mercoledì 22 aprile 2020

Evergesìa

Nessun ricco era un'isola
- di Giorgio Ieranò -

Coppe d'oro e di cristallo, dipinti e statue di grandi artisti, persino gli abiti di seta della moglie; tutto questo e molto altro fu messo all'asta per ben due mesi nel Foro di Traiano dall'imperatore Marco Aurelio. Era gli anni in cui a Roma infuriava la grande epidemia passata alla storia come «peste antonina». I carri portavano via cumuli di cadaveri. L'imperatore aveva stabilito che per i morti più poveri, i funerali venissero pagati dallo Stato. Ma il tesoro pubblico non riusciva a far fronte a tutte le necessità del popolo. Tanto più che, incuranti della peste, i barbari Marcomanni premevano alle frontiere e bisognava riorganizzare l'esercito anch'esso decimato dall'epidemia. Marco vide una sola soluzione, per evitare di imporre nuove tasse a un impero già allo stremo: contribuire di tasca propria alle necessità dell'erario. Perciò mise all'asta il suo patrimonio privato, come riferiscono con ammirazione gli autori della Historia Augusta.

Ci sono cose antiche che stanno tornando ad esserci familiari. La forza violenta delle pandemie, innanzitutto. Ma anche il ricorso alla munificenza privata, specie in tempo di crisi, per coprire spese che lo Stato non riesce ad affrontare. Donald Trump ha donato parte del suo stipendio presidenziale per finanziare le misure contro il coronavirus. Non che il leader statunitense sia paragonabile all'imperatore filosofo (be’ lo immaginiamo accanito lettore della Historia Augusta). Peraltro con una donazione di soli 100 mila dollari, Trump si è mostrato meno generoso non solo di Marco Aurelio ma anche della cantante Rihanna, che ha offerto 5 milioni di dollari. Mentre, anche in Italia, singoli benestanti e grandi gruppi industriali hanno messo a disposizione fondi talvolta cospicui per finanziare gli ospedali o la Protezione civile. Sembra, comunque, che l'emergenza abbia fatto scattare di nuovo l'antico meccanismo della munificenza, quando i ricchi privati finanziavano i servizi pubblici con versamenti straordinari.

Nel mondo antico la liberalità privata si esprimeva essenzialmente in due modi. Il primo era quello che, con parola greca, si definiva evergesìa: l'evergete, cioè letteralmente «il benefattore», era appunto il sovrano o il ricco che si accollava le spese per iniziare le opere pubbliche. Un gesto come quello di Marco Aurelio si ispirava a quella virtù che già Aristotele, nell'Etica a Nicomaco, aveva definito megaloprépeia, «magnificenza». Una virtù dei ricchi, appunto: «Un povero non potrà essere magnifico, perché non ha di che fare grandi spese, e chi ci prova è sciocco», scriveva Aristotele: spendere «per l'interesse comune», aggiungeva, «conviene a coloro che posseggono adeguati mezzi, sia che li abbiano acquisiti personalmente, sia che li abbiano ricevuti in eredità dagli avi». Ovviamente, l'evergesia era al tempo stesso un modo per ribadire il primato sociale del benefattore e per accrescerne il prestigio: chi faceva del bene alla comunità lo faceva anche a sé stesso.

L'evergesia era diffusa soprattutto nei regni ellenistici e a Roma, dove includeva anche il panem et circenses, le distribuzioni di cibo e gli svaghi offerti dai ricchi alla plebe urbana. Ma già nel 412 a.C. il mercante di grano Epicerde si era conquistato il titolo di euergétes pagando a sue spese il sostentamento degli ateniesi prigionieri nelle latomie di Siracusa e salvandoli così dalla fame. Che fare pensò se i ricchi erano tirchi e non volevano spendere? Nel V secolo a.C. la democratica Atene aveva messo a punto un altro sistema, quello delle liturgie. Se l'evergesia era una liberalità spontanea, la liturgia (letteralmente «servizio») era una forma di beneficenza istituzionalizzata e, talvolta, forzata. I ricchi erano tenuti a pagare per la comunità: che ci fosse da allestire una flotta o da organizzare una festa pubblica, le spese toccavano a turno ai benestanti. Ci si poteva sottrarre all'obbligo ma si rischiava, oltre alla disistima collettiva, un processo in tribunale. Socrate, nell'Economico di Senofonte, ricordava ai ricchi cosa la polis si aspettava da loro: «In caso di guerra gli Ateniesi ti chiederanno di versare finanziamenti per la flotta e tasse così alte che ti sarà difficile pagarle. Ma se sembrerà che tu contribuisca alle spese in modo inadeguato, ti puniranno che ti avessero sorpreso a rubare».

In realtà, per far funzionare il sistema delle liturgie non era sempre necessario arrivare a minacciare punizioni. Molti ricchi ci si sottoponevano di buon grado. Come Pericle, che all'inizio della sua carriera politica, finanziò la messinscena dei Persiani di Eschilo: allestire una tragedia era cosa costosissima ma i ricavi in termini di prestigio e reputazione sicuramente valevano la spesa. Resta il fatto che come scriveva un secolo fa lo storico Arthur Rosenberg (in una frase su cui ha richiamato l'attenzione Luciano Canfora), per gli Ateniesi i ricchi erano «una mucca da mungere». Rosenberg era comunista, per cui l'idea che si mungessero i ricchi gli piaceva molto. Piaceva meno invece ad alcuni storici conservatori, ai quali la democrazia ateniese pareva quasi prefigurare il bolscevismo. Ma, a differenza dei bolscevichi, gli Ateniesi non espropriavano i ricchi: li lasciavano anzi prosperare, per poterli mungere meglio. Evergesia e liturgie erano in fondo due modi, seppure diversi, per redistribuire ricchezza e finanziare servizi pubblici. Forse il coronavirus ci sta, drammaticamente, offrendo un'occasione per verificare se questi sistemi antichi possono funzionare anche oggi.

- Giorgio Ieranò - Pubblicato sul Sole del 7/4/2020 -

1 commento:

Alta Tensione ha detto...

Forse il coronavirus ci sta offrendo un'occasione per non dover sospirare nostalgicamente "...altri tempi..."