domenica 22 marzo 2020

2019-NCov: la freddezza delle sigle...

Pubblichiamo qui di seguito le «note sul Coronavirus» del biologo dell'evoluzione e filo-geografo marxista Robert G. Wallace, autore di "Big Farms Make Big Flu" pubblicato nel 2016, libro abbondantemente citato dai compagni di Chuang, il cui intervento sulla «guerra di classe microbiologica» ha ormai fornito quello che è un nuovo classico della teoria della "comunizzazione". Datato 29 gennaio, questo testo costituisce la prima analisi che l'autore ha svolto nel contesto della congiuntura del Covid-19, ed è quindi precedente all'intervista del 13 marzo (disponibile in italiano qui) e alle sue nuove risposte alle domande fatte il 15 marzo [qui]. Quindi, malgrado alcune indicazioni statistiche divenute obsolete, quella che è l'analisi di fondo di Wallace trae la sua forza dal porsi al crocevia di molteplici campi, quali la biologia, l'ecologia e la critica dell'economia politica e dal rifiutare nettamente qualsiasi campismo politico tra la Cina ed il mondo occidentale. Nel criticare, da un lato, la sino-fobia dominante e, dall'altro, il produttivismo cinese, Wallace propone quella che è la strada di un «comunismo degli esseri viventi».

Note sul nuovo Coronavirus
- di Robert G. Wallace -

Un nuovo letale coronavirus, il 2019-nCoV, apparentato alla SARS e alla MERS, e che sembra abbia avuto origine nei mercati di animai vivi di Wuhan, in Cina, sta cominciando a diffondersi in tutto il mondo. Le autorità cinesi hanno segnalato, a livello nazionale, 5.974 casi in tutto il paese, di cui 1.000 gravi [dati del 29/1/2020. L'OMS ha parlato di 80.981 casi, di cui al 12 marzo i decessi sono stati 3.173]. I focolai infettivi si trovano in quasi tutte le province, e le autorità hanno avvertito che 2019-nCoV sembra diffondersi fuori dal suo epicentro. Questa valutazione sembra supportata da un primo modello. Il tasso di riproduzione di base del virus, che misura il numero dei nuovi casi per infezione senza limitarlo ai possibili casi di infezione, è salito a 3,11. Ciò significa che, a fronte di una tale dinamica, una campagna di controllo deve porre il limite di quasi il 75% di nuove infezioni, per poter sperare di contenere l'epidemia. Il team incaricato di impostare il modello, ha stimato in più di 21.000 il numero dei casi - identificati o meno - per la sola città di Wuhan [al 15 marzo, le stime dell'OMS parlano di 70.000 casi per la provincia di Hubei, di cui Wuhan è la capitale]. Il sequenziamento completo del genoma del virus, mostra solo poche differenze tra i campioni prelevati in tutto il paese. Se un virus RNA, con un'evoluzione così rapida, conosce una propagazione più lenta, si possono allora constatare delle disparità nelle mutazioni che si accumulano in alcuni luoghi. Il coronavirus comincia ad apparire all'estero. Ci sono dei viaggiatori portatori del 2019-nCoV che sono stati isolati in Australia, in Francia, a Hong Kong, in Giappone, in Malesia, in Vietnam, a Singapore, in Corea del Sud, Tahilandia, a Taiwan e negli Stati Uniti, con conseguenti epidemie locali in almeno sei di questi paesi. Dato che il contagio avviene tra esseri umani in cui il periodo di incubazione (presunto) è di 2 settimane, prima che la malattia si manifesti, la sua diffusione nel mondo intero non potrà che verificarsi. Il fatto di sapere se ci sarà «Wuhan dappertutto», rimane una questione aperta.
La diffusione massima del virus a livello globale, dipenderà dalla differenza tra tasso di infezione e tasso di escrezione dell'infezione, in seguito alla guarigione o al decesso. Se il tasso di infezione è molto più alto del tasso di escrezione, potrebbe venire infettata la quasi totalità della popolazione mondiale. Tuttavia, è probabile che questo scenario possa presentare delle ampie variazioni geografiche, sia per le differenze tra le reazioni dei diversi paesi che a causa delle probabilità di morte. Gli scettici circa l'ipotesi pandemica non credono in una simile possibilità. Il numero di pazienti deceduti a causa di un'infezione del 2019-nCoV è molto più basso di quello di una classica influenza stagionale. Ma l’errore consiste nel confondere il primo stadio di un'epidemia con quella che è la natura fondamentale di un virus. Le epidemie sono dinamiche. Certo, alcune vengono riassorbite, forse avverrà anche con il 2019-nCoV. Tuttavia, c'è bisogno che l'evoluzione giochi le carte giuste e serve un po' di fortuna per arrivare che avvenga un'eliminazione spontanea. Talvolta succede che non ci sono ospiti a sufficienza perché si possa mantenere il contagio. Altre epidemie, invece, esplodono. Quelle che riescono ad occupare il centro della scena mondiale possono anche arrivare a cambiare le regole del gioco, anche se alla fine si estinguono. Rompono la monotonia della vita quotidiana, anche quella di un mondo che si trova in crisi e in cui c'è la guerra.

Il punto cruciale della questione è la mortalità di ogni ceppo pandemico.
Se il virus si rivela essere meno contagioso o mortale di quanto si pensava all'inizio, la civiltà continuerà il suo corso, malgrado i morti. L'epidemia di influenza H1H1 del 2009, che più dieci anni fa ha terrorizzato così tante persone, si è rivelata meno virulenta di quanto si pensava inizialmente. Ma anche quel ceppo si diffuso tra la popolazione mondiale, uccidendo silenziosamente numerose persone malate, in una proporzione molto più grande di quanto lasciavano intendere le rettifiche che si sono allora succeduta. Il virus H1N1 (del 2009), il primo anno è stato responsabile della morte di 579.000 persone, causando delle complicazioni in un numero di casi che è stato 15 volte superiore a quello che era stato originariamente previsto dai test di laboratorio. Il pericolo risiede nell'interconnessione senza precedenti dell'umanità. L'influenza H1H1 del 2009 ha attraversato l'Oceano Pacifico in 9 giorni, superando di diversi mesi quella che era stata la rapidità prevista dai modelli più avanzati della rete globale di trasporto. I dati delle compagnie aeree mostravano una moltiplicazione per 10 volte dei voli interni cinesi rispetto a quelli risalenti al periodo dell'epidemia di SARS (2002-2003).  Con una simile "percolazione", la bassa mortalità di quello che è un gran numero di infezioni può tuttavia tradursi ancora in un gran numero di decessi. Se 4 miliardi di persone venissero infettate con un tasso di mortalità di solamente il 2% - meno della metà di quello che è stato il tasso della pandemia di influenza spagnola del 1918 - i morti sarebbero 80 milioni. E, contrariamente a quanto avviene per l'influenza stagionale, non disporremmo né dell'immunità collettiva di gregge, né del vaccino per poterla rallentare. Anche se ne acceleriamo il suo sviluppo, ci vorranno almeno 3 mesi per poter produrre un vaccino per il 2019-nCoV, ammesso che funzioni. I ricercatori sono stati in grado di mettere a punto un vaccino contro l'influenza aviaria H5N2 solo dopo che ha avuto fine l'epidemia negli Stati Uniti. Un parametro epidemiologico cruciale consisterà quindi nel rapporto esistente tra l'infettività ed il momento in cui insorgono i sintomi. La SARS e la MERS hanno dimostrato di essere contagiose solo dal momento in cui apparivano i sintomi. Se vale lo stesso anche per il Cov 2019, potremmo allora ritenere di essere sulla buona strada. Anche in assenza di un vaccino, o di adeguati antivirali, potremmo mettere i malati in quarantena, ponendo così fine alla catena di trasmissione grazie ad una politica sanitaria pubblica che risale al 19° secolo. Tuttavia, domenica [26 gennaio] il ministro della sanità cinese, Ma Xui, ha stupito il mondo intero annunciando che il 2019-nCoV si è rivelato infettivo ancor prima della comparsa dei sintomi. È a causa di questa inversione di tendenza che gli epidemiologi americani, infuriati, chiedono di avere accesso a quelli che sono i nuovi dati relativi all'infettività. Lo shock attiene al fatto che i ricercatori americani non si aspettavano che il virus evolvesse al di fuori di quello che loro consideravano l'alfa e l'omega dei modelli di sanità pubblica. Se le notizie riguardanti l'infettività vengono confermate, le autorità sanitarie non saranno in grado di riconoscere quali sono i nuovi casi attivi in base ai sintomi. Tutte queste incognite - la sorgente esatta, l'infettività, la penetrazione e i possibili trattamenti - spiegano il motivo per cui gli epidemiologhi e i responsabili della salute pubblica sono così preoccupati circa il 2019-nCoV. Contrariamente a quanto avviene con le influenze stagionali, alle quali si riferiscono gli scettici dello scenario pandemico, l'incertezza in materia destabilizza i medici. Essere preoccupati, è nella natura di questo lavoro. Una simile preoccupazione è parte integrante delle probabilità stesse, e gli errori sistemici sono in gran misura parte essi stessi parte integrante della professione medica. I danni causati dalla mancanza di preparazione nei confronti di un'epidemia che si rivela mortale, superano largamente l'imbarazzo causato da una preparazione, nei confronti di un'epidemia, che non è all'altezza del battage mediatico. Ma, in un'epoca che celebra l'austerità, sono pochi i governi desiderosi di pagare per un disastro di cui non sono certi - quali che siano i guadagni collaterali derivanti dalle precauzioni. In molti casi, la scelta della risposta non è comunque nelle mani degli epidemiologi. Le autorità statali che prendono le decisioni si destreggiano tra obiettivi multipli e assai spesso contraddittori. Il contenimento di un'epidemia, anche mortale, non sempre viene considerato decisivo. Mentre la autorità si sbattono per sapere come reagire, la portata del disastro può conoscere improvvisamente un'accelerazione. Come dimostra lo stesso 2019-nCoV - il quale in un mese è passato dall'essere presente su un solo mercato alimentare alla scena mondiale - le statistiche possono crescere così tanto e così velocemente da infliggere un colpo fatale ai migliori tentativi sul terreno degli epidemiologi sul campo; che sono la loro ragion d'essere. Le mie stesse reazioni viscerali a questa evoluzione della malattia sono passate dall'inquietudine all'impazienza, passando per la frustrazione.

Sono un biologo dell'evoluzione e uno specialista in filo-geografia della sanità pubblica. Ho lavorato per 25 anni, la più parte di quella che è stata la mia vita adulta, su diversi aspetti di queste nuove pandemie. Come ho già spiegato altrove e con l'aiuto di molti altri, ho tentato di mettere a frutto quanto ho investito dello stato delle conoscenze di questi agenti patogeni, che va dal sequenziamento genetico nel corso delle mie prime ricerche alla geografia economica dell'utilizzo del suolo, all'economia politica dell'agricoltura internazionale e all'epistemologia delle scienze. La lucidità a volte rende l'animo amaro. Nel momento in cui le reti sociali brulicano di domande sul 2019-nCoV, la mia prima reazione rasentava la provocazione e la stanchezza. Cosa vi aspettate che dica, esattamente? Cosa volete che faccia? Nel cercare di consigliare, sia sul piano personale che su quello professionale, amici e colleghi ho commesso diversi errori. Alla domanda di un mio amico agricoltore riguardante il fatto che stesse per andare all'estero, gli ho raccomandato di portarsi una maschera chirurgica, di lavarsi le mani prima di ogni pasto e di smettere di scoparsi il bestiame. L'umorismo nero macabro mi aiuta a superare l'ansia, ma nel sentire la sua risposta: «non devo più scopare il mio bestiame, sul serio?», mi sono reso conto di aver perso un'occasione per stare zitto. In maniera poco elegante, ho chiesto scusa. Dopo, il mio amico ci ha riso sopra. È uno dei rischi del mestiere. Siamo esposti alla paura esistenziale causata dall'inerzia politica con cui gli epidemiologi devono affrontare nel momento in cui preparano il mondo ad una pandemia quasi ineluttabile, un'epidemia per la quale gli elettori ritengono che non ci sarà una cura se non quando sarà troppo tardi. Se si scoprirà che il 2019-nCoV è la Gande Bestia - cosa che non è ancora sicura -, a questo stadio ormai non c'è più molto da fare, se non chiudere tutti i boccaporti sperando che il virus non uccida il 90% della popolazione mondiale, ma solo una piccola frazione. È evidente che l'umanità non dovrebbe cominciare a reagire ad una pandemia solo quando questa è già cominciata. In tal caso, si tratta di una rinuncia totale ad ogni prassi o teoria finalizzata ad anticiparla. E dire che i nostri leader, in qualità di allievi più istruiti, si richiamano a Prometeo!
Come ho scritto 7 anni fa: «Penso che ci vorrà molto tempo prima che si abbia l'occasione di parlare di un'epidemia di influenza umana, se non di sfuggita. Anche se la preoccupazione appare come una comprensibile reazione istintiva, essa è, in questa fase, leggermente tardiva. La bestia, da dove proviene, ha lasciato ormai da tempo il fienile, letteralmente». Nel corso di questo secolo abbiamo già identificato dei nuovi ceppi di peste suina africana, Campylobacter, Cryptosporidium, Cyclospora, Ebola, E. coli O157:H7, afta epizootica, epatite E, Listeria, virus Nipah, febbre Q, Salmonella, Vibrio, Yersinia, Zika e diverse nuove varianti del virus dell'influenza A, tra cui H1N1 (2009), H1N2v, H3N2v, H5N1, H5N2, H5Nx, H6N1, H7N1, H7N3, H7N7, H7N9 et H9N2. E poco o niente di concreto è stato intrapreso nei confronti di questi nuovi ceppi. Dopo ogni svolta favorevole agli eventi, le autorità hanno tirato un sospiro di sollievo: ripetendo ogni volta quel lancio di dadi che non riesce mai ad abolire il caso epidemiologico, si assumono il rischio di vedere uscire una combinazione fatale di massima virulenza e trasmissibilità. Il problema insito in un approccio del genere, va al di là della semplice mancanza di preveggenza o di decisione. Gli interventi di urgenza, per quanto necessari siano al fine di porre rimedio a ciascuno di questi inconvenienti, non possono fare altro che aggravare la situazione. In effetti, le modalità di questi interventi sono in concorrenza tra loro. E, come sosteniamo io ed i miei colleghi, i criteri di emergenza vengono utilizzati per imporre un'egemonia in senso gramsciano, per impedire che si possa parlare di interventi strutturali in materia di produzione o di potere. Proprio perché, lo sapete, ci viene detto: C'È UN'EMERGENZA!
In aggiunta a questo piccolo gioco di rimozione, l'incapacità di affrontare i problemi strutturali può annullare l'efficacia di questi stessi interventi di emergenza. La soglia, al di sotto della quale le misure profilattiche e di quarantena cercano di ridurre la popolazione di agenti patogeni (per fare in modo che quest'infezione si esaurisca da sé sola, per mancanza di nuovi soggetti di infezione), è essa stessa determinata da quelle che sono delle cause strutturali. Come ha scritto il nostro team a proposito dell'epidemia di Ebola in Africa occidentale: «La trasformazione della foresta in merce, ha probabilmente abbassato la soglia eco-sistemica della regione, a tal punto che nessun intervento di emergenza può fare scendere l'epidemia di Ebola ad un livello sufficientemente basso perché esso si estingua da solo. I nuovi contagi manifestano un maggior potere infettivo. All'altro estremo della curva epidemica, continua a circolare quella che è un'epidemia matura, con la possibilità che ci siano dei rimbalzi intermittenti. In breve, i cambiamenti strutturali del neoliberismo non costituiscono solo un semplice sfondo su cui si starebbe sviluppando la catastrofe chiamata Ebola. Questi cambiamenti sono altrettanto costitutivi della catastrofe quanto lo è il virus stesso[...] La deforestazione e l'agricoltura intensiva possono neutralizzare l'attrito stocastico dell'agro-foresteria tradizionale, la quale in genere impedisce al virus di trasmettersi in queste proporzioni significative».
Sebbene oggi esistano sia un vaccino efficace che un antivirale, il virus Ebola continua ad essere attualmente la più grande epidemia mai registrata nella Repubblica Democratica del Congo. Cosa è successo nel frattempo? Dov'è ora il Dio biomedico? Criticare i congolesi per aver nascosto questo loro fallimento è una dimostrazione di malafede coloniale, che se ne lava le mani dell'imperialismo e dei suoi decenni di aggiustamenti strutturali e di instaurazioni di regimi favorevoli agli interessi dei paesi del Nord. Non si può più dire che non c'è niente da fare, sebbene sia corretto criticare la tendenza a reagire solo alla comparsa di nuove malattie. In ogni angolo del mondo, esiste un programma progressista da applicare in caso di epidemia, che comprende la creazione di gruppi di mutuo appoggio in ogni quartiere, la rivendicazione della disponibilità gratuita dappertutto dei vaccini e degli antivirali, insieme alle forniture mediche e alla garanzia di sussidi di disoccupazione e di copertura medica nel caso che l'epidemia possa indebolire l'economia.
Ma questo modo di considerare ed organizzare le cose, che è parte integrante dell'eredità della sinistra, sembra che abbia lasciato campo libero ad un'attività più prosaica (e discorsiva). Sia sinistra che a destra, la propensione reazionaria favorevole al controllo delle malattie mi ha portato a sostenere gli sforzi per preservare e sostenere le agricolture anticapitaliste. Fermiamo le epidemie che non possiamo gestire prima ancora che si manifestino. A questo punto della mia carriere, visto il ritmo strutturale delle situazioni di emergenza, spesso scrivo delle malattie infettive solo in termini di tendenze.

Le cause strutturali delle malattie si trovano ad essere esse stesse oggetto di un acceso dibattito. Inoltre, permangono degli interrogativi circa le origine del 2019-nCoV. Innanzitutto si è fatto un caso del mercato alimentare di Wuhan, con la sua predilezione tutta orientalista per gli strani e sgradevoli regimi alimentari, che simboleggiano anche la fine di una biodiversità che l'Occidente, da parte sua, ha ridotto a niente e che avrebbe dato odiosa origine a delle terribili malattie: «Il tipico mercato cinese offre della frutta e dei legumi,  e nelle sue macellerie,  del manzo, del maiale e dell'agnello, dei polli interi spennati - la cui testa ed il becco sono annodati - dei granchi e dei pesci vivi che nuotano nel vortice dei loro acquari. Alcuni vendono dei prodotti più insoliti: tartarughe, serpenti, cicale, porcellini d'India, ratti del bambù, tassi, civette della palma, ricci, lontre e perfino lupacchiotti. Tutti vivi». I serpenti citati precedentemente, sono stati marchiati come significanti e significati, come fonte letteraria del 2019-nCoV, proclamati simultaneamente sia come se fossero un paradiso perduto che un peccato originale che viene tenuto nelle loro bocche. Ci sono prove epidemiologiche a sostegno di una tale ipotesi. 33 dei 585 esemplari del mercato di Wuhan si sono rivelati positivi al 2019-nCoV, 31 dei quali erano provenienti dall'estremo occidente del mercato, dove si concentra il commercio di animali selvaggi. Al contrario, solo il 41% di questi esemplari positivi è stato prelevato nelle vie dove ci sono in negozi nei quali gli animali vengono parcheggiati. Una quarto delle prime persone infette non aveva mai messo piede nel mercato di Wuhan, o non era mai stato esposto direttamente. Il caso più vecchio è stato identificato prima che il mercato fosse interessato dal contagio. Altri venditori infetti commerciavano solo maiali, un tipo di bestiame che possiede un ricettore molecolare comune che lo rende altrettanto vulnerabile, cosa che ha portato uno dei team di ricerca a credere che i suini fossero la potenziale origine del nuovo coronavirus. Combinata con la peste suina africana, la quale lo scorso anno ha ucciso la metà dei suini cinesi, quest'ultima ipotesi sarebbe stata disastrosa. Si è già assistito a simili convergenze di malattie, che portano anche ad un'attivazione reciproca interna, dove le proteine di ogni agente patogeno si catalizzano vicendevolmente, favorendo dei nuovi sviluppi clinici e delle trasmissioni dinamiche delle due malattie.
Tuttavia, la sino-fobia occidentale non assolve la politica cinese in materia di sanità pubblica. Di certo, la rabbia e la frustrazione manifestata dall'opinione pubblica cinese contro le autorità locali e federali per la loro lentezza nel reagire, non devono servire ad alimentare la xenofobia. Ma quelli che sono i nostri sforzi per non cadere in questa trappola, rischiano di farci trascurare l'essenziale simmetria agro-ecologica.
Se lasciamo da parte l'aspetto della guerra culturale, bisogna riconoscere che in Cina i mercati di prodotti freschi e di cibi esotici costituiscono degli alimenti di base, accanto alla produzione industriale esistente a partire dalla liberalizzazione economica post-Mao. In realtà, i due modi di alimentazione vanno compresi insieme attraverso il prisma dell'utilizzo del territorio. L'espansione della produzione industriale può spingere le specie selvatiche (sempre più capitalizzate) che entrano nell'alimentazione, ancora più profondamente in quelli che sono gli spazi primari, portando così alla comparsa di una più grande varietà di agenti patogeni potenzialmente proto-pandemici. Le circoscrizioni periurbane, la cui densità di popolazione ed estensione è sempre più crescente, potrebbe far crescere la zona di interazione (e i contagi) tra le popolazioni selvagge non umane e nella campagna recentemente urbanizzata. In tutto il mondo, perfino le specie più selvagge vengono incorporate nelle catene di valore agro-alimentari: tra queste, lo struzzo, l'istrice e il porcospino, il coccodrillo, il pipistrello della frutta e la civetta delle palme, i cui escrementi contengono delle bacche parzialmente digerite che vengono utilizzate per produrre il caffè più caro del mondo. Alcune specie selvagge si trovano sul piatto ancor prima di essere state identificate scientificamente, fra di essi un nuovo genere di squalo dal muso corto che è stato trovato in un mercato a Taiwan. Tutte queste specie vengono sempre più considerate come se fossero delle merci. Via via che la natura viene spogliata, un luogo dopo l'altro, specie dopo specie, ciò che ne rimane diventa ancora più prezioso. L'antropologo weberiano Lyle Fearnley ha osservato che gli agricoltori usano costantemente la distinzione tra natura selvaggia e addomesticata come se fosse un significante economico, producendo quindi dei nuovi valori e significati connessi ai loro animali, anche per rispondere a quelli che sono gli allarmi epidemiologici che sono stati diffusi nei loro settori. Un marxista potrebbe ribattere che questi significanti emergono in un contesto che va ben al di là del controllo dei piccoli proprietari, e che si estende al circuito mondiale del capitale.
In questo modo, benché la distinzione tra aziende agricole e mercati di prodotti freschi non è priva di conseguenze, si rischia di non cogliere quelle che sono le loro somiglianze ( e le loro relazioni dialettiche). Queste distinzioni si mescolano attraverso altri meccanismi. Molti agricoltori nel mondo, compresa la Cina, sono in realtà dei subappaltatori che, per esempio, allevano pulcini di un giorno destinati alla trasformazione industriale. Di modo che, ad esempio, nelle piccole fattorie di fornitori che si trovano ai margini di una foresta, ecco che un animale destinato all'alimentazione può essere contaminato da un agente patogeno già ancor prima di essere inviato verno un impianto di trasformazione situato nella periferia di una grande città. L'espansione delle aziende agricole industrializzate, d'altra parte, sta costringendo un settore agro-alimentare sempre più sottomesso al mercato a dislocarsi ancora più lontano nella foresta, aumentando così la probabilità di reintrodurre un nuovo agente patogeno, riducendo al contempo la complessità ambientale per mezzo della quale la foresta può interferire con le catene di trasmissione.

In seguito, il capitale strumentalizza queste indagini sulle malattie. Criminalizzare i piccoli proprietari terrieri, ormai fa parte dell'arsenale di amministrazione delle crisi agroalimentari, ma è chiaro che queste malattie attengono a dei sistemi di produzione, nel tempo, nello spazio e nel modo, e non solo a degli attori specifici, i quali a loro volta possono essere individuati. In quanto gruppo, i coronavirus sembrano superare queste distinzioni. Mentre la SARS ed il 2019-nCoV sono apparsi visibilmente sui mercati dei prodotti freschi - a parte i suini -, il MERS, l'altro coronavirus mortale, è venuto fuori direttamente dal settore dell'allevamento industriale di cammelli in Medio Oriente. Questa è una delle spiegazioni della virulenza di questi virus che viene ampiamente ignorata nelle discussioni scientifiche più ampie. Tutto questo dovrebbe servire a cambiare il nostro modo di pensare. Io raccomanderei di andare oltre la comprensione delle cause e degli interventi su queste malattie, come se fosse un soggetto biomedico, o perfino eco-sanitario, per avventurarci invece nel campo delle relazioni eco-sociali. Ci sono altri atteggiamenti, altri ethos che aprono altre strade. Alcuni ricercatori consigliano di modificare geneticamente il pollame e il bestiame in modo da renderli resistenti a queste malattie. Non si chiedono se gli animali che sono stati resi asintomatici e destinati al consumo non continuerebbero comunque a fare circolare questi virus fino a quando non contamineranno degli esseri umani, i quali non sono stati geneticamente modificati, loro.
Andando indietro nel tempo, a nove anni fa, all'origine del mio disappunto, quando scrivevo circa il principio essenziale, assente in questi tentativi di eliminazione degli agenti patogeni attraverso l'ingegneria genetica: «Al di là della questione finanziaria, il nuovo pollo Frankenstein, in particolare quello destinato ai paesi poveri, la performance dell'influenza è in parte dovuta alla sua capacità di superare e sopravvivere a simili pallottole d'argento. È facile confondere le ipotesi associate ad un modello che lucra sulla biologia attraverso quello che ci si aspetta dalla realtà materiale, in cui le aspettative vengono scambiate per proiezioni, e le proiezioni per predizioni. Una delle fonti di errore , è la pluridimensionalità del problema. Anche i ricercatori più convenzionali cominciano ad ammettere che l'influenza è più di un semplice virus o di una banale infezione; che essa oltrepassa i confini disciplinari (e i piani di sviluppo economico), sia in quelle che sono tanto le loro forme quanto il loro contenuto. Gli agenti patogeni sfruttano spesso quelli che sono dei processi accumulatisi a livello di organizzazione bio-culturale, per risolvere delle difficoltà incontrate su un'altra scale, soprattutto molecolare». Il business agro-alimentare ci spinge continuamente verso un futuro tecno-utopico per poterci mantenere i una passato confinato alle relazione capitalistiche. Siamo fatti per girare in tondo in quelli che sono i circuiti delle merci, proprio     quelli dove le malattie in arrivo fanno galoppare i loro esperimenti. Il brivido segreto (ed il terrore conclamato) che gli epidemiologi provano durante un'epidemia, non è altro che una sconfitta vestita di eroismo. La quasi totalità della professione si trova attualmente strutturata intorno a dei compiti post - festum, come quelli dello stalliere che con la sua pala e la sua spazzola segue gli elefanti del circo. Nel quadro del programma neoliberista, gli epidemiologi e le équipe sanitarie pubbliche sono finanziati solo per ripulire la merda del sistema, razionalizzando nel contempo le peggiori pratiche che in molti casi portano a delle pandemie mortali.
Nel suo commento a proposito del nuovo coronavirus, un certo Simon Reid, professore di Controllo delle malattie infettive all'Università del Queensland, ci fornisce un esempio di quella che è l'incongruenza che ne deriva. Reid salta da un soggetto ad un altro, senza mai riuscire a vedere, a partire da quelle che sono solo le sue osservazioni tecniche, quale sia il quadro generale. Queste divagazioni non sono dovute necessariamente alla sua incompetenza o alla sua malevolenza. Sono rivelatrici, piuttosto, delle contraddittorie richieste provenienti dall'università neoliberista. Di recente, nella sinistra radicale statunitense esiste un consenso per parlare di una classe di inquadramento manageriale (professional-managerial class, PMC). I socio-democratici di Jacobin detestano questi capitalisti della classe manageriale, i quali cercano - anche loro - di unirsi in un ipotetico governo Sanders, mentre gli statalisti ritengono questi quadri anch'essi dei proletari. Senza voler entrare in questo dibattito metafisico - quanti manager possono ballare sulla punta di una siringa - va notato che anche se in l'esistenza della PMC, in epidemiologia è teorica, devo dire che io li ho incontrati in carne ed ossa. Essi sono tra noi!
Reid e gli altri epidemiologi istituzionali devono farsi carico di sradicare quelle che sono le malattie di origine neoliberista - sì, anche quelle al di fuori della Cina - gratificandoci di tutta una serie di rassicuranti banalità sul sistema che li paga, e su come esso funziona bene. Si tratta di un mandato paradossale  che molti medici decidono di accettare, e perfino di sostenere, anche se le pratiche epidemiologiche che ne derivano minacciano milioni di persone. Reid capisce più o meno che il sistema di produzione e di conservazione degli alimenti spiega in parte il 2019-nCoV (così come hanno fatto alcuni dei suo predecessori, glorie dei programmi di tele-realtà epidemiologica che sono stati, fino ai giorni nostri, una caratteristica di questo secolo). Ma nel presentare questa proto-pandemia, egli aggiunge subito che «questo orrore totale è anche il nostro salvagente - Dio sia lodato!». Vale a dire che «la Cina è fonte di continue epidemie, ma, in collaborazione con una OMS, che ora l'ha conquistata al filantrocapitalismo, esercita un biocontrollo esemplare».
È possibile, simultaneamente, rifiutare la sino-fobia, offrire un sostegno materiale E ricordare che la Cina ha fatto passare sotto silenzio l'epidemia di SARS del 2003. Pechino aveva bloccato i reportage dei media e le inchieste sulla sanità pubblica, permettendo che il coronavirus si diffondesse in tutto il paese. Le autorità mediche delle province vicine a quelle delle persone colpite non sapevano che i pazienti stavano inondando i pronto soccorso. Alla fine la SARS si era diffusa in diversi paesi ed era arrivata fino in Canada, ed era ormai difficile da contenere. Il nuovo secolo è stato contraddistinto dall'incapacità o dal rifiuto della Cina di fronteggiare il torrente industriale quasi perfetto di riso, di anatre, di pollame e di suini che portava una molteplicità di nuovi ceppi di influenza. Si ritiene che questo debba essere il prezzo da pagare per la prosperità. Tuttavia, non si tratta di un'eccezione cinese. Anche gli Stati Uniti e l'Europa sono stati epicentri di nuovi ceppi influenzali - più recentemente H5N2 e H5Nx - e le loro multinazionali, con i loro intermediari neo-coloniali, hanno partecipato all'emergenza Ebola in Africa occidentale, o a quella della Zika in Brasile. I responsabili della sanità pubblica statunitense hanno fornito una copertura all'industria agroalimentare durante le epidemie di H1N1 (2009) e di H5N2.
Forse dovremmo astenerci dallo scegliere tra l'uno o l'altro di quelli che sono i cicli di accumulazione capitalistica: il ciclo statunitense arrivato alla fine, o il ciclo cinese in piena espansione (o, come fa Reid, sceglierli tutti e due). Un'altra opzione è quella di non difendere nessuno di questi due cicli, col rischio di essere accusati di assumere una posizione internazionalista del genere «terzo campo». Se dobbiamo prendere parte e schierarci in questo Grande Gioco, allora abbracciamo un eco-socialismo che superi la spaccatura metabolica tra ecologia ed economia, tra urbano e rurale e tra rurale e selvaggio, evitando fin da subito che appaiano i peggiori agenti patogeni. Scegliamo la solidarietà internazionale tra gli sfruttati di tutto il mondo.
Realizziamo un comunismo degli esseri viventi, lontano dal modello sovietico. Costruiamo insieme un nuovo sistema globale che possa coniugare la liberazione degli indigeni, l'autonomia degli agricoltori, il re-inselvatichimento strategico e l'agro-ecologia localistica che, ridefinendo la biosicurezza, possa reintrodurre nel bestiame, nel pollame e nelle colture dei firewall immunitari di ogni genere. Reintroduciamo la selezione naturale in quanto processo eco-sistemico, e lasciamo che bestiame e colture si riproducano in loco, in modo che possano trasmettere alla generazione successiva quell'immunogenetica che è stata testata nel fuoco epidemico.
Cerchiamo di considerare in maniera diversa quelle che sono tutte le opzioni. Forse sono stato troppo duro con tutti i Reid del mondo, i quali, per dovere professionale, sono costretti a credere alle loro stesse contraddizioni. Ma, come è stato dimostrato da 500 anni di guerre di e di pestilenza, il capitale - al cui servizio oggi sono gli epidemiologi - è più che disposto a proseguire la sua scalata su delle montagne di cadaveri.

- Robert G. Wallace - Pubblicato il 19 marzo 2020 su Agitations -

fonte: Agitations


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