Il gioco dell'io che si mostra e si nasconde.
All'inizio degli anni '50, nella vivacissima Parigi postbellica, il giovane sociologo vive una stagione di ineguagliate esperienze culturali che spaziano dall'antropologia alla musica al teatro. Da questa messe di stimoli scaturisce un breve testo in cui Pizzorno si interroga, a partire dal tema della maschera, sui modi in cui simboli, rituali, forme artistiche e oggetti quotidiani mediano tra ruolo e persona, tra esperienze intime e loro rappresentazione pubblica. Quelle pagine sono qui riproposte, dopo essere rimaste a lungo inedite in italiano per le ragioni misteriose che talvolta sottraggono felicemente le cose rare al consumo onnivoro dell'attualità.
(dal risvolto di copertina di: Alessandro Pizzorno, "Sulla maschera". il Mulino pagg. 115 €9.)
Maschere & politica
- di Giancarlo Bosetti -
La natura “gladiatoria” della politica, la furia di conflitti motivati da tesi cospiratorie, gli ultimatum e le accuse di tradimento: raramente la “teatralità” del discorso pubblico si è manifestata in modo così chiaro come ai nostri giorni, in paesi democratici dove l’ideale della discussione dovrebbe stare agli antipodi di tutto questo: ponderazione, analisi delle alternative, rispetto per gli avversari. Gli insulti urlati tra maschere di cartapesta che si contendono la scena, di lottatori di wrestling che esibiscono la loro potenza distruttiva, senza (per lo più) veramente usarla fino in fondo, tutto questo avrebbe dato spunto ad Alessandro Pizzorno per sfoderare diverse delle sue sottili teorie.
Il grande sociologo italiano, scomparso a 95 anni lo scorso aprile, affermato nei circuiti scientifici internazionali (da Harvard all’Istituto Europeo di Fiesole), non lo avrebbe mai fatto in televisione e neppure sui quotidiani, perché non era nella sua natura, ma solo nei seminari, nei saggi accademici, nelle sue fitte informali e dense conversazioni, che poi si riverberavano su altri intellettuali più compatibili con i media. Forse per questo la sua morte non ha fatto molto rumore sulla stampa.
Di maschere si era occupato fin dal suo primo lavoro negli anni Cinquanta, pubblicato molto più tardi dal Mulino ( Sulla maschera, 2008 ) e ci sarebbe tornato spesso nei suoi saggi più maturi ( Le radici della politica assoluta, 1993, Il velo della diversità, 2007, Feltrinelli). Prima di chiedersi « che cosa fare? » lui aveva l’abitudine di chiedersi « che cosa vuol dire? ». Perché gli attori politici e sociali in campo si comportano in quel modo?
Pizzorno cercava di levare la maschera agli attori, sulla base della convinzione che nelle democrazie rappresentative non agiscono individui, gli elettori, motivati da una valutazione razionale del loro interesse, sulla base di complicate analisi dei problemi economici, generalmente fuori della loro portata, ma soggetti che cercano di affermare la propria identità in conflitto con altri in lotta per il riconoscimento.
La cruda realtà, da disvelare, della democrazia realmente esistente, è che non si tratta del sistema che meglio consente di fare scelte politiche tra possibili alternative (questa è solo la illusione che sta nella asserita promessa), ma di quello che meglio consente la libertà di una identificazione collettiva, tra le diverse possibili in lotta tra loro.
L’interesse economico continua ad agire certo nei periodi di forti conflitti, ma si mescola all’identità e si trasfigura in modi che smentiscono le teorie lineari dell’azione razionale, contro le quali Pizzorno ha raffinato nel tempo le sue attrezzature di sociologo.
L’obiettivo di « smascherare » è sempre nei lavori di Pizzorno molto alto e ambizioso, che si tratti di partiti politici, sindacati, organizzazioni economiche, movimenti collettivi. C’è una crisi della rappresentanza che lui aveva già bene messo a fuoco, a partire dalla amara constatazione che la partecipazione popolare al voto ha funzionato « più da schermatura » del reale potere generato dalle forze economiche « che non da controllo ». Questo spiega gli scarsi risultati in termini di riequilibrio delle disuguaglianze.
La scelta elettorale, in tempi difficili per l’economia, è sempre meno efficace nel trasmettere la domanda politica e anche nel selezionare le élite. I tentativi di superare l’impasse prendono la forma di appelli al carisma del leader o di ideali utopici e confusi di democrazia diretta. Da cui l’ammonimento di Pizzorno sulla « natura mistificatoria » che possono assumere i concetti di « sovranità popolare » o « principio di maggioranza ».
Tanto realismo conviveva in Pizzorno con una reale passione politica democratica che però non prendeva mai il sopravvento sull’impegno scientifico nell’analizzare e nel teorizzare. Le dimensioni della perdita, con la sua morte, sono state finalmente messe in luce da un grande incontro a Milano promosso lo scorso novembre da Università Statale e Fondazione Feltrinelli, con moltissimi studiosi di grande valore, che a Pizzorno erano legati.
Della «cassetta degli attrezzi» di Pizzorno si farà ancora uso a lungo. Sidney Tarrow per esempio intende impiegarla per interpretare il « trumpismo » non solo come base elettorale « di uno specifico odioso politico », ma come un movimento sociale con i suoi simboli caratteristici e l’organizzazione, i suoi eroi e i suoi cattivi, e soprattutto « i suoi rituali di ricerca di identità collettiva » caratteristici dei movimenti in fasi di conflitto intenso. E per chiedersi, come avrebbe fatto lui, se sia un fenomeno di lunga durata o soltanto parte di « un ciclo di conflitto ».
Mentre Carlo Trigilia si avvicina alla convinzione maturata da Pizzorno che il futuro della democrazia rappresentativa non lasci bene sperare e che convenga rafforzare la democrazia negoziale, alla ricerca di compromessi efficaci tra gli interessi, e tra le organizzazioni che li rappresentano, piuttosto che continuare a illudersi sulle potenzialità della personalizzazione politica, della disintermediazione, dell’uomo forte.
Ovvero, non fidarsi delle maschere.
- Giancarlo Bosetti - Pubblicato su Robinson del 7/3/2020 -
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