giovedì 16 aprile 2020

Respirare

La pandemia ha democratizzato il potere di uccidere
- Intervista di Diogo Bercito ad Achille Mbembe -

Washington, Stati Uniti (FolhaPress) - Il coronavirus sta cambiando il modo in cui pensiamo il corpo umano. Si è trasformato in un'arma, dice il filosofo camerunense Achille Mbembe. Dopo tutto, uscendo di casa possiamo sia contrarre il virus che trasmetterlo ad altre persone. Già ci sono più di 735 mila casi confermati e 34 mila morti nel mondo. Ora abbiamo tutti il potere di uccidere, afferma Mbembe: «L'isolamento non è altro che un modo per controllare quel potere.» Mbembe, 62 anni, è noto per avere coniato nel 2003 il termine di "necropolitica". Nel suo libro, dallo stesso nome, investiga su come i governi decidono che vivrà e chi morirà, e in che maniera vivrà e morirà. Egli insegna all'Università di Witwatersrand, a Johannesburg. Venerdì scorso, il 27 marzo, in Sudafrica sono stati registrati i primi decessi per coronavirus. La necropolitica appare, inoltre, anche nel fatto che il virus non colpisce allo stesso modo tutte le persone. È in corso un dibattito se dare priorità alla cura dei giovano e lasciare morire i più anziani. C'è anche chi, come il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, insiste sul fatto che l'economia non può fermarsi, persino se parte della popolazione dovesse morire per poter garantire tale produttività. «Alcuni moriranno? Moriranno. Mi dispiace, è questa la vita», ha detto recentemente. Il sistema capitalistico è basato sulla distribuzione diseguale dell'a possibilità di vivere e di morire, sostiene Mbembe. Questa logica del sacrificio, si è sempre trovata al cuore del neoliberismo. Questo sistema ha sempre funzionato secondo l'idea che qualcuno vale più degli altri. Coloro che non hanno valore, possono essere scartati.

Domanda: Quali sono le sue prime impressioni su questa pandemia?

Achille Mbembe: Per adesso, mi sento come sepolto dalla portata di questa calamità. Il coronavirus è realmente una calamità e ci pone tutta una serie di domande scomode. Si tratta di un virus che colpisce e compromette la nostra possibilità di respirare.

D.: E obbliga i governi e gli ospedali a decidere chi potrà continuare a respirare.

A.M.: Sì. La questione è quella di trovare il modo per garantire ad ogni individuo di avere il modo di continuare a respirare. Dovrebbe essere questa la nostra priorità politica. Mi sembra, anche, che la nostra paura dell'isolamento, della quarantena, sia in relazione alla paura di affrontare la nostra morte. E questa paura ha a che vedere con il fatto che non siamo più capaci di delegare ad altre persone quella che è la nostra propria morte.

D.: L'isolamento sociale ci dà, in qualche modo, un potere sulla morte?

A.M.: Sì, un potere relativo. Possiamo sfuggire alla morte o possiamo rimandarla. Il contenimento della morte è il fulcro di queste politiche di confinamento. È un potere, ma non è un potere assoluto, dal momento che dipende dalle altre persone.

P.: Dipende dalle altre persone anche l'isolamento?

A.M.: Sì. E un'altra cosa ancora è che molte delle persone morte finora non hanno avuto il tempo di dire addio, il tempo di un commiato. Molte di queste persone sono state incenerite o sepolte immediatamente, senza alcun indugio. Come se fossero spazzatura di cui ci si debba liberare il più velocemente possibile. Questa logica dello smaltimento viene attuata proprio nel momento in cui abbiamo bisogno, almeno in teoria, della nostra comunità. E non esiste alcuna comunità se non si può dire addio a quelli che se ne sono andati, senza organizzare i funerali. Il punto è: come creare comunità in un momento di calamità?

D.: Quali sono i postumi che la pandemia lascerà nella società?

A.M.: La pandemia cambierà il nostro modo di occuparci del nostro corpo. Il nostro corpo è diventato una minaccia per noi stessi. La seconda conseguenza è la trasformazione del modo in cui pensiamo al futuro, la nostra coscienza del tempo. All'improvviso, non sappiamo più come sarà il domani.

D.: Il nostro corpo è anche una minaccia per gli altri, se non rimaniamo a casa.

A.M.: Sì. Ora abbiamo il potere di uccidere. Il potere di uccidere è stato così assolutamente democratizzato. L'isolamento è per l'esattezza un modo per regolamentare questo potere.

D.: Un altro dibattito che fa riferimento alla necropolitica, è la questione circa quale dovrebbe essere la priorità politica in questo momento, salvare l'economia o salvare la popolazione. Il governo brasiliano ha sventolato la bandiera della priorità del salvataggio dell'economia.

A.M.: Questa è la stessa logica del sacrificio che è sempre stata al cuore del neoliberismo, e che dovremmo chiamare necro-liberismo. Questo sistema ha sempre funzionato come se fosse un apparato di calcolo. L'idea secondo cui qualcuno vale più degli altri. E chi non ha alcun valore può essere scartato. La questione è che cosa fare con quelli che decidiamo che non valgono nulla. Questa domanda, ovviamente, riguarda sempre le stesse razze, le stesse classi sociali e gli stessi generi.

D.: Come nell'epidemia di HIV ed AIDS, per cui i governi si sono presi tutto il tempo di agire visto che le vittime si trovavano ai margini: neri, omosessuali, tossicomani?

A.M.: In teoria, il coronavirus può uccidere tutti. Siamo tutti minacciati. Ma una cosa è essere confinati in un quartiere, in una seconda residenza in un'area rurale. Un'altra cosa è trovarsi sulla linea del fronte. Lavorare in una struttura sanitaria senza mascherina. C'è una scala di quella che oggi è la distribuzione dei rischi.

D.: Diversi presidenti si sono riferiti alla lotta al coronavirus come ad una guerra. La scelta delle parole è importante, in questo momento? Lei, nel suo libro, scrive che la guerra è un chiaro esercizio di necropolitica.

A.M.: È difficile saper dare un nome a ciò che sta succedendo nel mondo. Non è solo un virus. Non sapere che cosa sta per arrivare, fa sì che gli Stati in tutto il mondo tornino a quelle che erano le vecchie terminologie utilizzate nelle guerre. Inoltre, le persone si ritirano in quelli che sono i confini dei loro Stati nazionali.

D.: C'è un maggiore nazionalismo durante questa pandemia?

A.M.: Sì. Le persone stanno tornando chez-soi, come dicono i francesi. A casa loro. Come se morire lontano da casa fosse la cosa peggiore che potesse accadere nella vita di una persona. Le frontiere sono state chiuese. Non sto dicendo che dovrebbero restare aperte. Ma i governi rispondono a questa pandemia con gesti nazionalistici, con questo immaginario della frontiera, del muro.

D.: Dopo questa crisi, torneremo com'eravamo prima?

A.M.: La prossima volta saremo colpiti ancora più duramente di quanto lo siamo stati in questa pandemia. È in gioco l'umanità. Ciò che rivela questa pandemia, se la prendiamo sul serio, è che la nostra storia qui sulla terra non è garantita. Non c'è garanzia che resteremo qui per sempre. Il fatto che sia plausibile che la vita continuerà senza di noi è la questione chiave di questo secolo.

- Intervista di Diogo Bercito ad Achille Mbembe - Pubblicata il 31/3/2020 su Gauchazh Política -

fonte: Gauchazh Política

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