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martedì 26 febbraio 2008
La Legge di Sturgeon
Una biblioteca newyorkese che ha sempre guardato con accondiscendenza alla fantascienza (per la simpatia si sarebbe dovuto attendere ancora qualche anno), ha organizzato la presentazione di un romanzo di Theodore Sturgeon: "Some of your blood" (in italiano, "Un po' del tuo sangue"). Non è proprio un romanzo di fantascienza, ma siamo all'inizio degli anni '60 e presentare in una biblioteca un romanzo che parla di un vampiro per niente soprannaturale e, più velatamente, di mestruazioni è già abbastanza sovversivo. Il pubblico in sala è poco, però è mosso da sincero interesse. E dopo una breve introduzione di un giornalista neanche troppo disinformato, una presentazione del libro ad opera dello stesso Sturgeon, uno scambio di convenevoli che sfiorano i temi del romanzo e la lettura di un capitolo, iniziano ad arrivare le domande. Dapprima timide e fuori fuoco, poi sempre più attente e curiose. Anne, seduta in prima fila, è la più assidua frequentatrice della biblioteca. Arriva a leggere anche quattro romanzi la settimana e non passa mattina che non faccia una capatina nella sala lettura (le malelingue dicono che tra lei e Howard, uno dei bibliotecari, ci sia del tenero). Di solito Anne tace e ascolta discretamente, ma non questa volta. Sa di cosa parla quel romanzetto ed è decisa a mostrare tutta la sua ripulsa. Lo scrittore poi è un po' trasandato e indossa un giubbotto di pelle: un autore rispettoso del suo pubblico avrebbe tributato al momento la sacralità che meritava; giacca e cravatta erano d'obbligo. Anne cerca di fare domande che mettano in difficoltà quell'imbrattacarte che passa le sue giornate a scrivere storielle prive dell'afflato della vita su rivistacce di fantascienza, ma nei libri non c'è tutto quello che ti serve per vivere e la donna è poco allenata al confronto dialettico. Sturgeon invece è un uomo pacato e reso abile a schivare gli attacchi del pubblico indisponente da oltre un decennio di frequentazioni con loschi individui ossessionati dalla fantascienza. Anne si scalda, perde il controllo della retorica e sibila: «il 90% della fantascienza è spregevole!». Usa la parola "crud", che anni di letture alte le impediscono di sbottare in volgarità, ma mentre lo dice un moto di pudore la costringe ad abbassare ulteriormente il tono di voce. Quasi un sussurro. Theodore Sturgeon la guarda e sorride. Non perde la calma neanche per un istante. Non si diventa un punto di riferimento per gente come Kurt Vonnegut se non si è capaci di gestire momenti difficili: lui addirittura è l'archetipo sulle cui fattezze è stato costruito Kilgore Trout, il grande studioso delle tradizioni trafalmadoriane. Non ha sentito bene la frase, ma ne ha colto il senso. Si passa la mano su pizzetto puntuto per prendere tempo, strizza un po' gli occhi e, con voce ferma e gentile, dice: «Signora... il 90% di qualsiasi cosa è merda». Usa "crap", una parola di quattro lettere (slang per "parolaccia"), là, in mezzo a della gente perbene. In un tempio del sapere. Anne non può sopportare oltre. Si alza di scatto, stringe al ventre la borsa ed esce dalla sala facendo risuonare (intenzionalmente) i tacchi bassi sul pavimento. Non si farà vedere in biblioteca per due settimane.
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