giovedì 30 aprile 2020

Oro/Scopata

Il valore della soggettività, si dimostra come una narrazione assai distorta, già a partire dal «cogito» di Descartes, poi migliorata di romantici (il genio, l'ispirazione): per Baudelaire la paternità, l'essere autore, è un anacronismo, di modo che può accadere che l'aureola del poeta ispirato venga gettata nel fango: « [...] attraversavo in gran fretta il viale, e saltellavo nella mota, attraverso quel mobile caos dove la morte arriva galoppando da tutte le parti contemporaneamente, la mia aureola, in un brusco movimento, m’è scivolata dal capo nel fango della massicciata.»

Conseguentemente a ciò, uno studioso del romanticismo quale Walter Benjamin arriverà a pensare, già a partire dagli anni '20 del Novecento, ad un libro che fosse costituito, e che venisse costruito, solo a partire da delle citazioni, tutte di altre persone. È Beckett, a sottolineare con consapevolezza tale eredità cartesiana (la quale, allo stesso tempo, costituisce una rottura.

Beckett era interessato a leggere il "Discorso sul Metodo" (e anche le "Meditazioni Metafisiche") come se fosse narrativa; una narrativa per mezzo della quale fosse la retorica a creare la realtà. Se, ad esempio, pensiamo a "Giorni felici", del 1961, ci torna in mente Winnie sepolta fino al collo che mostra solo la testa (una possibile immagine di quella che potrebbe essere la separazione cartesiana tra mente e corpo; ma Beckett riesce ad andare anche oltre, e arriva a sopprimere il corpo, lo dissolve: cosa questa che è impensabile per Descartes, il quale vedeva la macchina umana come una sorta di articolazione tra mente e corpo).

Si può perfino arrivare a dire che, per Beckett, tutto sia cominciato con Descartes. Ma, per Beckett, in realtà,  comincia tutto con "Whoroscope" [che in italiano potrebbe essere tradotto con un termine come "Oro-scopata"], un lungo poema dedicato al tempo e scritto in inglese ma pubblicato, nel 1930, a Parigi per The Hour Press (una piccola casa editrice che aveva indetto un concorso letterario, che quell'anno venne vinto da Beckett).

Il personaggio principale del poema è Descartes (ce lo dice Beckett, nelle note), il quale medita sul tempo (era questo il tema del concorso!) e lo fa seguendo un flusso di coscienza a cui si mescolano commenti culinari, teologici e retorici.

mercoledì 29 aprile 2020

Tutto per la patria!?!

Buenos Aires, 1933. La crisi imperversa, la disperazione aumenta, il calcio consola. Ma Bernabé Ferreyra, il giocatore più famoso d’Argentina, è scomparso. Nella sua ricerca si fa trascinare il povero Andrés Rivarola, un trentenne spiantato che sogna di scrivere testi per il tango. Le cose si complicano, però, quando Mercedes, fidanzata segreta di Bernabé, viene ritrovata sgozzata… Investigatore improvvisato, Rivarola segue le piste piú impensabili per ritrovare Ferreyra e stanare l’assassino, sfoggiando sempre il suo miglior talento: quello di non combinarne mai una giusta. Tutto per la patria è un giallo storico dai risvolti sorprendenti, ma è anche un omaggio alla capitale argentina degli anni Trenta, vibrante di tifo, tango, impegno politico e passione.
Andrés Rivarola, detto «Pibe», è un trentenne confuso e spiantato che si arrangia come può nella Buenos Aires degli anni Trenta. Sogna di scrivere testi per il tango, ma l’ispirazione latita, un po’ come la fortuna, che si guarda bene dal baciarlo. La sua compagna lo ha lasciato e non gli permette di vedere la figlia Estelita, è stato licenziato, non ha più una casa – dorme in una pensione fatiscente – e per fare un pasto dignitoso è costretto a tornare da mammà. A Rivarola non resta che dormire tutto il giorno e bighellonare con i suoi amici di notte, tra fumose sale da biliardo e loschi bar del centro. E proprio durante una di queste rumorose notti portegne, riceve una proposta dall’amico Gorrión, piccolo spacciatore in odore di guai: ritrovare il calciatore piú famoso d’Argentina, Bernabé Ferreyra. L’attaccante del River Plate si sarebbe nascosto nel suo paesello nella pampa, perché il suo club non lo paga abbastanza, pare. Andrés accetta di improvvisarsi investigatore, convinto che in fondo si tratti solo del capriccio di un ragazzino accecato dal successo. Se Rivarola avesse un olfatto piú acuto fiuterebbe che la faccenda è marcia, non foss’altro per l’ingerenza del viscido Manuel Cuitiño, dirigente del River Plate, ma soprattutto boss del mercato della carne e non solo. Fortuna, almeno, che Andrés può contare su una fedele Watson: Raquel Gleizer, dai capelli (e dal carattere) rosso acceso, che si veste da uomo, rifiuta le convenzioni sociali e frequenta gli ambienti delle avanguardie letterarie. Rivarola è da tempo innamorato perso di lei, ma Raquel, ça va sans dire, non ne vuole sapere. Tanto più che sono in tanti a farle la corte, anche tale Jorge Luis Borges, un poetastro ridicolo e sfortunato. Dopo i primi giorni sulle tracce del fuoriclasse, a Rivarola sembra già di nuotare in un mare di guai, ma quando scopre che Mercedes, figlia di un leader della destra ultranazionalista e fidanzata segreta di Bernabé, è stata sgozzata, quel mare diventa un oceano in cui sta annegando… Sullo sfondo di una Buenos Aires assediata dalla crisi e consolata dal mito del calcio, fra scontri politici e ferventi ambienti culturali, Martín Caparrós scrive un giallo storico scoppiettante di personaggi e colpi di scena, in cui ricostruisce, con allegra meraviglia, un’epoca in cui già si delineava l’Argentina di oggi.

dal risvolto di copertina di: Martín Caparrós, "Tutto per la patria". Einaudi)

La bella Mercedes è stata uccisa: la polizia brancola nel buio
  di Francesco Olivo -

Gli ingredienti tipici ci sono tutti: il tango, il calcio, il cimitero della Recoleta, l'ippodromo, le redazioni dei giornali piene di fumo, con il frastuono delle macchine da scrivere. Ma di banalità, nemmeno una riga. Martin Caparrós si è messo a ricostruire la Buenos Aires degli Anni Trenta con tutto quello che ci si aspetterebbe di trovare, ma poi si è divertito nello rivisitare, se non a smontare pezzo dopo pezzo i capisaldi della tradizione. A cominciare dal titolo, Tutto per la Patria è un romanzo che riesce a creare suspense con un sarcasmo diffuso in tutte le pagine. Non si salva nessuno, persino un mostro sacro come Borges appare come un giovane trombone, ossessionato dalle ragazze che non lo ricambiano. Nessun rispetto reverenziale per il vecchio Ravel. Distruggere con allegria i luoghi comuni, non vuol dire prescindere da una trama avvincente. Siamo nel 1933, Hitler sta prendendo il potere, l'Europa corre verso l'abisso, mentre l'Argentina ancora non riesce a rialzarsi dai postumi della crisi del '29. I venti autoritari europei si fanno sentire anche in Sudamerica, con i militari che controllano sempre di più la società.
Mercedes, bella e giovane ragazza di (apparente) buona famiglia viene ritrovata morta. La polizia brancola nel buio, più per convenienza che per incapacità, il padre affranto ne approfitta per accusare gli anarchici, dopo aver ipotizzato un suicidio. La vicenda si sovrappone, il lettore scoprirà come, a quella di un calciatore, Bernabé Ferreyra, la prima grande stella del campionato argentino osannata dalle folle, che torna al suo paese e si rifiuta di tornare nel suo River Plate, perché il club gli nega l'aumento che crede di meritare (niente di diverso dai suoi successori, insomma). Per convincerlo a rientrare, con le buone o con le cattive, viene assoldato un giovane perdigiorno, Andrés Rivarola, che, nonostante i molti sforzi, non riesce a scrivere un tango decente. La vita lo porterà a diventare una sorta di investigatore reporter, costretto a districarsi in un mondo orribile, con ombre di fascismo dietro ogni angolo.
Il tono è scanzonato, ma il ritmo è serratissimo, Martin Caparrós, giornalista e scrittore che ama mischiare i piani e i continenti (vive in Spagna ma lo si trova spesso dall'altra parte dell'Atlantico), è un grande narratore urbano, come dimostrano i suoi ritratti delle capitali dell'America Latina, pubblicati dall'inserto domenicale del Pais. Nella sua Buenos Aires ha inserito personaggi divertenti e ambienti affascinanti. E l'ultima pagina contiene una rivelazione, che si può svelare senza incappare nel reato di spoiler: Tutto per la Patria avrà almeno un seguito.

 Francesco Olivo -

Martin Caparrós: «Tutto per la patria? No, meglio tango, calcio e ragazze».
  - Intervista di Francesco Olivo -

Raccontare il passato per smontare i luoghi comuni del presente. Martin Caparrós si è divertito tanto a scrivere Tutto per la Patria e non c'è pagina dove non si noti. Si è ispirato leggendo Camilleri e poi ha scelto un titolo «che un po' mi fa schifo», racconta ridendo. Antiretorico fino al midollo, lo scrittore e reporter argentino sorride ancora quando ricorda i giorni in cui ha scritto questo giallo.

Caparrós, dopo tanti saggi e reportage, come le è nata l'idea di scrivere un giallo?

«Nell'estate di tre anni fa ho trascorso alcune settimane di vacanza in un piccolo paese della Galizia. E lì ho letto un romanzo di Andrea Camilleri, finito il quale non sono più riuscito a sdmettere. Ne avrò letti otto di fila».

Cosa cercava in Camilleri?

«In realtà leggevo senza alcun proposito professionale, ma per il puro gusto di leggermi un libro, come quando ero ragazzo. Noi scrittori a volte dimentichiamo quanto sia piacevole la lettura disinteressata. Le avventure del commissario Montalbano mi sono talmente piaciute che mi sono detto "ora scrivo un giallo anche io". E così ho fatto. In fondo ho scritto Tutto per la Patria per prolungare il divertimento della lettura di Camilleri».

In cosa le sembra di aver emulato il padre di Montalbano?

«Spero di aver ricreato l'ambiente. La sua Sicilia e la mia Buenos Aires».

La sua Buenos Aires. Siamo nel 1933, vive un momento di crisi, proprio come adesso.

«Sì, già all'epoca ci si lamentava di aver perduto una presunta età dell'oro. Era arrivata la crisi, figlia anche della Grande depressione del 1929, ma rispetto a oggi ci sono delle differenze importanti: allora l'Argentina era comunque una delle 10 nazioni più ricche al mondo. In quell'anno Buenos Aires era piena di cantieri: veniva aperta l'Avenida 9 luglio ed eretto il grande obelisco. Circa la metà degli abitanti dellaa città era nato all'estero, soprattutto in Italia e Spagna, un'immigrazione che rendeva la città molto viva».

 E la grande epoca del tango. Il suo protagonista. Rivarola, prova a scriverne alcuni. Cosa rappresentava all'epoca?

«Rivarola è quello che a Buenos Aires chiamiamo un "busca", uno che si arrangia, alla ricerca della sua strada. Scrive pezzi di tango, con scarso successo. In quegli anni il tango era qualcosa di vivo, i giovani volevano essere "tangueros", una forma di ribellione, quello che in seguito è diventato il rock o il rap. Il tango era circondato da un ambiente malfamato, con alcol e droghe, non quello che i genitori speravano per i propri figli».

L'altro personaggio chiave è un calciatore: Bernabé Ferreyra. La stella del River Plate si rifiuta di tornare a giocare perché il club non lo paga abbastanza. Il calcio di una volta, quindi non era così diverso da quello di oggi?

«No, ed è proprio questo luogo comune che ho voluto smontare. Sono i primi anni del professionismo, Bernabé Ferreyra fu il primo grande acquisto del calcio argentino, da quel momento in poi il River Plate sarà chiamato il club dei "millonarios". Certo, sono cifre molte lontane da quelle di oggi, è come se Cristiano Ronaldo fosse stato pagato 80.000 euro. In quel calcio c'erano tutti i problemi di oggi, affari sporchi, dirigenti loschi, le pressioni della politica».

Che ruolo aveva il calcio nell'Argentina degli Anni 30?

«Aveva una funzione sociale importantissima. Tanto che quando i giocatori, nel 1931, cominciano uno sciopero per protestare contro la loro condizione lavorativa, è lo stesso presidente della repubblica, il generale Uriburu, a intervenire per concedere lo status di professionisti. La gente non avrebbe accettato di restare senza calcio».

Perché ha scelto il titolo "Tutto per la Patria"?

«Da un lato perché si racconta dei gruppi di destra dell'epoca. In Spagna è lo slogan che sta all'ingresso delle caserme della Guardia Civil, in America Latina no, ma la frase suona comunque retorica. In fondo è stato una specie di scherzo fatto a me stesso. Volevo un titolo che un po' mi facesse schifo...».

Nel romanzo compare anche Borges, molto diverso da come lo abbiamo conosciuto, borioso, persino ridicolo. Ha smontato un mito?

«Ho raccontato Borges prima di diventare Borges. Un poeta pretenzioso e piuttosto scadente, che andava dietro alle donne, senza molto successo».

Un ruolo importante in quella società lo avevano anche i giornalisti. Che epoca è stata per la stampa?

«Io ho voluto raccontare in particolare Critica, il giornale che ha inventato molto delle cose che si sono diffuse in seguito. Negli anni '20 è stato il primo a mandare un inviato in una turné del Boca Junios, che mandava le corrispondenze ogni giorno. I giornalisti di Critica sono  stati i primi anche a inaugurare un certo stile di vita, l'uomo che vive di notte, tra alcol, poliziotti e locali malfamati».

E oggi?

«Conduciamo vite ordinate e noiose, i giornalisti ormai non si distinguono molto dai dirigenti di banca. Quando ho iniziato questo mestiere, una volta chiuso il giornale, verso le 23, si usciva a cena e si aspettava con ansia lo strillone con le prime copie. Oggi al massimo leggiamo qualcosa sugli smartphone mentre guardiamo una serie tv sul divano di casa. Ma solo se c'è un pezzo che abbiamo scritto noi».

Come si è trovato con il thriller?

«Ne avevo scritto uno trent'anni fa e un altro uscito in Italia con il titolo di "Il ladro del sorriso". Mi sono divertito molto, è stato molto piacevole scriverlo e spero si noti leggendolo».

Ci sarà un seguito?

«Penso di sì, non appena avrò il tempo di fare un'altra vacanza come quella di tre anni fa lo scriverò. Ho già la trama pronta».

Sarà sempre Rivarola il protagonista?

«Sì, sarà ambientato nel 1934».

L'Argentina ha appena eletto Alberto Fernandez, è un ritorno del peronismo?

«Sì, Alberto è un uomo astuto con il quale si ritorna al peronismo più classico. L'era dei Kirchner è stata diversa, perché escludeva molti, mentre qui siamo davanti a un peronismo inclusivo, che tenta di armonizzare le differenze. Per il momento ci è riuscito, ma un conto è la campagna elettorale un altro è governare».

Lei ha definito anche Papa Francesco come un peronista.

«È stato eletto con lo scopo di restituire alla Chiesa il prestigio che aveva perso. Il peronismo ha sempre fatto questo: rievocare sempre un'età dell'oro in cui tutto era puro. La Chiesa però anche con Bergoglio resta quello che era, una delle istituzioni più gerarchizzate e maschiliste del mondo. Qualunque azienda del Pianeta sarebbe multata se si comportasse così».

 Francesco Olivo - Intervista pubblicata su Tuttolibri del 16/11/2019 -

martedì 28 aprile 2020

Il Prima e il Dopo

L’uomo non è buono: il Corona Virus, il Capitale, lo Stato, le mucche e noi
- (conferenza di Franco Piperno alla scuola di Bologna, il due d’aprile 2020) -

« Nel pericolo ciò che non uccide, salva. » W.Benjamin

Di questi tempi, una riflessione, che non sia apologetica, sui saperi e le prassi scientifiche non può non riferirsi, prendendolo come dato fattuale di partenza, alla pandemia del Coronavirus,che è in corso di svolgimento a livello planetario. A scanso di omissioni e di ogni spiegazione in termini di complotto, rifiutando insomma le indignazioni facili e pur tuttavia mal riposte, bisogna subito dire che il Covid19 non è stato fabbricato direttamente dagli gnomi al servizio del Kapitale o unicamente dalla forsennata trasformazione capitalistica dell’agricoltura — a riprova basterà ricordare che la mutazione di microbi animali in agenti patogeni umani non è certo un processo nuovo e nemmeno recente : esso appare già nel neolitico, con l’invenzione dell’agricoltura, quando ha inizio la deforestazione per estendere le terre coltivabili e l’addomesticamento degli animali per farne bestie da soma o da macello; gli animali, a loro volta,hanno contraccambiato come meritavamo, ci hanno offerto più di un regalo avvelenato, virale appunto, a seconda della loro specie: così dobbiamo ringraziare i bovini per il morbillo e la tubercolosi, le anatre per l’influenza, i maiali per la tosse,le zanzare per la malaria e, forse, i cavalli per la verola, e ancora i topi per la peste e così via. Detto altrimenti, la situazione che, nei giorni nei quali ci capita di vivere, è venuta via via emergendo a livello planetario, cioè di mercato mondiale, non è uno scontro di classe, strutturale, tra operai e capitale,una contraddizione specifica del modo di produzione capitalistico ( esigenze di crescita della valorizzazione e del controllo dispotico sul lavoro vivo, smantellamento del settore industriale pubblico a favore del privato, unificazione del mercato mondiale, etc.); no, essa è piuttosto il delinearsi di un profondo conflitto tra natura umana e natura non- umana, tra la nostra specie e tutte le altre siano esse vegetali o animali.
A ben vedere, infatti, il manifestarsi sempre più frequente di una attività microbica — che vive, per così dire,in latenza nelle specie animali ma che evolve in pandemie una volta che fa il salto di specie impiantandosi nel corpo umano — rende evidente come la questione dei mutamenti climatici e quella della pandemia siano due aspetti temporali della stessa questione : la prima appare solo nel lungo periodo la seconda invece nel breve. Infatti, sia detto per chiarezza : la pandemia non è il portato dei selvatici,che sarebbero infestati da microbi patogeni mortali, in agguato,pronti ad infettarci. La grande maggioranza dei microbi impiantati nei selvatici vivono come ospiti graditi e non fanno alcun male. Le cose cambiano radicalmente, e precipitano verso la tragedia epocale quando la deforestazione,la cementificazione, l’urbanizzazione sfrenata creano le condizioni per le quali questi microbi vengono in contatto col corpo umano; e alcuni tra di essi si ritrovano a loro agio e vi si adattano. Tra le specie che sono in pericolo per via della attività antropica vi sono molte piante medicinali e numerosi animali che per secoli hanno fornito agli esseri umani la base stessa dell’attività farmaceutica. Le specie che riescono a sopravvivere lo fanno adattandosi negli spazi ristretti lasciati loro dalla attività antropica; ma così aumenta la probabilità di contatti ravvicinati e ripetuti,col risultato di facilitare il passaggio dei microbi nel nostro corpo,dove,da esseri innocui,si trasformano spesso in agenti patogeni mortali.
A titolo d’esempio, riportiamo l’«Odissea del Pipistrello» nella ricostruzione di Sonia Shah : l’abbattimento della foresta costringe il pipistrello a spostare la sua dimora sul melo o sul pero di un giardino o di una cascina; un essere umano ingerisce della saliva del pipistrello mordendo un frutto che n’è ricoperto; oppure tentando di scacciare e di uccidere questo visitatore inopportuno si espone così ai microbi che si annidano nei tessuti dell’animale. E’ proprio in questo modo che una moltitudine di virus, di cui il pipistrello è portatore sano, riesce ad infettare centinaia di esseri umani. Questo è quel che è accaduto per Ebola ma anche per Nipah o Marburg. Il fenomeno è noto come “salto della barriera di specie”. Anche se questo salto non avviene molto spesso, la sua frequenza è comunque sufficiente per permettere ai microbi ospitati nei tessuti del pipistrello d’adattarsi all’organismo umano,per poi evolvere fino al punto di divenire patogeni.
Il minaccioso emergere nel corso dell’ultimo secolo di fenomeni pandemici non è provocato solo dalla distruzione degli habitat delle specie selvatiche; ancor di più dalla loro sostituzione con i dispositivi dell’allevamento industriale. In queste aree,equivalenti complessivamente a tutto il continente africano, la specie umana,per soddisfare la sua fame di carne,alleva delle specie, destinate alla macellazione: milioni di bestie, in spazi minimi, una sull’altra, trascorrono la loro breve vita forzate all’ingrasso,private di ogni sensualità, in attesa d’essere abbattute, senza mai aver veramente vissuto. Si tratta di un dispositivo ideale per permettere ai microbi di mutarsi in agenti patogeni mortali. Così, delle specie, che in natura non sarebbero mai entrate in contatto, si incastrano, l’una accanto all’altra: i microbi si trovano facilitati a passare dall’una all’altra. Questo è quel che è accaduto nei primi anni 2000, col coronavirus responsabile della epidemia di sindrome respiratoria acuta severa (SRAS); e questo o un fenomeno analogo potrebbe essere all’origine del coronavirus clandestino, il Covid-19, che assedia in questi mesi i luoghi dove abitano gli umani.

II). Una digressione tecnica.
Si usa dire, quando si descrive la riproduzione allargata di una moltitudine di virus, che si tratta di una crescita esponenziale in funzione del tempo. Si intende con questa espressione descrivere quantitativamente una situazione dove, per esempio, posta uguale a 100 la popolazione iniziale, un tasso di crescita del 7% dopo una unità di tempo – sia essa un giorno,un mese o forse più – comporta che la popolazione sia divenuta 107. Alla fine di una altra unità di tempo l’incremento del 7% non sarà sulla popolazione iniziale ma sul nuovo valore ovvero su 107; e così via. Per capire come il processo esponenziale funziona si può ricorrere, per coloro che hanno una scarsa familiarità con le matematiche, ad una ragionevole approssimazione, la cosiddetta “legge del settanta” che può essere così enunciata: se il tasso di crescita è X per cento, la popolazione iniziale raddoppierà dopo 70/X unità di tempo. Così al 10% il raddoppio avverrà dopo sette unità di tempo; al 6% in circa dodici unità temporali; e continuerà a raddoppiare ogni sette anni o ogni dodici, a seconda del tasso di crescita. La crescita esponenziale non può durare per sempre, altrimenti di raddoppio in raddoppio diventerebbe infinita – e l’ infinito è un concetto illusorio, sia per il senso comune che per la matematica.
Infatti, poiché la crescita avviene in un ambiente ( uno spazio-tempo di dimensioni finite ) la crescita si nutre dell’energia contenuta in questo ambiente, energia essa stessa finita e quindi destinata ad esaurirsi. Detto altrimenti, nell’ambiente dove si svolge la crescita,a causa di questa stessa crescita, si sviluppano fenomeni, detti in gergo non lineari, che contrastano la crescita, la ridimensionano fino a spegnerla. Per esempio,nel caso dei virus, la crescita della popolazione dei patogeni ha luogo fino a quando ci sono dei tessuti da infettare; una volta che il contagio ha coinvolto quasi tutti i corpi a disposizione, la crescita della moltitudine dei virus si contrae, diviene una decrescita esponenziale,fino a spegnersi o quasi.
Qui sarà bene ricordare che il fenomeno della crescita accelerata o esponenziale non è una esclusività né dei virus né dei batteri né dei microbi più in generale. Tutte le specie, animali o vegetali che siano, attraversano periodi di crescita e così come di decrescita accelerata.
In particolare, l’umanità, l’animale uomo, si trova in una fase di crescita esponenziale; a far data, grosso modo, dal XVI secolo; e destinata, secondo i demografi, a toccare il suo picco a metà di questo millennio — eravamo un miliardo a mal contare nel Rinascimento, siamo ora con buona approssimazione oltre sette miliardi, saremo più o meno dieci miliardi alla fine del XXV secolo — microbi e catastrofi cosmiche permettendo. Ma forse quel che è intellettualmente più intrigante quando si esaminano le crescite esponenziali, non sono tanto quelle che si svolgono secondo la maestà della “antica e onnipossente natura-non-umana”; piuttosto quelle che caratterizzano fenomeni inventati di sana pianta dagli esseri umani, quelle riconducibili senza residui alla socialità della nostra natura. Ve ne sono molte, in ogni caso assai più di quel che ci si potrebbe aspettare, vista la sproporzione tra uomo e natura.
A questo proposito, è il caso di ricordare in particolare un dispositivo economico-politico che regola segretamente l’abisso delle nostre emozioni,ma al quale siamo talmente assuefatti da rimuoverne, a livello di senso comune, pressoché ogni consapevolezza del suo esistere. Ci riferiamo al dispositivo del denaro nella forma dell’interesse composto. In breve si tratta di questo: se dispongo di una somma di 100 euro ( o l’equivalente in dollari o sterline o rubli,etc. ) esistono dei luoghi pubblici, noti come banche,dove posso recarmi per concordare di quanto verrà incrementata la mia somma iniziale anno dopo anno senza che io debba in nessun modo curarmi della cosa. Così, se l’interesse composto che mi viene accordato è del 6% in 100 anni si raddoppierà un po’ più di otto volte ovvero diverrà quasi 26.000 euro, o dollari o rubli. È l’interesse composto, il denaro che compie miracoli: non unità di conto né di scambio ma il denaro che produce denaro, il denaro nella sua terza determinazione, per dirla con Marx.
In quanto interesse composto il denaro trascura il presente e promuove una sorta di dittatura del futuro: piuttosto che dare 100 euro a mia nipote perché li spenda oggi conviene vincolarli per qualcosa che non esiste, per quando sarà divenuta ella stessa nonna.
Secondo Sohn-Rethel, l’interesse composto compare in Lidia subito dopo l’invenzione del denaro ed il superamento del baratto con lo scambio mercantile. Per secoli, tuttavia, la pratica dell’interesse composto è stata ritenuta peccaminosa e bollata come usura; ad esempio, in Occidente, fino al basso Medioevo,era lecita solo per le comunità non-cristiane. Poi, all’inizio del Rinascimento, a Firenze, nasce la “banca”, ovvero quel dispositivo che promuove l’epoca moderna proprio legalizzando l’usura e assicurandone la diffusione nel continente europeo. Insomma,possiamo concludere che l’interesse composto è una sorta di virus virtuale che, entrato per tempo nelle nostre vite, fa anche più male di quello reale.

III). La pandemia e i saperi esperti.
La pandemia globale è, come scrive Alain Supiot , un “fatto sociale totale”, un fenomeno che scuote l’intera società e le sue istituzioni. Il tentativo di comprenderlo richiede preliminarmente di non decomporlo secondo lo spettro dei saperi ( biologico, geografico, storico, economico, giuridico,  demografico, politico, psicologico, economico e via dividendo ) perché solo con una appercezione totale riusciamo a coglierne l’essenziale. A fronte di un fatto sociale totale i saperi scientifici non possono limitarsi a spiegare il fenomeno ma devono porre sotto indagine anche coloro che l’osservano nonché i risultati della osservazione. Interrogarsi sui propri limiti e quindi sulle proprie responsabilità non è una abitudine diffusa tra gli esperti,tra coloro che si suppone possiedano i saperi scientifici. Il mettersi in dubbio– che è la vera attitudine scientifica — diviene un esercizio sempre più difficile da quando, con la modernità, coloro che hanno il potere economico-politico, non potendo più fondare l’esercizio di questo potere sull’autorità religiosa, pretendono di amministrare scientificamente gli uomini come se fossero delle cose. È così accaduto che diversi saperi esperti o “scienze” , come la biologia o l’economia o il diritto, nel corso degli ultimi due secoli, siano divenute dei riferimenti normativi volti ad indirizzare il potere politico e a ristrutturare l’ordine giuridico.
L’attuale “stato d’eccezione”, come ha osservato Giorgio Agamben, offre una descrizione qualche po’ paradossale dello situazione presente: il governo agisce legittimato da un “comitato tecnico scientifico” e restringe drasticamente quella che è la libertà elementare fondamentale, la libertà di muovere il corpo; la corte costituzionale da parte sua tace su questa plateale violazione della costituzione repubblicana.
Quando la scienza diviene fondamento del vero non solo permette al potere politico di scaricarsi delle responsabilità che gli competono ma finisce con lo svolgere il ruolo che apparteneva precedentemente alla religione, divenendo scientismo ovvero secondo il caso biologismo, economicismo e così via. Già a partire dal XX secolo, si è affermata la tendenza, tanto nel modo di produzione capitalistico come in quello detto socialistico, a fondare le istituzioni sulla scienza piuttosto che a fondare la libertà dell’attività scientifica sulle istituzioni. Il risultato è un “ governo dei numeri “che rappresenta gli uomini e le società come esseri programmabili, sottoponibili ad esperimenti. Un governo siffatto è per sua natura estraneo e nemico delle pratiche democratiche che subordinano il diritto alla diversità e imprevedibilità dell’esperienza sociale. Come scrive Supiot, ogni malato ha della sua malattia una esperienza che il suo medico non ha. Il più umile tra coloro che lavorano in contatto diretto con le persone, per circoscrivere e alleviare la loro sofferenza, ha una esperienza della pandemia in corso che di sicuro manca a coloro che lavorano solo sui numeri e su ciò che è virtuale. Ecco allora che il virus, produttore non annunciato di un fatto sociale totale, svolge la sua opera buona rimettendo in discussione la legittimità delle disuguaglianze che strutturano la divisione del lavoro, o la previdenza sociale o i sevizi pubblici. Perché, a ben vedere,un ospedale non è una azienda. Così, per un momento almeno, la crisi squarcia l’illusione economista secondo la quale il lavoro umano non è altro che una merce, sia pure particolare; ed il suo valore è stabilito,in ultima analisi,dal mercato.
Ma v’è di più : la pandemia mette in luce una l’organizzazione della sanità strutturata non attraverso i luoghi, con servizi che tengano conto della specificità territoriali; ma tramite una rete di ospedali allocati per lo più nei capoluoghi, ospedali pubblici e privati, gestiti come una catena d’aziende. All’interno di queste aziende, quasi sempre in dissesto, il lavoro dei medici è parcellizzato secondo le svariate specializzazioni medicali. Il malato entra in contatto con i servizi sanitari di solito tramite il cosiddetto ” medico di base ” che ha il compito di individuare le patologie del malato ed indirizzarlo verso gli specialisti che operano per la gran parte negli ospedali. Il risultato di una simile sanità è che nessuno si occupa del malato — che fino a prova contrario è un essere unitario, composto di mente e corpo – e tutti curano le malattie … senza spesso venirne a capo.
Il medico di base è, a vero dire, un burocrate, più o meno cortese: si limita, dopo aver interrogato distrattamente il malato, senza mai smettere di conversare a telefono con altri suoi pazienti o amici vari, a redigere una breve anamnesi, dove, in buona sostanza, vengono indicati i nomi degli specialisti che dovranno occuparsi del malato: tra una settimana quando va bene oppure un mese o forse più. Se il medico di base è un burocrate, gli specialisti certo non lo sono: essi infatti appartengono a quella categoria di lavoratori, creata dal modo di produzione capitalistico, che “sanno tutto su niente”. Come gli operai della fabbrica fordista, sono degli “idioti specializzati”; e.g. conoscono il funzionamento della rotola in ogni dettaglio ma ignorano o quasi le articolazioni dell’alluce. Fach-Idiot, così li chiamavano gli studenti tedeschi nelle assemblee del “68”.
Infine, per ultima ma non ultima, una considerazione: grazie alla pandemia in corso ecco mostrarsi senza più veli lo spreco e l’inefficienza nella quale versa l’industria e in particolare la ricerca farmaceutica.
Nel mondo,oltre che per fame, sono milioni gli esseri umani, in primo luogo i bambini, che muoiono a causa di malattie, epidemie, pandemie per le quali da tempo si sono trovati in Occidente gli antidoti, i rimedi, i vaccini in grado, quando non di guarire almeno arginare il contagio e dispensare le cure. Centinaia di milioni di esseri umani continuano a morire di vaiolo, morbillo, influenza, poliomielite, tubercolosi e via elencando perché l’industria farmaceutica realizza profitti enormemente maggiori occupandosi della ricerca e della produzione di farmaci per i ricchi — come i trapianti di organi o le demenze senili o le creme per colorare e poi sbiancare il viso,etc. — di quanto possa conseguirne producendo medicine per le malattie banali, quelle che affliggono l’immensa platea dei poveri. Infatti, pressoché smantellati i piccoli laboratori di ricerca che operavano nell’università, solo la grande industria farmaceutica è in grado di gestire un piano di ricerca sistematica sui vaccini — piano reso tanto più urgente dalla previsione, condivisa dalla stragrande maggioranza dei ricercatori, sull’inevitabile apparire di nuovi microbi patogeni nella misura in cui la popolazione umana continuerà ad aumentare — senza considerare il ritorno di virus già apparsi e poi precipitati allo stato di latenza in attesa di riemergere. Questa strapotere dell’industria farmaceutica è poi garantito dalle regole che disciplinano il regime dei brevetti. Il brevetto è un dispositivo regolato per la prima volta dal senato della Venezia rinascimentale per assicurare la diffusione delle scoperte, e.g.quelle relative alla lavorazione del vetro, tradizionalmente custodite in segreto. Brevettando la sua invenzione, l’artigiano la possiede legalmente, i.e. ha diritto a venderla, e questo diritto ne garantisce la circolazione.
Ai nostri giorni, nell’industria farmaceutica, assistiamo ad un rovesciamento paradossale della funzione originaria del brevetto, rovesciamento che si risolve in una vera e propria beffa: il brevetto viene acquistato e per così dire secretato, messo in mora, per evitare che la scoperta porti alla produzione di un nuovo farmaco magari più efficace; e come tale in grado di competere con successo con dei prodotti che la stessa industria che compera il brevetto ha già immesso nel mercato.

IV). Il corona virus e l’individuo sociale : che fare?
Non v’è dubbio che questi primi mesi dell’anno 2020 segnano una tragica cesura tra “ il prima e il dopo ”. Niente sarà come prima, si sente dire in giro non senza un abissale malessere. Quasi se il virus, con il suo diffondersi esponenziale sull’intero pianeta, avesse stracciato per sempre il velo che, a far data almeno dalla modernità, ha ricoperto il “reale”, nascondendolo. Agli occhi di centinaia di milioni di donne e uomini il progresso, la civilizzazione, appare essere una manifestazione ideologica, di falsa coscienza che ha portato le nostre società sull’orlo del baratro, propriamente della morte collettiva.
Val la pena ribadire che questa tragedia epocale non è il portato inatteso dello scontro tra operai e padroni, e neppure una conseguenza esclusiva dell’industrializzazione, sia essa capitalistica o socialistica. Qui è all’opera una contraddizione originaria, totale, forse insanabile: quella tra uomo e natura. Secoli di progresso hanno conseguito una colonizzazione delle coscienze, una mentalità posseduta dalla vanità consumatrice; dove la misura del benessere umano avviene in termini di crescita esponenziale della produzione; mentre i luoghi, la diversità dei luoghi, abitati da animali e piante, sono divenuti sedi commerciali, punti di vendita omogenizzati ed ingoiati dal mercato globale; e, d’altro canto, lo sviluppo della conoscenza si trova ormai subordinato alla necessità della industria di creare nuove merci per evitare la saturazione dei mercati. Nel mondo contemporaneo, soprattutto nei paesi più ricchi, l’essere umano perdendo il contatto con la sua animalità, sembra essere fuoriuscito dai suoi limiti e trascorrere la vita privandosi del suo stesso corpo, in una realtà virtuale. Ora la storia mostra con ogni evidenza che l’uomo ha bisogno di aderire alla animalità , al corpo.
Questa bisogno d’adesione spiega perfino la capacità di seduzione esercitata in origine dalla scienza moderna; ed ancora oggi,in Asia e in Africa, costituisce gran parte della potenza, intellettualmente attrattiva, delle religioni tradizionali. Al contrario,è proprio l’abbandono di questo contatto la causa principale di quella “angoscia inutile ” nella quale sembrano menare la vita i cittadini delle società dette avanzate. Infatti, quando si perde il rapporto con il reale, i soli criteri valoriali in grado di dare continuità all’attività intellettuale sono il “cambiamento” e il “nuovo”. Ma se risulta ovvio come questi siano elementi indispensabili, altrettanto ovvio è che, se divengono unici, come accade ai nostri giorni, essi risultano catastrofici per la vita sociale: perché allora finiscono ciecamente col valorizzare per poi svalorizzare qualsiasi cosa. Così, sia detto per inciso, quegli intellettuali che s’appassionano per le sorti dell’Africa dovrebbero farsi carico non solo di “esportare” le nostre numerose verità ma anche di “importare” qualcuna di quelle che si coltivano in quel continente; una delle quali potrebbe appunto essere il senso del reale, il rapporto con l’animalità degli umani.
Rispetto alla modernità, l’epoca nella quale siamo appena entrati, grazie al Coronavirus, richiede un soggetto collettivo costruito sulla scala non già della nazione o della classe sociale bensì sulla dimensione della specie.
Bisogna riconoscere che il movimento ambientalista ha, per parte sua — in una certa misura, e sia pure senza riuscire ad evitare le ingenuità del catastrofismo — posto la questione dell’animalità, del reale, dei luoghi: il rapporto cioè tra tutte le forme di vita che abitano il pianeta Terra.
A ben vedere, un tale soggetto esiste da tempo. Ad esempio, Marx lo chiama "individuo sociale" e lo caratterizza in quanto «portatore di una coscienza enorme, una coscienza all’altezza della specie.» Questo soggetto non agisce nella prospettiva della presa del potere politico ma in quella, di per se più mite, dove mezzo e fine si convertono l’uno nell’altro: il mutamento delle abitudini di vita e la riconciliazione con la natura non umana. Si potrebbe dire che la strategia spontanea dell’individuo sociale sia riconoscere i suoi stessi limiti in quanto appunto limiti della specie; mentre il principio d’individuazione che lo caratterizza lo porta ad agire, in una società come la nostra incentrata sul virtuale, per gesti simbolici. C’è da aspettarsi che i primi tra questi gesti saranno quelli rivolti agli animali ed in particolare ai mammiferi, per via della prossimità di specie. Forse dopo un censimento, luogo per luogo, degli allevamenti industriali, ci ritroveremo, in migliaia, ad abbattere i recinti di questi stabilimenti della vergogna, per liberare mucche e buoi ammucchiati gli uni sugli altri — in fondo si tratta di nostri parenti,sia pure alla lontana; insomma poco meno di cugine e cugini.

- Franco Piperno - conferenza del 2/4/2020 -

fonte: Oreste Scalzone & complici

lunedì 27 aprile 2020

Il Male Economico

Pandemia: il punto di esplosione della relazione capitalistica?
- di Cavalcanti - 12 aprile 2020 -

   «Lo sviluppo della produzione ha finora interamente confermato la sua natura di realizzazione dell'economia politica: come crescita della povertà, che ha invaso e devastato il tessuto stesso della vita. (...) Nella società dell'economia super-sviluppata, tutto entra nella sfera dei beni economici, anche l'acqua sorgiva e l'aria delle città; vale a dire che tutto è diventato il male economico, quella "negazione completa dell'uomo" che arriva ora alla sua perfetta conclusione materiale.» (Guy Debord, "Il pianeta malato").

Lo scatenarsi della pandemia e la sua diffusione in tutto il mondo, è l'espressione più recente di ciò che Debord aveva identificato mezzo secolo fa come il «male economico». Il capitale non è solo una relazione di sfruttamento e di dominio, ma è anche un rapporto di alienazione della società umana dalla natura, nel quale sia i produttori di ricchezza sociale sia la natura non umana, in quanto forza produttiva autonoma, vengono trasformati  in oggetti dominati e saccheggiati dal capitale.  Il processo - in continua espansione - di sussunzione della natura sotto il capitale è conflittuale e contraddittorio. Le conseguenze di una tale sussunzione, emergono sotto forma di fenomeni come il riscaldamento globale, l'infestazione dei terreni agricoli da parte delle super-erbe [erbe resistenti agli erbicidi], il rallentamento dell'attività agricola, ed oggi la pandemia del coronavirus. Come ha osservato Rob Wallace nel suo libro "Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science", l'espansione dello sfruttamento del territorio ha causato l'accelerazione della deforestazione e la conversione della foresta in terreno coltivabile, il quale viene sfruttato in maniera eccessiva al fine di incrementare la produttività e ridurre i costi della produzione agricola. La conversione di vaste aree in fabbriche per la produzione alimentare crea quelle che sono condizioni ideali per la comparsa e la rapida trasmissione di nuovi agenti patogeni, sotto forma di «virus selvaggi» - i quali precedentemente venivano controllati nel contesto degli ecosistemi forestali primari - e li fa entrare in contatto con il bestiame e con l'uomo.  Ad esempio, è assai probabile che l'epidemia di Ebola sia stata causata dalla distruzione di tutta una serie di foreste selvagge e dalla vasta diffusione di monocolture di alberi di palma finalizzate alla produzione di olio di palma. Queste piantagioni sono andare a costituire un terreno favorevole per i pipistrelli da frutta, i quali sono stati il «serbatoio» iniziale per il virus Ebola. Per quanto attiene al coronavirus, non è ancora sicuro quale sia stata la sua vera fonte. Secondo quella che è una falsa narrazione razzista, il salto del Covid-19 dai suoi ospiti animali all'uomo è stato dovuto alle «cattive e poco igieniche abitudini» del popolo cinese, il quale consuma animali selvaggi, in quanto si presume che il virus abbia avuto origine nel mercato di animali selvaggi di Wuhan. Tuttavia, questa narrazione culturalista razzista mette in ombra il fatto che in Cina l'allevamento di animali selvatici sia un'industria enorme, con un fatturato annuo di 73 miliardi di dollari che dà lavoro a più di 14 milioni di persone, vale a dire che è il risultato di quelli che sono gli imperativa della riproduzione del capitale. Per gli agricoltori delle province più povere della Cina è l'unica risorsa, e viene promossa ed incoraggiata dallo Stato capitalista cinese attraverso programmi di «addomesticamento della fauna selvatica», «ecoturismo» e «riduzione della povertà» [*1].

La gestione capitalistica della pandemia in Grecia
L'esplosione della pandemia è il prodotto del saccheggio e della devastazione della natura messa in atto dal capitalismo, la quale a sua volta è espressione di quella che è la  contraddizione di base della relazione capitalistica: la contraddizione tra valore e valore d'uso [*2]. Una propagazione incontrollata del virus comporterebbe una distruzione incontrollata, se la non completa rottura del circuito di riproduzione del captale. Un elevatissimo numero di pazienti infetti porterebbe al collasso totale del sistema sanitario, cosa che a sua volta causerebbe una reazione a catena ed un numero ancora maggiore di perdite di forza lavoro umana. Un simile sviluppo innescherebbe sconvolgimenti sociali incontrollabili, che potrebbero assumere un carattere di classe, se non addirittura anti-statale. In quello che sarebbe per noi il peggiore dei casi, scatenerebbe conflitti tra le classi di tipo razzista/individualista. Ciò potrebbe portare ad una rottura incontrollata del circuito di accumulazione ed alla delegittimazione dello Stato. Per tale ragione, la maggior parte degli Stati de mondo hanno fermato una parte delle attività produttive e riproduttive (istruzione, turismo, intrattenimento, ecc.) ed hanno imposto delle restrizioni al movimento della popolazione e agli spostamenti pubblici. Di certo, queste misure determineranno il manifestarsi di contraddizioni latenti in quella che l'accumulazione globale del capitale - che, negli anni precedenti, era già stata posposta nel futuro, soprattutto a causa della persistente politica monetaria a basso tasso d'interesse perseguita dalle banche centrali - ed hanno già causato una significativa distruzione e svalorizzazione del capitale, e fatto scivolare l'economia in una profonda recessione. Ad ogni modo, per evitare il collasso incontrollato delle relazioni sociali capitalistiche, gli Stati si sono visti costretti ad operare per una svalorizzazione del capitale che fosse il più possibile controllata. Per quel che attiene alle misure di restrizione della libertà di movimento ed a quella di divieto di riunione pubblica, molti compagni stanno parlando di una presunta imposizione del modello cinese di controllo della popolazione, dell'imposizione di un regime totalitario, sottolineando eccessivamente la questione della sorveglianza. Riteniamo che si mili posizioni siano sbagliate, dal momento che rendono la sorveglianza della popolazione un fine in sé, piuttosto che un mezzo [*3]. In generale, il concetto di «biopotere» [*4], che in quei testi viene spesso utilizzato in modo improprio, si riferisce a tecniche di potere che mirano ad incrementare la produttività della popolazione, ed al suo adeguamento all'organizzazione dell'accumulazione di capitale. Non è un fine in sé. Nel momento attuale, la politica della limitazione della libertà di movimento, del divieto di riunione pubblica e di controllo dello spostamento delle persone nello spazio pubblico è, a nostro modo di vedere, un mezzo per il raggiungimento di quelli che sono i seguenti specifici obiettivi di base:

1. Limitare il contagio e la diffusione del virus: nella misura in cui una gran parte della produzione e del trasporto continua a funzionare al fine di evitare il collasso completo della riproduzione sociale della società capitalista e delle più importanti imprese capitaliste, i movimenti che in questa riproduzione svolgono un ruolo secondario vengono limitati.
2. Attribuzione di responsabilità dallo Stato e dal capitale all'individuo - viene promossa l'ideologia della «responsabilità individuale» - il «folk devil» [il mostro] si produce nel tentativo di attribuire la colpa ad una parte della popolazione, qualora il regredire dell'epidemia non vada bene. In tal modo, lo Stato cerca di venire esonerato dalla responsabilità, da un lato a causa della carenza di personale e del sotto-finanziamento del sistema sanitario che aveva preso piede negli anni precedenti, nel contesto della riduzione del salario sociale, e dall'altro lato per la sua riluttanza a sostenerlo finanziariamente anche tardivamente. Quello che è l'orientamento di base alla riduzione del salario, sia diretto che indiretto, non viene modificato in alcun modo. Analogamente, si tenta di assolvere le imprese capitaliste dalla loro responsabilità di avere varato delle misure del tutto inadeguate per proteggere i lavoratori dalla trasmissione del virus. Più in generale, si tenta di assolvere il sistema capitalistico di essere la vera e principale fonte della pandemia.
3. Riproduzione della separazione e atomizzazione della popolazione: l'atomizzazione della popolazione e la sua collettivizzazione alienata (sulla base della nazionalità, della professione, della cittadinanza, ecc.) è la funzione di base dello Stato. Lo Stato del capitale è obbligato a prevenire la formazione della classe in quanto soggetto della negazione della relazione sociale esistente ( e quindi della propria auto-negazione). In questo contesto, lo Stato cerca di impedire lo sviluppo della lotta di classe per la soddisfazione dei bisogni relativi alle conseguenze della pandemia. Inoltre, lo Stato consolida e rafforza le separazioni esistenti interne alla classe attraverso l'isolamento e l'esposizione al rischio di morte di quegli immigrati/rifugiati che si trovano confinati nei centri di detenzione e nelle prigioni. È forse inutile dire che il tentativo da parte dello Stato di prevenire le lotte sui posti di lavoro, supermercati, prigioni e centri di detenzione, così come la loro repressione violenta, non ha niente a che fare con la «tutela della salute», dal momento che in questi luoghi  le persone si trovano strettamente vicine l'un l'altre.
4. Legittimazione dello Stato capitalistico: in una società di individui separati e di famiglie, lo Stato appare come unico garante della vita della popolazione, a partire dal fatto che gli individui appaiono irresponsabili ed egoisti. Lo Stato cerca di affermare la propria essenza come «comunità illusoria» degli individui separati. Nella misura in cui non si vengono a creare relazioni di solidarietà di classe e di lotta, la forma sociale dell'individuo visto come separato ed egoista di cui sopra ha un'esistenza reale su queste basi costituisce un fattore di legittimazione dello Stato tra la popolazione.

Il fatto che la maggior parte della popolazione scelga di isolarsi, non deve essere attribuito solo alla propaganda e alla repressione. Ci sono molte persone che hanno una perfetta consapevolezza dello stato in cui versa il sistema sanitario, che non si fidano dello Stato e dei capitalisti, e che comprendono assai bene come l'organizzazione della produzione e della vita quotidiana potrebbe metterli seriamente in pericolo. Nonostante i lamenti e le accuse di alcuni militanti per quella che sarebbe la presunta subordinazione della popolazione al potere dello Stato, le persone non possono essere spogliate del proprio ruolo. Inoltre, è importante notare che le misure per il «distanziamento sociale» e per la restrizione della libertà di movimento non sono qualcosa di nuovo che rappresenterebbero l'avvento di un nuovo «sistema totalitario». Durante quella che nel 1918-1919 fu la pandemia di «Influenza spagnola», i governi di tutto il mondo adottarono misure simili: chiusura delle scuole, dei bar, delle chiese, e dei teatri; restrizioni alle riunioni pubbliche; isolamento e quarantena [*5]. Va anche menzionato il fatto che esistono delle analogie tra le mobilitazioni proletarie che ci furono durante l'«influenza spagnola» e ciò che sta succedendo oggi. Per esempio, in Australia, i marinai, i lavoratori del settore nautico scesero in sciopero per rivendicare: aumenti salariali, assicurazioni per le famiglie dei lavoratori uccisi dall'influenza, e paga piena nel caso fossero stati messi in quarantena o ricoverati in ospedale, l'applicazione della quarantena sulle navi che trasportavano passeggeri infetti, miglioramento delle condizioni igieniche e delle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro, estensione della protezione assicurativa agli infermieri, ai conduttori di ambulanze e ad altre occupazioni che avrebbero potuto essere a rischio, ecc. In quel periodo, la combattività della lotta di classe è dimostrata dal fatto che in alcuni porti i conflitti culminarono in uno sciopero marittimo durato quattro mesi [*6].
Certamente, lo Stato ed il capitale stanno approfittando della situazione per attuare misure contro il proletariato, misure che erano state pianificate da tempo: per esempio, l'ennesima deregolamentazione del «diritto del lavoro» (o, per dirlo più correttamente: lo «sfruttamento del diritto del lavoro») in termini di licenziamenti, straordinari, indennità di licenziamento, turni, lavoro a distanza, contratti di lavoro, ecc. Simultaneamente, a coloro che ancora lavorano vengono imposti orari e turni di lavoro estremamente estenuanti, e non viene consentito ai lavoratori di usufruire di permessi e/o di andare in congedo. Inoltre, i lavoratori le cui aziende hanno sospeso la loro attività ricevono un'indennità che è persino inferiore al salario minimo (mentre i lavoratori senza contratto non ricevono niente del tutto). L'accordo che è stato raggiunto nell'ultima riunione dell'Eurogruppo, perché venga dato sostegno finanziario agli Stati membri attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità, dimostra che il capitale tenterà di trasferire il costo della recessione dovuta alla pandemia sul proletariato europeo, per mezzo dell'imposizione di programmi di aggiustamento strutturale, che verranno garantiti a partire dai termini delle condizioni del MES. Inoltre, il confinamento nelle case è un'esperienza assai peggiore per i proletari squattrinati che vivono in pochi metri quadri ed in condizioni miserevoli, se paragonata a quella delle persone che hanno una casa ed un reddito che copre minimamente quelli che sono i loro bisogni; per non parlare, naturalmente, delle ville di lusso dei capitalisti. Per le donne e per i bambini che vivono in ambienti abusivi, un isolamento simile diventa un incubo.
È certamente probabile che alcune di quelle che sono le pratiche di sorveglianza e di controllo continueranno anche dopo la fine della pandemia: per esempio, i sistematici e massicci controlli di polizia sui trasporti pubblici e sugli spazi pubblici della città, così come il completo confinamento ed il controllo degli immigrati/rifugiati nei centri di detenzione. Tuttavia, nei regimi democratici capitalisti occidentali, la sorveglianza ed il controllo non possono superare il limite oltre il quale la libertà contrattuale e la libera circolazione delle merci verrebbero ostacolate (ivi inclusa la merce forza lavoro), o il limite superato il quale verrebbe violata la proprietà privata, dal momento che essa richiede la separazione della sfera privata da quella pubblica, e la «protezione dei dati personali» [*7]. Non consideriamo probabile una trasformazione dei regimi democratici occidentali in regimi autocratici come la Cina o l'Iran, con lo Stato che si trasforma in una sorta di «grande fratello» orwelliano; cosa che presupporrebbe un esercizio di potere altamente centralizzato ed un sistema assai simile di partito unico (come quello della Repubblica Islamica). Al contrario, in uno Stato democratico multipolare, « mille complotti a favore dell'ordine costituito s'ingarbugliano e si combattono un po' ovunque [...] ognuna delle sue diramazioni [dello Stato] può cominciare a disturbare o a preoccupare l'altra, perché tutti questi cospiratori professionisti arrivano al punto di osservarsi senza sapere esattamente perché, o s'incontrano casualmente senza potersi riconoscere con sicurezza. [...] In una stessa rete, che apparentemente persegue uno stesso fine, coloro che costituiscono solo una parte della rete sono costretti ad ignorare tutte le ipotesi e le conclusioni delle altre parti, e soprattutto del loro nucleo dirigente. [...] Visto che le fonti d'informazioni sono rivali, lo sono anche le falsificazioni » [*8]. Il regime capitalista cinese può anche essere stato liberalizzato per quanto riguarda la scelta spettacolare delle merci, ma secondo quelli che sono i termini della libertà di scelta dei governanti si trova ancora in uno stato di inferiorità e, pertanto, il mantenimento del potere nelle mani del partito collettivo capitalista rimane precario.

Che cosa bisognerebbe fare?
Nel momento in cui questa domanda viene posta in termini di esortazione morale e di imperativo per quella che si suppone sia la «maggioranza morale subordinata», essa  tradisce semplicemente la latente (o aperta) posizione avanguardista, e separata, di coloro che la pongono in tale modo. Ma in questo caso, consiste solamente in una auto-delusione delle cosiddette aspiranti avanguardie, dal momento che l'elaborazione, sulla carta, di un piano da parte di piccoli gruppi che in sostanza non hanno alcun potere effettivo di guidare gli operai, come ad esempio lo avevano i partiti operai del passato, e non ha alcun significato, o realtà. Certo, siamo ben consapevoli anche del fatto che quando simili «avanguardie» acquisiscono un tale potere, alla fine lavorano per sostenere il mondo del capitale. La nostra critica dev'essere collegata alle lotte reali, e non confrontarsi con dei principi dottrinari per poi proclamare: Ecco la verità, in ginocchio davanti ad essa! Ciò che conta è riconoscere quello che è il movimento reale, e se possibile collegarsi ad esso, partecipare e sostenere quelle che al suo interno sono le tendenze radicali, vale a dire, le tendenze che antepongono la soddisfazione dei nostri bisogni agli interessi del capitale, e si pongono contro ogni genere di impostore politico e sindacale che si batte esclusivamente per la riproduzione del proprio ruolo e, pertanto, per la riproduzione di questo mondo. Il carattere globale della pandemia ha portato a che in tutto il mondo scoppiassero lotte a partire da quelli che sono gli stessi temi, e che hanno lo stesso contenuto.

- Scioperi ufficiali e gatto selvaggio nelle fabbriche, nei negozi di alimentari e nei settori logistici e dei trasporti, in Brasile, Italia, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Spagna, Camerun e altrove, chiedendo lo stop delle attività, insieme al pagamento integrale del salario (come, ad esempio, alla Mercedes in Spagna), chiedendo che vengano forniti i mezzi di protezione, il rispetto delle norme igieniche e di sicurezza, così come un aumento salariale (come, ad esempio, nella catena americana di vendita online di generi alimentari, Instacart), solo per citarne alcuni.

- Scioperi e mobilitazioni di medici e infermieri in Pakistan, Argentina, Grecia e altrove, chiedendo che venga assunto personale supplementare, che vengano fornite mascherine ed altro materiale di protezione, la creazione di unità di pronto soccorso, ecc.

- Espropriazioni di negozi alimentari in Cile, nel Sud Italia e in Messico, messe in atto da una parte significativa del proletariato, soprattutto a causa del fatto che coloro che lavorano nell'economia informale sono stati lasciati completamente abbandonati a sé stessi. In realtà, nonostante il fatto che in Italia meridionale ci siano stati pochi espropri, la minaccia di una loro espansione ha costretto le autorità legali a distribuire buoni pasto, e ha spinto i proprietari dei negozi locali a far partire delle raccolte di cibo per coloro che non possono permetterselo.

- Rivolte e scioperi della fame nelle prigioni e nei centri di detenzione per immigranti/rifugiati in Italia, Stati Uniti, Grecia e altrove, che nel primo caso richiedono il decongestionamento o l'apertura delle carceri, e nel secondo la chiusura dei centri di detenzione e il trasferimento delle persone confinate in case con condizioni di vita dignitose.

- Creazione di gruppi di solidarietà che, tuttavia, hanno soprattutto carattere umanitario e non vengono costituiti sulla base della solidarietà di classe, tranne alcune eccezioni.

- Infine, ma non ultimo, nel caso del Cile, che nei cinque mesi precedenti si trovava in stato di rivolta, gli abitanti di Chiloé, una grande isola con una popolazione di 180mila persone, hanno scortato fuori dall'isola tutte le forze di polizia, si sono organizzati ed hanno chiuso le strade per impedire la circolazione della forza lavoro e delle altre merci, il cui flusso, da sé solo, avrebbe diffuso la pandemia in condizioni altamente pericolose: per i 180mila abitanti dell'isola ci sono solamente 6 respiratori disponibili. Inoltre, in Colombia, le comunità indigene di Santa Elena e della Sierra Nevada hanno bloccato il turismo e i camion per il trasporto dell'industria agroalimentare.

Questo resoconto include alcuni indicativi esempi di tutto quello che sta accadendo. Le lotte divampate mostrano chiaramente come nel prossimo periodo, con un sicuro peggioramento delle condizioni di vita e delle condizioni di sfruttamento di gran parte della nostra classe, ci saranno molte persone nelle strade. Come hanno scritto i compagni del Grupo Barbaria: « Diversamente dalla crisi del 2008, che ha colto tutti noi molto più isolati, e ci ha lasciato in preda allo sgomento, in questa nuova crisi non c'è alcun senso di colpa, per aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità, per cui dovremmo tirare la cinghia, e che è di questo che si tratterebbe: al contrario, c'è una consapevolezza molto chiara del fatto che siamo stati mandati al macello per preservare il buon funzionamento dell'economia nazionale » [*9]. Sta a noi cogliere l'opportunità di un movimento proletario veramente globale che riapra la prospettiva di una rivoluzione mondiale.

- Cavalcanti – Pubblicato il 18 aprile 2020  su Antithesi -

NOTE:

[*1] - «Virus Pushes China’s Poor Rat Meat Farmers to Brink of Despair» su Bloomberg News, 14 March 2020 and «Why China’s wildlife ban is not enough to stop another virus outbreak», Los Angeles Times, 2 April 2020.

[*2] - Questa nostra posizione viene spiegata nell'articolo “On the ecology of capitalism”.

[*3] - Nel 30° commentario alla Società dello Spettacolo, la posizione di Guy Debord è particolarmente rilevante: « È in base a tali condizioni del suo esercizio che si può parlare di una tendenza alla redditività decrescente del controllo, man mano che si avvicina alla totalità dello spazio sociale, e che di conseguenza il suo personale e i suoi mezzi aumentano. Perché qui ogni mezzo aspira a diventare un fine, e opera in questo senso. La stessa sorveglianza si sorveglia e complotta contro se stessa. »

[*4] - Questo concetto è stato introdotto da Michel Foucault, e la teoria che egli stesso ha sviluppato intorno ad esso è estremamente problematica, se non addirittura ostile al punto di vista proletario. Nella conferenza tenuta il 14 marzo del 1976, inclusa in "Bisogna difendere la società" (Feltrinelli, 1998), egli presenta la guerra di classe come una forma di razzismo contro la borghesia!

[*5] - M. Balinska e C. Rizzo, "Behavioural responses to influenza pandemics", Plos Currents, 9 September 2009; e A. Aassve, G. Alfani, F, Gandolfi, M. Le Moglie, "Pandemics and social capital: From the Spanish flu of 1918-19 to COVID-19", VoxEU, 22 March 2020. Di certo, tali misure non avevano assunto a quel punto un carattere globale e coordinato, ma ciò ha a che fare con un'organizzazione completamente diversa dalle filiere globali, e con l'inesistenza i organizzazioni transnazionali come l'Organizzazione Mondiale della Sanità, e con l'esistenza di condizioni di guerra e di rivoluzione in molti paesi del mondo, ecc.

[*6] - Si veda: S. Bloodworth, "Class war in the Spanish Flu pandemic", Red Flag, 20 March 2020.

[*7] - Naturalmente, la «protezione dei dati personali» può essere revocata quando esistono preoccupazioni per la sicurezza dell'ordine capitalistico e dello Stato. Questo avviene già, per esempio, quando la polizia pubblica le foto dei dimostranti che hanno partecipato ad una rivolta, in modo che vengano identificati ed arrestati. Tuttavia, tale revoca di quella che è la protezione di una parte integrante dello «stato di diritto» democratico capitalistico, non va confusa con le pratiche dei regimi autocratici. Tutto dimostra che un simile approccio verrebbe seguito nel caso dei dati sanitari relativi al coronavirus, e che inoltre questo si baserà sulla collaborazione attiva e sul consenso dei cittadini atomizzati e «responsabili».

[*8] - Guy Debord, op.cit.

[*9] - Grupo Barbaria, "Los títeres del capital" ["Le marionette del capitale"].

fonte: Antithesi

domenica 26 aprile 2020

Rimedi!!!

La radioattività rallenta la vecchiaia
  di Anna Gandolfi -

Nel XVI secolo Paracelso teorizza: tutto è veleno e nulla esiste senza veleno, la dose fa la differenza fra effetti letali e cura. Il padre della tossicologia moderna oggi è la guida ideale della mostra Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti, fino al 2 febbraio al Museo Nazionale Atestino (Este, Padova). Tra reperti e manoscritti un’archeologa (Federica Gonzato, direttore del museo) e una scienziata (Chiara Beatrice Vicentini, docente di Storia del farmaco all’Università di Ferrara) vanno «alla radice di leggende, tradizioni, dicerie». Come la possessione demoniaca delle streghe, riconducibile a intossicazioni alimentari. Ci sono pozioni per ogni occasione: la dose, sempre, fa la differenza.

1) La pozione per volare
La prima versione della ricetta prevedeva l’uso di puerorum pinguedinem, grasso di fanciullo. Ciò che giunge fino a noi, tra fragili pagine stampate nel 1563 a Colonia, è un unguento in cui gli ingredienti principali sono invece vespertilionis sanguinem e solanum somniferum. Sangue di pipistrello e allucinogeni vegetali, come la belladonna, che possono scatenare viaggi della mente anche fatali. Giambattista della Porta non è un mago, anche se più volte viene indicato come tale (il Sant’Uffizio lo inquisisce nel 1577). Napoletano di nascita, filosofo, scienziato, amico e nemico di Galileo Galilei — cui contende la scoperta del telescopio — condensa misticismo e sperimentalismo nel Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium: un’opera di cui a Este giunge una rara versione conservata alla Biblioteca Ariostea di Ferrara. Il testo, ampliato e modificato dal 1558 all’edizione definitiva del 1589, include il rito di preparazione al sabba. Alla voce lamiarum unguenta c’è la ricetta, dettata da una megera, «per il volo in notti senza luna». Volo che della Porta già qui mette in relazione a uno stato allucinato: «Solo dopo essersi spalmate l’unguento sul corpo le streghe credono di volteggiare». Procedura: macerare, riscaldare, spalmare. Il grasso di fanciullo — che la vox populi voleva recuperato dalle tombe — doveva lenire la pelle irritata dall’intruglio. Della Porta annota solo ciò che sente ma l’accusa di negromanzia lo travolge. Nell’ultima edizione l’ingrediente (più) raccapricciante sparisce.

2) La pozione delle streghe
Il 22 novembre 1454, mentre a Ferrara governa Borso d’Este, una donna affronta il patibolo. I burocrati annotano dettagli. Nome: «Orsolina che fu de Antonio». Accusa: «Fu diabolicha affaturarixe et incantatrice». Pena: «In uno caxon de cana brusata». Orsolina è una strega, o forse solo rea d’aver irretito mariti altrui. Brucerà su un cassone di canne. Le sue tracce sono state trovate nel Libro dei Giustiziati, impietoso elenco di nomi e patimenti. Parte da qui l’analisi sulla probabile origine del comportamento di chi veniva accusato di stregoneria. Sul rogo finivano le donne, ma lo stato di alterazione toccava anche gli uomini: alla radice di tutto, infatti, ci sarebbe l’alimentazione. E, in particolare, una malattia fungina (segale cornuta) che intaccava i raccolti. Spiegano Gonzato e Vicentini: «Il problema era la claviceps purpurea, nel cui micelio si trova acido lisergico. Gli sclerozi attaccano le graminacee e, poiché gli alcaloidi resistono alla cottura, si ingerivano farine infette. L’intossicazione veniva scambiata con possessioni demoniache». Dall’acido lisergico, per sintesi, si ottiene la droga allucinogena Lsd.

3) La pozione che salva o uccide
«Le sue magnificenze conosciute/ saranno ancora, sì che ’suoi nemici/ non ne potran tenere le lingue mute». Nel Paradiso, Dante si riferisce a Cangrande della Scala (1291-1329), signore di Verona, capo dei ghibellini al Nord. E chissà se i citati nemici c ’entrano con la fine del condottiero, stroncato il 22 luglio 1329 a Treviso da un malore dovuto — secondo fonti antiche — ad acqua fredda ingerita dopo una cavalcata al sole. Fluxus ventris, la prima diagnosi. Ma la tesi del blocco intestinale non quadra: Cangrande era in buona salute. Il rovello dura 700 anni finché, nel 2004, si fa l’autopsia. Spuntano tracce di una pianta velenosa. «Cangrande è stato intossicato da un decotto a base di camomilla e gelso in cui era contenuta la digitale», sentenzia il paleontologo Gino Fornaciari, inviato dall’Università di Pisa. «I digitalici — riflettono le curatrici della mostra, che espone il bicchiere infranto da Cangrande morente — sono una vittoria nelle cure cardiache, ma devono essere impiegati in dosi molto basse». Il limite tra vita e morte è sottile. A quei tempi, però, si sapeva solo che la pianta era tossica ma curava l’edema. Omicidio o errore? Nel dubbio, il medico finì giustiziato.

4) La pozione del principe azzurro
In volo contro il muro. Nel racconto originale dei fratelli Grimm, il rospo non se la passa benissimo: si trasforma in bel giovane solo dopo aver fatto arrabbiare la principessa, che gli rifila uno spintone. Molto dopo, con un ritocco romantico, il bacio diventa chiave del cambiamento di sembianze, e vissero tutti felici e contenti. Dietro tanta fantasia, di nuovo, sta la scienza: «I bufonidi — raccontano Gonzato e Vicentini — sono rospi diffusi in quasi tutti i continenti. Se disturbati, o in pericolo, secernono dalle ghiandole parotidi una miscela di sostanze velenose». La tossina principale isolata dalla cute del bufo si chiama bufotenina. «Questa molecola sembra avere proprietà psicoattive, provoca euforia e dissociazione dalla realtà». La dama delle favole, forse, era allucinata dal bacio dato al suo rospo.

5) La pozione per la giovinezza
De’ danni che arreca alla salute del bel sesso l’uso continuo de’ belletti e l’abuso degli odori nelle toelette. Il medico Giuseppe Fantini intitola così un saggio datato 1781. Il trucco scuro dell’antico Egitto (fascinoso ma foriero di danni neurologici, perché fatto di sali di piombo e mercurio), il collirio di solanacee amato nel Rinascimento (dava «occhi splendidi» ma erano atropine tossiche a dilatare le pupille) sono due esempi. «Per secoli in cosmetica sono stati usati prodotti apparentemente innocui. Solo nel Settecento ci si è interrogati sui problemi. Un inizio, non un limite»: da qui parte l’analisi delle curatrici sulla cosmesi. L’uso di tossine animali impazza: lumache marine, serpenti, scorpioni. «Le potenzialità rilassanti dei veleni sulla muscolatura sottocutanea riducono le rughe: si diffonde così l’uso di ceppi del batterio clostridium botulinum, del veleno di cobra (cobratossina), del più letale scorpione iraniano ( buthotus schach) o della vipera tropidolaemus wagleri. Una conotossina, isolata dal gasteropode marino conus consors, è stata applicata in crema all’1%: elimina le rughe dell’80%». Ma la pozione della giovinezza non include solo veleni animali, confermano le pubblicità di elisir radioattivi. Nel ’21 il dottor Charles Davis di Chicago sentenzia sull’«American Journal of Clinical Medicine»: «La radioattività è l’essenza stessa della vita, previene la pazzia, stimola le emozioni nobili, ritarda la vecchiaia e crea una splendida, lieta vita giovanile». Pronti, via: ecco sul mercato la saponetta Radia, lanciata nel ’23 da una ditta torinese con manifesto firmato da Achille Luciano Mauzan, o la cipria con lo stesso nome, «per una bellezza impareggiabile». Sulle confezioni una lista di ingredienti che oggi ha dell’incredibile: titanio, radio, torio.

di Anna Gandolfi - Pubblicato sul Corriere del 15/12/2019 -



sabato 25 aprile 2020

Vivere l’Impossibile

«Un altro mondo è possibile e può essere raggiunto molto presto»
- di John Holloway -

- 1 - L'impasse.
Qualsiasi sistema di dominio tende a riprodursi attraverso un modus vivendi, un riconoscimento di quelli che sono i due aspetti della forza dell'altro. Di solito non ci rendiamo conto di questo modus vivendi, esso fa semplicemente parte della quotidianità. È come quell'elemento morale che, secondo Marx, rientra nella definizione del valore della forza lavoro: si tratta di alcune aspettative riguardo a ciò che è necessario per la riproduzione della vita. Si traduce anche in un concetto di civiltà, di dignità, di ciò che consideriamo accettabile, o civile nella vita di ogni giorno. È ovvio che questo vari da un luogo all'altro e da un gruppo sociale all'altro, ma tuttavia, in ogni momento esiste sempre un equilibrio di forze sociale, un'idea di ciò che ci aspettiamo dalla vita. Per entrambe le parti, questo modus vivendi è una lotta continua. Da un lato, l'esistenza del capital dipende dalla costante intensificazione dello sfruttamento, e dalla frenetica riduzione del tempo richiesto per produrre le merci. L'esistenza del capitale, in altri termini, è un continuo attacco a quelli che sono i modelli consolidati delle relazioni sociali. C'è sempre una resistenza, sia sotto la forma di un'azione sindacale, di un movimento di resistenza, del sabotaggio, della malattia, del tempo dedicato a giocare con i figli e con i nipoti, qualsiasi cosa: azioni consapevoli, o inconsce motivate dal desiderio di poter mantenere, di migliorare oppure, soprattutto, di determinare lo stile di vita.
La contrapposizione tra le esigenze del capitale e la resistenza umana, tende ad esprimersi in una caduta del coefficiente di profitto. In tal caso, il capitale (attraverso quelli che sono i diversi capitali, dal momento che in generale non si tratta di un'azione coordinata) si scaglia con impeto maggiore contro i modelli di vita consolidati. In questa situazione, il capitale può avere successo o meno. In molti casi riesce ad imporre cambiamenti drammatici nell'equilibrio della vita: la Grecia dopo il 2011, il Messico negli anni '70, i paesi della ex Unione Sovietica dopo la sua caduta, l'Argentina ripetutamente e più volte. Ma nel caso non riesca a spezzare la resistenza, dispone di un'altra via d'uscita. Può fingere il contrario. Può camuffare la propria incapacità di incrementare sufficientemente lo sfruttamento, aumentando i suoi profitti attraverso il debito. Indebitandosi, può anticipare la creazione futura di plusvalore, o meglio può scommettere su quella che sarà la futura creazione di plusvalore, in modo da attenere così profitti. Il modus vivendi, il modello consolidato delle relazioni sociali, si trasforma a questo punto in un vicolo cieco, in una situazione che non può più essere risolta. La costante ed enorme espansione del debito, avvenuta a partire dagli anni '70, indica che ci troviamo in presenza di un'impasse di questo genere. Nonostante tutta la forza messa in campo, in tutto il mondo, dall'attacco «neoliberista» alle condizioni di lavoro e di vita, ciò che è stato ottenuto dal capitale non ha eliminato la resistenza che ostacolava la redditività. Perciò, ci si continua ad infilare sempre più in un mondo fittizio in cui i profitti apparenti non hanno alcuna base materiale in quella che è la produzione di valore.
L'espansione del debito ha un aspetto inconscio ed un aspetto cosciente. Da una parte, è semplicemente l'azione di tutti i capitali (e anche di tutti gli individui) che cercano un modo di sopravvivere o (nel caso dei capitali) di aumentare i loro profitti. Dall'altro lato, si tratta dell'azione cosciente degli Stati che creano (attraverso la loro spesa, la politica fiscale) o incoraggiano (con le politiche monetarie) la creazione del debito. Sostanzialmente, l'intervento dello Stato è il riconoscimento dell'impasse sociale, il riconoscimento di una resistenza che non può essere superata. Resistenza che si esprime attraverso le lotte sindacali e di ogni altro tipo. Sebbene venga espressa attraverso l'opinione pubblica e ola democrazia. La democrazia può servire ad indicare quali sono i limiti che ha il capitale  nel ridefinire il modus vivendi. Serve come un «fin qui». Questo è importante, perché ogni attacco condotto dal capitale contro la socialità consolidata è una scommessa, un gioco di morte. Il capitale si deve domandare: «Posso imporre davvero i cambiamenti di cui ho bisogno, o finirò per perdere il controllo sociale ?»  A volte gli succede di esagerare e di rischiare di perdere il controllo: Argentina 2001-2002, Grecia nel 2008, Cile, lo scorso anno. Le elezioni aiutano il capitale nella sua capacità di misurare le possibilità, ma non necessariamente. La forza della resistenza -  la quale costituisce l'impasse del capitale e lo spinge sempre più in quello che è un mondo simulato, fragile ed instabile - non è limitata perciò solo alla militanza e all'anticapitalismo cosciente. Non è solo un'insubordinazione, ma piuttosto una non subordinazione, una mancanza di subordinazione che si esprime nella quotidianità di quelle che sono le nostre abitudini e le nostre aspettative.
La crisi finanziaria del 2008/2009 mostra la forza dell'attacco capitalistico, e allo stesso tempo mostra anche quale sia la forza dell'impasse. La crisi finanziaria, le misure statali per contrastarla e le politiche di austerità imposte per pagare quelle misure, hanno avuto un enorme impatto in tutto il mondo. La perdita della casa, la disoccupazione, i tagli ai servizi sanitari così evidenti in questo momento, i tagli all'istruzione, l'eliminazione delle opportunità per i giovani, l'aumento della violenza: tutto ciò è ben documentato (McNally, per esempio) e si traduce nella crescita di una rabbia sociale che, da un lato, si esprime in tutte le lotte sociale del 2011 e degli ultimi due anni, ma dall'altra  anche nell'emergere della destra nazionalista in molte parti del mondo.
Ma se pensiamo al 2008 come ad una crisi, non cogliamo il pericolo insito nella situazione attuale. Si è trattato di un'importante ristrutturazione del capitale e del modus vivendi sociale, ma allo stesso tempo è stata anche un'operazione di salvataggio senza precedenti, per evitare quella che sarebbe stata una ristrutturazione ancora più violenta del capitale e delle condizioni di vita. È stato un momento di panico in cui lo Stato americano e tutti gli Stati hanno speso somme enormi per evitare un collasso finanziario globale e poi, attraverso le politiche di Quantitative easing, mantenere il flusso di credito, e quindi la sopravvivenza delle società bancarie e non bancarie. Si è reso evidente quale sia il principio che guida l'azione statale, e che appare ancora più evidente in questa crisi attuale: mantenere in vita i molteplici capitali per tenere in vita l'ordine sociale; se vanno a pezzi i capitali, ci troviamo di fronte il caos sociale. Bisogna riconoscere che la crisi finanziaria del 2008/2009 è stata una combinazione tra imporre una ristrutturazione e, allo stesso tempo, evitare la ristrutturazione, riconoscendo così la forza dell'impasse sociale. Ciò è importante perché, nella situazione attuale non è certo che questa impasse che costituisce la base della nostra quotidianità possa essere mantenuta.

- 2 -
Tuttavia, non sono ancora chiare quali siano le dimensioni economiche della Corona-krisis, anche se tutto sembra indicare che sarà la più grave degli ultimi 90 anni. Possiamo vederla in 3 fasi:
La prima può essere compresa nei termini del valore d'uso. Il virus ha avuto come effetto quello per cui le persone non vanno al lavoro, ed in particolare che certi tipi di attività ne sono state particolarmente colpite: turismo, linee aree, ristoranti, ecc. Come effetto inevitabile, il prodotto cala, siamo tutti un po' più poveri ma poi torniamo a lavorare e recuperiamo le perdite. In un altro tipo di società non ci sarebbero problemi per ripartire le perdite causate dalle settimane di ozio forzato. Per niente, la vita continua. Le cose si complicano dal momento che ci troviamo in una società capitalistica e l'attività dipende dai profitti. Nell'attuale situazione di emergenza, molte imprese non riusciranno a sopravvivere e ci sarà molta disoccupazione, soprattutto in quelle aree più direttamente colpite. Quando finirà la quarantena, tali imprese non esisteranno più, e nemmeno quei posti di lavoro. In realtà, le cose sono ancora più complicate di così perché la base del capitalismo moderno è il credito, e prima della comparsa del coronavirus il mondo si stava già incamminando verso una crisi creditizia. Negli ultimi 40 anni c'è stata in tutto il mondo un'enorme crescita del credito. Ciò significa che la riproduzione del capitale è sempre più simulata, ed è un'accumulazione di quote e di titoli a partire da una parte di plusvalore che non è stato ancora prodotto. Il risultato è un capitalismo aggressivo e instabile, in cui tutti si litigano un plusvalore futuro che probabilmente non verrà mai prodotto. La crisi del 2008, è stata il risultato di questa situazione, senza che però l'abbia risolta. Il credito ha continuato a crescere. Nella situazione attuale, tutto questo significa che il problema per le imprese non è esattamente quello che non si stanno realizzando dei profitti, ma piuttosto che non possono pagare quelli che sono i loro debiti. E se non possono pagare i loro debiti, non possono ottenere più credito e quindi non possono pagare stipendi, né affitti, né tasse. Non c'è solo il pericolo di fallimento di alcune imprese, ma quello dell'intero sistema interconnesso di debitori e finanziatori. Non è esattamente com’era nel 2008, perché sembra che la situazione delle banche sia più sicura ora rispetto a 12 anni fa, però le società non finanziarie sono fortemente indebitate. Se le imprese non possono pagare i loro debiti, questo si ripercuoterà anche sulla stabilità delle banche. Per questo motivo, gli enormi interventi statali delle ultime settimane si sono concentrati soprattutto sul mantenimento del sistema creditizio. in modo che le grandi e le medie imprese, e fino ad un certo punto anche quelle piccole, possano continuare a pagare i loro debiti e ottenere così credito. Un esempio estremo di tutto questo, è la decisione della Fed (la Banca centrale statunitense) di comprare anche i cosiddetti «junk bond» [titoli spazzatura], cioè acquistare debiti che sicuramente non verranno onorati per mantenere il flusso di credito. Questi enormi interventi che rompono con tutta l'ortodossia finanziaria, sono estensioni di quello che è il debito globale, vale a dire, del carattere fittizio dell'accumulazione. Sono motivati non solo dal desiderio di proteggere i loro amici capitalisti (il che è senz'altro vero), ma soprattutto dalla paura che se si rompe la macchina del capitale, si romperà anche l'ordine sociale che su di esso si basa. In questa situazione di panico, si giustifica tutto: si dimentica la questione del rischio morale, si dimentica tutto il timore ortodosso di rompere l'equilibrio del bilancio statale, di minare la solidità del denaro. Ciò che ancora non sappiamo, è se questi interventi statali senza precedenti saranno sufficienti. C'è il pericolo di un'ondata di mancati pagamenti talmente grande che tutto il credito che viene offerto dalle banche centrali non sarà sufficiente per la copertura di tutto il sistema. Potrebbe essere che gli Stati non abbiano più risorse per poter contenere la crisi. Si tratta di una preoccupazione espressa dai commentatori che comprendono queste cose assai meglio di me (per esempio, Mackenzie sul Financial Times del 18 aprile).

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In alcuni paesi, si sta già parlando di abolire le misure di quarantena e di tornare alla normalità. La normalità che si delinea sarebbe una combinazione di crisi-e-di ristrutturazione, da un lato, e di salvataggio-e-prolungamento-rimando della crisi, dall'altro. Come nel 2008/2009, ma su scala maggiore, con un'immediata maggiore sofferenza, e con dopo un capitale molto più indebitato o fittizio, con tutto ciò che questo implica in termini di stagnazione economica, austerità sociale (visto che qualcuno dovrà pagarlo, il debito pubblico), fragilità finanziaria, continuazione della distruzione della natura, ricorrenza di pandemie, aumento del nazionalismo, tendenza alle guerre, ecc. La normalità della morte, della corsa verso l'estinzione.
E in tutta questa storia dove sta la speranza? Dove si trova la speranza in questa narrazione? La base teorica di tutta l'argomentazione dovrebbe essere la speranza, ma dov'è?
L'argomentazione è la seguente: la crisi del capitale siamo noi. Dev'essere così, dal momento che la crisi del capitale è qualcosa di esterno a noi, siamo noi ad esserne le vittime. E per le vittime non c'è alcuna speranza se non l'intervento di un salvatore esterno, e noi questo non lo vogliamo. Quindi, siamo la crisi del capitale, e la crisi è espressione della nostra forza. Questo lo si può vedere nell'impasse degli ultimi anni e nel fatto che il capitale si può riprodurre solamente in maniera fittizia. La nostra forza, la resistenza della vita quotidiana, coincide con la malattia cronica di un capitalismo malato. Ma se il risultato di tutto questo è la situazione attuale, allora non possiamo non porci la domanda: non sarebbe meglio trasformarci in robot conformisti e vivere così felici per sempre? Non sarebbe meglio dimenticare qualsiasi resistenza e diventare macchine? Ovviamente, tutto ciò che attiene al confinamento e alla quarantena ci sta dando l'addestramento necessario ad essere dei soggetti totalmente obbedienti. In questo modo non ci sarebbe nessuna crisi e tutti potremmo vivere tranquilli. Senza speranza, naturalmente, senza resistenza e senza crisi. Se non siamo ancora pronti a trasformarci in robot, allora bisogna pensare a come destabilizzare o abbattere questa normalità di morte. Abbiamo già viso quella che è una forza di destabilizzazione, ma che non ci favorisce. Può darsi che il salvataggio statale dei capitali fallisca, o che le risorse statali non siano sufficienti a riuscire a tenere in piedi il mondo fittizio del credito. Ciò significherebbe un'enorme intensificazione dell'attacco che verrebbe portato contro l'attuale impasse, con conseguenze difficili da immaginare. Potrebbe provocare milioni di morti e di disoccupati, a Stati ancora più autoritari, a condizioni che oggi consideriamo sub-umane, e che colpirebbero gran parte della popolazione mondiale. La situazione descritta da Arundhati Roy, che riguarda il caso dei poveri in India, diverrebbe la norma. Certo, è possibile, ma non credo che l'impasse attuale venga superata così facilmente. Un'altra possibilità, è quella che la nostra resistenza esca rafforzata dall'attuale crisi. Potrebbe essere che sia in gestazione una sorta di «fin qui!», un «ora basta col neoliberismo!» che ridefinisca a nostro favore quel che è il modus vivendi. Ciò implicherebbe l'abbandono del neoliberismo, un'enfasi maggiore sui servizi sanitari ed un miglioramento dei servizi sociali dello Stato, una ridistribuzione del reddito, più tasse per i ricchi, misure per fermare la distruzione della natura, possibilmente un reddito universale di base. Sarebbe un capitalismo dal volto meno aggressivo, una riformulazione del modus vivendi, un riconoscimento dell'impasse che sarebbe simile al Keynesismo. Mi sembra difficile che avvenga, a causa della situazione attuale in cui versa il capitalismo, però è possibile che la reazione politica alla pandemia imponga alcuni elementi, come il miglioramento dei servizi sanitari, alcune restrizioni circa il maltrattamento degli animali, eventualmente alcune misure per promuovere una redistribuzione dei redditi. Significherebbe anche un ritorno alla normalità della distruzione, ma forse una normalità con altre caratteristiche. La cosa interessante in questa proposta, è che essa si schiera dalla parte delle «brave persone» (categoria che prendo da Néstor López), dalla parte delle persone che non sono contro il capitale, ma che però vogliono vivere in una società più giusta.

- 4 - Prospettive per noi.
- a) - Il termine «le brave persone», nella nostra tradizione, spesso ha una connotazione dispregiativa o ironica. Sono quelle persone che hanno votato per AMLO [Andrés Manuel López Obrado, presidente del Messico], per Syriza in Grecia, per i Kirchner in Argentina. Sono persone che vogliono un mondo più giusto, ma che però non vogliono pensare che il mondo di cui sono alla ricerca sia incompatibile con il capitalismo. Sicuramente ci sono brave persone di questo tipo nelle nostre famiglie, tra i nostri amici. Bisogna superare la distanza che un simile termine implica. L'essenza delle brave persone consiste nel fatto che sono contro il neoliberismo, ma non sono contro il capitalismo. Non sappiamo fino a che punto questa visione verrà messa in discussione a partire da quella che è l'esperienza attuale. È possibile che molte persone mettano in discussione il neoliberismo, che colleghino il neoliberismo con il deterioramento dei servizi sanitari, con la mancanza di preparazione per poter affrontare una pandemia, da parte dello Stato, con il deterioramento del rapporto che abbiamo con gli animali selvatici, e con la perdita di biodiversità, e con la crisi economica. Pertanto è del tutto possibile che abbia luogo un aumento di quelle che sono le brave persone anti-neoliberisti, e che questo vada a costituire una base sociale per realizzare quel nuovo contratto sociale cui aspira il Financial Times. Quel che ci interessa di più, sono le persone che possono andare oltre la critica del neoliberismo per arrivare ad una critica del capitalismo. Abbiamo parlato di uno smascheramento del capitale, visto come un aspetto importante della situazione attuale, Quando parliamo di smascheramento (o di de-feticizzazione) stiamo parlando di noi che sappiamo già che il capitalismo è una catastrofe: e necessariamente stiamo parlando di una ridefinizione delle brave persone. Stiamo parlando della possibilità che l'attuale esperienza del coronavirus faccia comprendere a queste persone che il problema non consiste solo semplicemente nelle politiche adottate negli ultimi quarant'anni, ma nella dinamica stessa del sistema capitalistico. A questo punto, emergono in evidenza due punti. A chi stiamo parlando? E qual è la storia che vogliamo loro raccontare? In questo momento nel quale tutto è come sospeso, non ha molto senso parlare soltanto ai convertiti (questa qui è un'eccezione). Non ha molto senso dire a noi stessi che cosa sia il capitalismo (aggiungendoci, o meno, a suggello, «stupido») visto che già lo sospettavamo ancor prima di imparare la parola «coronavirus». Se vogliamo che l'esperienza del virus possa aprire un portale verso un altro mondo, allora dobbiamo riferirci alla brave persone, alle persone critiche, e ai loro figli. È a loro che diventa importante dire «non è semplicemente neoliberismo, si tratta di capitalismo».  Qual è la storia che vogliamo raccontare? Essa deve andare al di là di quella che può essere la critica a Trump, o a Boris Johnson, o all'incuria dei servizi sanitari. Tutte queste cose sono importanti, ma ritengo che oggi ci siano due punti centrali che vanno esplorati, per noi e per le brave persone.
Il primo punto è il fatto che il coronavirus è un prodotto del capitalismo. Fa parte del capitalocene, della distruzione del pianeta causata dall'organizzazione capitalistica dell'attività umana. È assai probabile che l'attuale pandemia verrà seguita da altre, nei prossimi anni, dal momento che ci troviamo già di fronte a quella che potrebbe essere la prima fase dell'estinzione umana. Non è il prodotto delle politiche neoliberiste, ma piuttosto della dinamica capitalistica. Non è qualcosa di separato dal riscaldamento globale, ma è parte della medesima distruzione delle condizioni di vita umane. Questa narrazione è stata svolta in maniera molto convincente da almeno due articoli che ho letto: uno è di Rob Wallace, dal titolo "Covid-19 e i circuiti del capitale", e l'altro è un ottimo articolo di Jérôme Baschet, "Il XXI secolo è iniziato nel 2020 con l’entrata in scena del Covid-19".
Il secondo punto è che la crisi che è ancora agli inizi (ma spero di sbagliarmi) non è il prodotto né del virus né delle misure adottate per contenerne gli effetti, ma è una crisi del capitale. Questo argomento, che viene qui solo delineato, mi sembra importante poiché è molto probabile che l'esperienza di questi tempi per moltissime persone non sarà solo quella della quarantena e dell'angoscia per la salute, ma piuttosto sarà quella della difficoltà della riproduzione materiale della vita. A partire da questi due punti, appare evidente che quello che stiamo vivendo è il fallimento della riproduzione mercantile o capitalistica della vita. Tutto questo, per noi che stiamo leggendo questa narrazione, è chiaro, ma mi chiedo se esista una maniera perché venga compreso in maniera più generale, come se ci fosse un sentire comune prodotto da questa crisi.

- b) - Tuttavia, manca ancora la parte più difficile. Sebbene rimanga chiaro che il capitalismo deve essere abolito, dobbiamo mostrare come sia possibile creare qualcos'altro, un'altra forma di società. Per questo, abbiamo tre risposte, o quanto meno tre punti di partenza. Il primo punto attiene a tutte le forme di solidarietà che si stanno esprimendo dappertutto. Altrove, ho citato esempi relativi a Medellín [in Colombia] e ad altre comunità indigene. Per un esempio impressionante, si veda: "Francia: luchar contra el coronavirus desde abajo a la izquierda". Queste forme di solidarietà potrebbero svilupparsi verso un qualche tipo di «economia morale», una forma di attività economica che emerge a partire dalle esperienze delle persone, e che corrisponde alle loro necessità. Il secondo è un punto che viene sottolineato da Jérôme Baschet: la forza delle lotte degli ultimi due anni in tutto il mondo, lotte che esprimono la perdita di legittimità dei governi, lotte che in modi diversi proclamano «Ora basta! Assumiamo noi il controllo!». Possiamo pensare, tra gli altri, al movimento delle donne contro la violenza, a quello dei giovani contro il riscaldamento globale, ai movimenti in Cile, a Hong Kong, in Ecuador. A questi movimenti recenti, vanno aggiunti tutti quei movimento che avevano già molta esperienza nella creazione di altri mondi: i curdi, gli zapatisti e molti molti altri, grandi e piccoli. Il terzo punto, ha a che fare con l'esperienza attuale. Stiamo già vivendo l'impossibile. Tutti questi anni passati a dire che «un altro mondo è possibile» ed ecco che all'improvviso ci troviamo già in un altro mondo. Non è proprio esattamente il mondo che volevamo, però reca in sé degli elementi del mondo desiderato. Tutt'ad un tratto non stiamo più scaldando il pianeta, non stiamo più inquinando l'aria come facevamo prima, non passiamo più ore ed ore al giorno stipati come sardine sulla metro o sull'autobus. Sì, un altro mondo è possibile e può essere raggiunto molto presto.

- 5 -
Un punto che è emerso nell'ultimo seminario, pone la domanda riguardo a se si possa comprendere il confinamento attuale come se fosse una pentola a pressione, dove si accumulano la frustrazione e la rabbia. Ci sono molti indizi che depongono in questo senso. La forza e le possibili conseguenze di questo accumulo di pressione, sono cose di cui si sta tenendo conto per fissare le date di riapertura. Pressioni economiche, da parte dei piccoli capitalisti, ma anche da parte di persone che devono uscire, e vendere la propria forza lavoro per poter vivere quotidianamente, e pressioni dovute alla frustrazione sociale. Si è discusso se le turbolenze che possono avvenire contro il confinamento statale possano essere considerate come un possibile portale verso un altro mondo. Per il momento, sembra che le turbolenze provengano principalmente dalla destra e soprattutto negli Stati Uniti, da persone che sostengono che l'attività economica dovrebbe avere priorità sulla salute. Ma la cosa non è del tutto chiara, e la situazione può variare molto da un luogo all'altro e nelle prossime settimane.

- John Holloway - Pubblicato il 21 aprile del 2020 su Comunizar -