venerdì 29 febbraio 2008

Viaggi



E' annunciato per il prossimo maggio, edito nella bur della Rizzoli, un volumone di ottocento pagine che dovrebbe comprendere tutti i "Viaggi Fantastici" di Jules Verne. Il tutto per tredici euri.
E pensare che si è dovuto aspettare l'illuminante saggio di Jean Chesneaux, "Una lettura politica di Jules Verne", perché la critica si decidesse a togliere lo scrittore francese dalla categoria di borghese reazionario, dove era stato relegato da chi aveva preso troppo sul serio le sue dichiarazioni. Il capitano Nemo è la chiave per comprendere Verne e il suo universo ideologico. "E' l'uomo nuovo del '48: dà la caccia ai despoti e sostiene i principi del nazionalismo. Inflessibile, affonda la fregata degli oppressori e, magnifico, porta tesori ai popoli che lottano per l'indipendenza. Questo genio dei mari appartiene alla stessa generazione dell'autore". Chesneaux afferma che l'iconografia ideologica del capitano Nemo, il suo nazionalismo dalle tinte internazionalistiche, la sua idea radicale di democrazia, la sua concezione militante della solidarietà e della lotta contro i potenti, il suo severo umanesimo, tutto questo fornisce una chiave interpretativa dell'intero sistema politico dei "viaggi straordinari".
Nemo - per l'anagrafe - è un principe indiano di nome Dakkar. Dopo la sconfitta della grande rivolta anti-inglese del 1857, nella quale hanno trovato la morte tutti i suoi familiari, rinuncia a tutto, compreso il proprio nome, e dichiara guerra a tutte le potenze coloniali del mondo. Senza quartiere. Progetta il "Nautilus" e ne fa costruire separatamente le parti in luoghi diversi del pianeta, affinché nessuno possa ricostruire il progetto. Poi, in un isola, insieme ai suoi uomini, provenienti anch'essi da tutte le parti della Terra, mette insieme i pezzi del sottomarino. La sua guerra ad oltranza per l'internazionalismo e la libertà inizia sotto il nero vessillo dell'anarchia - come ci fa notare Chesneaux!
Verne, come tutti i francesi benpensanti del suo tempo, e al pari di tutto il campo del socialismo pre-marxista, non vedeva di buon occhio lo sviluppo del capitalismo in Inghilterra. Nemo comincia con l'affondare tutte le navi inglesi che gli capitano a tiro. Dapprincipio il Nautilus viene creduto un gigantesco capodoglio, e solo alla fine la stampa e l'opinione pubblica si conviceranno di avere a che fare con un prodotto del "genio umano".
Per il capitale, si sa, è preferibile pensare all'esistenza di mostri sul fondo del Loch Ness, piuttosto che immaginare una vecchia talpa all'opera, intenta a scavare gallerie sotto i suoi piedi!
Un incidente fermerà l'epopea del capitano Nemo e il mondo tiretà un sospiro di sollievo al pensiero che il capitano e il suo Nautilus dormano negli abissi marini. Solo che Nemo non è affatto morto, anche se il sommergibile è oramai inservibile. Lo vedremo, per l'ultima volta, invecchiato e solo, proprio ne "L'Isola Misteriosa" mentre aiuta, con discrezione, i soldati nordisti naufragati da un pallone sull'isola. La parabola del capitano Nemo, da rivoluzionario e combattente internazionalista a impiegatuccio socialisteggiante e dispensatore di beneficenze, è compiuta. Morirà fra le braccia dello yankee Cyrus Smith affermando che non si può vivere soli. Nientemeno! Le sue ultime parole - in un mormorio quasi inintellegibile - saranno addirittura "Dio e Patria".
Aspetta, aspetta. Tutto questo ricvorda un po' troppo da vicino la tradizione parrocchiale che si compiace di farci vedere l'ateo di turno che, in punto di morte, chiede la consolazione di un prete e di un assoluzione che gli garantisca la vita eterna. Ce ne hanno rovinate di storie, in questo modo! Romanzi e film, che potevano anche essere belle opere.
Ma sembra - afferma sempre Chesneaux - che sia stato l'editore, Hetzel, con un occhio alle esigenze di mercato e con una prudenza politica da clandestino: pare che anche lui, al pari di Verne, fosse vicino ai residui circoli sansimoniani parigini, se non addirittura al gruppo anarchico che si raccoglieva intorno ai fratelli Reclus.
D'altra parte, c'è da aggiungere che esiste un "viaggio" postumo, e fra i più "massicci". "I naufraghi del Jonathan", il cui protagonista è, per l'appunto, un anarchico che gli abitanti di un'isola dello stretto di Magellano, l'isola Hoste, hanno "battezato" con l'appellativo di "il Kaw Djer". Il suo motto è "Né Dio né Padroni" e si è allontanato dal mondo civile per non doverne subire né le leggi né l'organizzazione inumana e soffocante. La stessa tempra di Nemo.
Il viaggio continua.

giovedì 28 febbraio 2008

Ridere bisogna, e filosofare (Epicuro)



Un precedente almeno c'è stato, ed è dovuto ad Arthur Koestler.
La voce sull'umorismo, da lui scritta per l'Enciclopedia Britannica, disvela la relazione biunivoca che lega filosofia e barzellette. Lo scritto vale assai più di una lettura e si presta assai bene a fare da introduzione allo splendido piccolo saggio di Thomas Cathcart e Daniel Klein, "Plato and a Platypus walk into a bar ...", il cui titolo italiano "Platone e l'Ornitorinco" non può essere all'altezza, per forza di cose, dell'originale. La filosofia viene restituita al suo status originario di passatempo per una banda di matti, banda di cui qualunque persona "assennata" dovrebbe onorarsi di essere parte, rimediando così allo scarso senso dell'umorismo di molti filosofi moderni e contemporanei. Rimediando col riportarci ai tanti che hanno fatto filosofia da non-filosofi, come George Bernard Shaw che riscrive la regola aurea implorando di non fare agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te, in quanto potrebbero avere gusti diversi. Il libretto è una santa barbara di battute di spirito catalogate per argomenti, a partire dalla metafisica (ah, il trattato di Aristotele non si chiamava così, il titolo venne scelto, nel I secolo, da un curatore delle opere complete, solo perché il trattato veniva dopo il trattato sulla "fisica" - e questa non è una barzelletta!) e finendo con la metafilosofia e le metabarzellette. Ovviamente la prefazione ci parla di infinito, usando di un dialogo apocrifo fra due presunti filosofi greci. Chi regge Atlante che regge il mondo? - è la domanda. Una tartaruga, ovviamente. E la tartaruga? Un'altra tartaruga, altrettanto ovviamente. E poi? Poi ... è tutto tartarughe fino in fondo!
Come le domande per la filosofia. Per il resto si tratta semplicemente di scegliere. Come per l'ottimista che è convinto che questo sia il miglior mondo possibile, diversamente dal pessimista che invece teme che questo sia il miglior mondo possibile. Chiude il volumetto, prima dei ringraziamenti, un piccolo glossario altrettanto esilarante che il resto del libro.

Thomas Cathcart e Daniel Klein - Platone e L'Ornitorinco - Rizzoli - 12 euri

mercoledì 27 febbraio 2008

La Falce dei Cieli



George Orr è un giovane la cui storia si svolge nell'anno 2002 (come fa presto il futuro a diventare passato!). Sarebbe una persona normale, se non fosse per il fatto di essere convinto che i suoi sogni modifichino la realtà. Una convinzione bizzarra. Lui crede che i suoi desideri e le sue paure inconsce diano luogo, prima a modificazioni solo marginali, quasi impercettebili, ma poi, improvvisamente, cominciano le grandi trasformazioni. Gli episodi cui assiste in sogno, al suo risveglio non sono più immaginari. Sono crudamente concreti. Invasioni aliene, disastri naturali, tecnologie mirabolanti. Lui è il solo ad accorgersi della differenza, del salto fra il prima e il dopo. Per gli altri è sempre tutto normale. Le autorità cliniche classificano il suo caso come un puro e semplice disturbo mentale, ma William Haber, lo psicoanalista che lo ha in cura fin dall'inizio, vuole andare fino in fondo e in breve comincia a rendersi conto che quanto Orr afferma è la verità. Comincia così uno strano sodalizio fra il giovane sognatore ed il maturo psichiatra, il quale intende usare il proprio paziente al fine di cambiare in meglio il destino dell'umanità, tramite farmaci e tecniche ipnotiche. Il progetto, encomiabile, viziato dall'ideologia, si rivelerà impossibile, se non malvagio.
Ursula Le Guin in "The Late of Heaven" ("La Falce dei Cieli") ci viene a raccontare, e a mettere in guardia, come le utopie non siano affatto migliori dei mondi reali. Sognare un mondo diverso è necessario, ma viverci potrebbe essere terribile! E il fatto che Orr sogni "mondi di fantascienza" è ancora più eloquente.
La conclusione, raggelante e al tempo stesso ottimistica, ci narra che il protagonista riesce a sognare fino a riportare in vita la moglie perduta. Da quel momento in poi non ci saranno più sogni. Forse, davvero, la sua era una malattia ed ora è guarito. Ma andandosene, Orr "andò a stringere la mano al suo datore di lavoro. La grossa pinna verde era fredda nella sua mano umana. Uscì con Heather nel tiepido, piovoso pomeriggio estivo. L'alieno li osservò da oltre la vetrina, come una creatura marina che osservasse dall'interno di un acquario, e li vide passare e scomparire insieme".

martedì 26 febbraio 2008

La Legge di Sturgeon



Una biblioteca newyorkese che ha sempre guardato con accondiscendenza alla fantascienza (per la simpatia si sarebbe dovuto attendere ancora qualche anno), ha organizzato la presentazione di un romanzo di Theodore Sturgeon: "Some of your blood" (in italiano, "Un po' del tuo sangue"). Non è proprio un romanzo di fantascienza, ma siamo all'inizio degli anni '60 e presentare in una biblioteca un romanzo che parla di un vampiro per niente soprannaturale e, più velatamente, di mestruazioni è già abbastanza sovversivo. Il pubblico in sala è poco, però è mosso da sincero interesse. E dopo una breve introduzione di un giornalista neanche troppo disinformato, una presentazione del libro ad opera dello stesso Sturgeon, uno scambio di convenevoli che sfiorano i temi del romanzo e la lettura di un capitolo, iniziano ad arrivare le domande. Dapprima timide e fuori fuoco, poi sempre più attente e curiose. Anne, seduta in prima fila, è la più assidua frequentatrice della biblioteca. Arriva a leggere anche quattro romanzi la settimana e non passa mattina che non faccia una capatina nella sala lettura (le malelingue dicono che tra lei e Howard, uno dei bibliotecari, ci sia del tenero). Di solito Anne tace e ascolta discretamente, ma non questa volta. Sa di cosa parla quel romanzetto ed è decisa a mostrare tutta la sua ripulsa. Lo scrittore poi è un po' trasandato e indossa un giubbotto di pelle: un autore rispettoso del suo pubblico avrebbe tributato al momento la sacralità che meritava; giacca e cravatta erano d'obbligo. Anne cerca di fare domande che mettano in difficoltà quell'imbrattacarte che passa le sue giornate a scrivere storielle prive dell'afflato della vita su rivistacce di fantascienza, ma nei libri non c'è tutto quello che ti serve per vivere e la donna è poco allenata al confronto dialettico. Sturgeon invece è un uomo pacato e reso abile a schivare gli attacchi del pubblico indisponente da oltre un decennio di frequentazioni con loschi individui ossessionati dalla fantascienza. Anne si scalda, perde il controllo della retorica e sibila: «il 90% della fantascienza è spregevole!». Usa la parola "crud", che anni di letture alte le impediscono di sbottare in volgarità, ma mentre lo dice un moto di pudore la costringe ad abbassare ulteriormente il tono di voce. Quasi un sussurro. Theodore Sturgeon la guarda e sorride. Non perde la calma neanche per un istante. Non si diventa un punto di riferimento per gente come Kurt Vonnegut se non si è capaci di gestire momenti difficili: lui addirittura è l'archetipo sulle cui fattezze è stato costruito Kilgore Trout, il grande studioso delle tradizioni trafalmadoriane. Non ha sentito bene la frase, ma ne ha colto il senso. Si passa la mano su pizzetto puntuto per prendere tempo, strizza un po' gli occhi e, con voce ferma e gentile, dice: «Signora... il 90% di qualsiasi cosa è merda». Usa "crap", una parola di quattro lettere (slang per "parolaccia"), là, in mezzo a della gente perbene. In un tempio del sapere. Anne non può sopportare oltre. Si alza di scatto, stringe al ventre la borsa ed esce dalla sala facendo risuonare (intenzionalmente) i tacchi bassi sul pavimento. Non si farà vedere in biblioteca per due settimane.

lunedì 25 febbraio 2008

Cogruzzo, Illinois!



Persi nella nebbia!!! Era cominciato per gioco, quasi per caso, e, cazzo, d'un tratto, eravamo persi nella nebbia. Doveva essere una serata tranquilla, a Langhirano, vicino Parma, con Enrica, a casa di Alle e Sara. Eravamo arrivati la sera prima, il venerdì, ed avevamo deciso di andare a cena in una trattoria in collina, non troppo lontano, dove s'era prenotato. Solo una cena, nient'altro, per festeggiare insieme il mio compleanno, alla mezzanotte. Ma - non ricordo come - il discorso, poco prima di uscire, è andato a finire sulla data di uscita del nuovo disco di Massimiliano. Doveva uscire a settembre prima, ora si parla di aprile. "Ha preso il puzzo del Parodi" - faccio io - "Però su myspace c'è la copertina...". Ed è stato così che mentre eravamo sul sito myspace, Alle mi chiede delle date dei concerti. "Mah, ce n'è stato uno da queste parti .... anzi no aspetta, il 23 è oggi! Suona stasera, Antica Osteria a Cogruzzo, Castelnovo di Sotto, Reggio Emilia. E' lontano?"
E così, ci siamo ritrovati persi nella nebbia, come dicevo prima. Indicazioni, sbagli di percorso, poi ancora indicazioni. Addirittura, troviamo un ex-allievo di Alle che ci da la dritta giusta. Prima così, poi così e ancora così, vedrai che la trovate. L'ultimo ritocco e ci avviamo dove il segnale, netto, indica Cogruzzo!
Nebbia e ancora nebbia, nebbia come latte, Odio il latte! Ci deve essere un fiume da queste parti. Magari ci finiamo dentro, la visibilità (che parola grossa!) non arriva a due metri. Ma qui non c'è niente! Poi, come per magia, le luci, una cascina forse una stalla, illuninata tutt'intorno. Una decina di macchine parcheggiate tutt'intorno. Scendiamo e si fa timidamente avanti un cane biondo che scopriremo chiamarsi Eddie. Poi entriamo, siamo digiuni e sono passate le 22 e 30, e Andrea che in questo posto ci ha suonato un paio d'anni fa, per telefono, ci ha detto che no, non ci si mangia. E invece ....entriamo e il caldo avvolgente delle "warm morning" ci spreme via ogni goccia di nebbia. In fondo, alle spalle un camino che è un trionfo contadino, il "clan Larocca" che mangia. Anzi no, mangiano tutti. E fumano!!!
Perdio, ci eravamo persi nella nebbia, ma ora siamo arrivati ... a casa.
Il resto, il resto è parte di quello che non mi sarei aspettato. La cena al suono della musica dei Credence. Colonna sonora perfetta, "Bad Moon Rising", per un posto come questo in cui ti potresti aspettare di vedere salire sul palco, ad una certa ora, la ... band dall'altro mondo di un racconto di Stephen King! Poi il nostro amico musicista, stupefatto di averci visto arrivare, che mi dedica una canzone per il mio compleanno ed Annie, la proprietaria dell'osteria, che viene a farmi gli auguri e a baciarmi. Un gruppo di pazzi scatenati che "coverano" "Le Donne di Carrara". E avanti così fino a tardi, una sorta di "Dal Tramonto all'Alba" senza vampiri, ma con tanti amici. Vecchi e nuovi. Come dovrebbe essere. Come deve essere.

venerdì 22 febbraio 2008

Super-Normali



"Wade Harper, investigatore". E' il titolo italiano di un romanzetto di fantascienza degli anni cinquanta, a firma di Eric Frank Russell. "Call him dead", il titolo originale. Ma, per una volta, l'essenzialità del titolo italiano rende più l'idea; è meglio!
Harper campa di cause di divorzio, spionaggio industriale, piccole storie di assicurazioni. Anche il suo aspetto è dismesso, un ometto grasso sulla mezza età che vive da solo, pranza in trattoria, la sera va al cinema. Solo che nasconde qualcosa, nella sua ordinarietà, e fa bene a nasconderlo. Dotato di poteri mentali telepatici, ha paura di essere trasformato in una cavia da laboratorio e in oggetto di studio. Sono gli anni della guerra fredda.
Però la sua vita cambia di colpo, il giorno che raccoglie le ultime parole di un uomo vittima di un incidente d'auto. Senza dire niente a nessuno, comincia a seguire una sua pista e a pedinare delle persone, fino a quando . all'improvviso e in modo apparentemente folle - estrae la pistola e spara ad una donna che ha incorociato casualmente per strada, uccidendola. Quindi si lascia arrestare, tranquillamente, e chiede di parlare con le alte sfere dell'FBI. A questi svela il suo statuto di telepate e, finalmente, la ragione del suo omicidio.

"Vedete, mi sono messo in contatto mentale con Jocelyn Whittingham, e lei, immediatamente, ha reagito con un appellattivo insultante. Per questo le ho sparato". Gli agenti federali sono sbigottiti: "Considerate un insulto un motivo sufficiente a giustificare un delitto?". Harper: "Dato l'insulto, sì". Il federale : "Come vi ha chiamato?". Lo sguardo di Harper si fa duro: "Bastardo terrestre".

A questo punto, ricomincia la solita routine: gli invasori, extraterrestri e maiali. La caccia, difficile e disseminata di trappole e ricca di suspense, finuirà come "deve" finire. In gloria.
Alla fine Harper, dopo aver convinto le autorità che ha perduto i poteri mentali, si ritira e torna alla sua solita tranquilla vita. Anzi, riuscirà perfino a trovare una donna telepate con cui convolerà a giuste nozze, con prudenza.

giovedì 21 febbraio 2008

Hans Beimler



Hans Beimler nasce in Germania nel 1895 ed è membro del Comitato Centrale del Partito Comunista Tedesco e deputato al Reichstag. Arrestato nel 1931, viene rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau dopo essere stato condannato a morte. Il giorno prima della sua esecuzione, riesce a fuggire, strangolando una guardia delle SS ed indossandone la divisa. Passa in Francia e, allo scoppiare della guerra di Spagna, accorre in difesa dei lealisti fondando il 23 luglio del 1936 la colonna internazionale "Ernst Thalmann". Nel novembre del 1936 la "colonna Thalmann" viene incorporata nella XII Brigata Internazionale, insieme al "Battaglione Garibaldi", italiano, e al "Battaglione André Màrty", francese. Al comando del generale ungherese Luckàcs, la XII Brigata, è protagonista della difesa di Madrid, dove Beimler, commissario politico del "Battaglione Thalmann" muore, il primo dicembre del 1936, colpito da una pallottola franchista, secondo le fonti ufficiali. Tale versione dei fatti è smentita dalla compagna di Beimler, Antonia Stern, la quale sostiene che il responsabile della morte è un consigliere militare russo. Beimler aveva criticato il primo processo di Mosca e, per di più, era entrato in contatto con gli ex-dirigenti del KPD, Arkadji Maslow e Ruth Fischer, che animavano un gruppo di opposizione a Parigi. Sulla base di un rapporto del "Servizio Segreto Intelligente", un dipartimento speciale della polizia catalana che disponeva di informatori nelle fila comuniste, nel suo libro "Leòn Sedov, fils de Trotskji, victime de Staline", Pierre Bròue accredita la versione dell'assassinio.

A Hans Beimler, Defensor de Madrid
di Rafael Alberti

¡Frente rojo!, dijo el héroe.
Y cayó en tierra Hans Beimler.
Lo oyeron los españoles,
lo oyeron sus alemanes,
franceses e italianos,
lo oyó Madrid, lo oyó el aire,
lo oyó, temblando, la bala
nacida para matarle.
¡Frente Rojo!, y cayó en tierra
castellana, de leales,
quien vino desde muy lejos
a sembrar aquí su sangre.
¡Frente Rojo! Que lo escuche
la Alemania de las cárceles
y verdugos que levantan
las secas hachas que caen
sobre los cuellos que nunca
jamás quisieron doblarse.
¡Frente Rojo! Suene, silbe,
cruce como bala, estalle
por mar, por tierra, por cielo,
por astros, por todas partes,
vertiginoso, este grito
- ¡Frente Rojo! - hasta clavarse,
profundo, en los corazones
que lo quieran, que lo amen,
que lo griten - ¡Frente Rojo! -
como lo gritó Hans Beimler.
Madrid, que tiene memoria,
lo gritará hasta quedarse
las bocas de sus fusiles
secas de tanto gritarle.
¡Frente Rojo! Silba el tren,
campo de España adelante.
Se descubren las aldeas,
los pueblos y las ciudades.
Entre huertos y jardines,
banderas y naranjales,
Valencia saluda el cuerpo
–¡Frente Rojo!- de Hans Beimler.
Los mares de Cataluña,
sus viñas, sus olivares,
las ramblas de Barcelona
-¡Frente Rojo!- de Hans Beimler.
¡Paris, Paris! Tus obreros,
cantando, en hombros lo traen,
llevándolo hacia los barcos
que se llevan a Hans Beimler,
ya que su patria alemana
caminos no quiere darle.
¡Frente Rojo! Por Moscú,
por la plaza Roja, grandes
cortejos y multitudes
y cantos van a enterrarle.
¡Frente Rojo! Junto a Lenin,
allí, tranquilo, descanse.

RAFAEL ALBERTI

mercoledì 20 febbraio 2008

L'uomo che vedeva gli atomi



"Aveva creato un'invenzione che poteva trasformare la Terra quasi in un paradiso, e farne la dominatrice dei più lontani pianeti. E lui, invece, usava l'invenzione per vincere alle corse di auto su pista di cenere, di modo che, scommettendo due, quattro o cinque dollari alla volta, potesse vivere senza lavorare".

L'uomo in questione è Bud Gregory. Un montanaro, un incrocio fra Li'l Abner e un abitante dei Monti Appalachi, uno di quelli che si intravvedono in "Un tranquillo weekend di paura" ("Deliverance") di John Boorman. E' un meccanico che può rimediare praticamente a tutto, a patto però che si riesca a fare breccia nella totale indifferenza che nutre per le cose di questo mondo e gli si fornisca un motivo plausibile per portarlo a vincere la sua proverbiale pigrizia. Lui, da sé, non muoverebbe un dito, né per salvare il mondo né per guadagnare un dollaro in più dei pochi che gli servono per mantenere la sua numerosa famiglia. Murray Leinster, il suo creatore, in "L'uomo che vedeva gli atomi" ("Out of This World") si sforza inutilmente di migliorarlo, affiancandogli il Dr. Murfree, uomo di polso e americano al cento per cento. A Bud lavorare non piace, e la bandiera a stelle e strisce non gli dice proprio un bel niente. Al massimo, il mondo può essere salvato solo nei ritagli di tempo, quando fa troppo caldo e perfino la siesta viene male e quando, proprio, non ha altra possibilità, né altro di meglio da fare. Per lo più, il suo genio lo usa per cose tipo costruire un motore atomico del tutto nuovo da applicare al proprio macinino, oppure per mettere insieme certi aggeggi anti-materia che riescono a sollevare la barca dall'acqua, di modo che i suoi figli, andando a pescare, non ne consumino il fondo. Lui non sa bene che cosa fa, però quel che fa lo fa bene e in fretta, e non ci si affatica nemmeno più di tanto. Ozioso, scalcagnato e indolente, fronteggerà e risolverà crisi e catastrofi: pestilenze, minacce di conflitti atomici, astronavi aliene, piogge di polvere radiottiva. Ma Bud Gregory, lui, preferirà sempre andare a pescare, farsi una birra, bravo e saggio come un Budda che mai, e poi mai, fonderà una religione.

martedì 19 febbraio 2008

Cinque Canzoni!



Bastano cinque canzoni a fare un disco? Bene, Lou Vargo è convinto di sì ed io, dopo averlo ascoltato, devo dire che sono d'accordo con lui. In un'intervista, racconta come durante una mattina di settembre, seduto al "Merridee's Bakery" a Nashville, sfogliava la sua rubrica telefonica per chiamare chiunque conosceva (e non conosceva) per poter arrivare a incidere un "demo" di tre canzoni da consegnare alle etichette discografiche. Alla fine, un sms a Jack Hale (per vent'anni direttore musicale di Johnny Cash) che, a sua volta,in risposta, chiama Vargo. Entrano in studio e, dopo due giorni, Hale dice: "Lou, facciamo un disco!". Il risultato è "American Disaster", il cui titolo non è un pronunciamento politico! Anche se Lou Vargo nasce a Detroit, il padre un sindacalista operaio e la madre casalinga, e reca nel suo dna tutto l'orgoglio di classe che riesce a far vibrare la sua voce e le sue canzoni. Anche quando canta, come in un una promessa, che "se mai tu dovessi smarrire la tua strada, sappi che puoi sempre camminarmi accanto".

"E' Lou Vargo...l'aspetto, la persona, la canzone, la voce, la chitarra. E' il personaggio. Si sveglia e va a dormire, essendo questa persona...è qualcosa che si ha o non si ha...assai difficile da contraffare in questi giorni e in questo tempo soprattutto in questo genere di musica. Pensa a Bob Dylan, Johnny Cash, Neil Young, Willie Nelson, Kris Kristofferson...quando li ascolti, li vedi, leggi qualcosa su di loro - ogni cosa si allinea, va al suo posto...io lo chiamo il fattore credibilità."

Solo cinque, canzoni, maledizione, solo cinque! I suoni texani mischiati alla brutale onestà della canzone del midwest, ecco il disco di Lou Vargo, che è tutt'altro che ...un disastro. Cinque canzoni, da "Believe", che apre il disco, a "Lay me Down" che lo chiude. E in mezzo "Footsteps", "Gone too Long" e, soprattutto, "Black Eyed Jane" che, da sola, vale tutto il disco.
Bastano cinque canzoni, a fare un disco!

lunedì 18 febbraio 2008

Jahamericana



Come scrive lui stesso sul suo sito, non c'è niente di più sciocco al mondo che le biografie musicali! Eppure la biografia di J (la J non puntata dovrebbe stare per Jay) Shogren, anche se non limitatamente alla musica, un qualche interesse riesce a suscitarlo, almeno credo. Con un passato da cacciatore, alla maniera del Jeremiah Johnson di "Corvo rosso non avrai il mio scalpo", nelle zone più selvagge del nord-America, alla fine è arrivato a dividere la sua vita fra una cattedra all'Università del Wyoming, in qualità di docente di "Resource Conservation & Manegement", da una parte, e la Svezia, dall'altra, dove ha perfino ricevuto il Nobel in quanto membro del gruppo "IPCC", per il lavoro svolto nello studio dei mutamenti climatici. Tutto ciò, tuttavia, non gli impedisce di trovare il tempo di imbracciare la sua Gibson L-48 e cantare con voce roca un pugno di canzoni che spaziano dal blues al country al folk. Quattordici canzoni rauche in cui sembra riflettersi quella che dev'essere stata, a tutti gli effetti, una vita ... esagerata.

"Ballare, bere e piangere, solo, malato d'amore e triste. Fumare, ridere e mentire, a me stesso, al mondo e a te. Avevo trovato le chiavi del mondo, amico mio, ma mi sono scivolate via dalla tasca, mentre ero seduto su uno sgabello al bar, e le ho perse."

Ascoltando le sue canzoni, viene da pensare che avrebbero meritato arrangiamento e registrazione migliore. Ma va bene così. Alcune sono bellissime, come "Me And Genghis Kahn". E tutte sono scaricabili aggratis dal suo sito. E sono convinto che anche questo abbia un suo significato.

venerdì 15 febbraio 2008

Annunci ... musicali!

invincibili



Nella foto sopra è il secondo da sinistra, Bernward Vesper.
Sta insieme, fra l'altro, a Gudrun Esslin e ad Andreas Baader.
Gudrun Esslin è stata la madre del figlio di Vesper, oltre che la sua compagna per qualche tempo. Andreas Baader l'ho conosciuto un secolo fa, era il 1971 ed era ancora vivo, come Vesper e la Esslin. L'ho incontranto che stava seduto sul sedile posteriore di una cinquecento. Io mi sono seduto su quello davanti, accanto al guidatore, avevo diciotto anni ed ero chiamato a stabilire se fosse davvero lui, di modo che gli si potesse consegnare una piccola quantità di denaro (quella di cui disponevamo, proprio per tali situazioni), per aiutarlo.
Era lui, avevo letto talmente tanto sulla cosiddetta Baader-Meinhof e visto così tante fotografie... E poi aveva quel genere di occhi cui ancora non mi era stato dato di abituarmi; lo avrei fatto di lì a poco. Ricordo una cosa che mi disse, oltre al suo sguardo che continuo a portarmi dietro, a proposito dei marxisti-leninisti (allora erano di gran moda!), sul fatto che se qualcuno di loro li riconosceva, per strada, chiamava subito la polizia.
Niente di nuovo sotto il sole, ma questa è un'altra storia. Ed ora sono tutti morti.
Torno a Vesper, e al suo libro - che altro non ho di lui - uscito nel 1980 per i tipi della Feltrinelli. Il viaggio.
Un "romanzosaggio", dichiara il sottotitolo. Scritto da Vesper, senza mai essere stato finito ed interrotto dal suicidio compiuto nella clinica psichiatrica di Amburgo nel 1971, è uscito postumo. Nel 1977, in Germania, e nel 1980 in Italia.
Nella clinica c'era finito per aver devastato, in preda a delirio, la casa degli amici presso cui era ospite. Nella sua ultima lettera - che chiude il volume - ebbe a dichiarare che se lo avessero mai lasciato uscire, non lo avrebbero più rivisto, vivo! Terrà fede alla parola data. Non prima di aver lasciato, nel libro, il suo resoconto e le sue ragioni, che erano le ragioni di una generazione violentata dal nazismo dei padri e capace di lottare fino alla disperazione, e anche oltre.
Nel 1964 erano già persone che credevano ancora nella rivoluzione! Nel 1970, Ulrike Meinhof poteva affermare che "I poliziotti sono porci a cui si può sparare addosso".
E' stato un ... viaggio. Per l'appunto.

giovedì 14 febbraio 2008

Pugili e Operai

Questo è solo un piccolo "post" .... di servizio. Una sorta di comunicazione per dire che la canzone dei Del Sangre di cui avevo parlato qui (mi auto-linko!), quella su Tiberio Mitri, adesso si può ascoltare, oppure scaricare per poi ascoltarla, direttamente qui!
La seconda notizia è che stasera, su rai3, alle 23:05, trasmetterano "In Fabbrica" di Francesca Comencini, il documentario girato come "propedeutico" al film "La SignorinaEffe", di cui ho parlato qui (mi auto-ri-linko!).

piccoli capolavori



"The Piccolo Heart" è uno strano titolo per un disco. E anche se non è propriamente il suo disco d'esordio, Dave Boutette, da Ann Arbor, Michigan, per me era un perfetto sconosciuto. Ma la recensione su www.rootshighway.it, a firma Yuri Susanna, era invitante al punto giusto e sul sito che vende i suoi dischi tutti i brani sono ascoltabili. Ragion per cui, è stato un attimo decidermi a farmi arrivare il disco. E, alla fine è arrivato, e sono arrivati anche i testi direttamente da Boutette. E, se possibile, mi hanno convinto ancor di più. Sì, credo si possa parlare di magia, propriamente! Ti prende il cuore, subito dopo averti preso le orecchie, canzone dopo canzone. Le influenze musicali sono di prima classe, John Prine su tutti, ma senza dimenticare ... Alex Chilton.

Valzer per Smelt
di Dave Boutette

Lei è il mio amore ed è tempestata di diamanti
Quando luccica nella luce il cuore mi balza in gola
Insieme combattiamo la malasorte con la fortuna
Abbiamo così tanto da dare per quanto siano cose di poco valore

All'arrivo della primavera siamo al sicuro in acque poco profonde
E c'è un uomo che ci aspetta con stivali ai piedi
Riesce ad estrarre e a far scorrere una melodia
E noi danziamo come argento alla luce della luna

La corrente è così rapida dopo il disgelo
Ed è meraviglioso provare a combatterla
Se hai coraggio fai una mossa a sorpresa
Volgiti intorno amore mio, ci meritiamo di più

Discenderemo il fiume
Proprio fino alle dighe
Laffuori su lago Erie
I gabbiani alle nostre spalle
Se arrivi fino al Niagara, amore, mi aspetterai?
No, non voglio bollire nell'olio del piattume di una pianura
Non voglio bollire nell'olio del piattume di una pianura

Ora lasciarsi trasportare è così facile, non c'è motivo di fermarsi
Tuttavia ci fermeremo un attimo a ripensare ai nostri amici
Quella notte abbiamo giurato di non tornare mai indietro
Eravamo al caldo e al sicuro alle Edison Stacks

Abbiamo rubato quell'estate e l'abbiamo bevuta fino in fondo
Come sposi novelli perduti in una città da luna di miele
Siamo rimasti insonni, ed ho saputo cosa lei desiderava
Sarebbe arrivato il freddo e lo avevamo capito entrambi

Il nostro destino non è determinato dalla mano di un uomo
Nè dal luogo in cui il nostro albero genealogico ci ha fatto nascere
O Saint Claire, io amo tua figlia
Perdonaci, per aver lasciato le tue meravigliose acque.

mercoledì 13 febbraio 2008

Finzionismo



Il fascino della fantascienza risiede nel suo essere quella che è stata definita una letteratura di idee. E quando si produce qualcosa, le idee comprese, non è difficile che si verifichi uno ... spreco. E allora forse la fantascienza è anche, e soprattutto una letteratura di ... idee sprecate! Quelle idee che sono venute all'autore, e che non sapendo come maneggiarle, si è limitato solo a fare un breve accenno - senza darne seguito - ad una cosa carina, da mettere in un angolo, come un bel soprammobile. Da sfoggiare. Volendo, se ne potrebbe anche fare una professione, del cacciatore di idee sprecate, da recuperare da quei libri dove hanno fatto appena capolino, per conseggnarle a chi magari riuscirebbe a farne un miglior uso.
Ad esempio, prendiamo Clifford Dante Simak e il suo "Anello intorno al sole"!
Jay Vickers, il protagonista, ad un certo punto incontra una sua conoscente sull'autobus che lo sta riportando a casa. Vickers è un introverso, sempre cupo ed ha sempre qualcosa a cui pensare. Ma la donna è decisa a fare quattro chiacchiere. Si sente investita di una sorta di missione, e ne vuole parlare: sta organizzando un "Circolo Finzionista". Vickers fa solo finta di ascoltare, così la faccenda - nel dipanarsi del libro - comincia e finisce lì, con pochi altri accenni. Ma come avrebbe fatto meglio ad ascoltare, invece!
Dice la donna : "Quando lei ha deciso il periodo nel quale le piacerebbe fingere di vivere, deve leggere il più possibile su quell'epoca e fare molte ricerche, e poi bisogna tenere il diario giorno per giorno per esporre tutte le attività quaotidiane, e non soltanto un paio di frasi, e bisogna renderlo interessante, se possibile emozionante".
L'idea è buona, molto letterale. Anzi, pensandoci bene, l'idea del "Finzionismo" è alla base di tutta la letteratura. E pensandoci ancora meglio, nel momento in cui ad un "finzionista" verrà in mente di trasferirsi in un mondo futuro, ecco che sarà stata inventata la fantascienza! E qui, ciascun finzionista potrà avere il suo proprio singolo universo. Un universo per ognuno! L'utopia svelata. Chissà cosa avrebbe potuto farne un Philip Kindred Dick, del finzionismo!
Qualcosa da far tremare le vene di polsi ai due mondi. Quello del reale e quello dell'immaginario.

martedì 12 febbraio 2008

un valzer oscuro



L'ho ascoltata mercoledì scorso, in un locale non troppo lontano da casa mia. Una voce da angelo caduto, e una musica liquida e avvolgente, talmente notturna da far desiderare in modo quasi lancinante che, chiudendo gli occhi, apparissero come per incanto un pianoforte ed un sassofono ad accompagnare, lei e la sua chitarra, con un vento di suoni ... misericordiosi.
Devo ringraziare Massimiliano, per il suo provvidenziale SMS che mi ha fatto cammminare fino a quel locale. Non ci volevo neanche andare. No. non ci vado - mi ripetevo - l'ultima volta che ero stato lì, qualche anno fa, era un posto di merda. Uno di quelli che appena metti un piede dentro ti chiedono se hai già la tessera, ché l'ingresso è aggratis però ci vuole la tessera che la fai e la paghi, e poi stai pur sicuro che se ci ricapiti dopo qualche tempo, la tessera l'hai dimenticata o più probabilmente l'hai persa per sempre. E tocca rifarla o mandarli in culo e andarsene a casa. Ché tanto, anche se quella volta ci suonava Andrea e la musica era bella, lo spettacolo delle persone stravaccate che della musica non poteva importar loro di meno, già ti ricacciava via tutto il gusto di star lì, fra quella gente che sguiatamente parlava dei cazzi propri e rideva.
E invece no, l'ingresso era davvero gratis e senza tessera, e quelli che erano lì stavolta c'erano per ascoltare musica. Meno male che ci sono andato!

Un'altra piuma nera
di Dayna Kurtz

Stanotte sono sola
Ma nella giusta maniera
Ho lasciato che sia il mio cuore a comandare
Qualche volta anche in modo spietato

Ti sono fedele
E so che continuerò ad esserlo
E non sempre sono gentile, ma ci sto provando
C'è una band zydeco
Che sta suonando mentre le ultime luci impallidiscono

Ed io sto ballando insieme a degli sconosciuti, uno via l'altro
E la sola cosa che mi manca questa notte
Sei tu che balli insieme a me come il più dolce degli amanti

Una volta sei in città in cerca del deserto
Poi sei nel deserto e desideri la pioggia
Sei fra le sue braccia in cerca di conforto
E quando ti senti confortata cominci a desiderare il dolore

Ancora un altro valzer oscuro
Sogno troppo spesso di queste cose
Da qualche parte nella mia testa
Mentre scavo una tana per noi
Un'altro chiodo dorato
Per il coperchio della mia bara
Un'altra piuma nera
per le ali di un peccatore

Una volta sei in città in cerca del deserto
Poi sei nel deserto e desideri la pioggia
Sei fra le sue braccia in cerca di conforto
E quando ti senti confortata cominci a desiderare il dolore

La prossima volta che ti vedo
Potresti fingere di essere uno sconosciuto
E baciarmi come se l'amore non ci desse una possibilità

Ricordi quella prima volta
nel mio vecchio appartamento
Ogni volta che i nostri piedi toccavano terra
Ci facevano danzare

lunedì 11 febbraio 2008

vorrei che tu fossi qui



E' uno strano film, questo "Into the Wild" di Sean Penn!
Strano, perché sembra divertirsi a sparigliare continuamente le carte. Senza dire mai da che parte stare. Fino alla conclusione, dove la disperazione di tutti sembra finire per unirsi, coralmente, per un'unica prima ed ultima volta. Come in un sogno, forse irrealizzabile, di condivisione; quel bisogno di condivisione che rimane, a mio avviso, chiave di lettura per il film, come per la vita.
Non è un bel personaggio, il protagonista. Non riesce ad esserlo, nella sua saccenza e nella sua mancanza di "tragicità", come nelle sua castità obbligatoria. Non riesce ad essere simpatico, e nemmeno a stimolare compassione, neanche nella sua breve parentesi da "hobo", giocata con ironia sulla note di "King of the Road". Non riesce ad essere simpatico nella sua morte, idiota, che ti lascia lì a chiederti il motivo perchè non gli piaccia ....il pesce!!!
No, non è per niente tragico, il ragazzo. Il tragico sta altrove, nella fame di comunità delle persone che incontra, e che gli si donano quasi, sta nell'identica "fame" delle persone che si è lasciato alle spalle, e non sai quanto, e neppure se, a ragione o a torto.
Lui no, sembra immune alla "fame", e sembra essere cieco e sordo a ... tutti quelli che gli accadono intorno. Perfino alla musica e alle canzoni, comprese quelle della colonna sonora di Eddie Vedder che sono quasi un film nel film, ad accompagnare le parole vergate sulle cartoline, forse mai spedite, che sembrano continuare a dire ... "vorrei che voi foste qui"!
Il film, già il film. Credo che difficilmente sia un caso la copertina di "Delitto e Castigo" di Dostoevskji, la quale ruba più volte il primo piano da una bancarella. Così come il "Walden" di Thoreau che viene sepolto, senza una parola. E Jack London che, alla fine, cede il passo al Dottor Zivago, e presumibilmente proprio a quelle pagine di Pasternak in cui Zivago è costretto alla rivoluzione e alla guerra contro i bianchi. Da medico, socialmente. Quella stessa "socialità" - vien da pensare - che ha portato Sean Penn a New Orleans, fra i dannati di Katrina.

venerdì 8 febbraio 2008

un talento selvaggio



Paul Breen è un predestinato. Il protagonista del romanzo di Wilson Tucker, "Wild Talent" (reso a suo tempo, in italiano, da "Urania", con il brutto titolo di "Tele-homo sapiens"), è uno dei primi esemplari della nuova specie umana, venuta a soppiantare quella vecchia, la nostra.
Ma non solo. In più, è destinato a realizzare - in una forma e in un modo diverso da quelle che sono le attese - i suoi sogni di ragazzo, A tredici anni, Paul Breen scappa di casa per andare a Chicago, dove si tiene la "Mostra del Secolo del Progresso".
Un filo si dipanerà da questa prima scena del romanzo, per tutto il libro, fino all'ultima, in cui si sbarazza di uno psicopatico che ha in odio tutti i mutanti di ogni genere, quando il "progresso" non gli apparirà più come una pacifica evoluzione, di meraviglia in meraviglia, ma come un salto, brusco e improvviso, in grado di tagliare ogni ponte alle spalle, dove il nuovo è in grado di utilizzare tutte le tecniche della distruzione necessarie a togliere di mezzo, definitivamente, il vecchio. Perché Paul Breen è un asociale: non riconosce motivazione in alcuna regola del gioco. Ogni appello più o meno sentimentale lo trova sordo ed annoiato. I "buoni", fra gli umani, che vorrebbero disciplanare, per sfruttare al meglio il suo "talento selvaggio" (il suo potere telepatico) non riescono ad apparirgli migliori dei "cattivi" che vorrebbero eliminare lui e tutti quelli come lui.
Paul Breen, più che con i superuomi che incarnavano l'io ideale degli appassionati di fantascienza, con le loro ambizioni e le loro frustrazioni, sembra sintonizzato su quel disagio diffuso che negli Stati Uniti degli anni '50 si sfogherà dentro ai miti del Marlon Brando de "Il selvaggio" e di James Dean .
Paul Breen corrisponde alla descrizione che Walter Benjamin dà, del "carattere distruttivo":

"Il carattere distruttivo non vede nulla di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Dove altri urtano contro muri e montagne, anche là egli vede una via. Ma poiché vede dappertutto una via, deve anche dappertutto sgombrare la strada. Non sempre con cruda violenza, talvolta anche con violenza raffinata. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L'esistente, egli lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso".

giovedì 7 febbraio 2008

continua ...



Il 2008 è il quarantennale di molte cose. Non ultimo, quello del film che un cinefilo ventisettenne residente a Pittsburgh, periferia industriale dell'impero, decide a tavolino di realizzare. Un lungometraggio in bianco e nero con un budget iniziale di sessantamila dollari. I tempi sono ... interessanti, segnati dalla lotta sociale, dalla protesta civile e dalla disobbedienza, nei campus universitari, contro la guerra in Vietnam e il razzismo ideologicamente dominante. Le strade d'America sono percorse dalla violenza. E' il momento di giocare, anche nel cinema, la carta di qualcosa di estremo e di oltraggioso. Qualcosa mai visto prima. Nasce così "La notte dei morti viventi", girato in sette mesi, nei week-end e nei ritagli di tempo da un gruppo di amici che condivideva un impegno politico ben preciso.

mercoledì 6 febbraio 2008

Tommy Bloome



Non so quanti si siano chiesti mai come sarebbe andato il mondo qualora Sylvester Stallone, in F.I.S.T., avesse avuto il potere di trasformarlo a proprio piacimento! Eppure il romanzo di Gordon Eklund, "Tutti i mondi possibili"(All time possible), riesce a dare una risposta, a questa domanda, semplicemente.
Tommy Bloome è un rivoluzionario degli anni '40 che, per uno strano scherzo del destino, viene trasportato inspiegabilmente in un universo parallelo dove il presente sono gli anni '20. Cossicché, conoscendo la storia futura, riuscirà ad organizzare un movimento di opposizione talmente efficace da arrivare, negli anni '30, a portare al potere il partito comunista degli USA.

"Io sono morto - sono stato colpito a morte - nel 1947. Quando mi sono risvegliato, ero nel 1923, nel giorno in cui sono nato. Questo mi è veramente successo, John, e tutto quello che ho fatto da allora l'ho fatto per questo. Perché il mondo cui sono morto la prima volta era un posto orribile e io ho dedicato tutta la mia vita - la mia seconda vita - ad assicurarmi che non potesse succedere più. E qui non è successo. A causa mia, questo mondo è differente da quello in cui sono vissuto prima. Ho preso la storia e l'ho rivoltata."

"Tutti i tempi possibili" ci parla dell'epopea della letteratura pulp, vista come conseguenza del fallimento del movimento rivoluzionario americano e del consguente tracollo del nuovo mondo. La letteratura pulp nasce proprio per compensare questa sconfitta. Il mondo reale si rifugia nell'infinità dei mondi immaginari. Tommy Bloome ci racconta il suo noviziato, fra ciclostili e giornali venduti all'angolo delle strade, e rende giustizia a quanto la fantascienza aveva sottaciuto per non allarmare le polizie del mondo!
La professione di fede di Tommy Bloome infatti potrebbe essere applicata, senza troppa enfasi, oltre che al mondo reale di cui tratta, anche ad uno dei tanti mondi ipotetici e oppressivi che la fantascienza ha descritto.

"Ho vissuto una vita intensa. Non riesco a concepire un uomo che sia riuscito più di me ad avvicinarsi alla realizzazione di tutti i suoi sogni e le sue ambizioni. Per me, non c'è stato mai più di un sogno. Non so, forse era meno di un sogno e più di un incubo. Ho sognato di vedere un mondo dominato da una ristretta élite grottesca di uomini diabolici, resi folli dal loro potere troppo grande: arricchiti ed ingrassati mentre milioni di persone morivano di fame per la mancanza dei beni indispensabili alla vita. Ho visto un enorme esercito di questi uomini marciare su tutto il mondo, inglobando un paese dopo l'altro. Ho visto un mondo intero vivere nella continua paura più completa, tremando sotto il tallone sollevato di un dio scuro ed invisibile. Questo era il mio sogno, il mio incubo, e avevo giurato che non avrebbe dovuto succedere qui.
E ci sono riuscito. Forse non così completamente come avrei desiderato. La guerra che ho cercato con la Germania - e certamente i nazisti sono creature venute alla luce dal mio mondo d'incubo - era temuta da me. Ma io ho salvato il mio paese, il mio popolo, Il nostro sistema non è perfetto. E' diretto da uomini, e gli uomini stessi sono lontani dalla perferzione, le mie stesse mani sono macchiate del sangue di migliaia di persone, molte delle quali colpevoli, sì, ma c'erano gli innocenti anche, e non sono meno morti dei colpevoli. Ma io dico che sono soddisfatto. E sono orgoglioso. Ho realizzato il mio sogno."

Le parole di Tommy Bloome, qui sopra, arrivano al cuore e al cervello, e dicono di più, di tutti i documentari sugli orrori della seconda guerra mondiale che ci vengono proprinati: "medicine civili" somministrateci da un mondo orribile! Gordon Eklund riesce a fornirci un libro che, più che un romanzo, è una chiave per accedere ai "segreti palesi" della fantascienza. E, per una volta, la distanza da Jack London, se non rimontata, viene quantomeno misurata.

martedì 5 febbraio 2008

Canadesi 2



Tom Savage (Kingston, Ontario, Canada) sembra stare ben dritto, in piedi, all'incrocio dove il folk, il rock e il country si incontrano. Pesca nei generi, fino a riuscire a ricavarne un sound assolutamente unico.
Anche per lui, si sprecano i richiami. Si parla di una voce che riassume Mark Knopfler, Bruce Springsteen e Steve Young. E Savage proviene da una serie di influenze musicali ben delineate. All'inizio della sua carriera, faceva parte di un gruppo che "coverava" Neil Young.
Si parla di uno stile di scrittura più attento al verso che alla canzone.Ma il risultato è un disco, difficilmente incasellabile in una qualche sorta di classificazione. E' folk, è rock, è folk rock, ma è anche country.
E' qualcosa di veramente bello. Qualcosa di magico. Ascoltatelo!

Mai versato una lacrima
di Tom Savage

Un sorriso sdentato
che puzza di gin
mi chiedo se sua madre si domandi dove sia finito

macchie di nicotina
il dolore che gocciola come pioggia
una doccia non gli farebbe altro che un mondo di bene

il silenzio parla
freddo e buio si prendono gioco della stanchezza
nessuno conosce i segreti che si porta dentro

un giorno dura un mese
una collezione di ore
non esiste tempo sufficiente per lavare via le offese

una volta ero il capitano
di un meraviglioso, grande vascello
ho navigato gli oceani per anni
una volta ero un padre, un marito devoto
ma ti dico che non ho mai versato una lacrima

senza rimedio
sono precipitato fuori bordo
da un mondo fatto di pop-corn canditi e di tv a colori

siediti e fuma
mentre i bambini ridono e scherzano
se anche decidono per ora di non farti del male, te lo faranno presto

sangue per vino
l'acool ti fa mantenere la posizione
così prezioso come la prima parola che ha detto tuo figlio

hai perso la tua speranza
hai mollato gli ormeggi
e i ricordi ballano dentro la tua testa

una volta ero il capitano
di un meraviglioso, grande vascello
ho navigato gli oceani per anni
una volta ero un padre, un marito devoto
ma ti dico che non ho mai versato una lacrima

lunedì 4 febbraio 2008

La Grande Fuga è finita!



E' morto sabato 2 febbraio, a Londra, Jimmy James!
E' stato il pilota inglese che, con il suo record di evasioni dai campi di prigionia nazisti, ispirò il personaggiò di Steve McQueen ne "La Grande Fuga" di John Sturges (1963). Film che raccontava proprio la prima mitica fuga, tentata da circa seicento prigionieri che scavarono un tunnel nello "Stalag Luft". Diversamente che nel film, solo James ed altri due ce la fecero e vennero catturati poco dopo. Lui continuò a scappare, almeno altre undici volte, fino al febbraio 1945, quando venne liberato dagli Alleati.

venerdì 1 febbraio 2008

Utopie 2



Forse, da qualche parte, sul rovescio delle mappe reali, esistono le matrici dei paesaggi e delle località immaginarie che la nostra specie reca in sé, nascoste. Mappe che abbiamo tatuate addosso, sulla schiena magari, di modo che da soli non possiamo leggerle. Poi, avviene che qualcuno ce le legga addosso!
Vermilion Sands è una di queste mappe, e Jim Ballard è quello che l'ha letta per primo.

"Per un bizzarro paradosso, quasi tutta la fantascienza, per quanto ambientata in tempi e luoghi lontanissimi, parla in reasltà dei nostri giorni. Soltanto molto di rado si è cercato di immaginare un futuro unico e autonomo che non voglia costituire un ammonimento per noi. Forse proprio per questi toni ammonitori, molti futuri sono zone di tetraggine inesorabile. Persino i suoi paradisisembrano gli inferni altrui. Al contrario, Vermilion Sands è un luogo in cui io sarei ben felice di vivere. Una volta, ho spiegato che questa località di villeggiatura in un deserto accecato dal sole è un sobborgo esotico della mia mente: e qualcosa, nella parola sobborgo che allora usai in senso peggiorativo, adesso mi convince che ero sulla strada buona per andare in cerva del dopodomani."

A Vermilion Sands tutto è scontato, tutto è quotidiano ed ordinario. Anche i piloti che, nel cielo, scolpiscono le nuvole, non sono più straordinari delle sculture musicali oppure dei canti dei fiori mutanti nei padiglioni più sotto. Ad un certo punto della storia futura, l'ennesima crisi di sovrapproduzione che costringerà a chiudere un po' tutto. Un periodo sabbatico per l'umanità. Dieci anni, forse venti, forse per sempre. Si va in vacanza perpetua - la Vacanza - a Vermilion Sands! Dov'è Vermilion Sands? Dice Ballard che la sua "sede spirituale" si trova da qualche parte fra l'Arizona e la spiaggia di Ipanema, Oppure la si può vedere spuntare un po' ovunque. Una città lineare che si estende per cinquemila chilometri, da Gibilterra fino alla spiaggia di Glyfada. Tutta lungo le coste settentrionali del Mediterraneo. Alla fine, magari, l'Europa deciderà di sdraiarsi supina al sole! Un futuro dove non si avrà da lavorare, solo perché il lavoro diventerà il gioco supremo, e il gioco il supremo lavoro.

"Nessuno viene più a Vermilion Sands, ormai, e immagino che soltanto pochi ne abbiano sentito parlare. Ma dieci anni or sono, quando Fay ed io andammo ad abitare al numero 99 di Bellavista, poco prima che il nostro matrimonio andasse in crisi, la colonia veniva ancora ricordata come l'antico campo giochi di divi del cinema, ereditiere criminali e cosmopoliti eccentrici, negli anni favolosi prima della Vacanza. Certo, quasi tutte le ville astratte e i palazzi fasulli erano vuoti, con gli immensi giardini incolti, le piscine a due piani prosciugate da tempo e quel luogo andava degenrando come un parco di divertimenti abbandonato, ma nell'aria c'era ancora una stravaganza bizzarra che bastava a ricordare che i giganti se ne erano appena andati".