Epidemia economica: Covid-19 e crisi capitalistica
- di Maurilio Lima Botelho - Pubblicato il 2/4/2020 -
- I -
La spiegazione di tutto questo è assai semplice: la preoccupazione per il contagio da coronavirus ha ridotto la circolazione delle merci e, in alcuni punti, ha causato perfino dei blocchi. Il primo atto del governo cinese per evirare il diffondersi del virus è stato quello di chiudere i mercati nella provincia di Wuhan, riducendo in tal modo i punti vendita. Ben presto la preoccupazione si è stesa ai mezzi di trasporto, soprattutto a quelli di massa (treni, metropolitana). In diverse parti del mondo, ad esempio in Corea del Sud e in Portogallo, quando si è scoperto che c'era uno o più dipendenti affetti dalla malattia, le fabbriche sono state chiuse per la disinfezione. Ci sono porti giganteschi che hanno difficoltà a sbarcare e distribuire le merci che arrivano da altri paesi: a metà febbraio, migliaia di container pieni di carne congelata sono stati bloccati nei porti cinesi. Ci sono notizie da tutto il mondo che parlano di interruzione della produzione elettronica a causa della mancanza di componenti provenienti soprattutto dalla Cina e dalla Corea. Un economista sempre pronto a rilasciare commenti alla stampa, ha dichiarato che «potrebbe essere necessario limitare la circolazione delle merci» [*1]. Quale sia la gravità della situazione, può essere valutato a partire dalla decisione delle autorità cinesi di disinfettare le banconote per mezzo della luce ultravioletta, se non addirittura di arrivare a distruggere il denaro per eliminare il rischio di contagio [*2].
Il modello di circolazione sanguigna di William Harvey, elaborato nel 17° secolo, ha dimostrato il ruolo di pompaggio che ha il cuore e come la salute degli organi dipendesse da un'adeguata circolazione sanguigna. Una simile visione è stata fondamentale per la teoria dei flussi aggregati di François Quesnay ed è servita per comporre un'immagine del capitalismo visto come un grande sistema di movimentazione della ricchezza, al punto che è la dinamica stessa della circolazione ad essere assunta come qualcosa che sia più importante della produzione; anche se, ovviamente, la ricchezza che è stata prodotta in una determinata parte della società, sarà poi la buona circolazione di questa ricchezza che caratterizzerà il capitalismo come la società più perfetta e razionale che sia mai esistita. In questo modo, il libero flusso della merce, del denaro, del reddito, ecc. ha permesso che la società venisse irrigata dalla ricchezza in ogni suo angolo, e questo stimolerebbe ulteriormente la produzione.
Tanto nella forma del Tableu Économique de Quesnay - che viene ancora usato in agricoltura come unica fonte di ricchezza - quanto nella forma del laisse faire di Adam Smith, la centralità della circolazione è stata fondamentale nella nascente struttura dell'economia politica e alla base di uno dei suoi ideologemi che viene ciecamente ripetuto fino all'esaurimento: solo la libertà mercantile, la libera circolazione, insomma, il libero mercato può condurre l'umanità in un'era di ricchezza senza limiti. Qualsiasi ostacolo alla circolazione bloccherebbe le qualità del macchinario capitalistico: sia William Harvey che François Quesnay, entrambi medici, consideravano macchine, rispettivamente, l'organismo corporeo e l'organismo economico.
Naturalmente, nonostante le apparenti somiglianze, non si tratta altro che di un'auto-legittimazione borghese a buon mercato che naturalizza l'economia nel contempo in cui oggettivizza la natura come macchina. Serve soprattutto a fissare nella dinamica circolatoria quello che è un equilibrio immanente, e stabilire quindi il fatto che qualsiasi blocco nel flusso di merci e di denaro sia un'interferenza indebita esterna che deve essere rimossa. Ragion per cui, ogni crisi dev'essere vista come se fosse un'interferenza da parte di un elemento esterno in quella che la macchina ben lubrificata del mercato. La profonda crisi economica che si forma all'orizzonte attuale è il risultato ... di un virus.
Non è la prima volta che la causa della crisi economica viene individuata in elementi estranei ai processi economici di base; a partire dal presupposto circolatorio perfetto, qualsiasi evento o cosa può essere ritenuta responsabile. La storia stessa delle crisi potrebbe essere ricostruita per mezzo di queste false attribuzioni. La crisi dei sub-prime del 2008, per esempio, è stata colpa dei poveri che hanno contratto dei mutui senza che fossero in condizioni di pagarli (oppure, nella sua versione antisemita, è stata provocata dalle avide istituzioni che fornivano credito immobiliare a chiunque). La crisi della new economy, nel 2000, era stata causata dalla falsificazione dei bilanci da parte di alcune imprese dot-com. La crisi del 1974 è stata causata dall'OPEC, che l'anno precedente aveva diminuito la produzione di petrolio. Gli esempi non mancano e i neoliberisti trovano continuamente motivi per dare la colpa allo Stato, sempre con la sua mania autoritaria di interferire dall'esterno sul mercato. In questa versione, per esempio, la crisi del 2008 è stata il risultato degli incentivi creati dal governo Clinton, che ha introdotto il credito immobiliare per le popolazioni più povere, tradizionalmente estranee ai finanziamenti. Milton Friedman è arrivato perfino a stabilire, in un'interpretazione che pretendeva di confutare quelli che fino ad allora erano stati tutti i teorici, che la crisi del 1929 era stata provocata dalla creazione della Fed e dalle politiche che essa aveva adottato nel tentativo di regolare il mercato [*3]. Ed in ultimo, in quello che è il più famoso caso di esagerazione, l'economista Stanley Jevons ha sostenuto in un articolo del 1875 che le instabilità nell'offerta di materie prime erano relazionate alle variazioni delle macchie solari, che in ultima analisi erano responsabili delle crisi commerciali dal momento che incidevano sui prezzi delle materie prime [*4]. Con i coronavirus si ripete ancora una volta la costante esternalizzazione delle cause. Per quanto sia motivo di grande preoccupazione, il virus è ben lungi dall'essere la ragione della crisi.
- II -
Solamente il positivismo, sedimentatosi come forma comune di pensare, può ritenere che un virus possa essere visto come causa di una crisi economica: la prigionia cognitiva in un mondo di fatto articolato a partire da cause ed effetti immediati, è parte della struttura meccanica astratta della scienza moderna. Nei suoi studi di economia politica, Karl Marx ha ben presto compreso come non fossero le carestie, le politiche monetarie, gli aumenti salariali, le variazioni nell'offerta di oro ed argento, la speculazione finanziaria ecc. le cause della crisi. Persino tutti questi eventi di natura economica non sono altro che «fenomeni» di perturbazione, «sintomi» che esprimono quelle che sono le contraddizioni più profonde dell'economia di mercato e che, proprio per questo, possono essere concretamente dei catalizzatori che fanno detonare i processi critici già in atto. Essi formano, pertanto, la «causa» di una crisi solo nel senso classico di essere una miccia del collasso economico: solamente a partire da una comprensione delle strutture interne ed esterne al mercato, delle sue categorie fondamentali e delle sue espressioni apparenti, può essere superata la brutale empiria del collegamento tra gli eventi.
Nonostante la sua grande considerazione per il modello dei flussi circolari di ricchezza del Tableau di Quesnay, Marx lo ha usato come un parametro per comprendere che l'inesorabile natura dell'espansione e della diffusione della circolazione capitalistica si basava sulla dinamica di una produzione sempre più accelerata: sarebbe stato ridondante spiegare la natura espansiva del capitalismo attraverso il suo processo circolatorio. La dinamica di crescita del capitale è il risultato esteriore, la manifestazione storica di quella che è una logica interna più profonda ed essenziale: l'accumulazione senza fine della forma valore. La moltiplicazione di denaro sotto forma di profitto, già chiaramente riconosciuta dall'economia politica inglese classica, è la manifestazione immediata della produzione incessante di valore attraverso il lavoro e, dal momento che tale dinamica funziona unicamente in questo regime di costante ampliamento, ecco che l'espansione della base circolatoria non può essere altro che il risultato della necessità stessa di ampliare lo sfruttamento del lavoro. Ragion per cui, quanto maggiore è l'afflusso di lavoro per mantenere il sistema in una dinamica di profitto, tanto maggiore è la ricchezza prodotta che dev'essere messa in circolazione e tanto maggiore è la struttura messa in piedi per la movimentazione di tutta questa ricchezza.
Ma in questa società non è solo la dimensione assoluta della circolazione a seguire un trend crescente; ma, affinché fluisca la ricchezza, cambia anche quella che è la sua qualità stessa: oltre a percorrere distanze maggiori (vale a dire, una base di circolazione più ampia, che possa guadagnare tutto il pianeta), l'espansione capitalistica altera periodicamente anche i modi in cui circola la ricchezza, accelerandone i flussi. L'ossessione circolatoria del capitale tende progressivamente a comprimere lo spazio e il tempo (David Harvey), facendo sì che la ricchezza possa muoversi istantaneamente da un emisfero all'altro, ignorando perfino i limiti del giorno e della notte.
A questo punto, l'immagine del blocco provocato dal coronavirus salta agli occhi: gli sforzi per contenere il virus agiscono proprio contro questa intensa integrazione generata dalla «circolazione globale del capitale» e interessa aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, grandi mercati ecc. Le ripercussioni si fanno ben presto sentire dovunque, e questo non perché il locale sia collegato al globale, ma perché, con il capitalismo, le «condizioni di produzione hanno la loro origine nel mercato mondiale» (Marx) [*5], il quale mercato è il garante iniziale e finale di tutto il processo di circolazione. Tuttavia, anche se la crisi è una «interruzione della circolazione» (Marx), non è di per sé essa il fenomeno immediato che ha bloccato i flussi per mezzo della crisi, ma sono state le contraddizioni che si sono accumulate internamente e che vanno al di là di quelle che sono le barriere infrapposte alla circolazione. Nel 1855, Marx osservava che una crisi commerciale negli Stati Uniti non era stata la causa della contrazione economica che aveva colpito l'economia inglese, dal momento che nei due casi «la crisi avrebbe potuto essere ricondotta ad una medesima fonte: il letale funzionamento del sistema industriale inglese che causa[va] la sovrapproduzione in Gran Bretagna e la sovra-speculazione in tutti gli altri paesi» [*6]. Vale a dire, la produzione inglese era «la più alta espressione del mercato mondiale», e possedeva nel suo ventre contraddizioni radicalizzare che erano state investite e rivelate dalla crisi commerciale originatasi dall'altra parte dell'oceano, sul suolo nordamericano. Ovviamente, il nostro attuale livello economico è assai lontano rispetto all'epoca di Marx, ma può essere stabilita la stessa relazione: il coronavirus ha solamente evidenziato quelli che sono i problemi strutturali della produzione capitalistica avanzata. Non è a caso che, prima del Covid-19, la motivazione prevista per il nuovo cicli di crisi fosse la decelerazione cinese: il ritardo del governo cinese nel riconoscere l'esistenza di una nuova epidemia, si è verificato proprio a fronte del timore che il rendimento economico del paese potesse peggiorare ulteriormente. Sono almeno due anni che i conflitti commerciali tra Stati Uniti e Cina provocano periodiche turbolenze sul mercato, a causa delle tensioni accumulate, e molti analisti hanno attribuito la responsabilità della possibilità di un nuovo crollo al «nazionalismo economico» di Trump. Il coronavirus non è responsabile dell'epidemia economica che si sta sviluppando, ma è solo l'innesco di una crisi che è in processo da anni nell'economia mondiale.
A partire dagli anni '70, una crisi strutturale del capitalismo originata dalla Terza Rivoluzione Industriale ha trasformato quella che era la logica contraddizione interna del capitale - il fatto che si basasse sulla produzione di ricchezza astratta per mezzo del lavoro, e, inversamente, sulla sua tendenza ad espellere la forza lavoro dal processo produttivo - in un limite oggettivo al suo sviluppo. Dal momento che le nuove tecnologie generano più economia lavorativa di quanto i mercati, nel loro espandersi, sono capaci di crearne, ecco che comincia ad indebolirsi quello che è il cuore dell'economia capitalistica: la produzione di valore. A partire da quel momento, sono stati utilizzati tutta una serie di meccanismi volti a compensare i profitti sempre più ridotti della produzione capitalistica, soprattutto scambiando i guadagni derivanti dalla produzione con i proventi derivati dal mercato finanziario. Il potenziamento della «macro-struttura finanziaria» è stato un risultato della crisi strutturale, poiché solo gli interessi ottenuti attraverso la narrazione fantastica della ricchezza avrebbe potuto mantenere in circolazione il capitale globale. Il crescente debito pubblico, la bolla dei mercati immobiliari, la bolla dei mercati azionari, la sfrenata emissione di denaro da parte delle banche centrali e l'indebitamento dei consumatori sono alcuni dei dispositivi attuati negli ultimi decenni per mantenere un'apparenza di vitalità dell'economia: vale a dire, mantenere in circolo il capitale. Comunque, questi meccanismi hanno innescato ancora più instabilità, piuttosto che solidità economica, e i loro effetti sono ben noti: tracollo di intere nazioni, fuga dei capitali dalle economie in difficoltà, una forte svalorizzazione monetaria, scoppio di bolle. fallimento generalizzato di banche e di imprese. A partire dall'ultimo grande round di crisi mondiale, ne 2008, tutti questi meccanismi sono stati azionati simultaneamente, ma non è stata ottenuta alcuna soluzione duratura. Forse 12 anni possono sembrare un lungo ciclo di «mitigazione» della crisi, ma bisogna ricordare che in questo intervallo ci sono stati altri eventi catastrofici sul mercato mondiale, come la crisi del debito sovrano europeo e lo scoppio della bolla delle materie prime, che ha portato nuovamente alla ribalta la periferia del capitalismo. Non c'è stato alcun ciclo di prosperità, ma solo un'amministrazione disperata di quelli che sono i processi critici [*7]. Ora cominciamo a sentire maggiormente quali sono gli effetti degli steroidi finanziari: l'epidemia dilaga.
- III -
Una delle informazioni utilizzate per esprimere l'«impatto economico» del coronavirus, è quella che misura l'attività industriale della Cina. Nel mese di febbraio, il Purchasing Manager Index (PMI) ha registrato il peggior calo della sua serie. Ha raggiunto un indice inferiore perfino a quello del dicembre 2008, al culmine della crisi dei sub-prime. Il forte calo viene giustificato a partire dall'effetto della forza dell'epidemia: anche durante la crisi globale, 12 anni fa, si arrivò a toccare il fondo solo dopo diversi mesi di decelerazione [*8].
Tale acuto aspetto di paralisi economica causata dal virus non può essere negata, ma le cifre andrebbero lette a partire dal loro andamento storico: dopo il collasso immobiliare avvenuto negli Stati Uniti, non sono mai più stati registrati quelli che erano i precedenti picchi industriali, neppure in forza dei pesanti investimenti realizzati nel 2012, quando gli investimenti in capitale fisso avevano mobilitato metà del PIL cinese: a partire da quell'anno c'è stato un calo progressivo dell'attività produttiva. Vale a dire, la decelerazione cinese, denunciata dal PIL, è stata il risultato di una stagnazione e di una recessione della produzione industriale, dovute al gigantesco peso dell'eccesso di produzione realizzato negli anni precedenti. Non è a caso che dieci mesi prima il Partito comunista cinese avesse messo in atto tutta una serie di stimoli economici, dopo i susseguenti cali dell'attività industriale: aumento della spesa pubblica, facilitazioni creditizie e interventi sui tassi di cambio per aumentare l'esportazione. Facendo così non ha promosso altro che uno spasmo immediato: nel 2019 è stato registrato quello che è stato il peggior risultato del PIL in 20 anni. Il blocco economico dovuto al Covid-19 potrebbe anche rovesciare l'immensa piramide del debito accumulata in territorio cinese: il problema non consiste solo nel debito pubblico di quasi 18mila miliardi di dollari, ma nell'immenso sistema finanziario informale (non regolato dalle autorità) che sostiene più di 8mila miliardi di dollari in prestiti accumulati, e che da anni affliggono i membri del PCCh (shadow banking system) [*9].
Ma anche se il più grande parco industriale del mondo ce l'abbiamo nel Regno di Mezzo, è l'epidemia negli Stati Uniti quella che dovrebbe causare il collasso dell'economia mondiale, già messa a dura prova dalle perdite azionarie a partire dal collasso immobiliare. Ovviamente, non si tratta di un «contagio». Integrati tra loro grazie ad un «circuito deficitario del Pacifico» (Robert Kurz) - la domanda statunitense alimenta la produzione industriale cinese che, a sua volta, finanzia il deficit commerciale e fiscale degli Stati Uniti [*10] - i mercati dei due paesi sono talmente intimi che lo storico conservatore Niall Ferguson si è visto costretto ad usare l'aggettivo «chimerica», per descrivere tale situazione [*11]. La crisi in Oriente, pertanto, colpisce direttamente le fonti di sostentamento della più grande economia mondiale, principalmente il flusso monetario che gonfia la più grande bolla finanziaria di tutti i tempi.
Nonostante la mediocre ripresa della crescita dell'economia statunitense avvenuta a partire dal 2010 - nel decennio, il tasso medio di variazione annuale del PIL non ha raggiunto il 2,3% - i mercati azionari statunitensi hanno registrato una crescita storica senza equivalenti. Il Nasdaq ha raddoppiato il suo indice, il Dow Jones lo ha quasi triplicato e lo Standard & Poor's 500, che sostanzialmente elenca quelle che sono le maggiori imprese di Wall Street, è letteralmente triplicato in questo intervallo di dieci anni. La spinta azionaria che c'è stata in questo periodo non è paragonabile alla galoppante velocità dell'«irrazionale esuberanza» degli anni '90, ma in quell'epoca il tasso di crescita del PIL era assai maggiore (con picchi di quasi il 5%). La discrepanza tra la bassa crescita dell'economia americana nel suo complesso e la moltiplicazione finanziaria sui mercati azionari è la più scandalosa di tutti i tempi. L'iniezione di denaro patrocinata dalla Fed (la «flessibilizzazione monetaria») ha generato investimenti produttivi, ma essendo stata sempre più focalizzata sull'industria 4.0, vale a dire, sull'alta tecnologia che rende disoccupata la forza lavoro, l'effettiva moltiplicazione monetaria è stata prodotta nel casinò delle borse, alimentando la «ripresa» anche nel bel mezzo dell'assenza di profitti effettivi. Tutto questo ha creato un gigantesco fenomeno di finanziamento di quelle imprese che non sono redditizie.
Stanley Jevons, che ha scritto "Principle of Pure Economics", rimarrebbe atterrito nel vedere che sotto il sole del XXI secolo, alcune delle più grandi e famose aziende del mondo si espandono ad un ritmo accelerato senza che rappresentino neanche un nichel di profitto. Prima ancora che il coronavirus terrorizzasse il mercato mondiale, ci sono stati alcuni opinionisti economici che già si chiedevano come avrebbe potuto continuare a sussistere una simile realtà. Nel 2018, per esempio, è stato registrato il maggior numero di offerte pubbliche di azioni da parte di società che non danno profitto: l'81% di tutte le transazioni che vengono realizzate sul mercato finanziario americano sono state fatte da imprese in perdita. Un record, se solo comparato al 2000, proprio quando scoppiò la bolla dei dot-com [*12].
Sopravvivendo al collasso della new economy, nel momento in cui questa faceva quasi bancarotta, Amazon ha dovuto impiegare più di 6 anni prima di realizzare profitti, ma quelli che sono i suoi guadagni continuano ad essere modesti in confronto a quelle che sono le risorse che vengono mobilitate dall'azienda. Lo stesso avviene per Netflix, i cui costi operativi, a fronte di una diminuzione dei ricavi netti, sono assai elevati. In ogni caso, questi aziende rimangono esempi da seguire da parte delle altre che ufficialmente non registrano alcun profitto, come Uber, che nei suoi bilanci non ha mai rappresentato un saldo positivo, come la Tesla e come Spotify. Alla coscienza comune, fissata sul mondo delle apparenze, può sembrare assurdo che Uber non dia profitto, ma è questa la realtà del castello di carta della ricchezza fittizia eretto dal capitale nel suo periodo di declino storico [*13].
Il paradosso di un'impresa in continua espansione e che continua ad accumulare perdite, può essere spiegato solo per mezzo dell'ampliarsi e del ridursi del credito. Per gli investitori, le statistiche di crescita dei servizi e la maggior portata di quella che è l'attività di un'impresa, sono più significative di quello che è il vero e proprio bilancio contabile, e sono esse ad alimentare l'incessante domanda di azioni ed un continuo aumento della quantità di denaro che finanzia l'attività, perfino in controtendenza ai ricavi. Nel caso delle imprese private, è l'accesso ai fondi di investimento o alle risorse pubbliche ciò che garantisce il finanziamento prolungato delle imprese in difficoltà. Il miraggio di un futuro guadagno, in un qualche momento, è la garanzia per ottenere un costante flusso di denaro: e sebbene questo possa risultare efficace per un'impresa piuttosto che per un'altra, una simile dinamica sistemica non è altro che uno schema piramidale in cui la ricchezza circola solo fino a quando le risorse monetarie continuano ad entrare. Per esempio, lo sfruttamento energetico dello "Shale Oil" (Petrolio di Scisto), che dopo decenni ha reso nuovamente gli Stati Uniti autosufficienti per quel che riguarda il petrolio, può essere spiegato solo per mezzo di questa abbondanza di credito, dal momento che la maggior parte delle imprese sono indebitate ed i loro costo operativi sono elevatissimi [*14]. Ci sono gigantesche imprese non redditizie che vengono sorrette da una bolla azionaria che minaccia di esplodere a causa della puntura da parte dell'ago del coronavirus. E questo non riguarda solamente gli Stati Uniti. Lo stesso governo cinese finanzia da decenni imprese notoriamente improduttive a causa della loro importanza «strategica». Corporazioni di varie parti del mondo finanziano quelle che sono le loro attività produttive senza scopo di lucro per mezzo dei guadagni provenienti dal mercato finanziario, e questo avviene anche nel mercato periferico del Brasile: grandi marchi come Netshoes non hanno mai realizzato profitti, e ci sono dubbi sul fatto che il gigante iFood abbia utili, ciò a causa dei pesanti investimenti e dei continui sussidi che offre ai suoi clienti. La differenza tra il finanziamento privato ed il sussidio statale è in grado di produrre degli effetti immediati diversi (per esempio il mantenimento dei posti di lavoro), ma dal momento che il flusso del capitale è unico ed è interconnesso a livello globale, in qualche modo, questo circuito insostenibile finirà per colpire tutti, quando il flusso di denaro verrà bloccato. Il rapido deprezzamento delle azioni fermerà il movimento del credito che finanzia queste imprese non redditizie, allo stesso modo in cui la crisi del debito sovrano finirà per prosciugare le risorse dei sussidi statali. Non a caso, lo scorso settembre, assai prima del coronavirus, un improvviso innalzamento dei tassi sul prestito interbancari negli Stati Uniti, ha costretto dopo un decennio la Fed ad intervenire su questo mercato: il sistema finanziario americano cominciava ad evidenziare una mancanza di flusso monetario [*15].
Ecco in cosa consiste l'originalità della nostra epoca. Non si tratta del solito vecchio fenomeno della crisi di sempre. Ora è la stessa teoria economica borghese a ritenere che «le crisi sono sempre state con noi e ci rimarranno per sempre» [*16]. Questa visione sempre-identica dei fenomeni di crisi ora è parte della naturalizzazione dell'economia capitalista e coinvolge perfino i suoi pretesi critici di sinistra, i quali si concentrano sulla logica e ignorano che il capitale si sviluppa secondo un processo cieco e distruttivo. La crisi che viene non è i risultato di un'interferenza esterna, ed ancor meno si tratta del solito meccanismo di «ripulitura del terreno». Quelli che abbiamo qui, sono problemi strutturali in atto da quarant'anni e che, come risposte, hanno accumulato tutta una serie di fallimentari soluzioni globali.
È vero che il blocco della produzione industriale potrà ridurre una parte dell'eccedenza delle merci disponibili nei magazzini, ma la capacità produttiva eccedente continuerà anche dopo la sospensione delle misure di contenimento sanitario, così come in Cina continueranno ad essere comprati decine di milioni di immobili ed il potere di acquisto globale verrà ulteriormente compresso dopo i licenziamenti di massa. I governi di tutto il mondo hanno già annunciato pacchetti di salvataggio che porteranno ad iniezioni di risorse, ma tutto questo difficilmente servirà da vaccino nel momento in cui è lo stesso debito pubblico a trovarsi al centro dell'epidemia: la svalutazione di diverse valute (innanzitutto, il real brasiliano) ha già cominciato ad accelerare. Anche il governo di Trump ha annunciato misure di salvataggio, ma rimane da vedere se il dollaro verrà colpito o meno dalla svalutazione monetaria generale, la quale rappresenta esattamente l'incapacità stessa del denaro a circolare. La caduta di quella che è l'ultima moneta egemone, simultaneamente con la caduta di tutte le altre monete del pianeta, sarebbe la vera peste che bisogna temere: essa rappresenterebbe il blocco totale di quelli che sono i flussi sanguigni dell'economia capitalista, e la dimostrazione che il suo cuore (la produzione di valore) ormai ha smesso di funzionare.
- Maurilio Lima Botelho - Pubblicato su Blog Da Boitempo il 2/4/2020 -
NOTE:
[*1] - “Coronavírus: ‘Talvez seja preciso restringir a circulação de mercadorias’, diz economista”, GloboNews, 27 jan. 2020.
[*2] - “China desinfeta e destrói dinheiro para conter avanço do coronavírus”, Exame, 17 fev. 2020.
[*3] - Milton Friedman e Rose Friedman. "Liberi di scegliere. Una prospettiva personale" IBL libri 2013.
[*4] - “Sunspots and the Price of Corn and Wheat”, Time-Price Research.
[*5] - Karl Marx, "Il Capitale, Critica dell'economia politica, Livro III: il processo globale di produzione capitalista", Einaudi.
[*6] - Karl Marx, “The Commercial Crisis in Britain”, New-York Daily Tribune, n. 4294, 26 jan 1855.
[*7] - Maurilio Lima Botelho, “Entre as crises e o colapso: cinco notas sobre a falência estrutural do capitalismo.” Revista Maracanan, n. 18 (29).
[*8] - L'indice può essere consultato qui .
[*9] - Jeff Cox, “Shadow banking is now a $52 trillion industry, posing a big risk to the financial system”, CNBC, 11 abr. 2019.
[*10] - Robert Kurz. Poder mundial e dinheiro mundial: crônicas do capitalismo em declínio (Rio de Janeiro, Consequência, 2015), p. 31-35.
[*11] - Niall Ferguson, "Ascesa e Declino del Denaro. Una Storia Finanziaria del Mondo", Collana Storia, Mondadori, Milano, 2009.
[*12] - Camila Veras Mota, “De Uber a Nubank: as empresas que valem bilhões, mas nunca registraram lucro”, UOL, 30 set. 2019.
[*13] - Marcelo López, “Bolha das empresas que não dão lucro está ocultando a inflação no mundo todo”, InfoMoney, 13 dez. 2019. Si veda anche: “Como o Uber sobrevive com prejuízo de US$ 1,2 bilhão e sem nunca ter dado lucro?”, ÉpocaNegócios, 11 nov. 2019.
[*14] - Una tenue speranza per il settore dell'energia degli Stati Uniti, bloccato in un debito totale di 85 miliardi di dollari, consiste nel fatto che la maggioranza delle obbligazioni sono a lungo termine, e non maturano nel 2020, e pertanto il salvataggio monetario da parte della Fed potrebbe rimandare il collasso. Su questo si veda: Tim Mullaney, “In oil crash, energy debt loads are not the immediate problem for most drillers”, CNBC, 13 mar. 2020.
[*15] - “Fed intervém para controlar taxas interbancárias pela 1ª vez em mais de uma década”, Valor, 17 set. 2019.
[*16] - Nouriel Roubini e Stephen Mihm. "La crisi non è finita". Feltrinelli 2010.
fonte: Blog Da Boitempo
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