Questo libro ricostruisce le grandi correnti del pensiero politico italiano nell’età giolittiana (i socialisti riformisti e i socialisti rivoluzionari; il meridionalismo di Salvemini; i nazionalisti) e alla vigilia della Prima guerra mondiale (Croce, Gentile, Salvemini). Dedica poi ampio spazio alle concezioni di Gramsci, di Giovanni Amendola, di Sturzo, e discute le analisi del fascismo formulate da Gobetti e da Salvatorelli. In un ultimo capitolo vengono prese in esame le principali espressioni dell’ideologia fascista (Gentile, Rocco, Spirito), e dell’antifascismo (Croce, Gramsci, Rosselli). Ne esce un quadro che si differenzia profondamente da quello tracciato tradizionalmente su questi temi (viene messo in rilievo, per esempio, il forte influsso esercitato da Giovanni Gentile su Gramsci; così come viene documentata l’ispirazione antiliberale dell’opera di Gobetti).
(dal risvolto di copertina di: Giuseppe Bedeschi, "Miti e ideologie. Il pensiero politico italiano dall'età giolittiana al fascismo". Le Lettere € 22,80)
Gramsci «allievo occulto» della filosofia di Gentile
- di Giancristiano Desiderio -
Antonio Gramsci riteneva che il pensiero di Croce fosse «il momento mondiale della filosofia tedesca», e, nonostante ne subisse il fascino e, anzi, proprio in forza di ciò, auspicava che si scrivesse un Anti-Croce. Ma la motivazione vera della proposta di Gramsci risiede nella sua formazione gentiliana.
Sì. proprio cos': perché più dell'influenza dello storicismo di Croce poté sul giovane Gramsci il neo-idealismo o attualismo di Gentile. Ad esempio, sul settimanale torinese «Il Grido del popolo», del 19 gennaio 1918, il giovane ideologo comunista scriveva che Gentile era «il filosofo italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del pensiero. Il suo sistema della filosofia è lo sviluppo ultimo dell'idealismo germanico che ebbe il suo culmine in Hegel, maestro di Marx, ed è la negazione di ogni trascendentalismo, l'identificazione della filosofia con la storia, con l'atto del pensiero in cui si uniscono il cero e il fatto di una progressione dialettica mai definitiva e perfetta».
Ce n'è quanto basta per sottolineare l'ammirazione di Gramsci per Gentile e mettere in luce che tanto Gentile volle ricavare da Marx una filosofia della prassi quanto Gramsci volle riprendere da Gentile una filosofia rivoluzionaria tradotta nella storia.
A fornire questa lettura del pensiero di Gramsci è Giuseppe Bedeschi con il suo gran saggio "Miti e ideologie" (Le Lettere). Bedeschi fornisce al lettore un libro da leggere e studiare per capire i passaggi storici più importanti del primo Novecento - la Grande guerra, il «biennio rosso», il fascismo - che hanno condizionato il «secolo breve». Ci sono in questo libro pagine e pagine di grande finezza interpretativa: il capitolo iniziale sul socialismo riformista e rivoluzionario, il meridionalismo di Salvemini, il «liberalismo» operaista di Gobetti, e ancora pagine su Croce, Amendola, Mosca, Sturzo e Giolitti.
Tuttavia, è proprio il giudizio di Bedeschi su Gramsci - rigorosamente documentato - che merita la giusta attenzione perché, per riprendere quanto scrisse Sergio Romano, emerge con nettezza che proprio Gentile è stato «il maestro occulto del Partito comunista italiano». Non a caso la stessa interpretazione che Gramsci diede sia della rivoluzione bolscevica sia dell'esigenza di uscire dal Psi e fondare il Pcd'I s'intende appieno solo se si evidenzia la «intonazione neo-idealistica» con cui il pensatore sardo usò il volontarismo di Lenin contro il materialismo di Marx.
In Gramsci il classico rapporto marxista tra «struttura» e «sovrastruttura» è rovesciato: non è l'economia che determina la coscienza, ma è la coscienza che determina l'economia. Marx giunge a Gramsci attraverso Gentile. E questo vale non solo per il giovane Gramsci ma anche per il Gramsci dei "Quaderni del carcere" che elabora l'egemonia del moderno Principe sostituendo allo Stato etico la «società regolata» del Partito comunista.
- Giancristiano Desiderio, Pubblicato sul Corriere del 19/05/2022 -
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