello di sostituire una "persona cattiva" per far sì che tutto vada bene. E gli individui specifici che occupano un posto di un lavoro non hanno molte possibilità di resistere a quello che è il loro ruolo nel sistema. Un proprietario di una fabbrica può essere sostituito da qualsiasi altro, e un padrone che non volesse sfruttare i suoi lavoratori non sarebbe in grado di rimanere competitivo e andrebbe ben presto in bancarotta.

La "personificazione" del Capitale, che si spinge oltre l'elogio dei "buoni produttori", ha molto in comune con l'apologia dei veri "creatori di ricchezza". In questo approccio, quelle posizioni economiche - come quella dei banchieri - vengono trasformate in individui specifici. Così, piuttosto che limitarsi a denunciare semplicemente i banchieri in quanto tali, si prendono di mira dei banchieri specifici, come i Rothschild o George Soros. Per risolvere i problemi sociali, non sono più i banchieri a dover essere eliminati (come fanno i sostenitori di un buon "capitale produttore"), ma solo quei banchieri specifici - inevitabilmente ebrei. Queste posizioni sono spesso rappresentate sotto forma di singoli caricature individuali, come il grasso banchiere con cappello a cilindro e monocolo. Questi "parassiti" vengono spesso caricaturizzati sotto forma di animali non umani, di solito considerati impuri o dannosi per l'uomo, come maiali, scarafaggi, ratti, parassiti, ecc. La disumanizzazione apre la strada allo sterminio. L'esistenza dei padroni pone dei problemi a partire dalla loro posizione nell'economia capitalista, e non perché essi possano essere equiparati ad animali pericolosi. A differenza dell'estrema destra, la sinistra dovrebbe rifiutarsi di disumanizzare coloro cui si oppone. Le narrazioni antisemite cristiane medievali risalgono almeno all'inizio delle Crociate (1096 D.C.). Soprattutto, sono servite ad accusare gli ebrei di esercitare il mestiere di usurai e di complottare per danneggiare i cristiani, associandoli, allo stesso tempo, a Satana e agli animali: I maiali erano molto diffusi, e questo ha portato all'immagine della "Judensau" (la «scrofa degli ebre»), che si può trovare ancora oggi sulle chiese. Con l'avvento dell'Illuminismo e del capitalismo, questo antisemitismo religioso più antico, si è mescolato a delle nuove narrazioni basate sull'odio. Gli ebrei venivano ora ritenuti responsabili degli sconvolgimenti sociali provocati dal liberalismo e dal capitalismo. Li si accusava di tradire i loro paesi, di essere parte di complotti segreti, di gestire la finanza internazionale, di controllare i media e di manipolare il sistema educativo. Spesso, gli antisemiti raffiguravano gli ebrei per mezzo di immagini di animali simili alle piovre e ai ragni. I nazisti tedeschi ripresero queste rappresentazioni antisemite, estendendole ulteriormente e sostenendo nella loro propaganda che gli ebrei fossero scarafaggi, parassiti e insetti: tutte le creature che dovevano essere sterminate.

Ecco perché è antisemita chiamare "parassita" un padrone! Se lo fate specificamente perché il vostro padrone è ebreo, allora è antisemita. Se lo fate perché chiamate parassiti tutti i padroni, anche se non avete un'intenzione antisemita, le vostre parole avranno un effetto antisemita. Ma anche se il vostro padrone non è ebreo, e la vostra idea di etichettare un padrone non ha provenienza antisemita, e quindi la vostra opinione può non essere antisemita, rimane ancora sbagliato. Allo stesso modo, riferirsi ad alcuni settori del capitalismo come "parassitari" - mentre altri settori sono invece esenti da qualsiasi etichetta demonizzante - rispecchia l'ideologia dei «veri creatori di ricchezza» o dei veri "produttori". E anche se non è vostra intenzione, l'uso dell'immagine del "parassita" sposa inevitabilmente la visione politica del mondo che viene propagandata dall'estrema destra. Constaterete che delle persone le quali hanno opinioni odiose, cominceranno a essere d'accordo con voi e e ne approfitteranno per affermare che voi sostenete le loro opinioni, o per cercare di reclutare persone che hanno quelle idee. Pertanto, anche se non è necessariamente antisemita trattare i padroni - o i banchieri, gli insegnanti o i giornalisti che siano - come "parassiti", farlo non è di certo un riflesso delle «migliori pratiche» in materia di propaganda anticapitalista. E la cosa potrebbe avere anche delle conseguenze inaspettate. Che cosa accade allorché si denuncia un ebreo come parassita, quando questi non fa altro che gestire un'azienda come fa qualsiasi altro capitalista? Nonostante voi considerate che il capitalismo sia un sistema, e che aree come la finanza e l'immobiliare non sono né migliori né peggiori di altri settori economici, l'uso di termini come "parassita" rafforzerà una narrativa sui «veri creatori della ricchezza» nelle menti di coloro che vi ascoltano; il che può renderli più suscettibili di essere reclutati dall'estrema destra, ivi compresi dagli antisemiti.

( Pubblicato il 2 aprile 2020 su www.patreon.com/posts/is-it-to-call-35575455 )
 
NOTE:

[*1] - L'articolo di Matt Taibi su Rolling Stone (5/04/2010) iniziava così: «La prima cosa da sapere su Goldman Sachs è che è ovunque. La banca d'investimento più potente del mondo, è un grande vampiro dell'abisso che si avvolge intorno al volto dell'umanità, spingendo senza sosta il suo imbuto sanguigno dentro tutto ciò che odora di denaro». La metafora di Taibi si riferiva a un cefalopode lungo trenta centimetri con otto "braccia". In seguito è stato utilizzato in "The Goldman Sachs Conspiracy", un libro scritto da un giornalista finanziario e blogger, Li Delin, e che poi è diventato un bestseller negli Stati Uniti. Il titolo del precedente libro di questo autore cinese era "Eliminate All Competitors - How Goldman Sachs is Taking Over the World". Anche un altro "giornalista e docente aziendale" che scrive da anni su Le Monde (Marc Roche) ha sfruttato lo stesso filo conduttore in un libro e in un documentario, entrambi intitolati "La banca. Come Goldman Sachs gestisce il mondo".

[*2] - Si veda "The eXile: Sex, Drugs And Libel In the New Russia", Grove, Press, 2000, una raccolta di articoli scritti da Matt Taibi e Mark Ames per "The eXile", che viene pubblicato a Mosca dal 1997 in poi, in versione cartacea e su Internet. Questo giornale gratuito in lingua inglese dichiarava di essere "satirico" («Noi prendiamo per il culo tutti», dichiarava il suo fondatore). Il testo sopra citato è stato prefato da Limonov, un collaboratore abituale della pubblicazione, di cui Taibi era uno dei caporedattori.

[*3] Spencer Sunshine utilizza più volte nel suo testo il termine «produttivismo»; che non è un termine artistico. Il termine «produttivismo» non ha un equivalente in francese, almeno nel senso preciso in cui egli lo usa qui, vale a dire, l'apologia del "lavoro produttivo" e del "capitale produttivo" (due nozioni utilizzate da Hitler) in le attività bancarie, borsistiche, finanziarie e persino intellettuali che si suppone siano svolte da "parassiti". Ho quindi alternato le espressioni che si riferiscono a e "creatori di ricchezza" per rendere il "produttivismo".

GLOSSARIO

Judensau: secondo il Times of Israel del 26/02/2020: «In Europa esistono ancora una trentina di Judensau, soprattutto in Germania. Ce ne sono tre in Francia, tutti in regioni che hanno avuto un'influenza germanica nel Medioevo. La cappella di Notre-Dame du Carmel nella cattedrale di Metz ne possiede una. Altri due si trovano a Colmar. Uno è collocato sulla facciata della cattedrale, l'altro come gargoyle nella collegiata di Saint-Martin». L'associazione peggiorativa tra la scrofa (o il maiale) e gli ebrei venne poi ripresa nelle pubblicazioni antisemite in Europa ma anche da molti teologi commentatori del Corano, tra cui il famoso Al Tabari.

Limonov, Eduard (1943-2020): piccolo criminale, andò in esilio negli Stati Uniti dopo aver frequentato gli ambienti artistici dissidenti dell'URSS. Stabilì legami con gli scrittori francesi reazionari e la rivista rosso-bruna "L'Idiot International", diretta dal fascista Jean-Edern Hallier. Si è recato in Serbia durante le guerre jugoslave, quindi è tornato in Russia dove nel 1993 ha fondato con Alexander Dugin il Partito Nazional-Bolscevico. In seguito, il suo itinerario politico conoscerà molti zigzag simile a quello di molti altri intellettuali fascisti. Con la pubblicazione del suo libro su Limonov, Emmanuel Carrère ha contribuito a presentarlo come «un ragazzo che ha avuto un'esistenza libera e avventurosa, sprezzante del pericolo e delle convenzioni, e non [un] militante di estrema destra» (intervista con Carrère pubblicata in Madame Figaro del 12/09/2011 con il titolo rivelatore: "Questi figuri che vivono al di fuori mi affascinano"). Questo ritratto auto-indulgente corrisponde esattamente all'immagine cool che I fascisti vogliono ritrarre!

Main Street: questo termine, che indica la "strada principale" di una città, ha molti significati. Può anche riferirsi a tutte le piccole e medie imprese americane; oppure ai piccoli azionisti contro i grandi azionisti; infine, può essere usato in senso peggiorativo per indicare «il materialismo, la mediocrità o il campanilismo che si suppone caratterizzino la vita delle piccole città», secondo l'Oxford Dictionary.Lo slogan sindacale citato da Spencer Sunshine («Mean Street non Wall Street») è così neutrale. Non possiamo forse vedere in esso anche un'opposizione (falsa ma tra le valorose e produttive piccole imprese (e i loro dipendenti), da un lato, e, dall'altro, il mercato azionario e i suoi azionisti rapaci e "globalisti" (Wall Street)?

Taibi, Matt (1970-): giornalista americano dall'immagine pseudo-radicale, utilizza un linguaggio crudo e provocatorio, e ha scritto per pubblicazioni alla moda come Rolling Stone Stone, The Beast, Playboy, ecc. Quando è stato accusato di aver usato tropi antisemiti su Goldman Sachs, sul loro spirito "tribale" e sul loro "potere occulto", si è difeso spiegando che i dirigenti dell'azienda probabilmente non erano ebrei praticanti! Un'eco della sua prosa in francese si trova qui: https://www.parismatch.com/Actu/International/Goldman-Sachs-la-pieuvre-par-neuf-155057

Terza Posizione : questo termine è stato utilizzato da diversi movimenti fascisti in Italia (Terza Posizione), Argentina (Peron e i suoi sostenitori), Regno Unito e Stati Uniti. Tutte quante pretendono di costituire una terza posizione tra il capitalismo e il comunismo, e queste correnti hanno forti affinità con il fascismo classico e con le "teorie" dei fratelli Otto e Gregor Strasser, membri della NSDAP (Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori). Negli Stati Uniti esisteva un gruppo fascista chiamato Terza Posizione Americana (che nel 2013 ha cambiato il suo nome in Partito della Libertà Americana).

fonte: http://www.mondialisme.org/

sabato 25 giugno 2022

Guerra senza pace !!

Guerra e pace di Louis-Ferdinand Céline
    Philippe Roussin - 1° giugno 2022

Lo scorso maggio, Gallimard ha pubblicato "Guerre", il primo dei manoscritti inediti di Céline, scomparsi dalla fine della guerra e ora nuovamente disponibili dopo una storia travagliata e ancora in gran parte segreta. Il trionfo mediatico e il successo finanziario non si faranno attendere. L'antisemitismo dello scrittore? Qualche programma radiofonico e televisivo ne ha parlato, certo, ma come se si trattasse di un episodio spiacevole e di un aspetto quasi periferico, a margine del genio dell'autore. L'estasi mediatica non è stata contrastata, e non si vede cosa possa ostacolare la casa editrice Gallimard nel suo desiderio di ripubblicare i suoi pamphlet. Specialista di Louis-Ferdinand Céline, Philippe Roussin torna su "K." scrivendo a proposito dell'impresa di editare i manoscritti perduti di Céline, un lavoro problematico ma il cui obiettivo è un altro. Alla fine, infatti, a essere sempre in gioco è lo status di Céline in quanto gloria letteraria, e questo viene messo in atto al prezzo di un'impresa di cancellazione e di riscrittura volta a reintegrare l'autore nel pantheon nazionale e a trasformarlo in un bancomat.

I lettori, gli editori e i detentori dei diritti hanno tutti la fantasmatica convinzione che vedranno i loro scrittori preferiti continuare a scrivere anche dopo la loro morte. Questo desiderio viene qui quasi esaudito. "Guerre" è la prima pubblicazione a essere tratta dai manoscritti di Céline, scomparsi nell'estate del 1944 e ritrovati dai figli dei combattenti della resistenza e da Jean-Pierre Thibaudat, ex critico teatrale di Libération, e riapparsi nel 2020, sessant'anni dopo la morte dell'autore. Questo è il testo più interessante tra i manoscritti recuperati, secondo Henri Godard, curatore storico di Céline. Il libro era già in cima alle classifiche di vendita su Amazon, ancor prima di essere pubblicato. Le percentuali sulle vendite concesse ai legittimi proprietari dei diritti d'autore, in concorrenza tra di loro, sono stati molto consistenti. Presto seguiranno volumi, "Londra", "Il testamento di Re Krogold", parte di "Casse-Pipe". Si ignora che fine farà il dossier antisemita facente parte del manoscritto. Se ne aspetta un'edizione critica.
Cosa farne di "Guerre"? Secondo le prescrizioni date da Céline circa la redazione dei suoi testi, egli probabilmente non avrebbe accettato l'edizione che ci viene consegnata, ben annotata da Pascal Fouché. Queste pagine avrebbero meritato un'edizione critica come quella dei volumi della Pléiade, soprattutto perché pongono dei problemi di datazione che rimandano alla definizione del loro ruolo. La colpa non è dell'editore, a cui è stato concesso poco tempo per lavorare, appena sei mesi, ma la fretta con cui i legittimi proprietari hanno voluto vedere questo testo pubblicato. Considerazioni extra-letterarie hanno portato così al sacrificio di un'edizione critica di un'opera inedita di un autore importante. Fino al 2020, non si sapeva che esistesse. Nulla si sa circa le intenzioni dell'autore, il quale aveva abbandonato questi manoscritti per scrivere "Mort à crédit" (1936), prima di passare prima alla stesura di pamphlet antisemiti (1937, 1938, 1941), e poi a "Guignol's Band" (1944), senza mai più tornare su di essi.
Non sappiamo come questa serie, datata 1934 dall'editore, si inserisse nel presente dello scrittore. Si parla di prima bozza di scrittura. Ma cosa significa una simile espressione quando si tratta di Céline? Senza dubbio i legittimi proprietari avrebbero dovuto mettere in evidenza il lavoro di Jean-Pierre Thibaudat, il quale è stato a contatto più a lungo di chiunque altro con questi manoscritti e li conosce meglio. Perché il lavoro editoriale non è stato svolto sulla base di queste trascrizioni già effettuate, anche se i tempi di pubblicazione erano molto brevi? Forse sarebbe stato meglio procedere al minimo e dare per scontato che il testo non è finito. Forse il libro avrebbe dovuto intitolarsi "Diari di guerra". Dal momento che "Guerre" non è un titolo, bensì un'indicazione dell'autore [*1], e intitolare così questo insieme di fogli significa voler dare l'impressione che un testo non continuo e finito fosse invece tale. Il manoscritto inizia a pagina 10, ma le prime parole «Pas tout à fait» [Non esattamente] - un possibile titolo - sono state omesse nella trascrizione; il testo pubblicato inizia quindi in medias res, e senza che questo inizio mancante venga indicato. La cosa è testimoniata delle foto di alcuni fogli poste alla fine del volume, oltre che dalla loro esposizione nella galleria Gallimard: questi fogli presentano una serie di correzioni e aggiunte e, talvolta, dei grandi spazi vuoti. E perché in due passaggi del testo modificato questi spazi vuoti sono stati ridotti a linee di punti (p. 113 e p. 114)?
La questione della datazione è un problema che un'edizione critica dovrebbe porsi. Henri Godard propende per il 1933, la data ipotizzata dall'editore è il 1934 [*2]. Se si tratta del 1934, l'anno è tutt'altro che trascurabile: si tratta del ventesimo anniversario della dichiarazione di guerra del 1914, che viene "celebrato" in pompa magna in Francia e a cui giornali e riviste dedicano numeri speciali. Il 1934 è stato anche il momento del bilancio, giudicato disastroso, dei vent'anni trascorsi e dei primi segnali di un nuovo oscuro avvenire, dopo l'ascesa al potere di Hitler nel 1933. Dopo la crisi del 6 febbraio 1934, venne formato un governo di unità nazionale; Pétain era il ministro della Guerra: e fu lui che lanciò una nuova politica di difesa e di «risveglio dello spirito militare». Nel numero speciale di Europe del novembre 1934 apparve il primo dei manifesti pacifisti di Giono, «Je ne peux pas oublier», e in un altro punto del numero di quella rivista si affermava che «oggi non abbiamo alcun motivo di dubitare dell'imminente avvento della guerra [...] la guerra è già in mezzo a noi [...] la maggior parte di noi ne accetta l'auspicio». [*3] Qual è la relazione tra la scrittura e i fogli di "Guerre" e un simile pesante contesto storico-politico?

Scene di guerra
Di che cosa parla "Guerre"? Il manoscritto consta di sei «sequenze», se vogliamo riprendere l'espressione del curatore, Pascal Fouché. La prima sequenza, di 38 pagine, è di gran lunga la più impressionante. Si apre con l'io narrante che riprende conoscenza e parla, ferito a un braccio e sopravvissuto in stato di shock, tutt'intorno a lui i compagni morti: «Devo essere rimasto ancora lì anche parte della notte successiva. L'intero orecchio sinistro era incollato a terra con il sangue, e così anche la bocca. Tra i due sentivo un rumore immenso.» Un uomo si sforza di rimettere insieme il suo corpo esploso, il flusso delle parole scorre come se fuoriuscisse da un cranio aperto. La scrittura è allucinante, fatta di brevi frasi. Il narratore si pone il problema dell'affidabilità della memoria (« Faut se méfier. C’est putain le passé ») ma, vent'anni dopo lo shock, è rimasto tutto lì, ricostruito: la narrazione è iper-emotiva, perfino il testo, molto denso, è iper-saturo di eventi. Il nome di Ferdinand appare ed emerge solo quindici pagine dopo. Céline , ancora una volta torna sulla scena primitiva della scrittura, al trauma del 1914, consapevole che sia stato raccontato più volte, ed è da quel momento di riflessività in cui lo scrittore che è diventato nel 1932 dall'alto delle sue spalle, osserva colui che sta scrivendo: «Ho imparato a fare musica, a dormire, a perdonare e, come vedi, anche perfino della bella letteratura, con i pezzetti di orrore strappati al rumore che non finirà mai». Come sottolinea Mohamed Mbougar Sarr - autore di "La plus secrète mémoire des hommes" e grande lettore - è difficile «credere che si tratti di una prima stesura». Queste pagine sono «molto belle», «per quanto il testo non dica nulla di nuovo rispetto a quello di "Viaggio al termine della notte"»; «a essere dominanti, son i suoni» [*4]. L'oggetto della storia di Céline si colloca all'inizio del conflitto, durante la più micidiale guerra di movimento. Tra gli scrittori caduti allora, Péguy, il 5 settembre 1914, all'età di 41 anni; Alain Fournier, autore di Le Grand Meaulnes, il 23 settembre 1914, all'età di 28 anni. Céline viene ferito al braccio destro il 25 ottobre 1914, durante la battaglia delle Fiandre: l'offensiva tedesca sui porti della Francia settentrionale, che si ferma il 17 novembre di fronte alla resistenza delle truppe inglesi, francesi e belghe. Il fronte si consolida.

Una rilettura di Huysmans?
Le cinque successive sequenze, sono scritte con uno stile più classico e con molti dialoghi, con quelle scene che si risolvono nel disastro, come Céline le sa scrivere, si svolgono negli ospedali nelle retrovie. Finora è stata enfatizzata la dimensione cruenta o piccante di queste sequenze. Un'edizione critica - come è stata quella delle "Soixante-quinze feuillets" di Proust pubblicata da Gallimard qualche mese fa - dovrebbe stabilire le affinità che queste pagine. così numerose da sembrare una riscrittura, hanno con "Sac au dos", il contributo di Huysmans al manifesto naturalista "Les Soirées de Medan" (1880) [*5]. Il racconto di Huysmans evoca la guerra franco-prussiana del 1870 in uno stile realistico, in contrasto con l'estetica patriottica dominante. L'autore aveva 22 anni ed era stato coinvolto nella campagna solo brevemente. La guerra è vista dai carri bestiame e dai reparti ospedalieri puzzolenti. In "Guerre" ritroviamo lo stesso personale e la stessa ambientazione di "Sac au dos": «Cour des Miracles», medici, feriti e storpi che saltando si alzano in piedi, malati «Guignols hors d’âge» (Huysmans), prostitute che denunciano alle autorità militari i soldati loro clienti. C'è perfino  il medesimo personaggio di un'infermiera che consegna il permesso di lasciare l'ospedale:  « si frêle, si jolie […] les beaux grands yeux ! les longs cils blonds ! les jolies dents !». (Huysmans, di nuovo). Quella del 1870 era ancora una suora d'ospedale; quella di "Guerre" è una ninfomane, si masturba con i feriti e con i moribondi, ed è necrofila. L'infermiera di "Sac au dos" si chiama Angèle, lo stesso nome che in "Guerre" viene dato alla prostituta venuta al fronte per lavorare su richiesta del suo protettore, e che poi lo denuncerà. Mentre alla fine il personaggio di Huysmans torna a casa a Parigi, quello di Céline lascia la guerra andando all'estero: «Era finito questo immondezzaio, aveva [sparso] tutto il suo letame sul paesaggio della Francia, seppellito i suoi milioni di assassini purulenti; i suoi boschetti, le sue carogne». La pace, la si può trovare solo all'estero, al di fuori della lingua francese. Perché il francese deve rimanere la lingua riservata all'esecrazione (parole di Jean-Marie Le Clézio, al momento della morte di Céline nel 1961), adeguata alla violenza subita in guerra.

La lingua e la politica della teppa
Tra le altre cose, l'ultimo esempio, sul quale un'edizione critica dovrebbe far luce, riguarda il ruolo che la teppaglia assume in "Guerre". Il pappone, che fa solo un'apparizione furtiva in "Sac au dos", lo si trova al centro del testo di Céline. Il posto che viene dato al sottomondo e alla malavita, è la grande rivelazione di "Guerre". Ovviamente, conoscevamo già "Guignol’s band" (1944) e le pagine sul sottobosco della prostituzione francese a Londra che, durante il conflitto, voleva evitare il massacro e insieme raccogliere i «profitti della guerra»: «Vedo solo una cosa nella guerra!... produce tordi e quattrini! Basta solo sdraiarsi per prenderli!... È il lavoro delle signore» (Guignol's band, 1944). Ma non si tratta, qui, solo di una rappresentazione "pittoresca" della scena della prostituzione. Per Céline, così come per Huysmans, si tratta di «fuggire il più rapidamente possibile da questa deplorevole prigione» (Huysmans). Nel momento in cui la guerra sta annientando ogni insegnamento patriottico insieme alla morale trasmessa dai genitori, e nel momento in cui Ferdinand capisce che questa guerra è una guerra di tutti contro tutti (i feriti vengono sempre sospettati di essere dei disertori o di simulare, e pertanto il plotone di esecuzione è lì per loro), l'etica di chi è fuorilegge nel mondo dei re si presenta come una morale alternativa, e come un kit di sopravvivenza. Con il personaggio di Bébert, noto anche come Cascade, il nome del pappone londinese della band di Guignol, la malavita si rivela come la grande scuola della vita. Anche se Céline non ha riscritto "Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister", "Guerre" rimane comunque, a suo modo, un (approssimativo) romanzo di formazione: «Si è vergini dell'orrore come lo si è della voluttà» (Viaggio al termine della notte). "Partiamo per la vita con i consigli dei nostri genitori. Non hanno retto all'esistenza» (Guignol’s Band, 1944). Entrando in contatto con Cascade, un pappone, Ferdinand lascia il mondo dei contadini, dei commercianti, delle cantine e degli ometti, che la malavita «disprezza, non considera e calpesta» (Cendrars, Panorama de la pègre, 1935). Se ne affranca: «Non ho ceduto alla meraviglia che avrebbe voluto che rimanessi stupido come prima, mangiando disgrazie [...] perché era tutto ciò che sapevo a partire dalla mia educazione [...] In vetta ho detto [...] Ferdinand [...] lascia gli idioti nella merda [...] non credere più a nulla»; «non dovevo niente all'umanità». La legge di quel sottobosco regola perciò i rapporti con l'altro sesso: «fatti gli affari tuoi, ho risposto come Cascade. Era un modo buffo di parlare, ma aveva comunque successo». Il mondo della malavita getta indubbiamente una nuova luce sulla questione del linguaggio popolare e gergale di Céline:  si tratta infatti della frequentazione del gergo del sottobosco che fa dell'Argot questo linguaggio dell'odio di cui lui parlava. Perché la guerra, ovviamente, è anche nel linguaggio. La lingua di chi si è affrancato taglia i legami con la lingua dei genitori, con la lingua delle retrovie, quella di Barrès, il cantore dell'esaltazione del combattimento, e che Céline, per questo motivo, odia in "Voyage au bout de la nuit".
Infine, la malavita è un ambiente sociale dove tutto viene scambiato per denaro, tutto si monetizza, dove non esistono né onore né solidarietà. Al posto di questi, troviamo invece la denuncia e la delazione, presente in "Guerre" in due momenti nodali del testo. È una questione di vita o di morte. Angèle denuncia Cascade, che verrà fucilato; liberata dal suo protettore e libera, può passare a un altro uomo. Ferdinand minaccia di denunciare l'infermiera per le sue pratiche sessuali se lei non gli firmerà il permesso di lasciare l'ospedale, che gli consentirà di andare in Inghilterra con Angèle.
La libertà di pensiero e l'impavidità di Cascade riportano inevitabilmente alla mente le analisi di Aleksandr Solženicyn e Varlam Shalamov circa il modo in cui si pongono i criminali comuni nei Gulag. In "A proposito di un errore commesso dalla letteratura", Shalamov scrive: «La letteratura romanzesca ha sempre rappresentato il mondo dei criminali con simpatia e talvolta con compiacimento. Ha adornato il mondo sotterraneo con un'aureola romantica, lasciandosi sedurre dal suo pacchiano luccichio. Gli artisti non hanno saputo discernere il vero e ripugnante volto di quel mondo. Questo è un peccato pedagogico, un errore che la nostra gioventù sta pagando a caro prezzo [...] Hugo credeva che il mondo del crimine fosse uno strato della società che protestava vigorosamente, risolutamente e apertamente contro l'ipocrisia dell'ordine regnante. Ma Hugo non si è preoccupato di esaminare da quale punto di vista questa comunità di ladri combattesse contro qualsiasi potere dominante» [*6]. E circa il legame tra malavita e politica, come non pensare a "La resistibile ascesa di Arturo Ui" (1941), la pièce di Brecht in cui Hitler, Goebbels, ecc. hanno le espressioni e le fattezze dei gangster di Chicago. Come non pensare anche alle riflessioni di Hannah Arendt sulla funzione svolta dalla malavita nell'ascesa del nazismo: «l'élite era felice ogni volta che la malavita riusciva, attraverso il terrore, ad essere ammessa su un piano di parità dalla società rispettabile [...] L'alleanza provvisoria tra l'élite e la plebaglia poggiava in gran parte sul piacere reale con cui la prima guardava la seconda distruggere la rispettabilità [...] Ciò che seduceva l'élite era l'estremismo in quanto tale» [*7]. L'importanza della malavita in "Guerre", ci permette di comprendere meglio l'antisemitismo dei bassifondi, che è proprio quello di Céline nei pamphlet, e i suoi legami con «les officines de l’ombre» dal 1937 in poi.

La scuola del degrado
"Guerre" conferma ciò che già sapevamo: Céline non è l'autore di "Guerra e Pace". Dal momento che non c'è pace dopo la guerra, un'esperienza definitiva da cui non c'è scampo. Vale la pena di ricordare alcune riflessioni di Hannah Arendt su Brecht, perché si applicano a Céline: egli «venne arruolato come autista di ambulanze nell'ultimo anno di guerra: il mondo gli apparve dapprima come la scena di un assurdo massacro, e i discorsi sotto forma di declamazioni grottesche»; egli faceva parte degli «uomini di quella generazione che erano stati iniziati al mondo nelle trincee e sui campi di battaglia della prima guerra mondiale [...] cominciarono a produrre un curioso genere di letteratura, soprattutto romanzi, nei quali nulla sembra loro degno di interesse, se non la degradazione psicologica, la sofferenza sociale, la frustrazione personale e il disincanto generale». [*8] In quello stesso testo, Hannah Arendt distingue Brecht dalla «scuola del decadimento morbosamente affascinata dalla morte, che nella sua generazione era forse meglio rappresentata in Germania da Gottfried Benn e in Francia da Louis-Ferdinand Céline».
La storia inizia e finisce con la guerra, da "Viaggio al termine della notte" (1932) a "Rigodon" (postumo, 1969). Le ultime pagine del libro raccontano la fuga dal Reich in rovina su un treno che trasportava bambini mongoli in Danimarca, nel marzo 1945. A posteriori, la guerra estende la sua ombra sull'infanzia: in "Morte a credito", assume la forma di violenza domestica, o di un bambino che viene picchiato. Guerra senza pace, perché la pace manca: «J’ai attrapé la guerre dans ma tête. Elle est enfermée dans ma tête» ("Guerre"). La pace - perché mai, nel racconto, la parola compare nella penna di Céline - aleggia alla fine del testo, quando Ferdinand sta per lasciare il territorio francese: «Bisognerebbe poter andare all'estero in un paese dove non si uccide»; «A Londra non avevano alcuna guerra».

Un antisemitismo eccezionale
In "Mort à crédit" (1936), le ruminazioni antisemite del padre fanno parte del feroce quadro clinico tracciato dal narratore: «Mio padre parlava da solo, faceva dei monologhi. Inveiva e delirava, non la smetteva più... Tutte le maledizioni... Il destino... Gli ebrei...» (p. 688); «Ce l'aveva anche coi "franco-massoni"... Contro Dreyfus» (p. 600) [*9].
Un anno dopo, nel 1937, Céline pubblica "Bagatelles pour un massacre". Si possono avanzare diverse ipotesi. L'antisemitismo di Céline si era già espresso in "L'Eglise", una pièce che denunciava l'S.D.N [Società delle Nazioni], scritta nel 1927 ma pubblicata nel 1933. Questo antisemitismo era quello di quella parte della professione medica, corteggiata dall'Action Française, che si mobilitava contro la "pletora" e contro la presenza di medici ebrei provenienti dalla Polonia o dalla Romania. Anche l'arrivo al potere del Fronte Popolare, in seguito alle elezioni del maggio 1936, che avevano reso Léon Blum primo ministro del governo, era stato un fattore determinante. La detestazione del popolo repubblicano e sovrano, presentato come un deficiente popolo da quartiere, esplode in "Bagatelles pour un massacre": «non esiste un 'popolo' nel senso toccante in cui lo intendete voi, esistono solo sfruttatori e sfruttati, e ogni sfruttato chiede solo di diventare uno sfruttatore. Non capisce nient'altro», scriveva Céline a un corrispondente nel luglio 1935. [*10] Il popolo di Céline non è né quello di Louis Guilloux né quello di Camus: Guilloux e Camus non disonorano il popolo da cui provengono.
Dopo "Morte a credito", dobbiamo tenere conto anche di quella che è stata definita una rottura della narrativa. Céline lo disse più volte alla fine della sua vita: «Un autore non ha tanti libri in sé. "Viaggio al termine della notte", "Morte a credito", sarebbe stato sufficiente [...] in fondo avevo detto tutto quello che avevo da dire [...] non mi restava molto altro da dire» [*11]. "Bagatelles pour un massacre" gli permise di ottenere il riconoscimento che i circoli letterari gli avevano rifiutato nel 1936: "Morte a credito" era troppo osceno ai loro occhi. Il suo antisemitismo non è stato condizionato dai limiti dell'antisemitismo del nazionalismo integrale. Non distingueva tra ebrei nazionali e stranieri. E ci si chiede quale sia stato il suo contributo al Secondo Status degli Ebrei del giugno 1941: in "Les beaux draps" (febbraio 1941), era più collaborazionista di Vichy, più radicale di Xavier Vallat, e voleva uno statuto che fosse il più restrittivo possibile.
H. Arendt viveva ancora a Parigi quando furono pubblicati "Bagatelles pour un massacre" (1937) e "L'École des cadavres" (1938). In un articolo pubblicato a metà del 1942, scriveva: "La Francia ha prodotto un antisemita eccezionale [...] il fatto che quest'uomo fosse un romanziere di valore è caratteristico della situazione particolare della Francia, dove l'antisemitismo non era stato screditato socialmente e intellettualmente come in altri paesi europei. La tesi di Louis-Ferdinand Céline era semplice, ingegnosa e dotata della giusta dose di immaginazione ideologica per integrare l'antisemitismo più razionalistico dei francesi. Secondo Céline, gli ebrei avevano impedito l'unità politica dell'Europa, provocato tutte le guerre europee dall'843 e tramato la rovina di Francia e Germania suscitando la loro reciproca ostilità.» [*12] Curiosamente, troviamo un'eco di questa tesi nella prefazione a "Guerre": il ferimento dell'ottobre 1914, si legge, è stato «il testimone della seconda guerra mondiale poiché Germania e Francia, queste due nazioni cristiane, non hanno aspettato più di vent'anni per scagliarsi l'una contro l'altra» (p.18).

Gli affari sono affari
Se con "Guerre" non siamo di fronte a un'edizione critica di un testo, ci troviamo tuttavia di fronte a un'operazione editoriale ben condotta. Di che natura? Per l'editore si tratta innanzitutto di colmare il disavanzo del conto lasciato dalla vedova di Céline alla sua morte nel 2019 e di rimborsare gli ingenti anticipi versati ai legittimi proprietari. Per quest'ultimi si tratta di un'importante manovra e di un succoso accordo finanziario.
Dopo il processo e la condanna del 1950 (un anno di reclusione e la confisca generale di metà dei suoi beni), Céline non è mai più riuscito a sfuggire ai suoi avvocati. Avvocati di estrema destra, come Jean-Louis Tixier-Vignancour, che aveva ottenuto l'amnistia nel 1951, e che Jean-Marie Le Pen, suo manager durante la campagna presidenziale del 1965, giudicò «troppo antisemita» e di cui de Gaulle disse: «Tixier è Vichy, il fiero collaborazionismo, la milizia e l'OAS». François Gibault, un "anarchico di destra", la cui carriera è iniziata nello studio legale di Tixier-Vignancour, il quale rimane il suo "modello", è oggi uno dei due eredi dello scrittore, dopo essere stato il consulente della vedova fino alla sua morte nel 2019. Céline si è servito dei suoi avvocati tra il 1946 e il 1951, ma furono poi loro a decidere il destino editoriale del suo lavoro e della sua immagine pubblica. È forse l'unico scrittore il cui patrimonio non è gestito dalla famiglia, né da un editore, né da una fondazione, né da un agente letterario, ma dalla sua difesa. Da qui la sensazione di un'opera sotto tutela e la notevole parzialità della sua redazione e interpretazione. Il risultato è una biografia in difesa dell'autore, manoscritti che si vendono a caro prezzo sul mercato degli autografi, che nessuno vede se non è autorizzato a vederli, le forzature imposte all'editore, l'idea, nel 2018, di ripubblicare i pamphlet antisemiti contro la volontà dell'autore: in definitiva, un'impresa di cancellazione, di de-storicizzazione e riscrittura volta a reintegrare Céline nel pantheon nazionale e a trasformarlo in un bancomat. Perché alla fine, per Céline, si tratta sempre dello status di scrittore nazionale. La lunga marcia di riabilitazione era iniziata nel 1957, con la pubblicazione di "D'un château l'autre", una cronaca della vita degli esuli francesi a Sigmaringen, nel 1944-1945, intorno a Pétain e Laval. Gli anni Sessanta del gollismo e i premi Nobel per la letteratura assegnati a Camus (1957), Sartre (1964) e Beckett (1969) non furono certo favorevoli. È solo in seguito all'ondata retrò degli anni Settanta che l'opera di Céline occupa gradualmente un posto centrale nel panorama letterario francese. Oggi esistono più di dieci biografie dello scrittore, alcune della moglie e una del suo gatto.
Nel 2011, l'abortita commemorazione del cinquantesimo anniversario della morte di Céline, inserita e poi ritirata dal Compendio delle celebrazioni nazionali, aveva destabilizzato lo status dello scrittore nazionale. L'obiettivo è ora quello di rimediare al fallimento della commemorazione del 2011. Senza essere - ben lungi dall'esserlo - il capolavoro annunciato, "Guerre" arriva al momento giusto: la prima guerra mondiale cancella la seconda e sbianchetta il Céline del 1937-1944. La pubblicazione ha già prodotto un effetto di inversione. Nel 2018, Gallimard ha voluto pubblicare i pamphlet in un'edizione commentata, persino critica, rischiando di compromettere la sua reputazione di editore trasformando l'antisemitismo in un «mercato editoriale» (Michel Winock). Oggi, con i manoscritti riapparsi, Céline torna a essere uno scrittore, quello degli anni 1932-1936, prima della discesa nell'antisemitismo (la quale sembra voler essere solo un purgatorio, visto che ora si parla di ripubblicare gli opuscoli).
La riapparizione, nel 2020, di oltre 5.300 fogli scomparsi, conservati e trasmessi intatti dai figli dei combattenti della Resistenza e da Jean-Pierre Thibaudat, il loro mediatore, cambia la situazione. Il «manoscritto scomparso nel 1944» di "Guerre" - tiene a precisare l'editore Pascal Fouché - è «ben conservato». Nella prefazione, il legittimo proprietario insiste nel parlare di manoscritti "rubati". L'avvocato sposa il punto di vista del suo cliente: «epurato, non vuol dire rubato» (Colloqui con il professor Y, 1955).
Ci possiamo aspettare che i manoscritti di Céline, una volta pubblicati, si uniranno al cartiglio de "I centoventi giorni di Sodoma" e ai "75 fogli" di Proust, nel patrimonio delle collezioni pubbliche? Ciò consentirebbe di risolvere parte del contenzioso tra Céline e la Repubblica. Non è detto che i legittimi proprietari lo vogliano. Milan Kundera la chiamerebbe una volontà tradita. Hanno dichiarato che depositeranno il manoscritto di "Morte a Credito", per liquidare le spese di successione. "Guerre" ha una tiratura di 140.000 copie. I legittimi proprietari riceveranno elevate royalties. Il manoscritto di "Guerre" non entrerà probabilmente nelle collezioni della Bibliothèque nationale, ma agli appassionati sarà offerta una riproduzione dalle Editions des Saints Pères, a partire dal 20 maggio. Il volume è in vendita a 160 euro e ne sono state stampate 1000 copie. Fate i conti. Durante i lavori di ripristino, e in attesa delle edizioni critiche, l'attività continua. Nel celebrare il quarto centenario della nascita di Molière, quest'anno rendiamo omaggio anche al padre del "Tartufo".

- Philippe Roussin - 1° giugno 2022

NOTE:

1 - In una lettera a Eugène Dabit, datata 14 luglio [1934]; nel 2009, i curatori della corrispondenza della Pléiade ritengono che Guerre si riferisca a Casse-Pipe, un altro testo noto.

2 - Henri Godard "Nel 1933 era ben lontano dall'aver trovato il suo stile": Guerre "è il più lungo, il più leggibile e il più interessante dei testi trovati. È stato scritto nel 1933, quando Céline, senza dargli un titolo, cercava di capire cosa scrivere dopo il Voyage", Figaro littéraire, 28 aprile 2022.

3 - Jean Blanzat, "Interrogatorio", Europa, numero speciale 1914-1934, 15 novembre 1934, p. 337.

4 - Conversazione con Mohamed Mbougar Sarr, dopo l'incontro scientifico organizzato intorno a lui e con lui all'EHESS, Campus Condorcet, Aubervilliers, 11 maggio 2022.

5 - Questo non è sfuggito a Damien Zanone, professore di letteratura francese dell'Ottocento all'Università di Paris-Est Créteil (UPEC).

6 - Varlam Chalamov, Saggi sul mondo del crimine, tradotto dal russo da Sophie Benech, Arcades Gallimard, 1993, p.1.

7 - Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo. Eichmann a Gerusalemme, a cura di Pierre Bouretz, Gallimard, Quarto, 2010, pag. 646 e 651.

8 - Hannah Arendt, "Bertolt Brecht", Vies politiques, Tel, Gallimard, 1986.

9 - I riferimenti sono all'edizione dei romanzi della Bibliothèque de la Pléiade.

10 - Lettera a Elie Faure, 22 o 23 luglio 1935.

11 - Cahiers Céline, 2, Céline et l'actualité littéraire 1957-1961, Gallimard, 1976, p.169, p.196, p.199.

12 - Hannah Arendt, "Dall'affare Dreyfus alla Francia di oggi", Jewish Social Studies vol. IV, n°3, luglio 1942, p.195-240, Le origini del totalitarismo. Eichmann a Gerusalemme, op. cit. p. 277.

FONTE: K. Les Juifs, l'Europe, le XXI° siécle