mercoledì 8 aprile 2020

Dalla Cina…

La crisi del Coronavirus: La Cina ha "guadagnato tempo" per l'Occidente?
- Lettera di un compagno in Cina - 25/3/2020 -

La propaganda del Partito Comunista Cinese sta diffondendo sempre più l'idea che la Cina avrebbe guadagnato tempo per fare in modo che l'Occidente potesse reagire alla catastrofe del Coronavirus. Io ritengo che il testo di Mike Davis, "Il mostro bussa alla porta", sia importante ed in gran parte corretto, ma ho avuto difficoltà a mantenere la calma mentre leggevo che: «da qui a un anno guarderemo ammirati al successo che ha avuto la Cina nel contenere la pandemia, e che rimarremo inorriditi di fronte al fallimento degli Stati Uniti.» Perché mai sarebbe impossibile criticare le miserabili condizioni della sanità negli Stati Uniti, senza doversi inchinare davanti alla gigantesca operazione di polizia che è stata condotta in Cina? L'elogio del «successo della Cina» mescola troppi elementi: il paese in sé, il Partito comunista, la polizia, la popolazione e la classe operaia. Come ha potuto scrivere una simile frase uno come Mike Davis? Nessuno deve scegliere tra «l'Occidente» e «la Cina», soprattutto quando si tratta di Coronavirus!
Il 13 marzo, il New York Times ha pubblicato un articolo di un corrispondente straniero a Pechino. Secondo lui, «la Cina ha guadagnato tempo per l'Occidente. E l'Occidente lo ha sprecato.» È evidente che l'autore di quel testo, così come Mike Davis, intende criticare le azioni de tutto insufficienti e scorrette degli Stati Uniti e dell'Europa. Ma allora, cosa avrebbe dovuto fare «l'Occidente»? Dopo che la Cina aveva fatto i i primi passi con il suo blocco totale e con le sue misure draconiane, tutte le precedenti misure erano diventate semplicemente «lassiste» e «velleitarie»? Il criterio per la riuscita o per il fallimento, è il numero delle vittime? Non dovremmo essere più interessati alla riduzione, o all'aumento, delle sofferenze create da tali misure? Esattamente, di cosa stiamo discutendo?
Gli esempi forniti dall'articolo del New York Times sono reali e facilmente percepibili in Cina. Nei parchi, dei megafoni diffondono messaggi di avvertimento: «Misurate due volte la vostra temperatura prima di mettervi in viaggio.» Siamo incessantemente bombardati dalla propaganda... Solo sulla strada vicino casa mia, 5 altoparlanti di plastica diffondono dei messaggi dal mattino alla sera: «Dovete lavarvi le mani, evitare di uscire il più possibile, evitare il contatto sociale.» Ma tutto questo è ridicolo e nessuno ci fa più caso. L'autore scrive che «non è autoritario prendere la temperatura negli aeroporti, porre in atto una distanziazione sociale e offrire cure mediche gratuite a tutti quelli che sono stati infettati dal Covid-19». Il rilevamento della temperatura negli aeroporti ha consentito di identificare solo circa la metà della persone effettivamente infettate dalla SARS, e nel caso del Coronavirus sarà ancora meno efficace dal momento che si può essere infettivi anche senza presentare dei sintomi. L'attuazione della distanziazione sociale , è comunque autoritaria se, ad esempio, i poliziotti vanno in giro a battere coi manganelli sui tavoli di mah-jong, o se le porte degli appartamenti sono stati sigillati dai poliziotti. E in realtà le cure mediche gratuite in Cina non sono poi così diffuse, se non sulla carta. Le misure messe in atto dallo Stato hanno lo scopo di incutere paura. La misurazione della temperatura davanti al mio condominio e al mercato fa parte di questo teatro dell'orrore. In molte persone, viene rilevata una presunta ma inesistente febbre, e vengono trattate con sospetto; e in parte a causa di questo vengono discriminate, e soprattutto spaventate. Hanno comunque già paura del virus, e così inoltre vivono nella paura di un isolamento forzato. Trovo sia terribile il modo in cui i malati che avrebbero davvero bisogno di aiuto sono stati trasformati in una fonte di pericolo. Si vedono degli striscioni minacciosi su cui, per esempio, si può leggere: «Gli abitanti di Hubei sono delle bombe ad orologeria», «Se ami la tua vita, non mescolarti con gli altri», «Ogni sconosciuto è un pericolo occulto». Queste misure non si basavano su alcun appello alla cooperazione volontaria, essendo state condotte come delle operazioni di polizia. I pazienti e le persone potenzialmente malate sono state trattate unicamente come se fossero degli oggetti da controllare: qualcuno ti prende la temperatura ma non ti informa del risultato dal momento che non si tratta di sapere se sei in buona salute, ma solo di eseguire degli ordini. Allo stesso tempo, attraverso queste misure sono stati individuati pochissimi malati di Covid-19 (anche per il fatto che era facile eludere i controlli). Da un punto di vista razionale, si trattava di semplici espedienti, come se ci si attaccasse dei pezzi di legno alla fronte per proteggersi dal virus, o si pregasse dio come fa Mike Pence. (I blocchi di legno avrebbero anche il vantaggio di ricordarmi continuamente il virus e di spronarmi, ad esempio, a non mettere le dita sul viso; allo stesso modo, indossare una mascherina, mi ricorda continuamente di essere prudente). Le lezioni che possiamo apprendere dalla Cina sono altrettanto inconsistenti. Ciò che il giornalista del New York Times raccomanda tanto una quarantena teatrale quanto un regime realmente autoritario. L'unica indicazione sensata proveniente dall'autore di quest'articolo, è quella di farsi carico dei costi del trattamento; allo stesso modo, avrebbe anche potuto menzionare il rafforzamento della protezione contro i licenziamenti attuati dal governo cinese, e le riduzioni degli affitti nel periodo dell'epidemia! Solamente le misure basate sulla fiducia reciproca (sul fatto che abbiamo un interesse comune per la sanità pubblica, al fine di evitare che le persone soffrano, perché vengano curate quando sono malate, ecc.) possono essere efficaci. Certamente, io desidero collaborare alla rilevazione ed al contenimento della malattia. Se decido di isolarmi da me solo, o se mantengo la distanza per la strada con le altre persone (cosa che ho riscontrato essere più facile da fare di quanto credevo), riduco il tasso di infezione quanto lo ridurrebbe un isolamento forzato. Ma posso decidere da me solo se andare a prendere un po' d'aria in un dato momento, andare a cercare le mie medicine in farmacia, o aiutare mia nonna nelle faccende domestiche. Tutte queste piccole cose indispensabili divengono dei problemi insolubili nel momento in cui lo Stato impone delle misure coercitive, come testimoniato da alcuni suicidi avvenuti in un tale contesto. Vi consiglio di leggere un'interessante intervista [ che può essere letta qui ], nella quale, tra l'altro, l'autore descrive la contrapposizione tra le misure di confinamento da parte dello Stato e la volontà delle persone di aiutarsi a vicenda.

Il corso degli eventi
Il primo caso è stato registrato il 17 novembre 2019; alla fine di dicembre, già si conosceva la sua natura infettiva, e i casi erano già circa 266, benché solo 27 erano stati segnalati all'OMS. Il 7 gennaio 2000, nel corso di una riunione interna del Comitato permanente dell'Ufficio politico, Xi Jin ping ha dato istruzioni su come controllare il virus. Il 14 gennaio 2020, l'OMS, citando delle indagini fatte in Cina, ha riferito che non c'erano prove che fosse in atto un contagio, nello stesso momento in cui si sapeva che forse 500 tra medici e infermieri fossero già stati infettati. Il 18 gennaio 2020, il governo locale di Wuhan ha organizzato una cena di Capodanno con qualche decina di migliaia di partecipanti; due giorni dopo si è venuto a sapere che il virus si poteva trasmettere tra le persone. È stato solo dopo il 20 gennaio 2020 che per la prima volta è stato permesso di parlare pubblicamente della contagiosità. Ciononostante, circa cinque milioni di abitanti di Wuhan hanno lasciato la città prima che essa venisse sigillata. Per me, la questione non è tanto di sapere se il confinamento avrebbe dovuto aver luogo «prima o poi», ma piuttosto conoscere la natura delle conseguenze che ciò provoca. Tuttavia, un numero crescente di studi indica che se la Cina avesse agito una settimana prima, il numero di persone contagiate sarebbe stato inferiore del 66%. E se a dicembre 2019 il governo avesse preso sul serio le relazioni dei medici, anziché reprimerli, probabilmente avrebbero potuto contenere il virus a Wuhan. Quindi, dopo che il Partito comunista ha commesso un errore colossale, ci sono stati numerosi volontari, che hanno accettato la possibilità di un contagio, e ci sono stati centinaia di milioni di cinesi i quali - sia privandosi della loro libertà di movimento (le porte degli appartamenti chiuse, bloccate o saldate) sia imponendosi una distanziazione sociale o rimanendo nelle loro case - hanno fatto tutto il possibile e si sono sacrificati per proteggere sé stessi e gli altri contro la nuova epidemia.  In un simile contesto, ci si può chiedere se la Cina o il Partito comunista abbiano «guadagnato tempo» per gli abitanti della Cina e del resto del mondo. Per me, la risposta è chiara: no, il Partito comunista non lo ha fatto per niente. Sono stati i comuni lavoratori cinesi ad aver agito, sono stati loro che hanno veramente cercato di fare tutto per ritardare la diffusione del virus. Ma non hanno nemmeno «fatto guadagnare tempo all'Occidente». Quel che è accaduto in Cina dopo il 20 gennaio 2020 non è successo per concedere più tempo all'«Occidente», ma per proteggersi. Si è trattato di un'autoprotezione della comune popolazione fatta di propria iniziativa; e di un'autoprotezione della classe dirigente per difendere i proprio privilegi. Non dovremmo parlare di «Cina», ma fare una netta distinzione tra il Partito comunista e la popolazione, prima, e poi quella tra i salariati, le classe media e i super-ricchi. Ecco perché il commento del New York Times è così astruso, ecco perché si concentra solamente su dei paesi o su delle sfere culturali, come se in caso di epidemia le classi sociali sparissero magicamente. Non mi stupisce perciò che l'autore arrivi ad affermare in tutta serietà che in Cina la «distanziazione sociale forzata» non sarebbe una misura autoritaria!
Il disastro non consiste nel virus, ma nell'insieme delle misure (e dei fallimenti) per combatterlo. Il bilancio dello Stato cinese in materia di controllo e di misure preventive per contenere la pandemia, è noto per la sua estrema povertà (come è stato dimostrato dall'esperienza della SARS e dell'influenza suina africana). Nel febbraio 2020, in «Occidente» sono stati pubblicati numerosi articoli che, con condiscendenza, descrivevano l'assenza di una democrazia parlamentare e di un sistema giudiziario di tipo occidentale come i responsabili dell'«incapacità della Cina» di individuare tempestivamente le pandemie e di combatterle in maniera trasparente. Questo esercizio è servito a difendere le democrazie liberali che, in realtà, sono diventate sempre più inegualitarie e repressive. Da qui la reazione del giornalista del New York Times e di Mike Davis, i quali hanno entrambi sottolineato come fuori dalla Cina si siano potute constatare parecchie castronerie, negligenze e brutalità nella lotta contro il virus.
Nel frattempo, la marea è cambiata e i media elogiano la «Cina», soprattutto per il suo trattamento draconiano delle persone; e in questo stadio, le argomentazioni di Mike Davis ed altri diventano non solo assurde, ma pericolose. Non si può affermare che i leader dello Stato cinese siano incompetenti (oppure, al contrario, che siano in grado di censurare, reprimere e sfruttare il loro popolo) solo a partire dal fatto che sventolano la bandiera rossa del «comunismo» e che non organizzano libere elezioni. Sono incompetenti perché l'organizzazione gerarchica della società, che ha il fine di sfruttare il maggior numero di persone a profitto di pochi, è altamente irrazionale e disumana, e non si preoccupa della miseria umana che causa. Ne periodo che va tra metà dicembre 2019 ed il 20 gennaio 2020, il Partito comunista, facendo ricorso a misure disciplinari e di polizia, ha impedito a centinaia di medici e di infermieri di condividere informazioni sull'aumento del rischio di contagio da parte di un nuovo virus. Eppure è del tutto normale che medici ed infermieri si scambino delle informazioni su delle nuove malattie, così come è normale che gli operai di un cantiere di costruzioni si informino vicendevolmente della presenza di una motosega rotta o di un'impalcatura difettosa. La capacità del Partito comunista nell'organizzare la censura e la repressione a Wuhan e altrove, su scala così vasta, indica quale sia la capacità del suo potere. L'estrema disuguaglianza materiale, la violenza nei confronti dei subordinati, soprattutto le donne, un alto tasso di incidenti sul lavoro, ecc., sono le conseguenze quotidiane. Questo monopolio del potere non deve in nessun caso essere considerato o assimilato ad uno «Stato di sorveglianza perfetta». Al contrario, questo sistema funziona in maniera caotica, autocratica ed informale; ogni piccolo ingranaggio della macchina fa i suoi propri piccoli affari e nessuno dice tutta la verità ai propri superiori. Nella misura in cui i lavoratori vengono privati del loro potere a causa della censura, il diritto di riunione viene loro negato e le unità organizzative dello Stato sono relativamente importanti in Cina, anche gli incidenti e le catastrofi assumono proporzioni più vaste. Si può osservare lo stesso fenomeno nelle «democrazie liberali»: nei paesi europei, tuttavia, i partiti al potere probabilmente non avrebbero impedito le condivisioni tra medici ed infermieri per così tanto tempo, ed in maniera così efficace come a Wuhan. Esiste un legame storico tra l'incapacità di individuare e controllare le epidemie che si trovano in uno stadio precoce, anche in passato, e l'uso grossolano degli strumenti di potere e di sfruttamento. In tempi di emergenza, i capi difendono i loro privilegi di classe con ancor maggior ferocia ed in maniera ancora più palese. Il controllo delle epidemie (e la lotta contro di esse) non ci rende tutti «uguali», ma approfondisce le disuguaglianze sociali. I lavoratori precari sono colpiti ancora più duramente di quelli hanno un contratto di lavoro; i funzionari e i colletti bianchi più qualificati delle grandi aziende possono assai spesso lavorare da casa, senza doversi preoccupare per il loro stipendio mensile; i ricchi possono perdere una parte della loro ricchezza, senza che la loro vita debba risentirne più di tanto; tutti loro mantengono un accesso privilegiato all'informazione e alle cure ed ai trattamenti preventivi, e alla fine possono guidare a tutta velocità la loro 4X4 nelle strade diventate vuote! Quando la gente ritorna nelle città costiere, lo Stato stabilisce una distinzione tra i proprietari ed i locatari. I primi sono autorizzati ad isolarsi nei loro alloggi, ma i secondi non hanno alcun diritto di tornare ad abitare a casa loro. Devono invece soggiornare per due settimane in degli alberghi di quarantena, che si devono pagare da soli. I cinesi hanno motivi sufficienti per opporsi a queste misure e all'aggravarsi delle disuguaglianze sociali, ma, al di fuori di quelle che sono le forme di protesta simboliche, per loro è assai difficile opporsi in questo allo Stato. Forse potrà funzionare meglio in Europa!

La rottura con «l'Occidente»
Non appena è stato emanato, i miei amici di Hong Kong hanno pensato che ad Hubei il confinamento fosse solamente uno show che probabilmente sarebbe fallito. I miei amici nella Cina continentale invece pensavano che la decisione di alcuni Stati europei di non adottare un confinamento rigoroso, insieme alla loro pretesa di riuscire a controllare il virus grazie all'«immunità collettiva», fosse irresponsabile e sconcertante. Ho come l'impressione che molti cinesi accettino la propaganda del partito, l'autosoddisfazione nazionale e giudichino le critiche degli altri paesi come lassiste e impertinenti; ma non hanno molto scelta. Da un lato, non si fidano del governo (sfiducia che si è espressa durante i blocchi stradali auto-organizzati e attraverso l'atteggiamento diffidente ed attendista nei confronti del ritorno al lavoro). Dall'altro lato, sono abituati a sentirsi impotenti. Molti accettano le notizie ufficiali come se fossero vere per tre parti, in quanto «non può essere tutto falso». Inoltre, sono in molti a provare orgoglio e a rasentare arroganza e sciovinismo per la potenza della Cina. Tutto questo va ad aumentare quella che è la rottura nei confronti dell'«Occidente» o degli stranieri. Questa rottura viene aggravata - in maniera deliberata e più o meno sistematica - in varie forme da quella che è la massiccia propaganda statale, e la diffusione di piccoli aneddoti, ed è facilitata dal fatto che gli scambi personali diretti tra cinesi e stranieri sono assai limitati. Il nazionalismo del Ministero degli Affari Esteri continua ad alimentare un tale clima. La mentalità della nuova generazione di diplomatici cinesi sembra essere duplice: da un lato, rivendicano il «diritto del più forte» e, dall'altro, fanno le vittime («la Cina viene maltrattata dalla comunità internazionale, quando è ormai a terra»). Cambiano tattica, a seconda che lo Stato cinese venga accusato di avere nascosto l'epidemia, o a seconda che il Partito comunista intende far risuonare le trombe dell'antiimperialismo. I cinesi che vivono all'estero sono un importante destinatario della propaganda del Partito comunista. Questo servirà ad aumentare la rottura con le popolazioni locali e la loro difficoltà ad integrarsi. Ho letto molti post sui social media che parlano delle misure contro la pandemia in Germania o in Inghilterra, o descrivono i viaggi di ritorno dalla Cina. Gli autori di questi messaggi, di solito non mostrano un nazionalismo brutale, ma piuttosto un senso profondo di incomprensione: pur tollerando il diverso approccio degli altri alla pandemia, in ultima analisi ritengono che il governo cinese sia il solo ad essere capace di agire in maniera decisiva.

La sporca guerra di propaganda è cominciata
I «leader occidentali» come Trump o Pompeo si lamentano del «virus di Wuhan» o del «virus cinese» [*]. E nello stesso tempo il Partito comunista sta diffondendo in Cina della voci secondo le quali sarebbero stati dei soldati americani quelli che avrebbero propagato il virus, durante i Giochi militari mondiali, a Wuhan nell'ottobre del 2019 (ricordiamo che la squadra cinese venne squalificata per frode evidente). Il partito si rallegra per come «loro» abbiano gestito la crisi, e si appropria indebitamente, inglobandole, di tutte le attività svolte dai volontari, censurando nel contempo ogni critica. Quando Xi Jin ping si è recato a Wuhan, i poliziotti erano schierati in piedi sui balconi dei residenti per evitare urla spiacevoli, simili a quelli che erano state gridate contro vice premier una settimana prima. Quale che sia la situazione, il Partito comunista vende qualsiasi evento catastrofico come se fosse una vittoria e l'espressione della sua superiorità. Indubbiamente, agisce con enorme urgenza, in fretta, prima che vengano rivelati altri dettagli su quale sia la portata del disastro e sul numero effettivo di morti. Tutto ciò non è affatto nuovo, ma a causa della potenza economica e politica della Cina, a causa della pandemia globale e della crescente tensione tra le diverse superpotenze, la questione assume un nuovo significato per le persone che vivono al di fuori della Cina, e fa riemergere anche in «Occidente» i sogni autoritari di una «vera leadership». Sul fronte del media e della propaganda, quelle che sono le tensioni nelle relazioni sino-americane crescono ogni giorno, e finora hanno trovato la loro più chiara espressione nella guerra commerciale. (...) Non è ancora possibile valutare appieno quale sia l'entità della crisi legata al virus, alle misure di quarantena, alla chiusura delle frontiere e alla recessione economica globale che sta dilagando per tutto il pianeta. Di sicuro, supererà quella che è stata la crisi del 2008, con un tasso di disoccupazione del 20% negli Stati Uniti e molti tagli di posti di lavoro in Cina, rispetto a quanti che ne sono stati nel 2008... insieme alla paura e alla rabbia verso le misure politiche, ancora più goffe e brutali del solito. In tutto il mondo, le persone stanno vivendo simili paure e condividono delle esperienze comuni che, si spera, contribuiranno a contrastare il nazionalismo e l'autoritarismo che si sta sviluppando insieme alla crisi.

- Gustav - marzo 2020, dalla Cina -

NOTA:
[*] - P.S.: la cosa si riferisce al marzo del 2020. Nel frattempo, Trump ha smesso di parlare del «virus di Wuhan» e il regime cinese ha smesso di diffondere l'affermazione secondo cui i soldati americani avrebbero diffuso il virus in Cina. Ciononostante, la situazione rimane tesa.

fonte: mondialism.org

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