La fantasia in quarantena
- di Allan Cob -
Il testo del collettivo cinese Chuang arriva al momento giusto. Si tratta di un testo fondamentale [SI PUÒ LEGGERE QUI] per ogni riflessione sull'epidemia di Covid-19 che intende durare più del mese di aprile. Il testo affronta il problema a partire da diverse prospettive (biologica, sanitaria, ecologica, sociale, economica, geografica, migratoria, politica) e lo fa ad un livello radicale. Mette in discussione quella che è la nostra epoca, nel momento in cui cominciamo ad esperire la produzione di virus e di epidemie su scala globale. In quelle che sono le pessime condizioni sociali e politiche che prosperano in tutto il pianeta, l'epidemia fa il suo corso.
A partire dalle riflessioni del biologo Rob Wallace, apprendiamo che oggi quello agro-alimentare è il settore responsabile di aver generato gli ambienti appropriati per la produzione di nuovi virus su larga scala. È questo il caso, per esempio, dell'industria avicola, la quale, alla ricerca di un aumento della produttività, creando ambienti di monocoltura di animali geneticamente migliorati, finisce per rimuovere tutti quelli che sono gli ostacoli immunologici che possono servire a ritardare la diffusione di una nuova malattia. Se un virus riesce ad infettare un pollo prodotto su larga scala, molto probabilmente avrà successo su tutto il suo allevamento. Del resto, la distruzione ambientale in tutto il pianeta finisce per esercitare una forte pressione sulle popolazioni di animali selvatici e facilita la contaminazione da parte di nuovi virus sulla produzione agro-industriale: il cosiddetto salto zoonotico. Pian piano, ma in maniera innegabile, la produzione di alimenti sotto il capitalismo mostra tutta la sua insostenibilità, anche dal punto di vista delle patologie globali, prodotte nelle fabbriche, nei laboratori di miglioramento genetico, nelle piantagioni e nei campi coltivati.
L'espansione dell'agro-business e la trasformazione della proprietà della terra in attività finanziaria, appare essere storicamente legata all'insorgere di una serie di epidemie. Negli anni '70, in Sudan, il caso del focolaio di Ebola appare direttamente legato alla pressione delle industrie inglesi, che per espandere la propria produzione di cotone hanno modificato la dinamica ecologica di tutta una popolazione che viveva nelle foresta della regione. Più recentemente, nel 2013, il focolaio di Ebola in Guinea è stato collegato all'espansione della produzione di olio di palma, essenziale per l'80% degli alimenti industrializzati. L'espansione di questo agro-business è stato responsabile della distruzione delle foreste e dell'attrazione sfrenata dei pipistrelli, i quali sono una riserva naturale per il virus.
Dal punto di vista dell'edilizia abitativa e della conformazione delle grandi città e delle loro periferie, ci sono molte cose da riconsiderare. La trasformazione del suolo in un bene finanziario crea una pressione su quello che è il prezzo degli immobili, e spinge intere popolazioni in direzione delle baraccopoli, le quali sono a loro volta l'ambiente ecologico più precario, soggette a contaminazioni originarie delle zone di produzione agro-industriale e provenienti dalle epidemie urbane. Anche dal punto di vista sanitario, non esiste alcuna dignità nella vita degli abitanti di queste baraccopoli, già spogliati di ogni loro possibilità di miglioramento professionale o intellettuale. Nel momento in cui intendiamo anche la salute come se fosse una merce, anche diventiamo soggetti ai dettami della mercantilizzazione della salute e delle cure. È questo il motivo della formazione di un intero settore su scala industriale, immune alla morte umana e che trae i suoi profitti proprio dalla riproduzione di modelli di persone affette da malattia, la cosiddetta BigPharma.
Il sistema capitalistico ha imposto al mondo la sua forma di socialità, con la sua industria e cultura, travolgendo sempre le popolazioni che incontrava sul proprio cammino ed elevando l'uomo bianco ed occidentale, il suo pragmatismo economico, le sue putride narrazioni meritocratiche e la sua ottusa sensibilità a simboli del più alto grado di civilizzazione. Tuttavia, oggi, possiamo constatare che, oltre ad aver diffuso e fatto proliferare, in qualsiasi posto sia riuscito ad approdare, il razzismo strutturale ed il moribondo patriarcato capitalistico, la civiltà del denaro non è altro che una vana illusione di superiorità, ormai seduta con i piedi che penzolano sull'abisso.
Tutto il nostro modo di vivere, in quanto lavoratori rurali o urbani, (per non parlare di coloro che non scelgono di consumare perché non hanno accesso al denaro, o perché vivono già in quarantena, come la popolazione carceraria o i prigionieri nei campi profughi, insieme a tutti gli altri cha hanno avuto la vita annullata), è strettamente legato al sistema industriale di produzione di alimenti. E siamo anche del tutto prigionieri del concetto di terra e di suolo, di sanità e di abitazioni viste tutte quante come delle merci. Dietro tutto questo sistema risiede quella che è una forma di relazione sociale che ha bisogno di essere abolita.
Questa società è la società del Dio-Denaro che sacrifica quotidianamente i suoi servi sull'altare del lavoro: un'attività il cui unico ed ultimo senso è quello di aumentare la centralità che il denaro ha rispetto alle nostre vite, e di conseguenza approfondire le contraddizioni sociali. In pratica, essa dipende direttamente dal patriarcato - insieme a tutti gli espedienti maschilisti capace di muovere - e da tutte le forme di razzismo che riesce a mobilitare (xenofobia, suprematismo bianco, islamofobia, antiziganismo o antisemitismo). Questi due pilastri, il maschilismo ed il razzismo, organizzano quelli che sono i nostri simboli, la nostra cultura e perfino la nostra mentalità. A titolo di esempio: la stragrande maggioranza delle infermiere - le quali sono le più esposte ai rischi negli ospedali - è composta da donne e da uomini non bianchi. Applicate questa logica a tutto il pianeta, e ne trarrete quella che è la dimensione della frattura.
Se non si potesse fare niente per impedire che insorgano epidemie come questa, le misure di auto-confinamento potrebbero ancora essere vista con maggior empatia. Ma quando difendiamo il confinamento senza interrogarci sulle origini di questo problema planetario, allora stiamo cooperando per aggravarne le cause. Ecco perché non possiamo rassegnarci alla posizione propria di quei cittadini paranoici maniaci dell'amuchina, mentre chiudiamo gli occhi e immaginiamo la cura del vero virus. Oltre tutto, non riflettere su quali sono i limiti delle soluzioni precarie che ci vengono presentate ora, significa preparare il terreno a misure più drastiche che potrebbero emergere in futuro. Dopo tutto, se Cracolandia è già stata definita come una zona sanitaria speciale, non c'è niente che impedisca che insorgano nuove argomentazioni per legittimare il confinamento di intere popolazioni, che non hanno né denaro né proprietà, per ragioni sanitarie. Non c'è da meravigliarsi che l'eugenetica attribuisca un particolare valore al sapone. Anche perché, in quarantena la nostra fantasia appassisce.
- Alan Cob - Pubblicato il 14/3/2020 -
fonte: GrupoFictício
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