mercoledì 18 marzo 2020

Sul Campo Vergine

Il mostro bussa alla porta
- di Mike Davis -

Il Coronavirus [*1] è quel vecchio film che abbiamo visto più volte da quando nel 1995 il libro di Richard Preston, "The hot zone. Area di contagio. La vera storia del virus Ebola", ci ha presentato il demone sterminatore nato in una misteriosa grotta piena di pipistrelli in Africa Centrale, noto col nome di Ebola. Questo è stato solo il primo di tutta una serie di nuove patologie che hanno fatto irruzione nel «campo vergine» (è questo il termine appropriato) dell'inesperto sistema immunitario dell'umanità. Dopo il virus Ebola, è seguita l'influenza aviaria che l'uomo ha contratto nel 1997, e la SARS, comparsa alla fine del 2002. In entrambi i casi, la malattia è comparsa prima a Guangzhou [Canton, Cina], un polo manifatturiero mondiale. Ovviamente, Hollywood ha preso tutte queste epidemie ed ha prodotto una serie di film per provocarci e spaventarci: "Contagion" (2011), diretto da Steven Soderbergh, si distingue per la sua precisione scientifica e per la sua spaventosa anticipazione dell'attuale caos. Oltre ai film e ai tanti romanzi lugubri, centinaia di libri e di articoli scientifici hanno risposto a ciascuna epidemia, molti di essi sottolineando spesso il deplorevole stato di prevenzione e preparazione delle emergenze a livello globale per individuare e reagire a queste nuove malattie.

Caos numerico
Insomma, il Coronavirus entra dalla porta di casa nostra come un mostro già familiare. Il sequenziamento del suo genoma (peraltro molto simile a quello di sua sorella ampiamente studiata, la Sars) è stato un gioco da ragazzi. Tuttavia ancora mancano le informazioni più importanti. Mentre i ricercatori lavorano giorno e notte per identificare l'epidemia, devono affrontare tre enormi sfide. In primo luogo, la continua scarsità di kit diagnostici per l'infezione virale, soprattutto negli USA e in Africa, ha impedito la proiezione di stime accurate di quelli che sono i parametri chiave, come il tasso di riproduzione, la consistenza della popolazione infettata e la quantità di infezioni a carattere benigno. l risultato è stato un assoluto caos numerico. Alcuni paesi, tuttavia, dispongono di dati più affidabili riguardo l'impatto del virus su certi gruppi. E le informazioni sono spaventose. L'Italia, ad esempio, registra un tasso di mortalità del 23% tra le persone di età superiore ai 65 anni di età; in Inghilterra, per questo gruppo, il dato è pari al 18%. L'«influenza corona» sottovalutata da Trump rappresenta un pericolo senza precedenti per la popolazione delle persone anziane, con un potenziale bilancio di mortalità di milioni di persone. In secondo luogo, come avviene con le influenze stagionali, il virus muta nella misura in cui attraversa popolazioni che hanno differenti composizioni per età e per condizioni di salute. La varietà che gli statunitensi hanno più probabilità di contrarre, è già leggermente diversa da quella identificata nell'epidemia originale di Wuhan. Le future mutazioni del virus possono sia essere benigne, così come possono alterare quella che è la distribuzione della virulenza, la quale attualmente sta crescendo in maniera vertiginosa a partire dalle persone di 50 anni di età. L'«influenza corona» di Trump rappresenta un pericolo mortale per almeno un quarto degli statunitensi anziani che hanno un sistema immunitario debole o hanno problemi respiratori cronici. In terzo luogo, anche se il virus rimane stabile e subisce poche mutazioni, è possibile che il suo impatto sui più giovani differirà radicalmente nei paesi poveri e tra i gruppi ad alta povertà. Si consideri l'esperienza globale dell'influenza spagnola del 1918-19, che si stima abbia ucciso circa l'1-2% dell'umanità. Negli Stati Uniti e in Europa Centrale, il virus originale del H1N1 aveva un tasso di letalità più elevato tra i giovani adulti, e la spiegazione che solitamente veniva fornita per questo è che il loro sistema immunitario, relativamente più forte, finiva per reagire troppo fortemente all'infezione ed attaccava cellule polmonari, portando così ad una polmonite virale e ad uno shock settico. Tuttavia, più recentemente, alcuni epidemiologi hanno ipotizzato che gli adulti più anziani potevano aver acquisito una «memoria immunitaria» grazie ad un'epidemia precedente avvenuta negli anni 1890 che li avrebbe protetto. In ogni caso, è noto che il virus H1N1 aveva trovato una nicchia privilegiata negli accampamenti dell'esercito e nelle trincee delle battaglie, dove causò la morte di decine di migliaia di giovani soldati. Questo divenne un fattore importante nella battaglia tra imperi. Si è arrivati ad attribuire il collasso della grande offensiva tedesca, nella primavera del 1918, e pertanto l'esito della guerra, al fatto che gli alleati, a differenza del loro nemico, sono stati in grado di rifornire i loro eserciti malati con le truppe statunitensi appena arrivate. L'influenza spagnola, nei paesi poveri aveva già un profilo differente. Raramente si tiene conto del fatto che il 60% di mortalità globale (e questo rappresenta almeno 20 milioni di morti) si è verificato a  Punjabi, Pompéia, e in altre parti dell'India Occidentale, dove le esportazioni di grano verso l'Inghilterra e le brutali pratiche di requisizione coincisero con una siccità generalizzata. Le carestie alimentari che ne conseguirono spinsero milioni di poveri sull'orlo della fame. Queste popolazioni divennero vittime di una sinistra sinergia tra la malnutrizione - che sopprimeva la risposta immunitaria all'infezione - e i dilaganti focolai di polmoniti virali e batteriche. In un altro caso simile, l'Iraq sotto occupazione inglese, dopo molti anni di siccità, di colera e di penuria di cibo, oltre che ad una epidemia generalizzata di malaria, venne stimata la morte di un quinto della popolazione.
Questa storia - soprattutto quelle che sono state le conseguenze sconosciute dovute alle interazioni con la malnutrizione e le infezioni già esistenti - ci dovrebbe allertare sul fatto che nelle dense ed insalubri favelas dell'Africa e dell'Asia meridionale il Covid-19 può prendere una strada diversa e più letale. Dei casi che ora ci vengono segnalati nel Lagos, a Kigali, Addis Abeba e Kinshasa, nessuno sa (né lo saprà per molto, a causa della mancanza di test diagnostici) sotto quale forma entrerà in sinergia con le condizioni sanitarie locali e con le altre malattie presenti nella regione. Il pericolo costituito da questo fenomeno per le popolazioni povere di tutto il mondo, sta venendo quasi del tutto ignorato dai media e dai governi occidentali. L'unico articolo pubblicato che argomenta in tal senso, sostiene che dal momento che la popolazione urbana dell'Africa è la più giovane del mondo, la pandemia dovrebbe avere su di essa solo un lieve impatto. Ma alla luce dell'esperienza del 1918, questo appare solo come una sciocca estrapolazione. Così come lo è la supposizione che la pandemia, come avviene con l'influenza stagionale, si ridurrebbe a contatto con i climi più caldi. (Tom Hanks ha appena contratto il virus in Australia, dove adesso è estate.)

Una Katrina medica
È possibile che da qui a un anno guarderemo ammirati al successo che ha avuto la Cina nel contenere la pandemia, e che rimarremo inorriditi di fronte al fallimento degli Stati Uniti. (Sto facendo qui, l'eroica supposizione che l'affermazione fatta dalla Cina secondo cui il tasso di trasmissione del contagio sta diminuendo rapidamente è più o meno precisa). L'incapacità delle nostre istituzioni a tenere chiuso il Vaso di Pandora, ovviamente, non sorprende nessuno. Dal 2000 non abbiamo fatto altro che continuare ad assistere a continui collassi sulla linea del fronte sanitario. Sia la stagione influenzale del 2009, quanto quella del 2018, per esempio, hanno avuto l'effetto di sovraccaricare gli ospedali di tutto il paese, mostrando la scioccante carenza di posti letto negli ospedali dopo venti anni di tagli alla capacità sanitaria, a causa della massimizzazione dei profitti (la versione del settore ospedaliero nella gestione dell'inventario just-in-time). La crisi risale all'offensiva corporativa che portò Reagan al potere e trasformò i leader del Partito Democratico nei suoi portavoce neoliberisti. Secondo l'American Hospital Association, tra il 1981 ed il 1999, il numero di letti ospedalieri ha subito un pauroso declino del 39%. L'obiettivo era quello di far aumentare i profitti attraverso un aumento del "censimento" (calcolato a partire dal numero dei letti occupati). Ma l'obiettivo di arrivare a gestire un tasso di occupazione dei letti del 90% significava far sì che gli ospedali non avessero più alcuna capacità di assorbire un flusso di pazienti in situazioni di epidemia e di emergenza medica. Gli ospedali privati e di carità hanno chiuso le porte, e la carenza di personale infermieristico, provocata anch'essa dalle logiche di mercato, hanno devastato quelli che erano i servizi sanitari nelle comunità più povere e nelle aree rurali, trasferendo l'onere sugli ospedali pubblici sotto-finanziati e sulle istallazioni mediche del Dipartimento degli Affari dei Veterani degli Stati Uniti. Se già in tali istituti le condizioni dell'assistenza di emergenza non sono nemmeno in grado di far fronte a quelle che sono le infezioni stagionali, come ci si può aspettare che riescano ad affrontare un imminente sovraccarico di casi critici?
Nel nuovo secolo, nel settore privato, la medicina emergenziale ha continuato a subire riduzioni a causa dell'imperativo di preservare il «valore per gli azionisti», cercando di aumentare i dividendi ed i profitti a breve termine, e nel settore pubblico attraverso l'austerità fiscale e i tagli nei bilanci statali e federali di prevenzione e di preparazione alle emergenze. Il risultato di tutto questo è che ci sono disponibili 45.000 letti in Terapia Intensiva per affrontare quella che sarà la valanga prevista di casi gravi e critici di Coronavirus. (In confronto, i sudcoreani dispongono di tre volte più letti rispetto a quelli che ci sono per ogni mille americani). Secondo una ricerca svolta da Usa Today, «solo otto Stati avrebbero letti d'ospedale sufficienti a poter trattare il milione di americani, che sono sui 60 o più anni di età e che potrebbero ammalarsi di Covid-19». Nel frattempo, i repubblicani hanno respinto tutti gli sforzi di ricostruire la rete di sicurezza distrutta dai tagli di bilancio della recessione del 2008. Oggi, i dipartimenti sanitari comunali e statali - la prima (e vitale) linea di difesa - dispongono di equipe ridotte del 25% rispetto a quelle della crisi finanziaria di dodici anni fa. Inoltre, nell'ultimo decennio, il budget dei Centri di Controllo e Prevenzione delle Malattie ha subito, in termini reali, un taglio del 10%. Recentemente, il New York Times ha riportato che «il 21% dei dipartimenti sanitari comunali registrano riduzioni nei loro budget per quello che è l'anno fiscale 2017». Trump ha chiuso anche la sede dell'Ufficio per la Pandemia della Casa Bianca, un istituto che era stato creato da Obama dopo l'epidemia di Ebola del 2014 al fine di garantire una risposta nazionale rapida e ben coordinata di fronte alle nuove epidemie. Ci troviamo nella fase iniziale di una Katrina medica. Disinvestendo nella prevenzione e nel prepararsi all'emergenza medica, proprio nel momento in cui tutti le valutazioni degli esperti raccomandano un'espansione generalizzata di tali capacità, finiamo per trovarci in una situazione in cui ci vengono a mancare sia le forniture di base che gli operatori sanitari pubblici e i letti di emergenza, Le riserve nazionali e regionali di forniture ospedalieri vengono stoccate in misura assai inferiore a quelle che sono le linee guida epidemiologiche. Per questo motivo, la mancanza dei kit per il test diagnostico ha coinciso con una carenza critica di equipaggiamenti protettivi di base per gli operatori sanitari. Le infermieri militanti, vale a dire, la nostra riserva nazionale di coscienza sociale, garantiscono che tutti noi comprendiamo quali sono i gravi pericoli provocati da un inadeguato immagazzinamento di materiale protettivo essenziale, come le mascherine facciali N95. Sono loro a ricordarci che gli ospedali sono diventati ambienti ideali per i microrganismi resistenti agli antibiotici, come il "Clostridioides difficile" che può diventare un agente secondario assai mortale nei reparti ospedalieri sovraffollati. Ancora più vulnerabili, in quanto invisibili, sono quelle centinaia di migliaia di operatori di case di riposo e quei team di assistenza a domicilio che operano in condizioni di sotto-pagamento e di sovraccarico di lavoro.

La divisione in classi
L'epidemia ha portato immediatamente alla luce la netta divisione di classe nell'assistenza sanitaria, che "La Nostra Rivoluzione" ha messo nell'Agenza nazionale. In breve: coloro che dispongono di un buon piano sanitario, e che hanno anche la possibilità di poter lavorare, o insegnare, da casa si trovano comodamente isolati, purché seguano le linee guida della sicurezza. I funzionari pubblici e gli altri gruppi di lavoratori sindacalizzati che godono di una copertura dignitosa dovranno fare delle scelte difficili, e dovranno scegliere tra reddito e protezione. Nel frattempo, milioni di lavoratori a basso reddito del settore dei servizi, lavoratori agricoli, disoccupati e senzatetto verranno dati in pasto ai lupi. Anche se alla fine Washington si renderà conto del disastro dei test e fornirà un adeguato numero di kit per le diagnosi, coloro che non hanno un'assicurazione sanitaria dovranno comunque pagare medici o ospedali per poter fare i test. Le spese mediche familiari saliranno alle stelle, nel momento in cui milioni di lavoratori staranno perdendo il loro posto di lavoro insieme ai piani sanitari che fornivano loro i datori di lavoro. Può esserci a questo punto un sostegno più forte ed urgente di questo alla proposta di estendere a tutti il Medicare?
Ma, come sappiamo tutti, una copertura universale che possa essere minimamente efficace richiede anche una copertura universale per quelle che sono le assenze retribuite per motivi di salute. Attualmente, il 45% della forza lavoro si vede negato tale diritto: tutte queste persone sono pertanto praticamente costrette a trasmettere l'infezione o a rinunciare al loro reddito mensile. Allo stesso modo, 14 Stati governati dal Partito Repubblicano si sono rifiutati di attuare l'Affordable Care Act [*3], che estende il Medicaid ai lavoratori poveri. È per questo che un texano su quattro, per esempio, non dispone di copertura, e se ha bisogno di cure può contare solo sul pronto soccorso dell'ospedale municipale. Le contraddizioni mortali dei piani sanitari privati nell'era della pestilenza, sono forse ancora più visibili nel settore dell'assistenza a domicilio che gestisce 2,5 milioni di americani anziani, molti dei quali dipendono dal Medicare. La situazione ha costituito per molto tempo uno scandalo nazionale. Si tratta di un settore altamente competitivo, capitalizzato a partire da salari bassi, carenza di personale e di riduzione illegale dei costi. Secondo il New York Times, 380.000 pazienti delle case di cura muoiono ogni anno a causa della negligenza e l'incuria di queste strutture per quel che riguardano le procedure di base per il controllo delle infezioni. Molte di queste case di cura - in particolare, negli Stati del Sud del paese - considerano che sia più economico pagare le multe per le violazioni sanitarie piuttosto che assumere altro personale e formarlo in maniera adeguata. Non stupisce che il primo epicentro comunitario di diffusione sua stato il Life Care Center, una casa di riposo a Kirkland, che si trova alla periferia di Seattle. Parlando con Jim Straub, un vecchio amico che è anche leader sindacale nelle case di riposo della regione di Seattle, e che attualmente sta scrivendo per The Nation un'articolo sull'argomento. Egli ha definito la struttura come «una delle peggio equipaggiate, a livello di personale, di tutto la Stato» e ha descritto tutto il sistema di case di cura del Washington come «il più sotto-finanziato del paese - un'assurda oasi che soffre di austerità in quello che è un mare di soldi dell'industria dell'alta tecnologia». Inoltre, ha sottolineato come i funzionari della sanità pubblica stessero ignorando il fattore cruciale che spiega il rapido tasso di diffusione della malattia dal Life Care Center alle altre dieci case di cura vicine: «i lavoratori delle case di riposo che si trovano nel mercato immobiliare più caro degli Stati Uniti, di regola lavorano in più posti di lavoro, e in genere si tratta di più case di riposo». Egli sostiene che le autorità non sono state in grado di scoprire quali fossero i luoghi di questi secondi lavori, e in questo modo hanno perso qualsiasi controllo sul contagio del Covid-19. E a tutt'ora non c'è ancora nessuno che proponga di retribuire il lavoratori esposti in modo che possano restare a casa. Ora, come ci avverte l'esempio di Seattle, ci sono decine, forse centinaia di case di riposo in tutto il pase che probabilmente diverranno focolai di Coronavirus, e molti degli operatori in queste case di riposo che percepiscono il salario minimo sceglieranno ragionevolmente di restare a casa per proteggere le proprie famiglie. In una situazione del genere, il sistema potrebbe entrare in collasso - e nessuno si aspetta che la Guardia Nazionale venga ad occuparsi della sostituzione dei raccoglitori di urina.

Solidarietà internazionale
Ad ogni passo della sua micidiale avanzata, la pandemia promuove la difesa di una politica di copertura universale e di assenza retribuita dal lavoro. Mentre Biden si concentra su come scalfire la popolarità di Trump, i progressisti devono unirsi, come propone Bernie, per riuscire a vincere la Convention grazie al suo programma Medicare for All. Insieme, i delegati di Bernie Sanders e Elizabeth Warren devono svolgere il loro ruolo nel Fiserv Forum a Milwaukee, a metà Luglio [*2], ma tutti noi, nelle strade, abbiamo un compito altrettanto importante, a cominciare subito dalle lotta contro gli sfratti, contro i licenziamenti e contro i datori di lavoro che si rifiutano di retribuire i lavoratori assenti (Avete paura del contagio? Rimanete a 2 metri di distanza dal compagno più vicino, e garantite così comunque una potente immagine per la TV. Ma dobbiamo dimostrare nelle strade). Com'è noto, la copertura universale è solo un primo passo. È a dir poco deludente che ai dibattiti sulle primarie del Partito Democratico, né Sanders né Warren abbiano richiamato l'attenzione su come le grandi aziende farmaceutiche [Big Pharma] abbiano rinunciato ad investire nella ricerca e nello sviluppo di nuovi antibiotici ed antivirali. Delle maggiori 18 imprese farmaceutiche, ben 15 hanno abbandonato completamente il campo. Farmaci cardiaci, tranquillanti e trattamenti dell'impotenza maschile sono alcuni fra i prodotti più redditizi del settore, ma di questi non fanno parte la difesa contro le infezioni ospedaliere e le tradizionali malattie letali tropicali, come la malaria. Il vaccino universale contro l'influenza, vale a dire, un vaccino mirato  a quelle che sono le parti immutabili delle proteine di superficie del virus, è già da decenni una possibilità, ma non è abbastanza redditizio da essere considerato una priorità. Man mano che retrocede la rivoluzione degli antibiotici, accanto alle nuove infezioni ricompariranno le vecchie patologie e gli ospedali diverranno degli ossari. E perfino uno come Trump può mettersi opportunisticamente a lottare contro i costi assurdi dei farmaci prescritti. Ciò che ci serve, tuttavia, è una visione più audace che rompa i monopoli farmaceutici e fornisca al pubblico una produzione di farmaci vitali (una volta le cose stavano così: durante la Seconda Guerra Mondiale, l'esercito convocò Jonas Salk ed altri ricercatori per sviluppare il primo vaccino antinfluenzale). Come ho scritto 15 anni fa nel mio libro, “The Monster at Our Door, The Global Threat of Avian Flu", «L’accesso ai farmaci vitali, tra i quali vaccini, antibiotici e antivirali, dovrebbe essere un diritto umano, universale e gratuito. Se i mercati non forniscono incentivi per produrre tali medicine a costi ragionevoli, il settore pubblico e quello no profit devono prendersi la responsabilità di produrle e distribuirle. La vita dei poveri deve sempre venire prima dei profitti delle multinazionali farmaceutiche [Big Pharma]».
L’attuale pandemia conferisce ulteriore forza a tale argomentazione: la globalizzazione capitalista si manifesta ora come biologicamente insostenibile e un’infrastruttura sanitaria pubblica internazionale diventa una necessità. Ma una simile infrastruttura non esisterà mai in assenza di movimenti popolari in grado di rompere il monopolio Big Pharma e liberare la salute dalla sua condizione di fonte di profitto. Tutto questo esige un progetto socialista indipendente per la sopravvivenza umana che vada oltre un Secondo New Deal. A partire dal movimento Occupy, i progressisti hanno messo all'ordine del giorno la lotta contro le disuguaglianze economiche e di reddito, e questo è stato un grande risultato. Ma ora i socialisti devono fare il passo successivo e lottare, avendo come obiettivi immediati le industrie farmaceutiche, per la proprietà sociale e per la democratizzazione del potere economico. Ma si deve essere in grado di valutare onestamente le nostre debolezze politiche e morali. Per quanto io abbia visto con entusiasmo un'evoluzione a sinistra di una nuova generazione, e il ritorno della parola "socialismo" nel discorso politico, nel movimento progressista c'è un elemento inquietante di solipsismo nazionale che è simmetrico al nuovo nazionalismo di destra. Si tende a parlare solo della classe operaia americana e della storia radicale degli Stati Uniti (dimenticando forse che Eugene V. Debs era un internazionalista fino al suo ultimo capello). Si arriva perfino ad una versione di sinistra del tormentone «America First».
Di fronte a questa pandemia, i socialisti devono cogliere tutte le occasioni per ricordare agli altri l'urgenza della solidarietà internazionale. Concretamente, dobbiamo mobilitare i nostri amici progressisti, e i loro ideali politici, al fine di rivendicare un massiccio aumento nella produzione di kit diagnostici, di attrezzature di sicurezza e di farmaci vitali da distribuire gratuitamente ai paesi poveri. Spetta a noi garantire che il Medicare per Tutti divenga tanto una politica estera quanto una politica interna degli Stati Uniti.

- Mike Davis - Pubblicato il 16/3/2020 su BlogDaBoitempo -

NOTE:

[*1] - Si è fatta molta confusione per quanto riguarda la terminologia scientifica: Il Comitato Internazionale di Tassonomia dei Virus, ha denominato il virus SARS-CoV-2. La denominazione COVID-19 si riferisce invece all'epidemia.
[*2] - L'autore fa qui riferimento alla Convenzione Nazionale Democratica del 2020, la quale definirà quale sarà il candidato scelto dal Partito per affrontare Donald Trump nelle elezioni presidenziali di quest'anno. La disputa, com'è noto, attualmente è tra Joe Biden e Bernie Sanders, e il sostegno della base della candidata progressista Elizabeth Warren appare come un fattore cruciale per la vittoria di Sanders.
[*3] - L'«Patient Protection and Affordable Care Act» è la «Legge Federale di Protezione e Cura del Paziente», denominata «Obamacare», approvata dal Presidente degli Stati Uniti nel marzo del 2010.

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