Le forbici della crisi
- di Michael Roberts -
La scorsa settimana, il Segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen ha dichiarato al Congresso degli Stati Uniti che «stiamo entrando in un periodo di transizione, passando da una ripresa storica a una crescita stabile e costante. Questo passaggio è un elemento centrale del piano del Presidente per riportare l'inflazione sotto controllo e senza sacrificare i guadagni economici che abbiamo ottenuto». È vero che l'economia statunitense, dopo il crollo della pandemia (che, in termini di produzione nazionale, redditi e investimenti, è stato il periodo peggiore dagli anni '30 - persino peggiore della Grande Recessione del 2008-9), si è ripresa. Ma tal ripresa non la si può certo definire «storica». Quanto all'affermazione che l'economia statunitense - nell'ultimo anno, la più performante tra le principali economie - si stia dirigendo verso una «crescita stabile e costante», essa non sembra essere supportata dalla realtà. Sì, c'è una sorta di "piena occupazione" - vale a dire che il tasso di disoccupazione ufficiale è vicino ai minimi storici - ma molti di questi posti di lavoro sono part-time, temporanei o a contratto. E molti di essi sono mal pagati. Il tasso di partecipazione all'occupazione, che misura il numero di persone che lavorano rispetto a quelle in età lavorativa, rimane ben al di sotto dei livelli pre-pandemia, livelli che erano già in declino.
Allo stesso tempo, la crescita della produttività è stata spaventosa. Dopo la pandemia, sempre più americani hanno ripreso a lavorare, ma la produzione nazionale non corrisponde all'aumento dell'occupazione, ragion per cui la produttività per lavoratore è crollata,e questo a partire da dei tassi di crescita che erano già deboli. Di conseguenza, i costi unitari del lavoro (costi salariali per unità di prodotto) sono aumentati vertiginosamente, riducendo i margini di profitto.
E nonostante le rassicurazioni della Yellen, le prospettive per l'economia statunitense per il resto dell'anno, e per il prossimo non sono promettenti, anzi sono addirittura desolanti. Secondo il modello di previsione del PIL della Fed di Atlanta, l'economia statunitense, dopo la contrazione del primo trimestre di quest'anno, nel trimestre in corso dovrebbe crescere a un ritmo inferiore a meno dell'1% nel trimestre in corso.
Ancora più contrari all'opinione della Yellen, sono gli ultimi rapporti della Banca Mondiale e degli economisti dell'OCSE circa le prospettive dell'economia mondiale, inclusi gli Stati Uniti. Il rapporto della Banca Mondiale sulle prospettive economiche globali per il mese di giugno è stato intitolato "Il rischio di stagflazione aumenta insieme a un forte rallentamento della crescita". Le previsioni economiche della Banca Mondiale sono state scioccanti. « Ci si aspetta che la crescita globale crolli per una percentuale che va dal 5,7% nel 2021 al 2,9% nel 2022; significativamente inferiore al 4,1% previsto a gennaio. Si prevede che nel 2023-24 la crescita si aggirerà intorno a tale ritmo, e questo perché la guerra in Ucraina interromperà l'attività, gli investimenti e il commercio nel breve termine, la domanda repressa si affievolirà e gli aiuti di politica fiscale e monetaria verranno ritirati. A causa dei danni della pandemia e della guerra, quest'anno il livello di reddito pro capite, nelle economie in via di sviluppo, sarà inferiore di quasi il 5% rispetto al trend pre-pandemia. La crescita delle economie avanzate dovrebbe rallentare bruscamente, passando dal 5,1% nel 2021 al 2,6% nel 2022; 1,2 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni di gennaio. Si prevede un'ulteriore moderazione della crescita fino al 2,2% nel 2023, che riflette in gran parte l'ulteriore riduzione del sostegno dato dalla politica fiscale e monetaria, fornito durante la pandemia. Anche tra i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo la crescita dovrebbe scendere dal 6,6% nel 2021 al 3,4% nel 2022; ben al di sotto della media annuale del 4,8% che abbiamo avuto nel periodo 2011-2019. Le ricadute negative dovute alla guerra, saranno superiori all'eventuale spinta a breve termine da parte di alcuni esportatori di materie prime derivante dall'aumento dei prezzi dell'energia. Le previsioni di crescita per il 2022 sono state riviste al ribasso in quasi il 70% dei Paesi emergenti, tra cui c'è la maggior parte dei Paesi importatori di materie prime, insieme ai quattro quinti dei Paesi a basso reddito ». Pertanto, la Banca Mondiale prevede una stagnazione della produzione che si aggiungerà all'inflazione ancora presente. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la Banca Mondiale prevede una crescita del prodotto nazionale di appena il 2,5% quest'anno, del 2,4% nel 2023 e del 2% nel 2024 - una crescita «stabile e costante», si potrebbe dire, però solo ai bassi livelli che l'economia statunitense ha sperimentato nella lunga depressione in atto dal 2009. Si prevede anche che la performance degli Stati Uniti sarà la migliore tra le economie capitalistiche avanzate: entro il 2024, l'area dell'Eurozona riuscirà a raggiungere solo l'1,9%, e il Giappone appena lo 0,6%. Gli economisti della Banca Mondiale ritengono che l'impatto combinato della pandemia e della guerra lascerebbe la produzione economica globale, nei cinque anni dal 2020 al 2024, oltre il 20% al di sotto del livello che era implicito nella crescita tendenziale tra il 2010 e il 2019. L'impatto sui Paesi poveri sarà assai maggiore, con le economie in via di sviluppo un terzo in meno del previsto, e con la produzione dei Paesi in via di sviluppo importatori di materie prime - particolarmente colpiti dal forte aumento dei prezzi di cibo e carburante provocato dall'invasione russa - che sarà oltre il 40% in meno del previsto! La visione degli economisti dell'OCSE è, se possibile, ancora più pessimistica. Nell'Economic Outlook di giugno, dal titolo "Il prezzo della guerra", gli economisti dell'OCSE sottolineano il costo della guerra tra Russia e Ucraina. « Il mondo sta pagando un prezzo pesante per la guerra della Russia in Ucraina. Si tratta di un disastro umanitario che ha provocato migliaia di vittime e costretto milioni di persone ad abbandonare le proprie case. La guerra ha anche innescato una crisi del costo della vita che ha colpito la popolazione di tutto il mondo. Se associata alla politica cinese dello zero-COVID, vediamo che la guerra ha portato l'economia globale su un percorso di rallentamento della crescita e di aumento dell'inflazione; una situazione che non si vedeva dagli anni Settanta. L'aumento dell'inflazione, in gran parte determinato dai forti aumenti dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, sta causando difficoltà alle persone a basso reddito e sta sollevando seri rischi per la sicurezza alimentare nelle economie più povere del mondo ». Secondo le proiezioni, quest'anno la crescita del PIL mondiale rallenterà bruscamente, attestandosi intorno al 3%. Si tratta di una percentuale ben al di sotto del ritmo di ripresa previsto lo scorso dicembre. La crescita sarà nettamente più debole del previsto in quasi tutte le economie. Molti dei paesi più colpiti si trovano in Europa, la quale è fortemente esposta alla guerra a causa delle importazioni di energia e dei flussi di rifugiati. La crescita globale rallenterà ulteriormente fino a raggiungere il 2,8% nel 2023, ovvero quasi alla "velocità di stallo", con il Regno Unito che non registrerà alcuna crescita; il risultato peggiore di tutto il G20 (a parte la Russia). Anche gli Stati Uniti rallenteranno ad appena l'1,2%.
E nelle principali economie, nel resto dell'anno l'inflazione dei prezzi di beni e servizi non sembra destinata a diminuire. I prezzi del greggio potrebbero salire anche oltre gli attuali 120 dollari al barile. Jeremy Weir, amministratore delegato di Trafigura, società che si occupa di commercio di materie prime, ha dichiarato che i mercati energetici si trovano in una situazione "critica", a causa del fatto che le sanzioni sulle esportazioni di petrolio della Russia, in seguito all'invasione dell'Ucraina, hanno esacerbato le già scarse forniture create da anni di investimenti insufficienti. « Abbiamo una situazione critica. Penso davvero che ci sia un problema per i prossimi sei mesi ... una volta che si arriva a questi stati parabolici, i mercati possono muoversi e possono avere picchi notevoli ». Un movimento parabolico nei mercati, viene generalmente definito come una situazione in cui un prezzo che è cresciuto improvvisamente si impenna a livelli mai visti prima, imitando il lato destro di una curva parabolica. Weir ha aggiunto che è altamente probabile che i prezzi del petrolio possano salire a 150 dollari al barile o più nei prossimi mesi, con le catene di approvvigionamento messe a dura prova dal tentativo della Russia di riorientare le proprie esportazioni di petrolio lontano dall'Europa.
I prezzi dell'energia non stanno aumentando a causa di una "domanda eccessiva", e nemmeno a causa del "price-gouging" [ La truffa dei prezzi si verifica quando un venditore aumenta i prezzi di beni, servizi o merci a un livello molto più alto di quello considerato ragionevole o equo. Di solito, questo evento si verifica dopo uno shock della domanda o dell'offerta. Wikipedia (inglese) ], ma semplicemente perché l'offerta viene limitata. L'offerta è calata durante la pandemia, e ora le esportazioni russe sono state sanzionate, e non possono essere sostituite dal petrolio saudita o dalle forniture statunitensi.
Dopo la pandemia, il crollo della catena di approvvigionamento globale continua, in particolare dall'inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, ma anche prima: si veda qui sotto la misurazione della compressione dell'approvvigionamento della Fed di New York .
Tra le principali economie, il Regno Unito è il paese destinato ad avere l'inflazione più alta del G7, e fino al 2024 la crescita più bassa. Una combinazione di elevati prezzi dell'energia, sterlina in calo, crescita economica vacillante, deterioramento dell'ambiente per le piccole imprese, famiglie deboli, restrizioni commerciali nei confronti della Russia, una banca centrale che sta stringendo i cordoni della borsa e un'inflazione complessiva che ha raggiunto i massimi da quattro decenni hanno prodotto un ambiente tossico per l'economia britannica. Il cosiddetto "indice di miseria", che misura il tasso di disoccupazione più il tasso di inflazione, come indicatore della "miseria" delle famiglie operaie, sta tornando verso dei livelli che non si vedevano dall'era Thatcher.
Il nesso esistente tra l'aumento dei prezzi e dei salari, ha portato a una forte riduzione dei redditi reali. L'aumento dei prezzi sta superando la crescita dei salari quasi ovunque, e le famiglie stanno assistendo a una perdita di reddito a loro disposizione (cioè al netto degli aumenti dei prezzi e delle tasse), e per far quadrare i conti sono quindi costrette a intaccare i risparmi (alcuni dei quali sono stati accumulati durante le chiusure per la pandemia).
Come già dimostrato in alcuni post precedenti, contrariamente a quanto sostenuto dai politici mainstream, dai governatori delle banche centrali e dagli economisti, non esiste una spirale "salari-prezzi". I salari non stanno facendo salire i prezzi. Anzi, sono i profitti ad essere aumentati bruscamente come quota di valore dopo la pandemia. Tuttavia, l'aumento del costo unitario del lavoro (come mostrato sopra), dovuto alla bassa crescita della produttività, sta iniziando a intaccare i margini di profitto.
Il calo dei margini di profitto finirà per portare a una diminuzione della redditività, e persino a un calo della massa dei profitti. Questo potrebbe essere il segnale di un nuovo crollo, soprattutto se i costi dei prestiti per gli investimenti dovessero aumentare a causa del rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, attuato nel vano tentativo di "controllare" l'inflazione. Il calo dei profitti è la formula per un eventuale crollo degli investimenti e della produzione. Questa è una delle due lame delle forbici del crollo.
L'altra lama è il debito. E come ho sottolineato in molte occasioni, ritengo che il prossimo crollo verrà innescato da un crollo del debito aziendale. In particolare, ricordiamo le dimensioni delle cosiddette "società zombie", le quali non ottengono profitti sufficienti a coprire nemmeno gli impegni di servizio del debito, e degli "angeli caduti", quelle società che hanno preso in prestito troppo per poi investire in attività rischiose che ora possono esplodere. Le società che si sono indebitate sono destinate ad avere problemi a causa dell'aumento del costo dei prestiti e della riduzione della liquidità da parte delle banche. La Federal Reserve ha già alzato i tassi di interesse, passando dal "quantitative easing" al "quantitative tightening" [ L'inasprimento quantitativo è uno strumento di politica monetaria restrittiva applicato dalle banche centrali per ridurre la quantità di liquidità o offerta di moneta nell'economia. Wikipedia (inglese) ], con il conseguente crollo dei prezzi dei mercati azionari.
Gli economisti della Banca Mondiale sono preoccupati. « L'inasprimento, più rapido del previsto, delle condizioni finanziarie a livello mondiale potrebbe spingere i Paesi a una crisi del debito come quella che abbiamo visto negli anni Ottanta. Questa è una minaccia reale e ci preoccupa. Anche gli aumenti piuttosto contenuti dei costi di indebitamento saranno un problema », ha dichiarato Franziska Ohnsorge, autrice principale del rapporto della Banca Mondiale. I dati della Banca Mondiale mostrano come il debito estero dei Paesi a basso reddito sia aumentato di 15,5 miliardi di dollari, raggiungendo così nel 2020 circa 166 miliardi di dollari. Il debito estero dei Paesi a medio reddito è aumentato di 423 miliardi di dollari, superando gli 8,5 miliardi di dollari; il che li rende particolarmente esposti all'aumento dei tassi di interesse. Le banche centrali stanno aumentando rapidamente i tassi di interesse in quello che appare come il più ampio inasprimento della politica monetaria da oltre due decenni. Nei tre mesi fino alla fine di maggio, le autorità monetarie hanno già annunciato più di 60 aumenti dei tassi. Se ne prevedono altri nei prossimi mesi. Qualsiasi flessione dei profitti, e qualsiasi aumento dei prestiti, esporrà quegli strati di aziende che sono prossime al fallimento. Nel Regno Unito, il presidente del Financial Stability Board, Martin McTague, ha commentato: « C'è ancora un problema enorme con le piccole imprese. Si trovano ad affrontare qualcosa come il doppio del tasso di inflazione per i loro prezzi di produzione, e questo è una bomba a orologeria. Hanno letteralmente poche settimane prima di esaurire la liquidità, e ciò significherà che centinaia di migliaia di imprese e molte persone perderanno il lavoro ». McTague ha fatto riferimento ai dati dell'Office for National Statistics (ONS), da cui risulta che 2 milioni (ovvero circa il 40%) delle piccole imprese del Regno Unito hanno meno di tre mesi di liquidità in riserva per sostenere le operazioni. Ha osservato che il 10% (ovvero 200.000) è in grave pericolo e 300.000 hanno solo poche settimane di liquidità. « È una possibilità molto concreta perché... non hanno riserve di liquidità. Non hanno modo di affrontare il problema ». In Europa, il più grande gestore di asset finanziari ha paragonato alcune parti del settore del private equity a uno "schema Ponzi" [ Lo schema Ponzi è un modello economico di vendita truffaldino ideato da Charles Ponzi, che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi "investitori", a loro volta vittime della truffa. Wikipedia ] che presto dovrà essere affrontato. « Alcune parti del private equity assomigliano in un certo senso a uno schema piramidale », ha detto Vincent Mortier, chief investment officer di Amundi Asset Management. « Si sa che si possono vendere [asset] a un'altra società di private equity per 20 o 30 volte gli utili. Ecco perché si può parlare di Ponzi. È una cosa circolare ». In altre parole, le società di private equity acquistano aziende che hanno prestiti enormi, e poi le rivendono l'una all'altra e con prestiti ancora più grandi. Alla fine, qualcuno perderà da questa forma di finanziamento «che passa il pacco». I livelli di leva finanziaria (prestiti) sono aumentati in proporzione, portando a un indebitamento che ha raggiunto i massimi storici. La forbice tra il calo della redditività e l'aumento dei costi del debito si sta chiudendo e finirà per ridurre gli investimenti, i posti di lavoro, i prezzi e i salari.
- Michael Roberts - Pubblicato il 10/6/2022 su Michael Roberts Blog. Blogging from a Marxist economist -
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