domenica 1 dicembre 2019

Ah, che bellu ccafe'


Žižek: Il mio caffe, in prigione, con Assange
- di Slavoj Žižek -

La settimana scorsa, ho visitato Julian Assange nella prigione di Belmarsh, e un piccolo dettaglio, in sé insignificante, ha attratto la mia attenzione, mostrandomi la caratteristica emblematica di come operino le prigioni, rispetto al nostro benessere (per noi, sia in quanto visitatori che detenuti). Tutte le guardie sono state gentili e hanno insistito sul fatto che tutto ciò che fanno, è proprio per il nostro bene. Ad esempio, Assange si trova confinato in isolamento per 23 ore al giorno. Deve consumare i pasti, da solo, nella sua cella. Nell'intervallo della durata di un'ora, in cui gli viene permesso di uscire dal suo cubicolo, gli è proibito incontrarsi con altri detenuti, e le sue relazioni con la guardia che lo accompagna sono ridotte al minimo. Qual è il senso di un simile trattamento così severo, dal momento che ora si trova solo in custodia protettiva? (Ha già scontato in prigione la sua pena, e ora si trova detenuto solo per evitare che sfugga all'estradizione.)
La spiegazione che mi è stata fornita era prevedibile: «è per il suo stesso bene, poiché Assange è un traditore, odiato da molti, e se si mischia con altre persone potrebbe subire una qualche aggressione...» Ma l'esempio più folle di questa «cura per il nostro bene» mi si è presentato quando l'assistente di Assange che mi aveva accompagnato ci ha portato una tazza di caffè. La tazza era stata appoggiata sul tavolo cui io e Julian eravamo seduti. Io avevo rimosso il coperchietto di plastica dal bicchiere di caffè, ne avevo bevuto un sorso e avevo riappoggiato la tazza sul tavolo, senza coprirla nuovamente. Immediatamente (non di più di due o tre secondi dopo) mi si avvicinò una guardia e fece un gesto con le mani, facendomi capire che avrei dovuto rimettere il coperchio sulla tazza di caffè. Tutto questo era stato fatto con molta gentilezza - si trattava una prigione "umanista", se possiamo parlare in questi termini. Io ho fatto come mi era stato ordinato, ma ero rimasto leggermente sorpreso dalla richiesta della guardia. Uscendo, ne approfittai per chiederne il motivo ad alcuni funzionari della prigione. La spiegazione che mi fu data, naturalmente, fu ancora una volta calorosa e umana. Qualcosa del tipo: «È per il suo stesso bene e protezione, signore. Lei si trovava seduto al tavolo accanto ad un pericoloso prigioniero, probabilmente propenso a compiere atti violenti. E vedere tra voi due, e vicino al suo viso, un recipiente aperto pieno di caffè bollente...» Sentii un enorme calore nel mio cuore per essere stato così ben protetto e assistito, e mi limitai solo ad immaginare a quale genere di minaccia sarei stato esposto nel caso mi fossi trovato a visitare Assange in una prigione russa o cinese - le guardie di quei paesi avrebbero senza dubbio ignorato una misura di sicurezza così nobile, e mi avrebbero esposto ad un pericolo terribile!
La mia visita era avvenuta due giorni dopo che la Svezia aveva ritirato la sua richiesta di estradizione di Assange, ammettendo chiaramente, dopo un ennesimo giro di interrogatori di testimoni, che non esisteva alcun fondamento per supportare una condanna. Tuttavia, tale decisione avveniva in un contesto sinistro. Quando ci sono due domande di estradizione, un giudice deve decidere quale abbia la precedenza, e se fosse stata scelta la Svezia, questo avrebbe potuto compromettere l'estradizione verso gli Stati Uniti - oltre al rischio di un rinvio indefinito, contro di essa avrebbe potuto ribellarsi la stessa opinione pubblica svedese... Ora, con solo gli Stati Uniti a richiedere l'estradizione, la situazione è molto più inequivocabile.
Pertanto, ora è l momento di porre la domanda elementare: la Svezia ha davvero avuto bisogno di 8 anni per interrogare due testimoni e stabilire l'innocenza di Assange, rovinando così la sua vita a causa di questo lungo periodo e contribuendo in tal modo all'assassinio della sua reputazione? Adesso è più che chiaro che le accuse di stupro fossero solo una menzogna , ma né gli organismi statali svedesi né la stampa britannica hanno avuto la decenza di fare le scuse. Dove sono ora tutti quei giornalisti che hanno scritto che Assange avrebbe dovuto essere estradato in Svezia anziché negli Stati Uniti? Oppure, a proposito, quelli che andavano in giro a dire che Assange era paranoico, che non c'era alcuna estradizione ad aspettarlo, e che se avesse lasciato l'ambasciata ecuadoregna sarebbe stato rilasciato dopo due settimane di prigionia, e che tutto ciò che avrebbe dovuto temere era la sua stessa paura? Per me, quest'ultima affermazione è come una specie di prova negativa dell'inesistenza di Dio: se esistesse un Dio giusto, allora un fulmine avrebbe colpito l'autore di questa oscena parafrasi della famosa frame di F.D. Roosevelt pronunciata all'epoca della Grande Depressione.
Allo stesso modo in cui ho fatto riferimento alla Cina, non posso fare a meno di ricordare ai miei lettori che che ha scatenato le enormi proteste di Hong Kong che vanno avanti da mesi: la richiesta che Hong Kong accetti la legge che obbligherà le autorità di Hong Kong ad estradare i suoi cittadini in Cina, quando quest'ultima lo richieda. Sembra che il Regno Unito sia molto più sottomesso agli Stati Uniti di quanto lo sia Hong Kong alla Cina: il governo britannico ritiene che non sia nessun problema nell'estradare negli Stati Uniti una persona accusata di un crimine politico. La richiesta cinese è ancora più giustificata, dal momento che, in ultima analisi, Hong Koong fa parte della Cina - la formula è quella di «un paese, due sistemi». In questo senso, la relazione tra il Regno Unito e gli Stati Uniti è ovviamente inversa: «due paesi, un sistema» (quello statunitense, è chiaro). La Brexit si diffonde come un mezzo per affermare la sovranità britannica e ora, con il caso di Assange, possiamo già vedere in cosa culmini una tale sovranità: sottomissione alle capricciose richieste degli Stati Uniti.
Ora è arrivato il momento per tutti i partigiani onesti della Brexit di opporsi con fermezza all'estradizione di Assange. Quel che stiamo affrontando non è più una questione politica o giuridica minore, bensì qualcosa che riguarda il significato fondamentale della nostra libertà e dei nostri diritti umani. Quando la gente in generale capirà una volta per tutte che la storia di Assange è la storia di essi stessi, e che il loro destino verrà profondamente influenzato dalla decisione di estradarlo o no? Dobbiamo aiutare Julian, non a causa di vaghe motivazioni umanitarie, o per simpatia nei confronti di una disgraziata vittima, ma piuttosto per preoccupazione di quale sarà il nostro futuro.

- Slavoj Žižek - Pubblicato su BLOG DA BOITEMPO il 30/11/2019 -

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