martedì 31 agosto 2021

Forse che sì, forse che no …

La legge della redditività di Marx dopo il Capitale
- di Michael Roberts -

La serie Global Marxism organizzata dalla SSK in Corea, ha fornito una serie di importanti presentazioni e articoli su aspetti dell'economia marxista. Ho partecipato al secondo ciclo con un articolo sull'economia dell'imperialismo moderno. Recentemente Hideto Akashi dell'Università Komazawa di Tokyo è tornato nella mischia con una presentazione sulla legge di Marx sulla tendenza alla caduta del tasso di profitto.
Come è ben noto, nei piccoli circoli dell'economia marxiana, l'eminente studioso marxista Michael Heinrich, autore di un dettagliato resoconto del Capitale di Marx, ha sostenuto in passato che la legge di Marx sulla redditività è logicamente difettosa: in particolare, essa è «indeterminata» in quanto le sue categorie chiave non mostrano che la redditività del capitale deve cadere.  Secondo Heinrich, «una composizione organica crescente in quanto tale non è sufficiente a dimostrare un tasso di profitto in calo». Inoltre, Heinrich sostiene che, nell'ultima decade della sua vita, Marx «probabilmente» ha riconosciuto questo e così ha abbandonato quella sua legge, sia come parte del suo arsenale teorico che come base per una teoria delle crisi sotto il capitalismo, cercando invece una teoria basata sull'eccesso di credito.  Marx dubitava della sua stessa legge e  perciò negli anni 1870 passò a studiare il sistema del credito come possibile causa delle crisi.

Heinrich: «Questi dubbi furono probabilmente amplificati nel corso degli anni 1870. Nel 1875, emerge un manoscritto completo che fu pubblicato per la prima volta con il titolo "Trattamento matematico del tasso di plusvalore e del tasso di profitto". [...] Da ciò diventa rapidamente evidente che in linea di principio tutti i tipi di movimento sono possibili. Più volte, Marx fa notare la possibilità che il tasso di profitto aumenti, anche se la composizione del valore del capitale stava aumentando. Nel caso di una rinnovata composizione del libro III, tutte queste considerazioni avrebbero dovuto trovare la loro strada in una revisione del capitolo sulla "Legge della tendenza alla caduta del saggio di profitto". Una coerente considerazione di esse avrebbe dovuto portare all'abbandono della "legge".» (Heinrich).

Quando Heinrich propose per la prima volta questa critica, diversi autori, tra cui io, risposero con delle risolute confutazioni che, a mio parere, erano convincenti nel confutare Heinrich su entrambi i suoi punti: l'indeterminatezza e l'abbandono della legge da parte di Marx.  Infatti, offro una confutazione dettagliata dell'affermazione di Heinrich che Marx ha rinunciato alla legge nel mio recente libro breve, "Engels 200" (vedi pagine 106-111).

Ma le affermazioni di Heinrich sono state riproposte di nuovo nelle domande della serie Global Marxism, e Akashi le ha riprese nella sua ultima presentazione. Akashi sottolinea che il fattore più importante della legge di caduta tendenziale del tasso generale di profitto è che il tasso di profitto scende e la quantità di profitto aumenta mentre, allo stesso tempo, la composizione organica del capitale (cioè più investimenti in mezzi di produzione rispetto all'occupazione) aumenta.  Ci sono alcuni fattori di contrasto, ma questi non possono diminuire il primo sufficientemente da causare un aumento secolare della redditività.
Akashi sostiene, anche contro Heinrich, che dopo la pubblicazione del Capitale, Marx non ha abbandonato la legge.  Akashi cita lo studioso marxista Kohei Saito che rifiuta l'interpretazione di Heinrich e sottolinea che fino al 1878, Marx stava ancora considerando matematicamente come la legge della redditività avrebbe operato.  In effetti, Marx cercò di integrare l'effetto della rotazione del capitale nella sua argomentazione sul tasso di profitto: Marx scrisse un breve manoscritto nel 1878 intitolato "On the rate of profit, Turnover of Capital, Interest and Discount" per i redattori della MEGA. (MEGA II/14, Apparato p. 697).

In realtà, nello scrivere il Capitale, Marx aveva considerato prima il ruolo della rotazione del capitale. Ne discusse con Engels nel 1873 (dopo la pubblicazione del Capitale), per accertare la durata del turnover del capitale fisso (vedi il mio libro, Marx 200, pp56-8). Tuttavia, secondo Akashi, i tentativi di Marx nel 1878 di mostrare l'impatto della rotazione del capitale sul tasso di profitto non hanno funzionato. (MEGA II/4.2, p. 252, S. 216), motivo per cui Marx abbandonò il tentativo.  Secondo Akashi, Marx avrebbe dovuto adottare un metodo di considerazione basato sull'equiparare prima i tassi di profitto a uno generale e poi applicare a questo i tassi del fatturato. «Suppongo che Marx avrebbe dovuto trattare il trasferimento di capitale dalle industrie con una composizione organica più alta e una velocità di rotazione più lenta, rispetto a quelle con una composizione organica più bassa e una velocità di rotazione più alta, e poi avrebbe dovuto prendere il tasso generale di profitto come dato».  Una volta che avesse avuto un tasso generale di profitto, se avesse simulato l'effetto della perequazione del fatturato sul tasso generale di profitto, avrebbe visto il trasferimento di capitale dall'industria con velocità di fatturato inferiore all'industria con velocità di fatturato superiore. In realtà, c'è stato un ulteriore lavoro da parte degli economisti marxisti per portare la rotazione del capitale nelle coordinate della legge della redditività.

Engels stesso ha iniziato questo lavoro con la sua aggiunta nel volume 3 del Capitale - (vedi il mio Engels 200, pp.99-101).  I resoconti moderni possono essere trovati in Brian Green, Peter Jones e altri.  Maito, per esempio, conclude che «mentre esso (il tasso di rotazione) non influenza il senso della tendenza (la caduta del tasso di profitto), ne ammorbidisce piuttosto la pendenza» riferendosi al suo calcolo del tasso di profitto in Giappone. Ma il punto principale qui è che, già nel 1878, Marx stava armeggiando con la legge di tendenza alla caduta che aveva il tasso di profitto, e cercava di integrare i tassi di fatturato nella perequazione dei tassi di profitto nei diversi settori, per produrre un tasso di profitto medio «sociale» generale.  Questo conferma l'opinione di molti di noi che Heinrich ha torto, cioè che:

a) - ha torto sul fatto che la legge di Marx è "indeterminata", e
b) - ha torto sul fatto che Marx avesse abbandonato la legge nel periodo successivo alla pubblicazione del primo volume del Capitale e che Engels non avrebbe mai dovuto includere la legge nel terzo volume del Capitale quando lo ha curato.

- Michael Roberts - Pubblicato il 20/6/2021 su Michael Roberts blog -

fonte: Michael Roberts blog. Blogging from a Marxist economist

lunedì 30 agosto 2021

Vie d’uscita

Indiana Jones e il Tempio Maledetto: il ritorno del represso
- di Moishe Postone e Elizabeth Traube -

Negli ultimi anni, George Lucas e Steven Spielberg sono emersi come maestri del cinema d'intrattenimento di Hollywood. Erano specializzati in film di fantascienza e di avventura tecnicamente sofisticati, basati sulla cultura popolare degli anni '30 e '40, e promettevano un modo per poter riconquistare i piaceri innocenti della visione dei film per bambini. Eppure la mitologia tradizionalista e high-tech di Lucas e Spielberg manca di innocenza, e da nessuna parte questo è più evidente di quanto lo sia nel loro più recente blockbuster, Indiana Jones e il Tempio Maledetto.
Mentre gran parte del dibattito critico su questo film ha ruotato intorno al suo valore di intrattenimento, e se la pellicola fosse adatta ai bambini, alcuni critici hanno notato che il film proietta una visione del mondo. Per esempio, David Denby ha notato, «[...] è chiaro che Lucas e Spielberg non intendono fare alcun "commento" sulla spazzatura pop della loro gioventù. Piuttosto, hanno semplicemente trovato il mondo in cui vogliono vivere» (New York Magazine, 4 giugno 1984). Denby, tuttavia, non ha esaminato quali sono i parametri di quel mondo. J. Hoberman è andato oltre, e ha caratterizzato le premesse del film come razziste e sessiste (The Village Voice, 5 giugno 1984). Tuttavia, non si è proposto di esaminare il processo attraverso il quale queste ideologie vengono prodotte e trasmesse nel film. Il nostro scopo in questo saggio è quello di esaminare questo processo di produzione ideologica in Indiana Jones.
L'analisi seria dei film di "intrattenimento" incontra oggi una resistenza diffusa negli Stati Uniti. Una tale presa di posizione è essa stessa ideologica. Rivolgendosi alla cultura popolare degli anni '30 e '40, Lucas/Spielberg esprimono e contribuiscono a plasmare un ampio desiderio degli Stati Uniti, cresciuto dalla metà degli anni '70 e incarnato dalla presidenza Reagan. È un desiderio di ritorno ai vecchi tempi, presumibilmente più semplici, un desiderio provocato da un mondo sempre più complesso in cui la base stessa dell'autocomprensione degli Stati Uniti - la traiettoria politica, sociale ed economica ascendente dell'America rispetto al resto del mondo - ha iniziato a sgretolarsi. Il disorientamento culturale risultante ha portato a un desiderio di sfuggire alle complessità del presente, rafforzato da una riluttanza a comprendere i problemi sociali in termini sociali; qualcosa di profondamente radicato nella coscienza popolare statunitense. Questo desiderio di evitare le complessità della vita è un tema fondamentale nei film di Lucas-Spielberg. I giovani super-bardi di Hollywood non si dilettano in alcun eroismo in atto all'interno della società, o nel padroneggiare le prove ordinarie e straordinarie della vita. Piuttosto, celebrano il desiderio di fuggire da tutte queste complicazioni e mascherano la loro fuga dalla società come se essa fosse un'avventura umana.
Ma non è semplicemente il desiderio di fuga verso il passato a segnare Indiana Jones; è anche il contenuto di questo ritorno. Sotto il mantello di una giocosa nostalgia per i vecchi film d'avventura esotici, i fumetti e le sitcom, Lucas/Spielberg hanno ampliato e dato nuova vita a due grandi temi della precedente cultura di massa, vale a dire, la dominazione imperialista e patriarcale. Questi temi sono riuniti in Indiana Jones attraverso quelle che sembrano essere trame vagamente collegate, la storia d'avventura e la storia d'amore. Entrambe le trame si svolgono in risoluzioni strutturalmente simili, in cui un'irriverente riaffermazione del sessismo e del razzismo vecchio stile appare come necessaria alternativa alle forze dell'oscurità.
Non solo il progetto ideologico del film, ma deve essere analizzato anche il suo modo di funzionamento latente. È risvegliando e giocando su paure profondamente radicate che il film sollecita il nostro consenso sulla "giustezza" dell'ordine che la risoluzione ritrae. La storia d'avventura e la storia d'amore si integrano, proiettando su un Altro culturale una fantasia della sessualità femminile vista come potere malefico, distruttivo, arcaico e di morte. La subordinazione di questo potere diventa allora il presupposto della civiltà.

L'episodio di apertura di un nightclub di Shanghai nel 1935 riunisce l'archeologo e avventuriero Indiana Jones, una showgirl e cantante di nome Willie Scott, e la spalla di Jones, Short Round. Quest'ultimo è un piccolo orfano cinese salvato da Jones da una vita di piccola criminalità urbana, che adora il suo padre adottivo e all'inizio tratta Willie come una potenziale rivale. Dopo una breve serie di avventure, i tre finiscono in un povero villaggio da qualche parte nel nord dell'India. Gli abitanti del villaggio muoiono di fame e il loro dignitoso capo collega la situazione della sua gente al "potere della notte oscura", che è apparso ancora una volta proveniente dal palazzo di Pankot. Questo potere malvagio è incarnato dai nefasti Tugues, storicamente un gruppo di assassini professionisti. I Tugues hanno rubato la pietra magica del villaggio, la Shivalinga, che è un oggetto rituale di forma fallica che rappresenta il dio Shiva. La perdita di questa pietra portò la carestia al villaggio e per completare l'attacco al principio della vita, i figli degli abitanti del villaggio furono rapiti e resi schiavi nel palazzo. Jones accetta di salvare la pietra rituale per gli abitanti del villaggio. Lui e i suoi compagni si dirigono verso il palazzo, dove santuari sporchi e pipistrelli vampiri fanno presagire attività sinistre. Questa premonizione si realizza rapidamente in un banchetto ripugnante a cui partecipano diversi dignitari indù e un ufficiale coloniale britannico.
Quella stessa notte, subito dopo un incontro sessuale interrotto con Willie, Jones scopre un passaggio segreto che conduce a una camera molto al di sotto del palazzo. Lì vedono il sacerdote malvagio eseguire un sacrificio umano alla dea Kali, che rappresenta le manifestazioni distruttive della Dea Madre, e consorte di Shiva. Dopo il sacrificio, Jones sequestra la pietra agli abitanti del villaggio e scopre i bambini del villaggio rapiti che lavorano nelle miniere del palazzo. Ma Jones e i suoi compagni vengono catturati. È costretto a bere il "sangue di Kali", che gli ruba l'anima e lo rende schiavo della dea. Come prova della sua fedeltà, a Jones viene ordinato di sacrificare Willie, ma proprio in quel momento Short Round rompe l'incantesimo malvagio bruciando Jones con una torcia infuocata. Tornato in sé, Jones salva Willie dal pozzo di lava sul quale è appesa, libera i bambini e conduce i suoi compagni fuori dalle miniere. La vittoria finale sui Tugues avviene in cima a un ponte. Il film ha la struttura narrativa di un romanzo d'avventura (quest novel), in questo caso un viaggio verso e dall'inferno, un movimento dalla luce alle tenebre, seguito da un ritorno alla luce. La storia nel suo insieme consiste quindi in una "parentesi" attorno al nucleo narrativo, che è la ricerca stessa. Il ritmo e il tono riflettono ed esprimono insieme la struttura sequenziale della narrazione. Come molti critici hanno notato, il ritmo intenso e pieno d'azione e l'umorismo giocoso delle sequenze d'inquadratura contrastano nettamente con l'atmosfera sempre più opprimente e densa e la totale assenza di rilievo comico che caratterizza la sequenza centrale del film. Per molti critici, il film "sbanda" quando abbandona il suo ritmo veloce e astuto e perde il suo senso dell'umorismo. Resta da vedere dove è diretto il film.
Non è difficile individuare le implicazioni ideologiche evidenti nel film. Come uno dei suoi modelli, Gunga Din, Indiana Jones è una variante cinematografica sul tema del "peso dell'uomo bianco". Cerca di rappresentare l'imperialismo come una forza civilizzatrice e socialmente progressiva e quindi di legittimare la dominazione occidentale sugli altri. Lo fa identificando l'oppressione con il sistema di governo indigeno. Perché se la sofferenza dei popoli indigeni è un prodotto delle loro stesse istituzioni, allora queste istituzioni possono essere legittimamente sostituite. Pertanto, il film non presenta una condanna generale dell'alterità indiana, ma divide questa alterità in due categorie, che corrispondono a un contadino oppresso e a una classe dirigente oppressiva e sfruttatrice. Allo stesso tempo, il film costruisce le forme di dominazione imperialista e indiana come poli opposti, negando così la possibilità che queste forme possano avere qualcosa in comune. Il film distingue senza ambiguità tra dominazione "legittima" e "illegittima". Un modo per fare questa divisione è usare le categorie di genere maschile e femminile per esprimere la differenza tra i governanti occidentali e quelli indiani. Questa strategia allinea implicitamente il contenuto politico del film con il suo contenuto psicosessuale. Rafforza potentemente la rappresentazione dell'uomo bianco come difensore paternalistico della giustizia contro l'oppressione e dell'ordine civilizzato contro il caos femminile primordiale.
Il modello di genere della dominazione politica del film pone gli abitanti del villaggio nella posizione di bambini, dipendenti dalla protezione paternalistica dell'Occidente. All'interno di questo quadro, gli abitanti del villaggio sono rappresentati simpaticamente, e infatti un segno dello status di Jones è il suo interesse per i loro affari. Jones tratta i semplici abitanti del villaggio con grande deferenza. È ritratto qui come un uomo illuminato con un sano e relativistico rispetto per le tradizioni culturali alternative, una sorta di Mr. Wizard antropologico. Dà lezioni a Willie (e indirettamente al pubblico) su come evitare il cibo sgradevole degli ospiti, che è tutto ciò che gli abitanti affamati del villaggio hanno da offrire. Egli fornisce un modello maschile per Short Round, che accetta educatamente il cibo. In queste scene Jones agisce come uno scienziato saccente, l'ego ideale per i giovani ragazzi, così come il campione degli abitanti indifesi del villaggio, tutti imbricati in uno. Il rapporto paternalistico dello scienziato bianco con il suo oggetto di ricerca sottolinea il paternalismo più generale del rapporto di Jones con le richieste dei suoi bisognosi.

Tuttavia, gli aristocratici indiani sono rappresentati come radicalmente alieni e mostruosamente malvagi. Lucas e Spielberg cercano di mostrare come ciò che appare bello e graziosamente opulento sia in realtà orribile e depravato. Questa tattica è in parte responsabile della perdita di ritmo del film. Molti film usano la convenzione di mantenere una tensione tra l'esterno raffinato del nemico e la sua vera natura interna, aumentando così il senso di suspense. Lucas/Spielberg accettano solo brevemente questa convenzione. Il ministro del Maharajah che saluta Jones e compagnia al loro ingresso nel palazzo sembra un uomo colto, educato, istruito a Oxford. Prima che gli ospiti e i dignitari riuniti siano seduti al tavolo sontuosamente preparato, abbiamo un rapido assaggio di una cultura cortese indigena. Questa è praticamente l'ultima immagine esteticamente piacevole che il film ci offre. Ci sono musicisti, ballerini e cantanti, per non parlare della stessa Willie, che appare legata dal tocco dell'eleganza indiana, così radiosa che Jones riconosce verbalmente la sua attrazione per la prima volta. Ciò che viene sottolineato in questa scena è il carattere seducente e sensuale della cultura cortigiana indiana con la sua bellezza, il fascino e l'opulenza galante.
Ma tali immagini dell'Altro seducente e abbagliante sono rapidamente e irreversibilmente rovesciate nella scena del banchetto. Al tavolo, Jones, il ragazzo maharajah, il suo ministro e il colonnello britannico in visita discutono la storia politica del palazzo. Era stato un centro del culto omicida dei Tugues che fu poi soppresso dagli inglesi. Jones è certo che, nonostante quello che gli abitanti del villaggio possono avergli detto, il culto non esiste più. Tuttavia, in contrappunto a tutto questo discorso, abbiamo davanti a noi la prova visiva che il cattivo passato è davvero tornato. Siamo bombardati da immagini culinarie di serpenti, anguille vive, scarafaggi, zuppa di occhi e cervelli di scimmia serviti nel cranio. Lucas/Spielberg evidentemente si divertono a giocare con il loro cibo, ma il gioco non è innocente. Evoca il nostro disgusto, non solo per il banchetto, ma anche per il piacere lascivo con cui gli indiani consumano il cibo disgustoso. La scena del banchetto non ci rivela tanto la depravazione dietro la sensualità esotica, ma ci colpisce l'identità di sensualità e depravazione.
Mentre la scena può essere stata progettata per essere brutalmente umoristica, quell'umorismo serve a spostare l'attenzione dello spettatore dal contenuto della conversazione al famigerato banchetto. È stata una conversazione che ha fornito almeno frammenti di materiale per una comprensione storica del conflitto attuale come un momento in una storia di conflitti. Questo tipo di comprensione è implicitamente superato dall'enfasi della scena sulla rappresentazione culinaria dell'alterità. Questo spostamento suggerisce che il cattivo passato che è tornato non deve essere compreso attraverso il discorso, e che non può essere interpretato in termini storico-sociali. Piuttosto, la cattiveria è inerente alla natura stessa dell'Altro, una natura che è esplicitamente incarnata nel cibo che l'Altro consuma. Una tale rappresentazione implica che le circostanze storiche sono in definitiva irrilevanti per la comprensione del mondo. Il film presenta forme culturalmente diverse di resistenza e ribellione. Ma poi non li tratta come fenomeni socialmente fondati e intelligibili legati a forme di sfruttamento, ingiustizia e sfida sociale. Coerentemente con una forte tendenza attuale negli Stati Uniti, il film cerca di spiegare il mondo in termini di natura malvagia dell'Altro piuttosto che in termini storici.

Il film tratta poi la sensualità depravata come un segno del male che emana da Kali. La Dea Madre assetata di sangue è ritratta come bramosa di carne umana e adorata da folle di seguaci in trance, agitando le braccia e disumanizzati. Vediamo il cuore pulsante strappato da una vittima sacrificale che, misteriosamente ancora viva, viene poi condotta in una pozza di lava, accompagnata da un crescendo di canti e suoni di tamburi. Quello che sospettavamo nella scena della cena è confermato dalla scena del sacrificio umano. La cultura aristocratica indiana non è semplicemente decadente, ma brutalmente regressiva. E nella tradizione occidentale, un segno indiscutibile di questa regressione è il trionfo del principio femminile sul maschile: Shiva, il Signore, è stato svilito dalla Madre, ai cui piedi riposa ora il linga.
La scena che si svolge all'interno del Tempio Maledetto è un sontuoso amalgama di innumerevoli rappresentazioni hollywoodiane di sinistri culti primitivi. Ma questo film smaschera la vera natura del nemico in un modo specifico. Dalla depravazione sensuale passa alla rappresentazione del male selvaggio. Poi rivela come la barbarie è manipolata da una classe brutalmente oppressiva. I capi della setta non solo impoveriscono i villaggi, ma sfruttano anche il lavoro minorile. I bambini rapiti devono faticare instancabilmente nelle miniere alla ricerca di due pietre sacre che sono state nascoste agli inglesi. Il vero obiettivo di questo lavoro non è la ricchezza naturale, ma il puro potere dei loro padroni, perché le pietre mancanti sono la chiave per le forze di Kali per governare il mondo.
La costruzione narrativa dei governanti indiani evoca nello spettatore un forte desiderio della loro distruzione. Man mano che la natura malvagia dei governanti viene rivelata in termini sempre più mostruosi, sorgono le aspettative di vedere una risoluzione che sradichi questo male assoluto una volta per tutte. Inoltre, questa agognata risoluzione servirebbe la giustizia sociale salvando i servi dalla tirannia dei loro padroni. Tuttavia, la rappresentazione della tirannia attira inavvertitamente l'attenzione su un altro meccanismo di produzione ideologica. Le immagini dei bambini lavoratori indicano che il film non solo rappresenta le classi dirigenti indiane come negativamente aliene; proietta anche su di loro gli attributi delle classi dirigenti occidentali. Il lavoro minorile forzato su larga scala ha molto più a che fare con il capitalismo interno del XIX secolo e con il capitalismo all'estero del XX secolo che con l'India tradizionale. Inoltre, esiste una forma di produzione in cui il vero obiettivo non sono le cose prodotte, ma il potere sociale astratto che esse incarnano. Questa forma, la produzione di plusvalore, non si trova nell'oscurità misteriosa di altre culture, ma nelle luci della nostra. Il film traspone una critica della classe dirigente capitalista sulle classi dirigenti indiane e fonde questa critica con una rappresentazione culturale della depravazione e del male alieno. Il suo progetto è quello di deviare verso l'Altro la frustrazione e la rabbia che si generano all'interno. E c'è un prodotto ideologico in questo modo di proiettare la rabbia. Legittima l'imperialismo come apparentemente progressivo, come un canale d'azione e una missione civilizzatrice per l'uomo bianco che non può cambiare le cose a casa sua.
Come governanti sfruttatori, gli indiani hanno una somiglianza mistificata con le classi dirigenti occidentali. Il film, tuttavia, fa di tutto per associare il nemico indiano alla femminilità, che viene ritratta fugacemente come opulenza seducente e poi, in modo più dettagliato, come depravazione sensuale e caos primordiale. Costituito in opposizione a un male selvaggio, corrotto e femminile, l'imperialismo appare come una forza civilizzatrice, purificatrice e maschile. Jones e gli inglesi operano come dispensatori di legge, ordine e ragione su un servo indifeso, che è tanto infantile nella sua dipendenza dal paternalismo occidentale quanto vulnerabile alle forze della madre cattiva.
Nel complesso, in queste rappresentazioni è assente qualsiasi menzione del lato più oscuro della dominazione imperialista. Tuttavia, quali che siano le doti di "civiltà" dei governanti coloniali, la forza motivante sottostante l'espansione imperialista era lo sfruttamento del lavoro, dei prodotti materiali e dei bisogni delle società colonizzate. Su questi argomenti, il film rimane significativamente silenzioso.
Indiana Jones difficilmente rappresenterebbe lo sfruttamento occidentale, dato che lui stesso è una forma di sfruttamento. La sua rappresentazione dell'Altro come un nemico violento e pericoloso costituisce un atto violento e pericoloso. Tale rappresentazione riflette e produce concezioni del mondo "là fuori" come luogo del male.
Le caratteristiche specifiche della condanna auto-validante dell'Altro indicano una dimensione psicosessuale dei processi ideologici. Non diversamente da molti funzionari coloniali britannici, a giudicare dai loro racconti, il film sembra concentrarsi sulla depravazione sensuale dei governanti indiani femminilizzati, mentre presenta in modo sublimato la mascolinità contrastante dei "civilizzatori occidentali". Jones e gli inglesi rifiutano il piacere sensuale perverso e cercano la gratificazione nell'esercizio morale del potere. La dinamica psicosessuale qui emerge più chiaramente nel contesto della storia d'amore.
In molti dei vecchi film d'avventura esotici, l'"interesse amoroso" è apertamente sussidiario e periferico alla storia dell'avventura, ma questa è una struttura solo apparente. Indiana Jones porta la struttura latente dell'avventura-romanzo molto vicino alla sua superficie, e rivela così i desideri e le paure psicosessuali che risiedono nel cuore del genere.
Altri critici hanno richiamato l'attenzione sulla caratterizzazione sessista dell'eroina del film. Willie è ritratta come una cacciatrice di dote senza cervello, piagnucolosa e incompetente, una "bionda stupida" che è in netto contrasto con l'eroina coraggiosa di “Raiders”. Nella nostra lettura, tuttavia, il film rivela inavvertitamente la superficialità della sua rappresentazione sessista delle donne, una difesa contro una paura profondamente radicata della sessualità femminile. Abbiamo già notato che l'episodio del tempio rompe il ritmo e il tono in relazione alle sequenze che lo circondano, e che suscita un senso pervasivo di orrore. Questo orrore, argomentiamo di seguito, è strutturalmente condizionato. La sua forza deriva dalla natura non mascherata della ricerca come fuga dalla sessualità, che diventa un incontro fantastico con la femminilità primitiva.

Questa traiettoria è implicita all'inizio del film in uno scambio apparentemente banale. Quando Willie sente per la prima volta che Jones è un archeologo, dice: «Archeologi: pensavo fossero dei buffi omini che cercavano le loro mamme (mommies)». «Sono 'mummie'», dice Jones in uno scatto, e pensa di averla corretta. Poco dopo, viene avvelenato, e la fiala con l'antidoto finisce nel petto di Willie. Jones, comprensibilmente, non ha tempo da perdere per dichiararsi. Mentre Willie tarda a consegnare il prezioso antidoto, glielo toglie con la forza. Prendendo il suo stato di disperazione come passione, lei protesta dicendo che non è "quel tipo di ragazza". La scena è giocosa, anche se stabilisce la tensione uomo-donna che organizza tutto il film. Alla base di questa tensione c'è una profonda ambivalenza verso il femminile. O la femmina appare all'uomo, come in questa scena, come una figura desiderabile e vivificante che deve tuttavia essere sottomessa con la forza o, incarnata in Kali, si manifesta come una minaccia mortale.
Questa minaccia informa la storia d'amore, con la sua progressione stereotipata dall'antagonismo iniziale al desiderio. Jones e Willie non riconoscono apertamente la loro reciproca attrazione fino a quando non sono entrati nel palazzo, dove Willie (che vediamo per la prima volta emergere dalla bocca di un drago di carta) è nuovamente metamorfosata in una seduttrice esotica. Dopo la scena del banchetto, Jones si oppone a Short Round e offre sollecitamente a Willie una mela, di cui lui prende il primo morso. Prevedibilmente, questo avvia l'attività sessuale, che successivamente solleva la questione del controllo. Lei insiste che il suo fascino afrodisiaco gli farà dimenticare tutte le altre donne. Egli sostiene, caratterizzandosi come ricercatore accademico sulla sessualità femminile, che non anticiperà i risultati della sua indagine. Il risultato è che i loro desideri reciproci non sono soddisfatti, e lui torna nella sua stanza. Lei ha un attacco di rabbia, mentre lui sfoga la sua eccitazione frustrata con altri mezzi - ingaggiando una lotta a morte con un enorme rimorchiatore che appare improvvisamente dal nulla. Liberandosi del suo assalitore, Jones corre all'alloggio di Willie, apparentemente per vedere se qualche tugue la sta molestando. Nei termini del film, lei tradisce i limiti della sua natura supponendo che lui sia tornato per consumare la loro relazione sessuale. Realtà e fantasia si invertono qui. La supposizione di Willie che Jones fosse tornato per continuare da dove si erano lasciati viene fatta sembrare sciocca. Non capisce che il suo desiderio è stato subordinato al "principio di realtà", cioè alla lotta con i Tugues, che sono ovunque. Jones ora ha compiti più importanti del sesso. La sua ricerca nella camera da letto lo conduce a una voluttuosa statua femminile; quando tocca i suoi seni, si apre un passaggio nascosto. Willie fissa, confusa ed esasperata, e cerca di attirare la sua attenzione sul suo seno.
Nella logica sequenziale della trama, ciò che segue è una conseguenza diretta del fatto che Jones evita il sesso con Willie. Dopo tutto, se avesse scelto i suoi seni invece di quelli della statua, il passaggio non si sarebbe mai aperto. Su un altro livello, tuttavia, il risultato è una realizzazione fantastica di questo incontro sessuale, espresso come un grande incubo. La fantasia passa dall'erotico all'anti-erotico, dal desiderio distorto alla negazione totale del desiderio. In definitiva, questa realizzazione fantastica del sesso giustifica l'evasione della sessualità. Consideriamo prima cosa li aspetta nel passaggio che si apre quando tocca i seni di pietra. All'interno non solo è umido, ma pieno di esseri orribili, milioni di insetti striscianti, cose con gambe di tutte le forme e dimensioni. Non c'è un ritmo avventuroso in questo episodio. Lo spettatore non è animato o eccitato, ma è quasi insopportabilmente disgustato e respinto dalle immagini. Lucas e Spielberg continuano la scena con una fantasia alternativa dei pericoli che si nascondono nei luoghi chiusi e oscuri. Jones e Short Round sono intrappolati in una stanza, le cui pareti iniziano immediatamente a chiudersi su di loro. Enormi punte perforanti emergono dal pavimento e dal soffitto, creando l'effetto di terribili fauci divoratrici, una variante esplicita sul tema frequente della "vagina frastagliata".
Per quanto queste immagini siano inquietanti, rimangono entro i confini della paura dell'erotismo femminile. Ma il passaggio più all'interno è anche un passaggio all'indietro, una regressione della donna come seduttrice a Kali, la madre primordiale in cui si fondono vita e morte. Molto al di sotto della terra, tra le gambe del temibile idolo, c'è una piscina di lava con un vortice che si apre e si chiude per accogliere e consumare le vittime. Tornare nel grembo di Kali è incontrare la morte stessa; la 'mummia' è diventata davvero la 'mummia'. Quando Jones viene catturato ed è costretto a bere il sangue nero di Kali, c'è un rovesciamento simmetrico della sua precedente relazione con un seno femminile (cioè quello di Willie). Ora il seno non è l'oggetto ma l'agente della violenza; e il liquido che l'uomo è costretto a ingoiare non è un antidoto ma un veleno. Questo veleno sottomette l'uomo alla donna, e la sua cura è fallica.

Il fuoco secco della fiaccola di Short Round, l'amore del figlio adottivo di suo padre libera Jones dall'incantesimo di Kali e scongiura la minaccia del suo fuoco liquido. A poco a poco, il film riacquista il suo ritmo maschile e ottimista di avventura e conquista. Il viaggio di ritorno è iniziato dalle tenebre alla luce, dove il giusto ordine viene rapidamente ripristinato. Il prete malvagio e i suoi seguaci vengono sconfitti da Jones e dagli inglesi, con un piccolo aiuto del potere fallico del lingam di Shiva. La pietra e i bambini tornano al villaggio. Infine, Jones gioca con la sua frusta per attirare un Willie esteriormente recalcitrante ma interiormente arrendevole, mentre Short Round appare su un elefante che spruzza un getto d'acqua sulla coppia felice. Passando bruscamente alla prospettiva di Short Round, il film ci ricorda che il suo scopo esplicito è quello di riportarci a quegli anni dell'infanzia che Spielberg ha altrove ritratto rapsodicamente come felici, spensierati e senza sesso.
Ciò che il film presenta come risoluzione è la reistituzione della legge fallocentrica del padre, allegramente confezionata come una cosa infantile. L'avventura e l'amore, le due storyline apparentemente indipendenti, sono arrivate a risoluzioni strutturalmente simili basate sulla dominazione e la sottomissione. Lo spensierato spirito avventuroso dell'inizio e della fine del film, insieme al suo spensierato sessismo e razzismo, deve essere legittimato dalla sequenza centrale nel Tempio Maledetto.
Tuttavia, il film stesso punta a una risoluzione di natura molto diversa, una risoluzione che, sebbene non realizzata, è obliquamente allusa da una piccola ma critica lacuna nella trama. Per localizzare questa presenza mancante, dobbiamo tornare rapidamente al tempio e alla scena in cui Jones in trance si prepara a sacrificare Willie. Mentre il momento del giudizio si avvicina, il pubblico anticipa, a causa del precedente sacrificio, che sarà costretto a strapparsi il cuore. Sappiamo che il nostro eroe non può fare danni irreversibili e quindi aspettiamo con ansia il momento della sua liberazione, sperando che arrivi attraverso la donna. Tuttavia, né Jones né il prete raggiungono il suo cuore, e lei viene condotta nella fossa con il petto intatto. Perché? Qui, in questo momento, dove la trama inciampa, il film tradisce il suo progetto ideologico, lasciandoci inconsapevolmente intravedere una risoluzione alternativa.
Jones viene salvato nel film dal fuoco fallico e dalla solidarietà giovanile. Sta a noi ricostruire le implicazioni del percorso non scelto. Rompere l'incantesimo malefico toccando il seno della donna avrebbe significato superare il dominio di Kali, separando la donna erotica e vivificante dalla donna consumatrice e mortificante; separando il desiderio e la morte, Eros e Thanatos. Questo, a sua volta, avrebbe potuto essere la base per una mascolinità radicalmente nuova, una mascolinità non più obbligata ad allearsi con i ragazzini, a scappare dalle donne all'avventura, o a percepire la sensualità come depravazione. Ma poiché la mascolinità che si costituisce nel film non si trasforma mai, essa esige la continua dominazione fallocentrica di tutto ciò che è femminile, ed esige l'esclusione della sensualità. La vittoria politica della civiltà occidentale sulla classe dirigente indiana, insieme alla conquista romantica di Willie da parte di Jones, rappresenta il trionfo di questa forma indifferenziata di mascolinità sulla minaccia fantastica del principio femminile.
Includendo una risoluzione alternativa latente, il film rende chiaro che i valori che cerca di legittimare non hanno più un fondamento sicuro. Questi valori possono essere stati dati per scontati, ma non lo sono più. Nonostante se stesso, il film indica l'impossibilità di un ritorno al passato come se il presente non esistesse. Anche se il film è costretto a rinnegare il presente, il suo tentativo di tornare al passato richiede la repressione psichica quasi violenta di nuove possibilità e sensibilità. Il represso riappare allora in forma proiettata e appare ancora più minaccioso. L'instabilità intrinseca di una tale risoluzione presagisce un futuro ritorno del represso, che a sua volta dovrebbe essere negato e rifiutato con ancora più forza. Qualunque sia l'autocomprensione del film, gli ideali neo-americani "eroici" a cui si aggrappa non sono innocentemente nostalgici. Radicati come questi valori in un senso di minaccia e vulnerabilità, diventano pericolosi nel loro anacronismo. La "fiducia appena conquistata" degli Stati Uniti di Reagan viene erosa. Questa via di ritorno non è la via d'uscita.

- Moishe Postone e Elizabeth Traube - Pubblicato il 17/04/2021 -

fonte: Blog da Boitempo

domenica 29 agosto 2021

Come in una vetrina …

Quando finalmente - in "Bartleby e Compagnia" (poche pagine dopo aver usato, senza citare la fonte, la frase che fa da epigrafe al libro di Wilcock, "Lo stereoscopio dei solitari") - arriva a citare Wilcock, ecco che allora Vila-Matas usa un racconto, "Il vanesio": Fanil, il protagonista, ha pelle e muscoli trasparenti, con gli organi esposti come in una vetrina. I polmoni si infiammano, il cuore batte, le budella si contorcono, è tutto quanto in bella vista, in mostra: quando una persona ha una peculiare caratteristica, scrive Wilcock, citando Vila-Matas, invece di nasconderla, ne fa un problema, e a volte ne fa addirittura la sua ragion d'essere (fino a quando qualcuno non dice: «Senti, cos'è questa macchia bianca che hai qui, sotto il capezzolo? Prima non c'era»; ecco che allora si vede dove vuole andare a parare la sgradevole esibizione).

Sottilmente, Vila-Matas insiste sulla procedura a partire dalla quale fa un uso indiretto di elementi dello stesso testo: comincia con l'epigrafe segreta di Wilcock, continua con la citazione diretta dell'autore e con l'utilizzo del racconto, e finisce con una terza evocazione: nella parte finale di "Bartleby e Compagnia", ritorna sul tema dell'«interno del corpo visibile come in una vetrina». Questo terzo momento nel quale viene utilizzato Wilcock, lo si trova nel 62° capitolo del libro di Vila-Matas, quando il narratore parla del suo essere stato licenziato dall'ufficio (il suo capo scopre che ha ottenuto fraudolentemente un certificato medico); e in quella che è la sua rilettura di alcuni passaggi del "Diario" di Witold Gombrowicz.

Il narratore di Vila-Matas è a cena in un ristorante, dove si è portato dietro il libro di Gombrowicz. Commenta i passaggi in cui Gombrowicz prende in giro un passo di Léon Bloy - un altro diarista - e parla di quanto fosse ridicolo Bloy, che si metteva in ginocchio in «fervente preghiera». Improvvisamente, il narratore di Vila-Matas, mentre si pulisce i molari con uno stuzzicadenti, si sente «enormemente scontento» dei ristoranti e delle persone che li frequentano: «Che orrore. Il colmo era che gli uomini, dal canto loro, come se fossero diventati trasparenti, lasciavano vedere i polpacci, pur strozzati da spaventosi pantaloni. Mostravano l'interno dei polpacci nel preciso istante in cui questi venivano alimentati dagli schifosi organi dei loro apparati digestivi».

fonte: Um túnel no fim da luz

sabato 28 agosto 2021

Work in progress

In "Bartleby e Compagnia", alla fine del terzo capitolo (la terza nota a piè di pagina di un testo invisibile ma non inesistente, come scrive il narratore), Vila-Matas incorpora improvvisamente una citazione di Marius Ambrosinus: « Secondo me, Dio è una persona eccezionale ».

Da dove proviene questa frase? Essa arriva a conclusione di una lunga digressione che confronta Rimbaud e Socrate usando la lente della possessione da parte del «divino», da parte di «forze superiori»: diventerà poi assai chiaro nel corso del libro che «Dio» sarebbe una specie di entità che esemplifica perfettamente quello che è il paradosso centrale della narrazione: come può qualcosa essere invisibile, ma non per questo inesistente?

Poche pagine dopo, alla fine del quinto capitolo del libro, dopo aver commentato gli ultimi decenni della vita di Robert Walser e la sua esperienza di internamento, Vila-Matas evoca un racconto di Juan Rodolfo Wilcock, che viene citato in spagnolo, "El vanidoso" - il racconto fu originariamente scritto in italiano ("Il vanesio") per il suo libro del 1972, "Lo stereoscopio dei solitari". Il narratore cita una frase di Wilcock trovata in un'intervista - il ritaglio di giornale cade dall'interno del libro (in realtà la frase citata è in un'auto-presentazione di Wilcock che appare tanto nell'edizione italiana quanto in quella argentina, ed è quest'ultima probabilmente la fonte di Vila-Matas): «tra i miei autori preferiti ci sono Robert Walser e Ronald Firbank, come pure tutti gli autori da loro preferiti, e tutti gli autori che, a loro volta, tali autori da loro preferiti preferivano».

La frase di Marius Ambrosinus a proposito di Dio, che viene scelta da Wilcock come epigrafe de "Lo stereoscopio dei solitari" e che è la fonte di Vila-Matas (un libro, quello di Wilcock che apparirà direttamente solo qualche pagina dopo, quando verrà citato il racconto, sebbene però il titolo non venga menzionato).

Scoprendo questo fatto, il lettore ha come l'impressione che il narratore di Vila-Matas abbia cominciato a leggere il libro di Wilcock proprio nello stesso momento in cui sceglie di riprodurne la sua epigrafe (e lo fa bruscamente, senza indicare la fonte), ed è anche come se dia l’impressione che, mentre scrive il proprio libro, allo stesso tempo segua la lettura di quei racconti, insieme alle proprie note su un testo che è ancora invisibile (e questo lo fa fino al momento in cui trova un posto libero per poter citare direttamente Wilcock, all'interno del suo book-in-progress). 

fonte: Um túnel no fim da luz

50 milioni di auto elettriche !!

Crisi climatica e campagna elettorale in Germania:
molti non hanno capito qual è la posta in gioco.
di Tomasz Konicz

Probabilmente, il dibattito sul clima è il campo di battaglia più deprimente della campagna elettorale del Bundestag [26 settembre]. In effetti, è qui che il divario tra ideologia e realtà è più ampio. Ciò che si discute in pubblico e ciò che sarebbe necessario per evitare il collasso socio-ecologico sono due argomenti così distanti tra loro che tornano involontariamente alla mente i ricordi relativi alla fase finale del «socialismo realmente esistente»; vale a dire, quando gli apparati statali e di partito ossificati si sono dimostrati incapaci di cambiare rotta. In questo caso è molto peggio, perché è in gioco la sopravvivenza stessa dell'umanità: nel tardo capitalismo della Repubblica Federale Tedesca, i Verdi si trovano sotto pressione come il «partito dei divieti» poiché si discutono questioni quali i limiti di velocità delle autostrade, l'aumento dei prezzi del carburante, o l'abolizione dei voli a corto raggio. Allo stesso tempo, però, la crisi climatica sta già assumendo le dimensioni di una catastrofe - non solo sotto forma di inondazioni qui in Germania, ma anche sotto forma di un'ondata di caldo estremo nel nord-ovest dell'America - che nel contesto della retorica della campagna elettorale viene ampiamente ignorata. E mentre l'Amazzonia, la calotta artica, gran parte del permafrost nell'estremo nord, ovunque incomba la minaccia dei cosiddetti punti di ribaltamento (il punto di non ritorno) che possono essere superati, intanto la Germania discute di auto elettriche ad alta potenza e di voli economici per Majorca. I fatti parlano da soli. L'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE) ha pubblicato in aprile le previsioni secondo le quali le emissioni globali di CO2 aumenteranno del 5% quest'anno. Non c'è più il crollo storico del 2020, quando le emissioni di gas serra sono diminuite del 7% a causa del crollo economico causato dalla pandemia. Inoltre, le emissioni di gas a effetto serra dovrebbero continuare ancora ad aumentare, allegramente, nel 2022. Anche il traffico aereo globale, che attualmente è in gran parte fermo, dovrebbe riprendere a pieno ritmo l'anno prossimo, portando così a un ulteriore aumento delle emissioni. Il capitalismo sta dimostrando in maniera impressionante che può «ridurre» le emissioni globali solo a costo di una crisi economica internazionale.

Il feticismo nel tardo capitalismo
Il modo spaventoso in cui la tarda ideologia capitalista affronta questo fatto, è illustrato sulla prima pagina della rivista Spiegel che mostra i due leader verdi [Annalena Baerbock e Robert Habeck] intrappolati in una «realtà» tempestosa nella quale i loro ideali verdi si disperdono. Non è la crisi climatica oggettiva ad essere la realtà determinante, ma lo sono i vincoli assurdi dell'ordine economico del tardo capitalismo. Tuttavia, una simile naturalizzazione del dominio capitalista, usuale nell'economia mainstream, contiene anche un grano di verità distorto, a partire dal fatto che il dominio nel capitalismo è di fatto senza alcun soggetto, e quindi tutto questo appare come naturale. Da un lato, i rapporti sociali capitalistici, in quanto astrazione reale, fanno apparire l'uso del capitale nella produzione di merci - a livello della società nel suo insieme - come un vincolo materiale da cui dipende, sotto forma di salari e tasse, la riproduzione dell'intera «società del lavoro» ("Arbeitsgesellschaft"). Dall'altro lato, invece è proprio quel processo di valorizzazione, nel quale il mondo intero, sotto forma di risorse ed energia, a venire letteralmente bruciato in nome della "crescita" di quelli che sono dei valori monetari astratti.
Così, nella crisi climatica, si scontrano due tipi di vincoli: il vincolo oggettivamente dato di ridurre le emissioni di CO2 il più rapidamente possibile, e il «vincolo della crescita» del capitale, per il quale tutto il mondo concreto non è altro che il materiale di una valorizzazione astratta. Questo feticismo del capitale - come formulato da Robert Kurz, nella sua critica del valore - si rivela proprio nella crisi climatica, poiché anche i capitalisti più potenti non sono in grado di evitarla, e quindi non possono preservare il fondamento stesso della loro impresa, del loro business. In definitiva, tutto questo significa che la dinamica di valorizzazione del capitale continuerà il suo processo di conflagrazione globalizzata fino a quando non porterà la società al collasso socio-ecologico e quindi si estinguerà; o fino a quando non verrà trasformata nella storia, da un movimento emancipatore. In questo contesto, emancipazione significa superare il feticismo sociale, dove le persone sono esposte ai vincoli assassini del capitale, e andare invece verso l'elaborazione cosciente della riproduzione sociale attuata nel corso di una trasformazione del sistema.
Superare il capitale diventa quindi una necessità per la sopravvivenza. Pertanto, la questione del clima non è una questione di condivisione degli oneri, dei costi; non è una questione di copertura del rischio sociale. Ma è una questione di insieme. Se questo non viene fatto, la deriva verso la barbarie è inevitabile. Nel prossimo futuro, parti della terra diventerebbero semplicemente inabitabili. Di fronte alla crisi climatica avanzata, l'obiettivo strategico delle forze progressiste, può essere solo quello di cercare di sopravvivere ai prossimi effetti catastrofici della crisi climatica, nel quadro di una trasformazione del sistema senza che avvenga un crollo della civiltà.
Nell'attuale campagna elettorale, gli elettori hanno perciò solo una falsa scelta, anche nel regno esistenziale della politica climatica, tra la spinta alla morte dell'autoritario CDU-dell'energia fossile Armin Laschet [candidato cancelliere della CDU-CSU] e la menzogna del capitalismo ecologico propagandato dai Verdi. Il modello economico dei Verdi è quello di spalmare uno strato ecologico sulla coazione a valorizzare del capitale, in modo che anche nell'evidente crisi climatica possano aggrapparsi al sistema stesso che continua ad alimentarlo quotidianamente.

Il sogno febbrile dell'elettro-mobilità
Nel Green New Deal, per esempio, le componenti infrastrutturali di un nuovo regime di accumulazione «verde» vanno create a partire da un elevato investimento pubblico. Nel caso dell'industria automobilistica, per esempio, questo equivale a pericolosi sogni febbrili dove 50 milioni di auto elettriche saranno costruite nel bel mezzo della catastrofe climatica imminente - anche se gli studi sulle emissioni di CO2 durante la loro produzione verranno poi falsificate.
Invece di servire come una «soluzione sociale» per un partito verde opportunista, le forze di sinistra e progressiste dovrebbero affrontare proattivamente la percezione, che il pubblico ha da tempo, del prossimo sconvolgimento, e cercare dei modi per guidare la prossima trasformazione del sistema in una direzione emancipatoria.
Le dinamiche del cambiamento climatico sono indifferenti alle tattiche delle campagne elettorali, così come lo sono alle sensibilità della classe media o agli obiettivi di vendita di VW e Daimler. Esso va avanti, senza essere influenzato da quello che è lo stato del discorso sulla questione del clima nei mass media. Così, la sinistra deve dire innanzitutto dire come stanno le cose: che il progresso è ormai possibile solo al di là del capitale, che sono inevitabili sconvolgimenti profondi, il cui corso deve essere letteralmente affrontato e combattuto. Dirlo è necessario, non perché porta vantaggi nelle campagne elettorali o fa guadagnare voti nelle urne, ma perché è una questione di sopravvivenza della razza umana.
Solo su questa base, potrebbe avere di nuovo senso una politica di riforma ponderata. Non si tratterebbe più del solito socialdemocratico che fa il medico al capezzale del capitale, ma di esplorare modi concreti per guidare la trasformazione in una direzione effettivamente progressista.

- Tomasz Konicz - Articolo pubblicato il 26 agosto 2021 sul settimanale Der Freitag, n. 30 -

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

venerdì 27 agosto 2021

Contro Lordon !!

Anticapitalismo tronco e spinozismo nell'opera di Frédéric Lordon
di Benoît Bohy-Bunel

Frédéric Lordon viene generalmente presentato come se egli  fosse l'autore di una grande svolta teorica atta a rifondare una sinistra coerente. Sarebbe grazie a lui, che oggi avremmo a disposizione dei nuovi mezzi per poter interpretare il mondo neoliberale, e una strategia politica per mettere fine all'assetto socialdemocratico del capitalismo. Non è questa è l'opinione di Benoît Bohy-Bunel, il quale, lungi dal considerare la sua opera come quella critica politica radicale che pretende di essere, la confuta qui senza alcun appello, vedendo in essa nient'altro che un anticapitalismo tronco che si adegua e strizza l'occhio alle ideologie populiste della crisi: ancora una volta ci troviamo di di fronte a un'altra - l'ennesima - naturalizzazione della politica e dell'economia. Cosa sbandiera Lordon? Il vessillo a mezz'asta di una reazione alter-capitalista alla crisi, per mezzo della quale si tenta di regolare nuovamente l'economia e la politica in un modo «più umano», grazie a uno spinozismo che si mette al servizio di un produttivismo ontologico.
Questo libro si propone di presentare quella che è una panoramica completa e critica delle principali tesi di questo prolifico autore, richiamandosi allo stesso tempo a un rinnovamento della lotta contro il capitalismo da svolgere su basi teoriche del tutto diverse, proponendo, come l'unica alternativa promettente, quella tracciata dal «Marx esoterico».

- Benoît Bohy-Bunel, "Contre Lordon. Anticapitalisme tronqué et spinozisme dans l’œuvre de Frédéric Lordon". Éditions Crise & Critique. -

Benoît Bohy-Bunel è un filosofo. È autore di Symptômes contemporains du capitalisme spectaculaire. Attualità inattuali (L'Harmattan).

Table des matières
     La confusion apparente de l’idéologie lordonienne
    Spinozisme et critique sociale. Les enjeux théoriques soulevés par le spinozisme lordonien
     Maintenir l’Etat et l’Economie ?
     Appendice. Frédéric Lordon et la crise écologique

Il Muro

In un'epoca di crisi ecologica, il dogma rivoluzionario della «riappropriazione dei mezzi di produzione» non può più essere affermato innocentemente.
Motore umano, motore meccanico: sono queste le basi dell'invenzione capitalista del «lavoro». La fede in un'indefinita sostituibilità della spesa energetica astratta, alimenta lo sviluppo tecnologico e mantiene una relazione ambivalente con la termodinamica. Una concezione sostanzialista del valore, sviluppata da Karl Marx e riletta da Robert Kurz, ci permette di reinscrivere il paradigma energetico all'interno della forma sociale capitalista, e di esplicitare così le sue stesse dinamiche. La composizione organica del capitale articola e connette strettamente il «lavoro morto» delle macchine al «lavoro vivo» degli uomini. In tal senso, la crisi energetica e le sue ricadute ecologiche costituiscono pertanto il muro esterno del metabolismo capitalista; essendo l'altro muro - interno - costituito dalla creazione di un'umanità superflua. Ragion per cui, l'abolizione del lavoro astratto potrebbe allora significare solo la fine delle tecnologie, le quali non sono altro che la «materializzazione adeguata» del capitalismo. Solamente una richiesta di emancipazione formulata fino a questo livello potrebbe portare a far sì che smetta di consumare illimitatamente il mondo materiale, e ruscire allo stesso tempo a offrire le basi sociali per una reinvenzione di tecniche e di attività liberate dalla compulsione alla valorizzazione.

da: Sandrine Aumercier - LE MUR ÉNERGETIQUE DU CAPITAL. Contribution au problème des critères de dépassement du capitalisme du point de vue de la critique des technologies - Editions Crise & Critique.

TABLE DES MATIERES
Chapitre 1 – La crise de l’énergie au coeur de la crise permanente du capitalisme
           1.1 - Fin du pétrole et développement durable… du capital
           1.2 L’émergence du paradigme énergétique
           1.3 La bioéconomie, synthèse entre économique et biophysique
Chapitre 2 – Moteur humain, moteur d’engin
             2.1 - Le dogme classique de la substituabilité des facteurs de production
            2.2 - Le travail comme « dépense d’énergie »
             2.3 - La technologie comme potentialisation de la force de travail dans la contradiction en procès
             2.4 - Marx énergéticien ?
Chapitre 3 – L’abolition du travail et ses conséquences
             3.1 - Quel type de démantèlement industriel ?
             3.2 - A la recherche des critères de dépassement du capitalisme
Conclusion
4ème de couverture

L'autrice:
Sandrine Aumercier ha studiato filosofia e psicologia a Parigi. È psicoanalista a Berlino, membro della Psychoanalytische Bibliothek Berlin e collaboratrice della rivista francese Jaggernaut. I suoi interessi di ricerca includono la storia della psicoanalisi, la psicologia collettiva, la tecnologia e la critica della dissociazione dei valori.

giovedì 26 agosto 2021

Capolinea

Il Limite Ecologico del Capitalismo
- La forma-valore e la distruzione accelerata della natura alla luce delle analisi di Karl Marx e Moishe Postone -
di Nuno Miguel Cardoso Machado

Uno spettro si aggira per il mondo contemporaneo: lo spettro della devastazione climatica. Basandomi sulle tesi di Karl Marx e di Moishe Postone, cercherò di dimostrare che:

1.) Al cuore della sintesi macro-sociale moderna si trova un'inversione feticistica tra il concreto e l'astratto. La forza lavoro degli esseri umani e il mondo sensibile, materiale e culturale sono ridotti allo stato di input che devono essere consumati a fini produttivi, digeriti e scartati per alimentare il continuo processo di valorizzazione.

2.) Che questa sussunzione del concreto da parte della dinamica di accumulazione del capitale (A-M-A') [Accumulazione - Merci - Accumulazione'] ha conseguenze devastanti per l'ambiente.

Questa compulsione, che ha a che fare con le norme socialmente necessarie dell'orario di lavoro in vigore, e dell'estrazione del plusvalore relativo, impone, tramite la concorrenza, dei livelli sempre maggiori di produttività e di produzione e, così facendo, di consumo di materie prime, da parte di tutte le imprese, al fine di ottenere degli aumenti sempre più esigui della massa cumulativa dei profitti. Nel momento in cui l'accumulazione diventa ancora più difficile, ecco che la crisi economica aggrava, di conseguenza, la crisi ecologica. In breve, il modo capitalista di (ri)produzione si basa su una forma astratta di ricchezza - il (plus)valore - che è intrinsecamente autotelico - fine a sé stesso -, senza limiti e, in quanto tale, implica una forma di crescita economica sfrenata, che si rivela deleteria per la biosfera.

L'articolo verrà pubblicato su Jaggernaut n°4 il prossimo autunno.
https://www.editions-crise-et-critique.fr/jaggernaut/

Bibliografia raccomandata :

- Contro il muro. L'origine comune della crisi ecologica e della crisi economica, di Claus Peter Ortlieb: https://francosenia.blogspot.com/2014/06/favola-folle.html

- Elogio della "crescita delle forze produttive" o critica della "produzione per la produzione"? - Il doppio Marx di fronte alla crisi ecologica - di Anselm Jappe: https://francosenia.blogspot.com/2014/01/ecologicamente.html

- I «disastri naturali sociali» e il nuovo movimento per il clima, di Thomas Meyer: https://francosenia.blogspot.com/2021/06/i-venerdi-per-il-futuro-e-quelli-per-la.html

- Il carattere anti-ecologico del sistema capitalista, di Benoit Bohy-Bunel: https://francosenia.blogspot.com/2018/11/fuga-in-avanti.html

- Des catastrophes socio-naturelles. Dans le monde entier, inondations et sécheresses simultanées annoncent que la crise écologique a franchi un nouveau seuil, par Robert Kurz: http://www.palim-psao.fr/2018/03/des-catastrophes-socio-naturelles.dans-le-monde-entier-inondations-et-secheresses-simultanees-annoncent-que-la-crise-ecologique-a-fr

- Nota sulla merce-spazzatura e sul pianeta-pattumiera visti come fine della traiettoria della produzione capitalista, di Clément Homs: https://francosenia.blogspot.com/2019/12/pattume.html

Al fuoco !!

Pianeta in fiamme: come la crisi capitalista approfondisce il collasso ambientale
- L'evidenza è inequivocabile: il processo di crisi economica capitalista è accompagnato da una distruzione ambientale ancora più sistematica e irreversibile, da uno sfruttamento più intenso e profondo delle risorse naturali, che ora viene finanziato a credito -
- di Maurilio Botelho -

È difficile tracciare e monitorate il succedersi delle distruzioni della foresta e dell'ecosistema a causa del fuoco. Negli ultimi anni, è stato visto come un cerchio infernale di incendi, in America, Europa, Africa, Oceania, e persino nelle gelide terre dell'Artico, e anche sulla superficie della tundra, sotto lo strato ghiacciato. Foreste tropicali o temperate, paludi e savane: tutto serve da combustibile che va ad alimentare il fuoco insaziabile che devasta non solo gli ambienti "naturali", ma anche fattorie e villaggi, o addirittura residenze suburbane, resort turistici e quartieri popolari. Questa sciagura globale, scatena immediatamente tre tipi di negazionismo. La prima, è quella che nega qualsiasi connessione tra gli incendi e il cambiamento climatico globale. Tuttavia, si rende necessario distinguere tra quella che è la negazione tout court delle alterazioni atmosferiche, da una parte, e la preoccupazione "scientifica" riguardo le "cause particolari" degli incendi, dall'altra;  vale a dire, il negazionismo di coloro che accettano in linea di principio la tesi del riscaldamento globale, però ne negano i suoi effetti. Il terzo negazionismo ha un'origine "semiotica": dal momento che oramai tutto è narrazione e rappresentazione, ecco che la proliferazione di immagini di foreste in fiamme in TV, viene vista come il risultato dell'esagerazione, dell'onnipresenza dei media attuali.

È ovvio che ci sono dei Bioma, nei quali il fuoco è parte integrante della loro ecologia, così come è vero che molti incendi sono stati appiccati dolosamente e consapevolmente (il cosiddetto «giorno del fuoco» in Amazzonia, ad esempio). Così come è anche chiaro che oggi esistono molte più costruzioni che avanzano in delle aree ecologicamente infiammabili, e quindi l'accesso istantaneo a scene di palazzi suburbani che ardono in California, o di isole greche che bruciano, aggiunge una nuova dimensione alla percezione dell'«opinione pubblica» mondiale. Ma il negazionismo epistemologico, che crede che la distruzione sia esagerata dalla sua rappresentazione mediatica, e la falsa umiltà metodologica che si rifiuta di accettare gli effetti delle trasformazioni globali hanno lo stesso effetto anestetico che ha il negazionismo climatico: l'oggettività sociale, in quanto base della devastazione ambientale, non è viene in alcun modo messa in discussione
L'ultima relazione del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) non lascia dubbi sul riscaldamento globale, assumendo un tono catastrofico [*1]. Nel periodo tra il 2011-2020, rispetto al periodo 1850-1900, la temperatura della superficie terrestre è stata di 1,09 gradi superiore. In tale periodo, le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono state più alte rispetto a quanto lo sono state in qualsiasi momento in almeno 2 milioni di anni, e le concentrazioni di metano e protossido di azoto sono state le più alte in 800.000 anni (IPCC, 2021, p.9). Tra il 2011-2020, l'area media del ghiaccio marino artico ha raggiunto il punto più basso dal 1850. Dal 1900, i livelli medi del mare sono aumentati più velocemente che in qualsiasi momento dei 3.000 anni precedenti, e l'oceano si è riscaldato più velocemente nel secolo scorso, che in 11.000 anni (IPCC, 2021, p.9). Anche le stime più ottimistiche suggeriscono che l'avanzamento del riscaldamento globale ci porterà, entro il 2040, a un riscaldamento medio di 1,5 gradi rispetto al periodo 1850-1900 (IPCC, 2021, p.18); il che significa che il«livello di sicurezza» dell'Accordo di Parigi, per il 2100, sarà raggiunto e superato in meno di due decenni. Le condizioni ambientali diventeranno più instabili e distruttive, con «aumenti nella frequenza di ondate di calore e siccità simultanee, su scala globale» e  con un «clima da incendio in alcune regioni di tutti i continenti abitati» (IPCC, 2021, p.11).
Ma questo importante cumulo di dati e la loro sistematica organizzazione mediante la scienza del clima, si smarrisce in un'aggregazione di «fonti differenti», «fattori» e «impatti» definiti in maniera positivista. In altre parole, mentre il negazionismo non si preoccupa di nessuna comprensione generale dei processi, la metodologia degli scienziati che dimostrano e mettono in guardia rispetto al cambiamento climatico si confonde nella contrapposizione e nella sommatoria di quelli che sono processi naturali e «antropici», che vengono accettati senza alcuna riflessione storica e sociale. La trasformazione ambientale viene interpretata come se fosse un'«attività umana» astorica - che alimenta i suoi derivati malthusiani -, oppure viene ridotta a un «problema industriale» - rispetto al quale viene proposta ogni sorta di soluzione "verde", "sostenibile", ecc. … post-industriale.
L'origine di questa distruzione profonda su scala globale, non risiede in qualche elemento «antropogenico» (o antropologico), bensì nel fine-in-sé della macchina di produzione capitalista, che ha bisogno di fare sempre più soldi dal denaro, utilizzando la materia prima naturale come parte integrante di quella che è la sua dinamica feticista. La natura distruttiva della forma sociale capitalista consiste nella sua processualità che trasforma la "natura" in mero contenuto materiale per la produzione di merci: mentre sempre più "input" naturali entrano in questo sistema, per poi uscirne come merci, nel mentre che sempre più rifiuti di questo processo di produzione vengono lasciati dietro di sé. La trasformazione di capitale in sempre più capitale, che ormai domina tutta quanta la vita sotto il sole attraverso il mercato globalizzato, ha bisogno di aumentare ancora di più, e ha sempre sempre più bisogno di trasformare la materia fisica, in modo da assicurare continuità a questa grande industria di trasformazione umana e naturale che è la «forma sociale del capitale» (Marx). Questo processo richiede sempre più energia umana astratta sotto forma di lavoro, ma anche più energia naturale nella sua forma fisica. Nella sua stragrande maggioranza - che si tratti del fuoco caldo dei motori a scoppio alimentati da combustibili fossili, o del fuoco incandescente dei motori elettrici - l'energia che aziona questa macchina ha come risultato quello di emettere gas a effetto serra (principalmente anidride carbonica proveniente dalla combustione del combustibile, metano dalla decomposizione della materia organica nelle grandi dighe idroelettriche, e ossido di azoto dall'agricoltura industrializzata e dai suoi fertilizzanti chimici). Il risultato è che l'umanità, sotto il regime di produzione incessante di beni, effettivamente riscalda il mondo a causa dell'uso sfrenato di un'energia che intrappola sempre più luce solare in un'atmosfera diventata progressivamente sempre più densa.

Ma la storia dell'ascesa della società capitalista, nel corso della quale il mercato si è espanso sottoponendo il mondo intero alla sua dinamica di dispendio di energia umana e fisica, e lasciando in questo modo sempre più rifiuti dietro di sé, ha avuto una svolta circa quarant'anni fa. Con la trasformazione tecnologica innescata dalla rivoluzione della microelettronica, l'accelerazione della produttività ha espulso e reso gradualmente irrilevante, nella lavorazione delle merci, l'energia umana  e il sistema ha così iniziato a produrre attraverso lo sfruttamento del lavoro, sempre meno ricchezza sociale astratta. Si è stabilito un paradosso: tanto meno lavoro viene impiegato nei processi di produzione, tanto più basso è il valore presente in ogni singola merce, e il risultato è pertanto la bancarotta della struttura di base della stessa economia di mercato, una crisi, questa, che può essere compensata, o rimandata solo espandendo la produzione delle merci. Si rende necessaria un'espansione assoluta della produzione di merci, per poter così compensare l'utilizzo relativo sempre minore del lavoro in ciascuna merce. E proprio perché il "fuoco" interno sociale della produzione di ricchezza sociale - il lavoro - viene sempre meno utilizzato, ecco che allora il "fuoco" esterno ambientale - l'energia - deve essere sempre più sfruttato per espandere la produzione di merci. E l'efficienza energetica così raggiunta per mezzo del minore impiego di energia da parte di ogni particolare prodotto, viene alla fine compensata dalla crescente spesa assoluta di produzione. Come ha sintetizzato Tomasz Konicz, «l'aumento di produttività, il quale è in realtà indispensabile per poter realizzare una forma di economia che conservi le risorse, nel capitalismo agisce invece come un acceleratore del fuoco, dal momento che in questo caso una cieca razionalità funzionalista deve mettersi al servizio dell'irrazionale fine in sé della valorizzazione illimitata del capitale, che invece deperisce a causa delle sue crescenti contraddizioni». Ma dal momento che l'espulsione del lavoro è identica anche alla riduzione generale del potere d'acquisto nella sua forma di salario, ecco che l'unico modo per far circolare questa montagna di merci è spingere la domanda con «mezzi artificiali», attraverso il credito, l'indebitamento, il reddito di base, o anche, indirettamente, con la famigerata «espansione monetaria».

Non è un caso che nel passaggio alla «società post-industriale», cioè proprio sotto l'influsso della rivoluzione microelettronica e la riduzione radicale della popolazione direttamente coinvolta nella produzione, sia aumentata l'emissione di gas serra. Contrariamente a quanto si immagina, non viviamo una storia millenaria di inquinamento ambientale, bensì, piuttosto, un'accelerazione intensiva della distruzione a causa dell'«ipermodernità» capitalista in crisi: più della metà dell'anidride carbonica derivante dalla combustione di combustibili fossili è stata rilasciata nell'atmosfera negli ultimi tre decenni (WALLACE-WELLS, 2019), in coincidenza con l'onnipresenza del discorso idiota dello «sviluppo sostenibile». Qui vediamo come parlare di una «attività antropica» distruttiva in generale sia una cecità che impedisce di identificare con la crisi sistemica le dinamiche sociali ambientalmente corrosive e sempre più profonde. Qualsiasi «conflitto intergenerazionale» volto a indicare una maledetta eredità secolare proveniente dall'inquinamento del passato industriale, non si rende conto che la grande devastazione è stata portata a termine negli ultimi decenni, ed è avvenuta sotto gli occhi di gran parte di quella che era una giovane popolazione mondiale (e che oggi ha in media 30 anni). È questo è il motivo per cui stiamo ora assistendo a un'accelerazione radicale dell'effetto serra globale: gli ultimi quattro decenni sono stati, in successione, più caldi di qualsiasi altro decennio che li ha preceduti dal 1850 (IPPC, 2021, p.6), e gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati. Si può perfino arrivare a pensare che questa accelerazione abbia a che fare con il fatto che, mentre gli apologeti del nuovo ordine globale inneggiano alla «società post-industriale» - e anche la sinistra comincia a vaneggiare a proposito di progetti che associno «sviluppo economico» e «transizione energetica», senza mai mettere in discussione l'economia di mercato stessa - la macchina capitalista continua a riscaldare la caldaia globale attuando quella che è una vera e propria regressione energetica finanziata dal capitale fittizio. Sebbene, dovuto ad alcune cicliche battute d'arresto annuali, nell'ultimo mezzo secolo il consumo mondiale di carbone è aumentato: un'involuzione storica [*2]. Durante la pandemia, i maggiori consumatori mondiali di tale risorsa hanno annunciato l'espansione dell'utilizzo di questa tradizionale fonte di energia della prima rivoluzione industriale. La «rivoluzione dell'olio di scisto», che ha ribaltato la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio estero e ha riguardato diverse economie esportatrici (il Venezuela, per esempio), dipende fondamentalmente dall'emissione di denaro e da tassi di interesse di base negativi (Cfr. VERLEGER JR., 2001). E i sussidi e gli investimenti nei combustibili fossili sono ben lungi dal diminuire:

« Solamente tra il 2016 e il 2018, con l'accordo di Parigi già in vigore, 33 banche canadesi, cinesi, europee, giapponesi e statunitensi hanno convogliato 1,9mila miliardi di dollari nell'industria dei combustibili fossili, seguendo anno dopo anno una traiettoria di aumento di tali finanziamenti: 2016 - 612 miliardi di dollari; 2017 - 646 miliardi di dollari e 2018 - 654 miliardi di dollari. Per farsi un'idea del contesto, nel 2018 gli investimenti nell'energia solare sono stati di 131 miliardi di dollari [...], vale a dire, solo un quinto degli investimenti diretti nei combustibili fossili che ci sono stati in quello stesso anno, e meno di quelli che sono stati i finanziamenti ai combustibili fossili di JP Morgan Chase in quel triennio (196 miliardi di dollari). Nel 2017, i trasferimenti di risorse all'industria delle sabbie bituminose sono cresciuti del 111% rispetto al 2016, essendo questo il settore più finanziato all'interno dei combustibili fossili (Hill, 2018). In questo stesso periodo di tre anni, i tre più grandi gestori finanziari del mondo - The Vanguard Group, State Street Corporation e Blackrock - hanno convogliato 300 miliardi di dollari di investimenti nell'industria dei combustibili fossili. Blackrock, il più grande gestore di fondi al mondo, con 7.000 miliardi di dollari di patrimonio, è anche il più grande investitore in nuove miniere di carbone, uno dei più grandi investitori in petrolio e gas, e il più grande investitore americano nella distruzione della foresta pluviale. Tutti insieme, questi «Tre Grandi» gestiscono beni più grandi di quanto sia il PIL della Cina; e dal 2016 i profitti relativi al carbone, petrolio e gas che gestiscono, sono aumentati del 34,8% » (MARQUES, 2020).

A partire da questa tendenza, il risultato non può essere altro che l'accelerazione della combustione planetaria. A causa delle temperature più alte, incendi catastrofici hanno battuto i loro record in Portogallo nel 2017 e nel nord Europa nel 2018.  Si sono moltiplicati sulla costa occidentale degli Stati Uniti nel 2018 e nel 2019, e poi anche in Africa centrale, così come nel Pantanal e in Amazzonia, quando la fuliggine accumulata nell'aria ha coperto il sole a San Paolo (agosto 2019). Anche in Australia, incendi storici hanno devastato parte del paese tra il 2019-2020, e il fuoco ha continuato a consumare varie regioni del pianeta, quando la NASA ha riferito che gli incendi avevano battuto ogni misurazione mai registrata: «gli incendi nel Nuovo Galles del Sud (Australia), nell'Artico siberiano, sulla costa occidentale degli Stati Uniti e nel Pantanal brasiliano sono stati i più grandi mai registrati, e questo sulla base di 18 anni di dati sugli incendi forestali globali.» Nelle ultime settimane di quest'anno, le temperature record e la siccità sono state responsabili dell'incendio delle foreste in Canada, Stati Uniti e Brasile. In questo momento, tutto il bacino del Mediterraneo sta sopportando incendi giganteschi, sia nei paesi africani (Algeria), che in quelli europei (Grecia, Turchia, Spagna, Italia, Portogallo), o mediorientali (Israele). In Siberia, secondo Greenpeace, è forse in atto il più grande incendio della storia. A causa di questi incendi, o wildfires, solo negli ultimi cinque anni sono state sfollate milioni di persone, ma gli effetti devastanti di questa combustione mondiale vengono negati dal negazionismo radicale, sono minimizzati dal negazionismo epistemologico, oppure semplicemente ignorati dall'indifferenza dell'«opinione pubblica» internazionale, che al telegiornale mostra immagini di routine di incendi e poi, subito dopo gli spot pubblicitari, parla dell'importanza di ridurre l'utilizzo dei sacchetti di plastica e loda le nuove tecniche di energia pulita [*3].

Ma l'inventario della fine del mondo - elaborato a partire dall'indagine degli scienziati - non lascia alcun dubbio sul grado di annichilimento ambientale a partire dall'aumento delle temperature. In Australia, negli incendi del 2020, si è stimato che 2,8 miliardi di animali siano morti, o si siano stati spostati a causa del fuoco e della siccità. Recentemente, l'ondata di calore che ha colpito il Pacifico alle alte latitudini degli Stati Uniti e del Canada ha causato la morte di più di un miliardo di animali marini, molti dei quali sono stati letteralmente cotti dall'aumento della temperatura dell'acqua. Non c'è una stima precisa di quale sia stato l'impatto che hanno avuto gli ultimi incendi in Amazzonia sulla biodiversità, ma negli incendi del Pantanal dell'anno scorso, quando circa il 26% della vegetazione venne distrutta, i calcoli iniziali stimavano in 10 milioni il numero di animali colpiti; ora gli scienziati parlano di 4,65 miliardi di animali morti, feriti o sfollati. Una nuova estinzione di massa si sta dispiegando sotto i nostri occhi, anch'essa causata dal cambiamento climatico globale (WALLACE-WELLS, 2019), proprio come è avvenuto nel passato geologico, ma ora viene causata dal capitalismo in quanto «macchina di combustione globale» (Konicz). Tutti questi eventi indicano anche come sia in atto un «feedback» della catastrofe climatica. Quanto più la foresta viene bruciata, tanto più anidride carbonica viene rilasciata nell'atmosfera: quasi la metà di tutte le emissioni di gas serra in Brasile sono una conseguenza dalla distruzione dell'Amazzonia, ma ormai la riduzione della copertura vegetale sta annullando quella che era la funzione stessa della foresta come «serbatoio di carbonio», e sta invertendo il suo equilibrio naturale a favore delle emissioni [*4]. Nell'Artico, il riscaldamento e gli incendi sul permafrost stanno rilasciando progressivamente il metano che si era accumulato per millenni, e che ora potrebbe attivare la cosiddetta «pistola a clatrati». Infine, secondo un altro esempio di «rafforzamento sistemico», a causa dell'acidificazione, gli oceani, riscaldandosi, perdono gradualmente la capacità di trattenere l'anidride carbonica (cf. CAMPOS, 2014).

Le conclusioni sono inequivocabili: il processo di crisi economica capitalista, perfino malgrado quelli che sono i suoi squallidi indici economici, la sua «deindustrializzazione» e la disoccupazione di massa, si accompagna a una distruzione ambientale ancora più drammatica e irreversibile, a uno sfruttamento ancora più intenso e massiccio delle risorse naturali, che ora viene finanziato a credito. Abbiamo pertanto una relazione di «feedback» anche tra la crisi del capitalismo e il collasso ambientale [*5], che, come parte della vita quotidiana genera «catastrofi sociali della natura» (Robert Kurz). Ma la società capitalista al collasso, anziché aprire la strada a nuove forme di relazione e di innovazione sociale, soffia sul suo fuoco distruttivo usando il capitale fittizio per restare in piedi a ogni costo, e pur di continuare a produrre merci, rade al suolo campi e foreste, riducendo la biodiversità naturale e producendo, con la sua scienza e tecnologia high-tech, veri e propri mostri biologici, nel perseguimento continuo di un profitto ormai al collasso. Quelli rimasti esclusi dal processo economico dalla microelettronica e dall'automazione, ora si aggiungono ai rifiuti industriali, di cui entrano a far parte, attivando così una spirale di devastazione sociale e ambientale. Questa fiamma capitalista deve essere spenta, e va fatto prima che la sua logica feticistica incenerisca la vita sociale, ma per fare questo bisogna assumere una critica radicale delle categorie fondamentali di questa formazione sociale. E a tal fine, è necessario combattere un quarto negazionismo: quello che rifiuta di ammettere l'incompatibilità esistente tra la logica della merce, del denaro e del capitale ed il mantenimento della vita stessa.

- Maurilio Botelho - Pubblicato il 24/8/2021 su Blog da Boitempo -

NOTE:

[*1] - La relazione del 2003, "The challenge of the slums", dell'ONUN-Habitat, è stato la prima ad assumere un tono tetro, trattando di alloggi al di sotto degli standard e del degrado delle bidonville che coinvolge quasi un miliardo di persone nel mondo. I comunicati della FAO si sono distinti anche per aver messo in guardia dalla regressione globale: l'ultimo di questi comunicati sottolinea fino a che punto la crisi sanitaria del covid-19 abbia aggravato la già tragica pandemia di fame e carenza di cibo, amplificata anche dalla crisi climatica: «nel 2020, nel mondo, tra 720 e 811 milioni di persone hanno affrontato la fame; circa a fino 161 milioni in più rispetto al 2019. Quasi 2,37 miliardi di persone, nel 2020 non hanno avuto accesso ad un'alimentazione adeguata; con un aumento, in un solo anno, di 320 milioni di persone. Non è stata risparmiata una sola regione nel mondo.»  (The State of Food Security and Nutrition in the World 2021, FAO-UN, Roma, 2021, p. vi).

[*22] – « Dal 1970, alle soglie della prima crisi petrolifera, il mondo ha utilizzato il carbone come fonte del 12% dell'energia primaria: una riduzione significativa rispetto al 1880, quando rappresentava il 97% della produzione di energia primaria. Nel 2010, la base energetica fornita dal carbone è risalita e ha raggiunto il 27%, e nel 2014 il 30,1% » (VILLAR; BOTELHO, 2018).

[*3] - Dato che i media sopravvivono grazie agli scandali quotidiani che poi vengono dimenticati il giorno dopo, se guardiamo l'agenda creata dagli inserzionisti e dalla convenienza politica dell'occasione, non sorprende che i nuovi indicatori mostrino l'enorme distruzione dell'Amazzonia avvenuta nel corso di un decennio senza che essa abbia la stessa ripercussione avuta nel 2019.

[*4] – « Tra il 2010 e il 2017, la più grande foresta tropicale del pianeta ha rilasciato annualmente, in media, alcune centinaia di milioni di tonnellate di carbonio in più rispetto a quello che essa ha rimosso dall'aria e immagazzinato nella sua vegetazione e nel suolo » (PIVETTA, 2020). Si vedano anche i dati più attuali che segnalano come l'Amazzonia orientale, la più colpita dall'espansione della frontiera agricola e dall'urbanizzazione, oggi emetta più gas a effetto serra (PIVETTA, 2021).

[*5] - Per altro, la crisi ambientale approfondisce le forme distruttive assunte dal collasso capitalista, e così persino un autore che pensa ancora in termini di «crisi cicliche» riesce a vedere una nuova era di crisi economiche nelle quali i «costi crescenti delle crisi ambientali assumono [sempre più] il ruolo di protagonisti» (MARQUES, 2015).

Riferimenti Bibliografici

- Edmo J. D. Campos. "O Papel do Oceano nas Mudanças Climáticas Globais". Su "Revista USP", n. 103, p.55-66, 2014.
- Mike Davis. "A apocalíptica «segunda natureza» da Califórnia". Su "Revista Ihu On-line", 29 set. 2020.
- "Intergovernmental Panel on Climate Change" (IPCC), Climate Change 2021: The Physical Science Basis (Summary for Policymakers), 2021.
- Tomasz Konicz. "Die Weltverbrennungsmaschine: Warum ein ressourcenschonender Kapitalismus prinzipiell unmöglich ist." su "Neues Deutschland", 22 jan. 2021.
- Luiz Marques. "O colapso socioambiental não é um evento, é o processo em curso". Su "Revista Rosa", série 1, mar. 2020.
- Luiz Marques. "Capitalismo e colapso ambiental". Editora da Unicamp: Campinas, 2015.
- Philip K. Verleger. "QE and Oil Prices: Why the United States will be the new arbiter of oil inventories". Su "The International Economy", 2001, p. 56-59.
- André Gomez Villar & Maurilio Lima Botelho. "O fim do «capitalismo verde». su "Sinal de Menos", ano 10, n. 13, 2018.
- Marcos Pivetta. "Amazônia, agora, é fonte de CO2." Su "Revista Pesquisa Fapesp", ed. 287, jan. 2020.
- Marcos Pivetta. "A Amazônia perde o gás." Su "Revista Pesquisa Fapesp", ed. 306, ago. 2021.
- David Wallace-Wells. "La Terra inabitabile. Una storia del futuro." , Mondadori. 2020.

fonte: Blog da Boitempo