"Certo, eravamo giovani.
Certo, eravamo arroganti.
Eravamo ridicoli, eravamo eccessivi,
eravamo avventati, sciocchi.
Ma avevamo ragione."
Abbie Hoffman
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
“La coerenza della società dello spettacolo ha dato ragione in un certo modo ai rivoluzionari, perché è ormai chiaro che non si può riformare il suo dettaglio più insignificante senza disfare l'insieme.”
Guy Debord – Commentari alla società dello spettacolo
L'ultimo capitolo di uno dei più bei libri che ho letto lo scorso anno - “Scirocco” di Girolamo De Michele – ha per titolo “What a wonderful world”. E la lista di canzoni che segue (Original soundtrack) precisa come la versione cui si riferisce sia quella eseguita da Nick Cave e Shane MacGowan (anche se quest'ultimo viene erroneamente riportato come “McGowan”).
I see trees of green, red roses too
I see them bloom, for me and you
And I think to myself, what a wonderful world
Vedo alberi verdissimi, e rose rosse
Le vedo fiorire, per te e per me
E dico a me stesso che mondo meraviglioso che è questo.
Potrebbe sembrare strano chiudere un romanzo, che insieme a “L'amore degli insorti” di Stefano Tassinari potrebbe essere usato come libro di testo per un corso di .... educazione alle lacrime, con una melodia del genere. Una canzone che ti viene da ripercorrere solo quelle poche volte che il mondo, per qualche strana ragione, ti sembra essere ... migliore. Una canzone assai conosciuta nella versione canonica che ne da Louis Armstrong. Questa è meglio! A due voci: quella bassa e tenebrosa del pianista, Nick Cave, australiano; e quella roca e sgraziata, quasi stonata, di Shane Macgowan, irlandese, già leader dei Pogues. E potrebbe parlare d'Irlanda questa canzone! Anzi, lo fa senz'altro, nelle corde della voce di MacGowan. Ma il contrappunto scuro dell'australiano è fondamentale!
I see skies of blue, and clouds of white
The bright blessed day, dark sacred night
And i Think to myself, what a wonderful world
Vedo cieli di azzurro, e nuvole di bianco
Il benedetto giorno luminoso, la sacra notte scura
E dico a me stesso, che mondo meraviglioso che è questo.
A due voci. Maschili, come in uno di quei film di “amicizia virile”, da uomini senza donne. Che sia western o meno. Dove la donna è l'assenza. Quello che manca. Come a dire, che triste meraviglioso mondo!
E, infatti, niente donne dentro questa canzone.
The colors of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces, of people going by
I see friends shaking hands, sayin' “how do you do?”
They're really sayin' “i love you”.
I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo
Li ritrovo anche sulle facce delle persone
Vedo amici che battono le mani, chiedendo “come va?”
E in realtà ciascuno sta dicendo “ti amo”.
Niente donne. Maledizione d'Irlanda, dove le donne più belle e più desiderabili sono “banshee”. Portano sventura, loro malgrado, agli uomini che incontrano. Portano male a chi vuol loro bene.
I hear babies cryin', i watch them grow
They'll learn much more than i'll ever know
And i think to myself, what a wonderful world
Yes i think to myself, what a wonderful world
Oh yeah
Sento i bambini che piangono, li guardo crescere
Impareranno molte più cose di quanto io ne abbia conosciute
E dico a me stesso, che mondo meraviglioso che è questo
Sì dico a me stesso che mondo meraviglioso
Oh sì.
Dicono, in Irlanda, che agli uomini basterebbe avere un pizzico di sale in tasca, per non lasciarsi confondere dalle banshee; per sentire il vento che soffia là fuori. E lasciare il piattino con il latte, fuori della porta. La sera.
E' un piccolo racconto, di Robert Sheckley (scrittore di fantascienza, e morto). Credo di ricordare che ha per titolo “Il linguaggio dell'amore”. La fantascienza è solo un grande pretesto, per dire. Parla di un uomo perdutamente innamorato di una donna. L'unico scopo nella vita di quest'uomo è di poter riuscire a dire, con parole perfette, quale sia la reale portata del proprio amore nei confronti della donna. In un bar, mentre beve per trarre da sé, grazie all'alcool, le parole giuste, viene a sapere che in un pianeta lontanissimo, oltre i bordi della galassia conosciuta, esiste una razza aliena che ha creato un linguaggio in grado di poter esprimere ogni reale sfumatura dei sentimenti, umani o simil-umani. E' la loro unica creazione, la loro unica arte. Ed è perfetta. L'uomo si mette in viaggio, e dopo innumerevoli peripezie, riesce a raggiungere lo sperduto pianeta, dove rimane per mesi e mesi a studiare il linguaggio dell'amore, di modo che poi possa riuscire a renderlo con pari intensità anche nella propria lingua. Ora sa. Ora conosce le parole perfette per poter esprimere, senza tema di fraintendimenti, quello che prova nel profondo del proprio cuore. Ripercorre la distanza, con un po' meno peripezie, che lo separa dal coronamento del proprio sogno, e quando si trova al cospetto della donna amata, alla fine, pronuncia le parole:
“Ti sono sinceramente affezionato!”
E cosa vorrà dire questa storia? Me lo sono sempre chiesto, e continuo a chiedermelo. Vuole essere una banalizzazione del “grande amore”, negandone l'esistenza? Oppure vuole solo essere una condanna di quel gran coglione del protagonista, che invece di viverselo, l'amore, lo pianta in asso per andare ad inseguire il proprio egoismo e la propria vanità?
Sarei portato a propendere per la seconda ipotesi!
Ah, come al solito, chissà poi perché, la donna non c’è mai in questo genere di storie!
"Le persone che si pigiavano sui moli di Alicante erano di condizione
molto diversa, ma condividevano un destino comune ed erano agitate da
identiche correnti di estremo scoraggiamento...La notte accendevano
dei falò, attorno ai quali si riscaldavano e si assopivano i fuggitivi
le cui speranze sarebbero state frustrate...Non c'è dubbio che nel
porto di Alicante ci fu un alto numero di suicidi. Un uomo salì in
cima a un lampione, vi restò molto a lungo, parlando come un folle in
tono apocalittico. Alcuni dicono che si lanciò sul selciato, altri che
prima di cadere si sparò un colpo di pistola.....C'era chi si gettava
in mare e affogava, e chi una volta in acqua se ne pentiva e chiedeva
aiuto. Molti si sparavano. La voglia di suicidio si diffondeva come un
contagio."