Nota sulla merce-spazzatura e sul pianeta-pattumiera visti come fine della traiettoria della produzione capitalista
- di Clément Homs -
È oggi un fatto notoriamente ridicolo che la «garanzia di qualità e funzionamento», data dai costruttori sui loro prodotti, sia solo di un anno. Oramai, il fabbricante non garantisce nemmen più che la sua merce sopravviva al prossimo fine anno del 31 dicembre. Questo, viene fatto passare come se si trattasse di un vantaggio per l'acquirente che indicherebbe invece una qualche qualità del servizio, quasi come se fosse una vera e propria anomalia in quella che è l'Era dei rifiuti. Per alcune merci, il fabbricante arriva perfino a proporre dei supplementi di garanzia fino a tre o cinque anni, quasi una sorta di lusso assurdo o un privilegio eccezionale il cui costo dovrebbe essere pianificato in anticipo attraverso un processo di valorizzazione, dal momento che questa durata dell'uso della merce non può più essere la norma della produzione capitalista. Il divenire-discarica di un pianeta oramai malato, si trova così ad essere inscritto anche nel processo dinamico del doppio carattere del lavoro (concreto ed astratto) e della merce (valore d'uso e valore). Non si tratta di una "cattiva strada" imboccata dal sistema produttore di merci, che così facendo distorce il bello, intatto e sano valore d'uso, il quale andrebbe invece fabbricato in maniera diversa, come viene immaginato dai Razmig Keucheyan, Paul Ariès e dagli altri cantori delle «merci emancipate» della sinistra del capitale [*1].
Questo diventare una discarica non è affatto una cattiva strada, che è stata imboccata a causa di semplici «eccessi del sistema» che avrebbero potuto essere evitati rifiutandosi di votare per Donald Trump, oppure trasformandoci in esseri eco-responsabili nel nostro consumo individuale, ma è piuttosto qualcosa che si trova inscritto nella logica di base della struttura della merce. Una logica concreta che l'anticapitalismo tronco, così come la critica del mero «consumismo» non vogliono mettere mai in discussione poiché sono troppo occupati a difendere una società «alternativa» del lavoro. Inoltre, tutto questo non deriva solo dalla necessità che ha il capitale individuale di produrre un volume sempre più enorme di merci che incorporano delle dosi sempre più omeopatiche di valore e di plusvalore, per cercare di evitare la propria tendenza al collasso.
Diamo un'occhiata più da vicino.
Il valore d'uso di una qualsivoglia merce è sempre stato intrinsecamente legato alla sua dimensione di valore. Come dimostrato da Karl Marx, nel mondo realmente rovesciato della società capitalista-patriarcale la produzione di valore d'uso non è altro che un'intermediazione inevitabile, «un male necessario per poter fare del denaro» ("Contributo alla critica dell'economia politica", p.19). Il valore d'uso di una Peugeot 3008, il valore d'uso di un paio di ciglia finte, di un pacco di biscotti o di una caramella alla fragola, oppure il valore d'uso di un'ecografia, non esiste nel suo essere sociale, esso non viene socialmente al mondo, se non come «portatore», come «supporto» di quella sostanza invisibile e soggiacente che è il valore cristallizzato di mercato fornitogli dal lato astratto del lavoro. Il sapore del pane e le condizioni di mercato della tua piastra per lisciarti i capelli sono già stati prodotti a priori in quanto manifestazione astratta-reale del lato astratto del lavoro, e questo avviene sia nella satanica Amazzonia che nella cooperativa agraria che nel forno bio che si trova in fondo alla strada.
«Il valore d'uso diventa la forma fenomenale del suo contrario, il valore» (Marx, Il Capitale, Libro I). Niente di più e niente di meno nel mondo della sostanza del capitale: il lavoro astratto. In altre parole, il valore, scrive Marx «è indifferente alla forma particolare del valore d'uso, sotto la quale esso appare» (ivi). Il lato sensibile del «corpo della merce» esiste solo in quanto rappresentante di una cosa soprannaturale, «sovrasensibile» (il lavoro astratto, sostanza del valore/plusvalore).
Dal momento che una merce ha sempre un duplice carattere, concreto e astratto, e poiché quest'ultima è la sola ed unica ragion d'essere di una merce (nel consumo così come nel «consumismo»), in quanto ne costituisce l'essere reale ma sovrasensibile della merce, un tale contesto peserà con tutto il suo peso sulla necessità di dover «programmare» un'obsolescenza sempre più immediata del supporto «concreto», attraverso la fabbricazione di un valore d'uso che sia il più minimale possibile, e ciò al fine di perseguire per mezzo di una nuova produzione di merci, nel poco tempo che rimane, l'accumulazione della sua sostanza astratta . Pertanto, alla fine della traiettoria della produzione capitalistica, ogni aumento del livello di produttività sociale si accompagna anche un'accelerazione del periodo in cui la «ricchezza materiale» verrà trasformata in spreco. Perciò, in una delle sue apparizioni fenomenali, la relazione di capitale non si cristallizza solamente durante la sua metamorfosi in una merce. Ora, deve produrre immediatamente la sua propria messa a morte dei «corpi della merce» (Marx), e in questo modo costituire, a partire dalla sfera della produzione, una merce-già-spazzatura, una merce che abbia tendenzialmente un valore d'uso sempre più esile e sempre più effimero. Più sarà infimo il quantum di valore cristallizzato in una merce, altrettanto più infimo dovrà essere il suo valore-d'uso-già-spazzatura.
L'esperienza della vita moderna, in una società che nonostante tutto continua ad essere percorsa dal ruolo produttivo di ciascuno, non è quindi solo quella di vivere sulla propria carne il paradosso di una «produzione di "rifiuti umani", o più precisamente di umani "in sovrannumero" e "ridondanti" che vengono scartati» (Zygmunt Bauman), dato che questi individui sono ormai sempre più superflui per il fine in sé feticista della valorizzazione. In questa giostra del divenire-rifiuto della merce, perfino il corpo delle merci è diventato anch'esso sempre più superfluo per il capitale, e alla fine vengono prodotti solo quelli che sono dei pre-rifiuti che servono a produrre ancora più montagne di spazzatura, e questo ad nauseam.
Quello che alla fine del XIX secolo - per un William Morris che constatava già allora «che è oramai praticamente impossibile trovare del pane» poiché stava emergendo «nell'alimentazione la rapida diffusione del surrogato» - appariva ancora solo come un'anomalia, è diventato, nell'era del limite interno assoluto del capitalismo di crisi, il nostro destino quotidiano. Un secolo dopo Morris, una merce non è più solo un surrogato - la pallida copia adulterata di quello che era un valore d'uso - ma è piuttosto della spazzatura in vendita, una merce-rifiuto.
Nella prosecuzione di questa fenomenizzazione del valore sotto la forma di valore d'uso, la merce-rifiuto è qui il divenire concretamente astratto della ricchezza astratta capitalistica in quanto sua semplice escrezione, vale a dire, un semplice supporto transitorio sempre imbarazzante, vergognoso, un effetto collaterale ma necessario per il feticcio-capitale, il quale alla fine della sua strada deve ridurlo al suo minimo, cioè, a nient'altro che al suo divenire-rifiuto immediato. Con il suo divenire-rifiuto, si assiste niente meno che alla fusione oggettiva e sempre più immediata del valore d'uso dei corpi della merce. Quando la produzione di quella che è la parte dell'uso minimale di una merce è solo un male necessario per il valore in processo, tanto vale, ed è meglio, produrre subito un rifiuto-merce.
Se la forma-valore è stata sempre una forma vuota, indifferente al contenuto della merce, oggi oramai la pattumiera appare aperta, il suo coperchio per terra, e la spazzatura del pianeta straripa dappertutto.
- Clément Homs - Pubblicato il 29/11/2019 -
[*1] - La critica del cosiddetto «consumismo», messa in atto dall'anticapitalismo tronco, viene sempre svolta dal punto di vista di un altro consumo di merci, le quali avrebbero semplicemente un diverso valore d'uso. In questo consumo, viene sempre e comunque presupposta la società del lavoro.
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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