sabato 25 giugno 2022

Guerra senza pace !!

Guerra e pace di Louis-Ferdinand Céline
    Philippe Roussin - 1° giugno 2022

Lo scorso maggio, Gallimard ha pubblicato "Guerre", il primo dei manoscritti inediti di Céline, scomparsi dalla fine della guerra e ora nuovamente disponibili dopo una storia travagliata e ancora in gran parte segreta. Il trionfo mediatico e il successo finanziario non si faranno attendere. L'antisemitismo dello scrittore? Qualche programma radiofonico e televisivo ne ha parlato, certo, ma come se si trattasse di un episodio spiacevole e di un aspetto quasi periferico, a margine del genio dell'autore. L'estasi mediatica non è stata contrastata, e non si vede cosa possa ostacolare la casa editrice Gallimard nel suo desiderio di ripubblicare i suoi pamphlet. Specialista di Louis-Ferdinand Céline, Philippe Roussin torna su "K." scrivendo a proposito dell'impresa di editare i manoscritti perduti di Céline, un lavoro problematico ma il cui obiettivo è un altro. Alla fine, infatti, a essere sempre in gioco è lo status di Céline in quanto gloria letteraria, e questo viene messo in atto al prezzo di un'impresa di cancellazione e di riscrittura volta a reintegrare l'autore nel pantheon nazionale e a trasformarlo in un bancomat.

I lettori, gli editori e i detentori dei diritti hanno tutti la fantasmatica convinzione che vedranno i loro scrittori preferiti continuare a scrivere anche dopo la loro morte. Questo desiderio viene qui quasi esaudito. "Guerre" è la prima pubblicazione a essere tratta dai manoscritti di Céline, scomparsi nell'estate del 1944 e ritrovati dai figli dei combattenti della resistenza e da Jean-Pierre Thibaudat, ex critico teatrale di Libération, e riapparsi nel 2020, sessant'anni dopo la morte dell'autore. Questo è il testo più interessante tra i manoscritti recuperati, secondo Henri Godard, curatore storico di Céline. Il libro era già in cima alle classifiche di vendita su Amazon, ancor prima di essere pubblicato. Le percentuali sulle vendite concesse ai legittimi proprietari dei diritti d'autore, in concorrenza tra di loro, sono stati molto consistenti. Presto seguiranno volumi, "Londra", "Il testamento di Re Krogold", parte di "Casse-Pipe". Si ignora che fine farà il dossier antisemita facente parte del manoscritto. Se ne aspetta un'edizione critica.
Cosa farne di "Guerre"? Secondo le prescrizioni date da Céline circa la redazione dei suoi testi, egli probabilmente non avrebbe accettato l'edizione che ci viene consegnata, ben annotata da Pascal Fouché. Queste pagine avrebbero meritato un'edizione critica come quella dei volumi della Pléiade, soprattutto perché pongono dei problemi di datazione che rimandano alla definizione del loro ruolo. La colpa non è dell'editore, a cui è stato concesso poco tempo per lavorare, appena sei mesi, ma la fretta con cui i legittimi proprietari hanno voluto vedere questo testo pubblicato. Considerazioni extra-letterarie hanno portato così al sacrificio di un'edizione critica di un'opera inedita di un autore importante. Fino al 2020, non si sapeva che esistesse. Nulla si sa circa le intenzioni dell'autore, il quale aveva abbandonato questi manoscritti per scrivere "Mort à crédit" (1936), prima di passare prima alla stesura di pamphlet antisemiti (1937, 1938, 1941), e poi a "Guignol's Band" (1944), senza mai più tornare su di essi.
Non sappiamo come questa serie, datata 1934 dall'editore, si inserisse nel presente dello scrittore. Si parla di prima bozza di scrittura. Ma cosa significa una simile espressione quando si tratta di Céline? Senza dubbio i legittimi proprietari avrebbero dovuto mettere in evidenza il lavoro di Jean-Pierre Thibaudat, il quale è stato a contatto più a lungo di chiunque altro con questi manoscritti e li conosce meglio. Perché il lavoro editoriale non è stato svolto sulla base di queste trascrizioni già effettuate, anche se i tempi di pubblicazione erano molto brevi? Forse sarebbe stato meglio procedere al minimo e dare per scontato che il testo non è finito. Forse il libro avrebbe dovuto intitolarsi "Diari di guerra". Dal momento che "Guerre" non è un titolo, bensì un'indicazione dell'autore [*1], e intitolare così questo insieme di fogli significa voler dare l'impressione che un testo non continuo e finito fosse invece tale. Il manoscritto inizia a pagina 10, ma le prime parole «Pas tout à fait» [Non esattamente] - un possibile titolo - sono state omesse nella trascrizione; il testo pubblicato inizia quindi in medias res, e senza che questo inizio mancante venga indicato. La cosa è testimoniata delle foto di alcuni fogli poste alla fine del volume, oltre che dalla loro esposizione nella galleria Gallimard: questi fogli presentano una serie di correzioni e aggiunte e, talvolta, dei grandi spazi vuoti. E perché in due passaggi del testo modificato questi spazi vuoti sono stati ridotti a linee di punti (p. 113 e p. 114)?
La questione della datazione è un problema che un'edizione critica dovrebbe porsi. Henri Godard propende per il 1933, la data ipotizzata dall'editore è il 1934 [*2]. Se si tratta del 1934, l'anno è tutt'altro che trascurabile: si tratta del ventesimo anniversario della dichiarazione di guerra del 1914, che viene "celebrato" in pompa magna in Francia e a cui giornali e riviste dedicano numeri speciali. Il 1934 è stato anche il momento del bilancio, giudicato disastroso, dei vent'anni trascorsi e dei primi segnali di un nuovo oscuro avvenire, dopo l'ascesa al potere di Hitler nel 1933. Dopo la crisi del 6 febbraio 1934, venne formato un governo di unità nazionale; Pétain era il ministro della Guerra: e fu lui che lanciò una nuova politica di difesa e di «risveglio dello spirito militare». Nel numero speciale di Europe del novembre 1934 apparve il primo dei manifesti pacifisti di Giono, «Je ne peux pas oublier», e in un altro punto del numero di quella rivista si affermava che «oggi non abbiamo alcun motivo di dubitare dell'imminente avvento della guerra [...] la guerra è già in mezzo a noi [...] la maggior parte di noi ne accetta l'auspicio». [*3] Qual è la relazione tra la scrittura e i fogli di "Guerre" e un simile pesante contesto storico-politico?

Scene di guerra
Di che cosa parla "Guerre"? Il manoscritto consta di sei «sequenze», se vogliamo riprendere l'espressione del curatore, Pascal Fouché. La prima sequenza, di 38 pagine, è di gran lunga la più impressionante. Si apre con l'io narrante che riprende conoscenza e parla, ferito a un braccio e sopravvissuto in stato di shock, tutt'intorno a lui i compagni morti: «Devo essere rimasto ancora lì anche parte della notte successiva. L'intero orecchio sinistro era incollato a terra con il sangue, e così anche la bocca. Tra i due sentivo un rumore immenso.» Un uomo si sforza di rimettere insieme il suo corpo esploso, il flusso delle parole scorre come se fuoriuscisse da un cranio aperto. La scrittura è allucinante, fatta di brevi frasi. Il narratore si pone il problema dell'affidabilità della memoria (« Faut se méfier. C’est putain le passé ») ma, vent'anni dopo lo shock, è rimasto tutto lì, ricostruito: la narrazione è iper-emotiva, perfino il testo, molto denso, è iper-saturo di eventi. Il nome di Ferdinand appare ed emerge solo quindici pagine dopo. Céline , ancora una volta torna sulla scena primitiva della scrittura, al trauma del 1914, consapevole che sia stato raccontato più volte, ed è da quel momento di riflessività in cui lo scrittore che è diventato nel 1932 dall'alto delle sue spalle, osserva colui che sta scrivendo: «Ho imparato a fare musica, a dormire, a perdonare e, come vedi, anche perfino della bella letteratura, con i pezzetti di orrore strappati al rumore che non finirà mai». Come sottolinea Mohamed Mbougar Sarr - autore di "La plus secrète mémoire des hommes" e grande lettore - è difficile «credere che si tratti di una prima stesura». Queste pagine sono «molto belle», «per quanto il testo non dica nulla di nuovo rispetto a quello di "Viaggio al termine della notte"»; «a essere dominanti, son i suoni» [*4]. L'oggetto della storia di Céline si colloca all'inizio del conflitto, durante la più micidiale guerra di movimento. Tra gli scrittori caduti allora, Péguy, il 5 settembre 1914, all'età di 41 anni; Alain Fournier, autore di Le Grand Meaulnes, il 23 settembre 1914, all'età di 28 anni. Céline viene ferito al braccio destro il 25 ottobre 1914, durante la battaglia delle Fiandre: l'offensiva tedesca sui porti della Francia settentrionale, che si ferma il 17 novembre di fronte alla resistenza delle truppe inglesi, francesi e belghe. Il fronte si consolida.

Una rilettura di Huysmans?
Le cinque successive sequenze, sono scritte con uno stile più classico e con molti dialoghi, con quelle scene che si risolvono nel disastro, come Céline le sa scrivere, si svolgono negli ospedali nelle retrovie. Finora è stata enfatizzata la dimensione cruenta o piccante di queste sequenze. Un'edizione critica - come è stata quella delle "Soixante-quinze feuillets" di Proust pubblicata da Gallimard qualche mese fa - dovrebbe stabilire le affinità che queste pagine. così numerose da sembrare una riscrittura, hanno con "Sac au dos", il contributo di Huysmans al manifesto naturalista "Les Soirées de Medan" (1880) [*5]. Il racconto di Huysmans evoca la guerra franco-prussiana del 1870 in uno stile realistico, in contrasto con l'estetica patriottica dominante. L'autore aveva 22 anni ed era stato coinvolto nella campagna solo brevemente. La guerra è vista dai carri bestiame e dai reparti ospedalieri puzzolenti. In "Guerre" ritroviamo lo stesso personale e la stessa ambientazione di "Sac au dos": «Cour des Miracles», medici, feriti e storpi che saltando si alzano in piedi, malati «Guignols hors d’âge» (Huysmans), prostitute che denunciano alle autorità militari i soldati loro clienti. C'è perfino  il medesimo personaggio di un'infermiera che consegna il permesso di lasciare l'ospedale:  « si frêle, si jolie […] les beaux grands yeux ! les longs cils blonds ! les jolies dents !». (Huysmans, di nuovo). Quella del 1870 era ancora una suora d'ospedale; quella di "Guerre" è una ninfomane, si masturba con i feriti e con i moribondi, ed è necrofila. L'infermiera di "Sac au dos" si chiama Angèle, lo stesso nome che in "Guerre" viene dato alla prostituta venuta al fronte per lavorare su richiesta del suo protettore, e che poi lo denuncerà. Mentre alla fine il personaggio di Huysmans torna a casa a Parigi, quello di Céline lascia la guerra andando all'estero: «Era finito questo immondezzaio, aveva [sparso] tutto il suo letame sul paesaggio della Francia, seppellito i suoi milioni di assassini purulenti; i suoi boschetti, le sue carogne». La pace, la si può trovare solo all'estero, al di fuori della lingua francese. Perché il francese deve rimanere la lingua riservata all'esecrazione (parole di Jean-Marie Le Clézio, al momento della morte di Céline nel 1961), adeguata alla violenza subita in guerra.

La lingua e la politica della teppa
Tra le altre cose, l'ultimo esempio, sul quale un'edizione critica dovrebbe far luce, riguarda il ruolo che la teppaglia assume in "Guerre". Il pappone, che fa solo un'apparizione furtiva in "Sac au dos", lo si trova al centro del testo di Céline. Il posto che viene dato al sottomondo e alla malavita, è la grande rivelazione di "Guerre". Ovviamente, conoscevamo già "Guignol’s band" (1944) e le pagine sul sottobosco della prostituzione francese a Londra che, durante il conflitto, voleva evitare il massacro e insieme raccogliere i «profitti della guerra»: «Vedo solo una cosa nella guerra!... produce tordi e quattrini! Basta solo sdraiarsi per prenderli!... È il lavoro delle signore» (Guignol's band, 1944). Ma non si tratta, qui, solo di una rappresentazione "pittoresca" della scena della prostituzione. Per Céline, così come per Huysmans, si tratta di «fuggire il più rapidamente possibile da questa deplorevole prigione» (Huysmans). Nel momento in cui la guerra sta annientando ogni insegnamento patriottico insieme alla morale trasmessa dai genitori, e nel momento in cui Ferdinand capisce che questa guerra è una guerra di tutti contro tutti (i feriti vengono sempre sospettati di essere dei disertori o di simulare, e pertanto il plotone di esecuzione è lì per loro), l'etica di chi è fuorilegge nel mondo dei re si presenta come una morale alternativa, e come un kit di sopravvivenza. Con il personaggio di Bébert, noto anche come Cascade, il nome del pappone londinese della band di Guignol, la malavita si rivela come la grande scuola della vita. Anche se Céline non ha riscritto "Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister", "Guerre" rimane comunque, a suo modo, un (approssimativo) romanzo di formazione: «Si è vergini dell'orrore come lo si è della voluttà» (Viaggio al termine della notte). "Partiamo per la vita con i consigli dei nostri genitori. Non hanno retto all'esistenza» (Guignol’s Band, 1944). Entrando in contatto con Cascade, un pappone, Ferdinand lascia il mondo dei contadini, dei commercianti, delle cantine e degli ometti, che la malavita «disprezza, non considera e calpesta» (Cendrars, Panorama de la pègre, 1935). Se ne affranca: «Non ho ceduto alla meraviglia che avrebbe voluto che rimanessi stupido come prima, mangiando disgrazie [...] perché era tutto ciò che sapevo a partire dalla mia educazione [...] In vetta ho detto [...] Ferdinand [...] lascia gli idioti nella merda [...] non credere più a nulla»; «non dovevo niente all'umanità». La legge di quel sottobosco regola perciò i rapporti con l'altro sesso: «fatti gli affari tuoi, ho risposto come Cascade. Era un modo buffo di parlare, ma aveva comunque successo». Il mondo della malavita getta indubbiamente una nuova luce sulla questione del linguaggio popolare e gergale di Céline:  si tratta infatti della frequentazione del gergo del sottobosco che fa dell'Argot questo linguaggio dell'odio di cui lui parlava. Perché la guerra, ovviamente, è anche nel linguaggio. La lingua di chi si è affrancato taglia i legami con la lingua dei genitori, con la lingua delle retrovie, quella di Barrès, il cantore dell'esaltazione del combattimento, e che Céline, per questo motivo, odia in "Voyage au bout de la nuit".
Infine, la malavita è un ambiente sociale dove tutto viene scambiato per denaro, tutto si monetizza, dove non esistono né onore né solidarietà. Al posto di questi, troviamo invece la denuncia e la delazione, presente in "Guerre" in due momenti nodali del testo. È una questione di vita o di morte. Angèle denuncia Cascade, che verrà fucilato; liberata dal suo protettore e libera, può passare a un altro uomo. Ferdinand minaccia di denunciare l'infermiera per le sue pratiche sessuali se lei non gli firmerà il permesso di lasciare l'ospedale, che gli consentirà di andare in Inghilterra con Angèle.
La libertà di pensiero e l'impavidità di Cascade riportano inevitabilmente alla mente le analisi di Aleksandr Solženicyn e Varlam Shalamov circa il modo in cui si pongono i criminali comuni nei Gulag. In "A proposito di un errore commesso dalla letteratura", Shalamov scrive: «La letteratura romanzesca ha sempre rappresentato il mondo dei criminali con simpatia e talvolta con compiacimento. Ha adornato il mondo sotterraneo con un'aureola romantica, lasciandosi sedurre dal suo pacchiano luccichio. Gli artisti non hanno saputo discernere il vero e ripugnante volto di quel mondo. Questo è un peccato pedagogico, un errore che la nostra gioventù sta pagando a caro prezzo [...] Hugo credeva che il mondo del crimine fosse uno strato della società che protestava vigorosamente, risolutamente e apertamente contro l'ipocrisia dell'ordine regnante. Ma Hugo non si è preoccupato di esaminare da quale punto di vista questa comunità di ladri combattesse contro qualsiasi potere dominante» [*6]. E circa il legame tra malavita e politica, come non pensare a "La resistibile ascesa di Arturo Ui" (1941), la pièce di Brecht in cui Hitler, Goebbels, ecc. hanno le espressioni e le fattezze dei gangster di Chicago. Come non pensare anche alle riflessioni di Hannah Arendt sulla funzione svolta dalla malavita nell'ascesa del nazismo: «l'élite era felice ogni volta che la malavita riusciva, attraverso il terrore, ad essere ammessa su un piano di parità dalla società rispettabile [...] L'alleanza provvisoria tra l'élite e la plebaglia poggiava in gran parte sul piacere reale con cui la prima guardava la seconda distruggere la rispettabilità [...] Ciò che seduceva l'élite era l'estremismo in quanto tale» [*7]. L'importanza della malavita in "Guerre", ci permette di comprendere meglio l'antisemitismo dei bassifondi, che è proprio quello di Céline nei pamphlet, e i suoi legami con «les officines de l’ombre» dal 1937 in poi.

La scuola del degrado
"Guerre" conferma ciò che già sapevamo: Céline non è l'autore di "Guerra e Pace". Dal momento che non c'è pace dopo la guerra, un'esperienza definitiva da cui non c'è scampo. Vale la pena di ricordare alcune riflessioni di Hannah Arendt su Brecht, perché si applicano a Céline: egli «venne arruolato come autista di ambulanze nell'ultimo anno di guerra: il mondo gli apparve dapprima come la scena di un assurdo massacro, e i discorsi sotto forma di declamazioni grottesche»; egli faceva parte degli «uomini di quella generazione che erano stati iniziati al mondo nelle trincee e sui campi di battaglia della prima guerra mondiale [...] cominciarono a produrre un curioso genere di letteratura, soprattutto romanzi, nei quali nulla sembra loro degno di interesse, se non la degradazione psicologica, la sofferenza sociale, la frustrazione personale e il disincanto generale». [*8] In quello stesso testo, Hannah Arendt distingue Brecht dalla «scuola del decadimento morbosamente affascinata dalla morte, che nella sua generazione era forse meglio rappresentata in Germania da Gottfried Benn e in Francia da Louis-Ferdinand Céline».
La storia inizia e finisce con la guerra, da "Viaggio al termine della notte" (1932) a "Rigodon" (postumo, 1969). Le ultime pagine del libro raccontano la fuga dal Reich in rovina su un treno che trasportava bambini mongoli in Danimarca, nel marzo 1945. A posteriori, la guerra estende la sua ombra sull'infanzia: in "Morte a credito", assume la forma di violenza domestica, o di un bambino che viene picchiato. Guerra senza pace, perché la pace manca: «J’ai attrapé la guerre dans ma tête. Elle est enfermée dans ma tête» ("Guerre"). La pace - perché mai, nel racconto, la parola compare nella penna di Céline - aleggia alla fine del testo, quando Ferdinand sta per lasciare il territorio francese: «Bisognerebbe poter andare all'estero in un paese dove non si uccide»; «A Londra non avevano alcuna guerra».

Un antisemitismo eccezionale
In "Mort à crédit" (1936), le ruminazioni antisemite del padre fanno parte del feroce quadro clinico tracciato dal narratore: «Mio padre parlava da solo, faceva dei monologhi. Inveiva e delirava, non la smetteva più... Tutte le maledizioni... Il destino... Gli ebrei...» (p. 688); «Ce l'aveva anche coi "franco-massoni"... Contro Dreyfus» (p. 600) [*9].
Un anno dopo, nel 1937, Céline pubblica "Bagatelles pour un massacre". Si possono avanzare diverse ipotesi. L'antisemitismo di Céline si era già espresso in "L'Eglise", una pièce che denunciava l'S.D.N [Società delle Nazioni], scritta nel 1927 ma pubblicata nel 1933. Questo antisemitismo era quello di quella parte della professione medica, corteggiata dall'Action Française, che si mobilitava contro la "pletora" e contro la presenza di medici ebrei provenienti dalla Polonia o dalla Romania. Anche l'arrivo al potere del Fronte Popolare, in seguito alle elezioni del maggio 1936, che avevano reso Léon Blum primo ministro del governo, era stato un fattore determinante. La detestazione del popolo repubblicano e sovrano, presentato come un deficiente popolo da quartiere, esplode in "Bagatelles pour un massacre": «non esiste un 'popolo' nel senso toccante in cui lo intendete voi, esistono solo sfruttatori e sfruttati, e ogni sfruttato chiede solo di diventare uno sfruttatore. Non capisce nient'altro», scriveva Céline a un corrispondente nel luglio 1935. [*10] Il popolo di Céline non è né quello di Louis Guilloux né quello di Camus: Guilloux e Camus non disonorano il popolo da cui provengono.
Dopo "Morte a credito", dobbiamo tenere conto anche di quella che è stata definita una rottura della narrativa. Céline lo disse più volte alla fine della sua vita: «Un autore non ha tanti libri in sé. "Viaggio al termine della notte", "Morte a credito", sarebbe stato sufficiente [...] in fondo avevo detto tutto quello che avevo da dire [...] non mi restava molto altro da dire» [*11]. "Bagatelles pour un massacre" gli permise di ottenere il riconoscimento che i circoli letterari gli avevano rifiutato nel 1936: "Morte a credito" era troppo osceno ai loro occhi. Il suo antisemitismo non è stato condizionato dai limiti dell'antisemitismo del nazionalismo integrale. Non distingueva tra ebrei nazionali e stranieri. E ci si chiede quale sia stato il suo contributo al Secondo Status degli Ebrei del giugno 1941: in "Les beaux draps" (febbraio 1941), era più collaborazionista di Vichy, più radicale di Xavier Vallat, e voleva uno statuto che fosse il più restrittivo possibile.
H. Arendt viveva ancora a Parigi quando furono pubblicati "Bagatelles pour un massacre" (1937) e "L'École des cadavres" (1938). In un articolo pubblicato a metà del 1942, scriveva: "La Francia ha prodotto un antisemita eccezionale [...] il fatto che quest'uomo fosse un romanziere di valore è caratteristico della situazione particolare della Francia, dove l'antisemitismo non era stato screditato socialmente e intellettualmente come in altri paesi europei. La tesi di Louis-Ferdinand Céline era semplice, ingegnosa e dotata della giusta dose di immaginazione ideologica per integrare l'antisemitismo più razionalistico dei francesi. Secondo Céline, gli ebrei avevano impedito l'unità politica dell'Europa, provocato tutte le guerre europee dall'843 e tramato la rovina di Francia e Germania suscitando la loro reciproca ostilità.» [*12] Curiosamente, troviamo un'eco di questa tesi nella prefazione a "Guerre": il ferimento dell'ottobre 1914, si legge, è stato «il testimone della seconda guerra mondiale poiché Germania e Francia, queste due nazioni cristiane, non hanno aspettato più di vent'anni per scagliarsi l'una contro l'altra» (p.18).

Gli affari sono affari
Se con "Guerre" non siamo di fronte a un'edizione critica di un testo, ci troviamo tuttavia di fronte a un'operazione editoriale ben condotta. Di che natura? Per l'editore si tratta innanzitutto di colmare il disavanzo del conto lasciato dalla vedova di Céline alla sua morte nel 2019 e di rimborsare gli ingenti anticipi versati ai legittimi proprietari. Per quest'ultimi si tratta di un'importante manovra e di un succoso accordo finanziario.
Dopo il processo e la condanna del 1950 (un anno di reclusione e la confisca generale di metà dei suoi beni), Céline non è mai più riuscito a sfuggire ai suoi avvocati. Avvocati di estrema destra, come Jean-Louis Tixier-Vignancour, che aveva ottenuto l'amnistia nel 1951, e che Jean-Marie Le Pen, suo manager durante la campagna presidenziale del 1965, giudicò «troppo antisemita» e di cui de Gaulle disse: «Tixier è Vichy, il fiero collaborazionismo, la milizia e l'OAS». François Gibault, un "anarchico di destra", la cui carriera è iniziata nello studio legale di Tixier-Vignancour, il quale rimane il suo "modello", è oggi uno dei due eredi dello scrittore, dopo essere stato il consulente della vedova fino alla sua morte nel 2019. Céline si è servito dei suoi avvocati tra il 1946 e il 1951, ma furono poi loro a decidere il destino editoriale del suo lavoro e della sua immagine pubblica. È forse l'unico scrittore il cui patrimonio non è gestito dalla famiglia, né da un editore, né da una fondazione, né da un agente letterario, ma dalla sua difesa. Da qui la sensazione di un'opera sotto tutela e la notevole parzialità della sua redazione e interpretazione. Il risultato è una biografia in difesa dell'autore, manoscritti che si vendono a caro prezzo sul mercato degli autografi, che nessuno vede se non è autorizzato a vederli, le forzature imposte all'editore, l'idea, nel 2018, di ripubblicare i pamphlet antisemiti contro la volontà dell'autore: in definitiva, un'impresa di cancellazione, di de-storicizzazione e riscrittura volta a reintegrare Céline nel pantheon nazionale e a trasformarlo in un bancomat. Perché alla fine, per Céline, si tratta sempre dello status di scrittore nazionale. La lunga marcia di riabilitazione era iniziata nel 1957, con la pubblicazione di "D'un château l'autre", una cronaca della vita degli esuli francesi a Sigmaringen, nel 1944-1945, intorno a Pétain e Laval. Gli anni Sessanta del gollismo e i premi Nobel per la letteratura assegnati a Camus (1957), Sartre (1964) e Beckett (1969) non furono certo favorevoli. È solo in seguito all'ondata retrò degli anni Settanta che l'opera di Céline occupa gradualmente un posto centrale nel panorama letterario francese. Oggi esistono più di dieci biografie dello scrittore, alcune della moglie e una del suo gatto.
Nel 2011, l'abortita commemorazione del cinquantesimo anniversario della morte di Céline, inserita e poi ritirata dal Compendio delle celebrazioni nazionali, aveva destabilizzato lo status dello scrittore nazionale. L'obiettivo è ora quello di rimediare al fallimento della commemorazione del 2011. Senza essere - ben lungi dall'esserlo - il capolavoro annunciato, "Guerre" arriva al momento giusto: la prima guerra mondiale cancella la seconda e sbianchetta il Céline del 1937-1944. La pubblicazione ha già prodotto un effetto di inversione. Nel 2018, Gallimard ha voluto pubblicare i pamphlet in un'edizione commentata, persino critica, rischiando di compromettere la sua reputazione di editore trasformando l'antisemitismo in un «mercato editoriale» (Michel Winock). Oggi, con i manoscritti riapparsi, Céline torna a essere uno scrittore, quello degli anni 1932-1936, prima della discesa nell'antisemitismo (la quale sembra voler essere solo un purgatorio, visto che ora si parla di ripubblicare gli opuscoli).
La riapparizione, nel 2020, di oltre 5.300 fogli scomparsi, conservati e trasmessi intatti dai figli dei combattenti della Resistenza e da Jean-Pierre Thibaudat, il loro mediatore, cambia la situazione. Il «manoscritto scomparso nel 1944» di "Guerre" - tiene a precisare l'editore Pascal Fouché - è «ben conservato». Nella prefazione, il legittimo proprietario insiste nel parlare di manoscritti "rubati". L'avvocato sposa il punto di vista del suo cliente: «epurato, non vuol dire rubato» (Colloqui con il professor Y, 1955).
Ci possiamo aspettare che i manoscritti di Céline, una volta pubblicati, si uniranno al cartiglio de "I centoventi giorni di Sodoma" e ai "75 fogli" di Proust, nel patrimonio delle collezioni pubbliche? Ciò consentirebbe di risolvere parte del contenzioso tra Céline e la Repubblica. Non è detto che i legittimi proprietari lo vogliano. Milan Kundera la chiamerebbe una volontà tradita. Hanno dichiarato che depositeranno il manoscritto di "Morte a Credito", per liquidare le spese di successione. "Guerre" ha una tiratura di 140.000 copie. I legittimi proprietari riceveranno elevate royalties. Il manoscritto di "Guerre" non entrerà probabilmente nelle collezioni della Bibliothèque nationale, ma agli appassionati sarà offerta una riproduzione dalle Editions des Saints Pères, a partire dal 20 maggio. Il volume è in vendita a 160 euro e ne sono state stampate 1000 copie. Fate i conti. Durante i lavori di ripristino, e in attesa delle edizioni critiche, l'attività continua. Nel celebrare il quarto centenario della nascita di Molière, quest'anno rendiamo omaggio anche al padre del "Tartufo".

- Philippe Roussin - 1° giugno 2022

NOTE:

1 - In una lettera a Eugène Dabit, datata 14 luglio [1934]; nel 2009, i curatori della corrispondenza della Pléiade ritengono che Guerre si riferisca a Casse-Pipe, un altro testo noto.

2 - Henri Godard "Nel 1933 era ben lontano dall'aver trovato il suo stile": Guerre "è il più lungo, il più leggibile e il più interessante dei testi trovati. È stato scritto nel 1933, quando Céline, senza dargli un titolo, cercava di capire cosa scrivere dopo il Voyage", Figaro littéraire, 28 aprile 2022.

3 - Jean Blanzat, "Interrogatorio", Europa, numero speciale 1914-1934, 15 novembre 1934, p. 337.

4 - Conversazione con Mohamed Mbougar Sarr, dopo l'incontro scientifico organizzato intorno a lui e con lui all'EHESS, Campus Condorcet, Aubervilliers, 11 maggio 2022.

5 - Questo non è sfuggito a Damien Zanone, professore di letteratura francese dell'Ottocento all'Università di Paris-Est Créteil (UPEC).

6 - Varlam Chalamov, Saggi sul mondo del crimine, tradotto dal russo da Sophie Benech, Arcades Gallimard, 1993, p.1.

7 - Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo. Eichmann a Gerusalemme, a cura di Pierre Bouretz, Gallimard, Quarto, 2010, pag. 646 e 651.

8 - Hannah Arendt, "Bertolt Brecht", Vies politiques, Tel, Gallimard, 1986.

9 - I riferimenti sono all'edizione dei romanzi della Bibliothèque de la Pléiade.

10 - Lettera a Elie Faure, 22 o 23 luglio 1935.

11 - Cahiers Céline, 2, Céline et l'actualité littéraire 1957-1961, Gallimard, 1976, p.169, p.196, p.199.

12 - Hannah Arendt, "Dall'affare Dreyfus alla Francia di oggi", Jewish Social Studies vol. IV, n°3, luglio 1942, p.195-240, Le origini del totalitarismo. Eichmann a Gerusalemme, op. cit. p. 277.

FONTE: K. Les Juifs, l'Europe, le XXI° siécle

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