lunedì 31 luglio 2023

Con gli occhi aperti !!

«Ogni e qualsiasi scrittore può essere utile, così come può essere dannoso. È dannoso se è farraginoso, nella misura in cui distorce o falsifica (anche se lo fa senza rendersene conto) al fine di ottenere un effetto o per stupire; se si adegua e si conforma senza alcuna convinzione a delle opinioni cui non crede. È utile se contribuisce alla lucidità del lettore, se lo libera da qualsiasi timidezza e da ogni pregiudizio, se gli fa vedere e sentire ciò che, altrimenti, non avrebbe né visto né sentito senza di lui. Se i miei libri vengono letti, e arrivano così a una persona, anche una sola, e la aiutano, anche solamente per un solo momento, allora mi considero utile. E siccome inoltre credo anche nell'infinita durevolezza di ogni slancio e di tutti gli impulsi, dal momento che ogni cosa perdura e può essere ritrovata in un'altra forma, di conseguenza quest'utilità può estendersi nel tempo abbastanza a lungo. Un libro può dormire anche per cinquant'anni, o per duemila anni in un angolo di una biblioteca, ed ecco che all'improvviso lo apro e scopro in esso meraviglie, o abissi, trovo una riga che sembra sia stata scritta proprio per me. Ed è proprio in questo che lo scrittore non è diverso dall'essere umano in generale: tutto ciò che diciamo, tutto ciò che facciamo trascende, e più o meno si trasmette e si trasforma. Dovremmo cercare di lasciare dietro di noi un mondo un po' più pulito, un po' più bello di quanto fosse prima; anche se quel mondo si limita a essere un cortile, o una cucina.»

- Marguerite Yourcenar - da "Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey" -

domenica 30 luglio 2023

Soggetto Automatico…

Il capitalismo come astrazione reale (un'introduzione)
- di Herbert Böttcher -

La modernità non è altro che la modernità capitalista. Ma tuttavia, nel momento in cui parliamo del processo di modernizzazione visto sotto forma di industrializzazione e di globalizzazione, di individualizzazione e di "autonomia", ecco che questo fatto evidente si cela alla nostra coscienza. Il rapporto di dominio - il quale non può essere separato dalla modernità - rimane pertanto nascosto, continuando però a essere presupposto in maniera inconsapevole e sconsiderata. In rapporto al feudalesimo, la modernità sembra essere di certo un'emancipazione rispetto ai precedenti rapporti personali di dipendenza e di sottomissione. Ma tuttavia essa rappresenta comunque un nuovo rapporto di dominio - non personale ma oggettivo – che coincide con il dominio astratto della valorizzazione del capitale, coniugato attraverso la dissociazione della riproduzione connotata come "femminile". Tale condizione costituisce quella che è una tacita sottomissione alla legge oggettiva della valorizzazione del capitale.

Karl Marx ha riassunto e sintetizzato la legge oggettiva della valorizzazione del capitale nella formula abbreviata A-M-A'. Il denaro (A) viene utilizzato come capitale per poter produrre merci utilizzando lavoro. Il valore, rappresentato dalle merci e misurato dal tempo medio di quel lavoro che viene poi impiegato nella società per produrre tali merci, viene poi riconvertito in denaro sul mercato, nella sfera della circolazione o dello scambio. In ragione della forza lavoro umana spesa, il denaro utilizzato (A) è stato così trasformato in plusvalore, vale a dire, in altro denaro. In tal modo, una parte di questo denaro viene incessantemente sempre reimmessa nel processo presumibilmente infinito di A-M-A'. Lo scopo di questo processo è quello di trasformare il denaro in più denaro. Ed è per l'esattezza precisamente questo il fine astratto della produzione capitalista. Il fatto che si tratti di un fine astratto in sé non è un caso. Le merci possono essere scambiate, cioè riconvertite in denaro, solo perché, nonostante le loro differenze materiali, esse hanno tutte qualcosa in comune: l'energia del lavoro spesso che in esse viene rappresentato. Le merci vengono prodotte per essere scambiate, e quindi per essere scambiabili. Ed è per questo che hanno ovviamente bisogno di un contenuto materiale, ovvero, di un valore d'uso concreto. Ma questo è importante solo in quanto supporto materiale per qualcosa di astratto, vale a dire, il valore di scambio. Il lavoro concreto corrisponde al valore d'uso concreto. Ma anch'esso è importante solo in quanto supporto per il lavoro astratto.

Nel capitalismo, ciò che conta non è la ricchezza materiale, bensì la forma astratta della ricchezza, vale a dire, la ricchezza che può essere espressa in denaro. Di conseguenza, quando la ricchezza materiale non può più essere riconvertita in denaro, essa viene distrutta. La forma astratta della ricchezza significa il sacrificio della vita concreta, dei bisogni umani fondamentali di cibo e vestiti, di un tetto sopra la testa, ecc. e, in ultima analisi, dell'essere umano stesso che viene sacrificato all'astratto e irrazionale fine in sé stesso di continuare ad accrescere il denaro visto come espressione della ricchezza astratta. Nel processo di trasformazione del denaro in merci (produzione), e di ri-trasformazione delle merci in denaro (circolazione), merci e denaro sono solo forme fenomeniche differenti di quello che è il valore rappresentato per mezzo delle merci. «Il valore trapassa costantemente da una forma all’altra, senza perdersi in questo movimento, e così si trasforma in un soggetto automatico» [*1]. Per mezzo del concetto paradossale di «soggetto automatico», Marx descrive quella che è la realtà contraddittoria dei rapporti sociali sottomessi alla legge della valorizzazione del capitale, e pertanto alla forma della ricchezza astratta. Tali rapporti sociali sono l'espressione di un automatismo cieco, che tuttavia richiede un portatore dotato di una coscienza.

In conclusione, le merci non si producono da sole, ma sono prodotte grazie al lavoro dei produttori, i quali sono il supporto dell'azione del lavoro astratto. Le merci, inoltre, non vanno da sé sole sul mercato, di propria iniziativa, ma devono esserci «portate, sul mercato» da degli attori coscienti. Tuttavia, la coscienza dei soggetti, in quanto attori del processo di valorizzazione, non implica la coscienza del contesto sociale nel quale essi agiscono. Ciò non è oggetto di una riflessione critica. Il soggetto che agisce, agisce nel quadro predefinito di un cieco automatismo. Egli rimane limitato solo alla razionalità interna al processo di valorizzazione. Ma allora, «il "soggetto automatico" non è altro che l'auto-movimento delle categorie reali del capitalismo, che gli esseri umani hanno creato a loro insaputa, e che si muovono in maniera autonoma proprio per far sì gli individui realizzino la propria vita nell'ambito di queste categorie» [*2]. Così, tanto il valore quanto la forma del soggetto, appaiono come delle determinazioni universali, e quasi monistiche, delle relazioni sociali.

Tuttavia, quel che rimane occultato è il dominio dissociato della riproduzione, connotato come "femminile". Senza tale dominio, il sistema del lavoro astratto non potrebbe funzionare, dal momento che bisogna occuparsi dei bambini ed educarli, bisogna assistere e curare gli anziani, e si devono svolgere i lavori domestici, e così via. Ma se il dominio dissociato dal valore, rimane occultato per quel che attiene alla riflessione, al pensiero, ecco che allora la totalità sociale può essere evocata solo come una scappatoia, come una scappatoia positivista. E oltre tutto, il fatto che il soggetto sia maschio, bianco e occidentale continua a rimanere nascosto  invisibile ai più.

- Herbert Böttcher - estratto da "Antisemitismus und Kapitalismus", 2015 -

NOTE:

[*1] - Karl Marx, Le Capital, Livre I, PUF, 1983, p. 173.
[*2] - Robert Kurz, La Substance du capital, Paris, L’Échappée, 2019, p. 234.

fonte: @Palim Psao

«Folli letterari» e altri…

«Il folle fugge dal pensiero cristallizzato per vivere in un futuro diverso e apre strade che solo più tardi saranno percorse con naturalezza anche dai cosiddetti normali.» Albert Einstein diceva che «solo coloro che sono abbastanza folli da poter pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero». La follia non è irrazionalità, la follia può essere considerata una forma di pensiero eccentrico, capace di nuove interpretazioni, nuovi modi di vedere e nuovi modi di cogliere il mondo. In questo volume, Lamberto Maffei ci accompagna nel mondo dell'arte e del cervello. Attraverso il racconto di artisti folli, ci mostra come la creatività può salvare il mondo fornendo un punto di vista diverso, ma al tempo stesso vero e diretto. In un tempo ricco di incertezze e retto dalla pressione all'omologazione delle nuove tecnologie, l'autore ci fornisce un quadro della nostra natura umana inedito, nuovo e autentico, dove non si nascondono fragilità, bellezza e paure dell'infinito e della fine, temi esistenziali propri dell'essere persone consapevoli.

(dal risvolto di copertina di: Lamberto Maffei, "Solo i folli cambieranno il mondo. Arte e pazzia". il Mulino, pagg. 140, € 14 )

Che grande follia omologare gli esseri umani
- di Paolo Albani -

«Solo coloro che sono abbastanza folli da poter pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero». Questa affermazione di Albert Einstein è in esergo al prologo di "Solo i folli cambieranno il mondo. Arte e pazzia", titolo-manifesto che è tutto un programma, un libro di Lamberto Maffei, già presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, professore emerito di Neurobiologia alla Scuola Normale di Pisa. La follia di cui parla Maffei è intesa come pensiero eccentrico, deviante, bizzarro, irregolare (mi piace il termine «irregolare», mi ricorda scrittori come Giovanni Faldella o Antonio Delfini), è la diversità di coloro che escono dal gregge delle pecore della globalizzazione del pensiero dominante, che rompono le regole istituzionalizzate, l'ordine culturale costituito per seguire strade innovative, spericolate, dai più giudicate per l'appunto folli.

Da questo punto di vista gli esempi di artisti e di scienziati ritenuti un po' folli sono numerosi, a partire dall’antichità, se è vero che Diogene di Sinope, quello che viveva in una botte, comportamento un tantino anomalo, fu chiamato «il Socrate pazzo». Maffei ne racconta alcuni, di questi esempi, concentrandosi in particolare nel campo artistico. Si va dal più geniale dei folli, cioè Wolfgang Amadeus Mozart, bambino prodigio, considerato la migliore droga per essere felici, che forse aveva una sindrome di Tourette o una forma di leggero autismo, alternando una frenetica attività, anche sessuale, a periodi più melanconici, al caso ben noto di Vincent Van Gogh, dai pittori schizofrenici dell’Art Brut, collezionati da Jean Dubuffet, all’esperienza manicomiale di Antonio Ligabue e alla misteriosa forma di demenza di cui soffrì il compositore Maurice Ravel, autore del famoso Boléro, fino ai tormenti e alle pulsioni contrastanti dei pittori della secessione viennese: Gustav Klimt, Oscar Kokoschka e Egon Schiele, le cui opere indagano la parte più nascosta dell’essere. Maffei ricorda anche la poetessa Alda Merini, internata per la prima volta a 16 anni con la diagnosi di un disturbo bipolare o psicosi maniaco-depressiva, che subirà nell’arco della sua vita vari ricoveri.

«Ero matta in mezzo ai matti. / I matti erano matti nel profondo, / alcuni molto intelligenti», scrive la Merini in una sua poesia. La poetessa ebbe una storia d’amore travolgente con lo scrittore Giorgio Manganelli. Finita la loro storia, frequentarono entrambi lo stesso psicoanalista, Cesare Clivio. Racconta la figlia dello scrittore, Lietta, che un giorno Clivio telefonò alla moglie del Manga: «Buongiorno, sono il dottor Clivio, suo marito è qui da me, stiamo parlando da un’ora e, a questo punto, non capisco più se il matto è lui o se il matto sono io». Questo per dire quanto il confine tra normalità e follia sia labile e incerto, e quanto la creatività non sia quasi mai disgiunta da un pizzico di estrosa follia.

L’intelligenza non è unica, ricorda Maffei citando un saggio dello psicologo Howard Gardner. Esistono sette tipi di intelligenza: logico-matematica, linguistica, musicale, spaziale, corporea-cinestetica, interpersonale, interpersonale, intrapersonale, e chissà quante altre, aggiungo io da profano. Ciò spiega perché vi siano persone famose nella loro professione che, tuttavia, si rivelano assai povere in altri campi. La malattia, osserva Maffei, può essere un chiavistello che apre spiragli alle forze dell’inconscio, grande ripostiglio che comprende i traumi dell’infanzia e anche quelli della vita adulta. La malattia psichica, in particolare, rende più efficace il grido del diverso, la rivolta contro l’omologazione del pensiero. Ne erano convinti anche i surrealisti, citati da Maffei, che teorizzarono nei loro manifesti la necessità di una fuga dal razionale. Al riguardo mi sarei aspettato da Maffei un riferimento agli studi del giovane Raymond Queneau, all’inizio simpatizzante del movimento surrealista, sui cosiddetti «folli letterari», autori editi le cui elucubrazioni si allontanano da tutte quelle professate dalla società in cui vivono, non rimandano a dottrine anteriori e non hanno avuto alcun seguace (la definizione è dello stesso Queneau). Portatori di teorie strampalate e inverosimili, i «folli letterari» si distinguono per un’immaginazione effervescente, inquietante.

Se dovesse descrivere la normalità, Maffei la raffigurerebbe con una linea dritta, con piccole oscillazioni, mentre la follia la disegnerebbe con la forma irregolare di una sinusoide, oscillante fra alti e bassi. Il folle, a volte semplicemente un individuo diverso, ha più occhi e più orecchie e più parole del normale; quest’ultimo in genere ha paura dei cambiamenti, vi si oppone con forza. La società non ama i diversi, ne ha il terrore, mentre oggi, ammonisce Maffei, ciò che dovrebbe impaurirci è la corsa verso un mondo digitale che riduce il pensiero a un algoritmo, che va sostituendo l’Homo sapiens con una nuova creatura, l’uomo seriale. A questo punto ho pensato di rivolgermi a un esperto in materia, ho chiesto a ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer), un prototipo di software progettato per simulare una conversazione con un essere umano, una definizione stringata di uomo seriale, e lui, l’intelligentone artificiale, mi ha risposto: «È importante sottolineare che l’etichettatura di un individuo come “uomo seriale” può essere stigmatizzante e limitativa, e non tiene conto della complessità e diversità delle esperienze umane».
Capito il furbacchione!

- Paolo Albani - Pubblicato su Domenica del 16/4/2023 -

sabato 29 luglio 2023

In Germania !!


I tassi di interesse sono in aumento, così come gli affitti
-di Tomasz Konicz -

Oggi, in numerose grandi città della Germania, dopo anni di aumento, i prezzi degli appartamenti e delle case stanno diventando di nuovo più economici. Ciò è dovuto ai maggiori costi finanziari per gli investitori e per i proprietari di case. Tuttavia, questa sembra non essere affatto una buona notizia neppure per gli inquilini. Per molto tempo, in numerose grandi città tedesche i prezzi degli immobili sembravano andare solo in una direzione: al rialzo. Tuttavia, sembra che, per il momento, quello che è stato il boom degli ultimi anni sia finito. Secondo l'Ufficio federale di statistica, nel primo trimestre di quest'anno i prezzi degli immobili residenziali, rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente, sono diminuiti del 6,8% (nell'ultimo trimestre del 2022 erano del 3,4%. Si tratta del più forte calo dei prezzi in 23 anni.

Al netto dell'inflazione, secondo il database German Real Estate Price Index (Greix), entro la fine di giugno i prezzi dovrebbero arrivare a essere addirittura inferiori del 20%, rispetto a metà 2022. Tuttavia, per molti salariati, il sogno del cittadino di possedere la propria casa rimarrà comunque solo un sogno. I prezzi degli immobili stanno diminuendo, ma gli oneri finanziari sono aumentati in maniera notevole. Nel 2021, si potevano ancora contrarre dei prestiti con un tasso di interesse dell'uno per cento per una durata di dieci anni; ma a febbraio 2023 questo tasso era già arrivato al 3,6%. E questo può comportare inoltre anche dei costi aggiuntivi per gli acquirenti o per i costruttori di immobili; costi che ammontano a  diverse centinaia di euro al mese. Secondo la Bundesbank, ad aprile, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, la domanda di prestiti immobiliari proveniente dai privati è diminuita di circa la metà. Si stanno costruendo meno appartamenti perché, oltre ai prestiti, anche i materiali da costruzione sono diventati più costosi. Secondo l'Istituto Ifo dell'Università di Monaco, quest'anno ci saranno solo 275.000 nuovi appartamenti, 234.000 l'anno prossimo e solo 200.000 nel 2025. L'aumento degli oneri finanziari è il risultato della politica monetaria della Banca centrale europea (BCE), la quale, attualmente, per combattere l'inflazione, ha aumentato, portandolo al 4%, il tasso di interesse di riferimento nell'area dell'euro; laddove nel 2021 a prevalere erano invece ancora i tassi di interesse negativi. Secondo Eurostat, l'ufficio statistico dell'UE, a giugno l'inflazione nell'area dell'euro è scesa al 5,5%, ma la "Kerninflation" [l’inflazione di fondo] - la quale non tiene alcun conto delle forti oscillazioni dei prezzi dell'energia, né di quelli dei generi alimentari - è leggermente aumentata fino al 5,4%. Alla luce di questa persistente inflazione, non è prevedibile un rapido ritorno a dei tassi di riferimento più bassi.

L'andamento dei prezzi degli immobili in Germania, varia notevolmente da regione a regione. In molte regioni economicamente deboli - in particolare in quelle parti della Germania orientale dove la popolazione sta diminuendo - i prezzi degli immobili sono da tempo in calo. Ma la novità del momento è che, per la prima volta da molti anni, i prezzi stanno diminuendo anche nelle regioni metropolitane in forte espansione, dove investitori e proprietari di case beneficiano da anni di prezzi in forte e continuo aumento, e dove sono diventati sempre più costosi anche gli affitti. Secondo gli economisti che calcolano il cosiddetto indice Greix per gli immobili, a partire dal 2000, Berlino ha registrato i più alti incrementi di valore per i proprietari di case - con aumenti cumulativi arrivati fino al 160%, e che sono stati corretti per mezzo dell'inflazione - subito seguita da Monaco e da Francoforte. A metà degli anni 2000, nel quartiere Mitte di Berlino si poteva acquistare un metro quadrato per meno di 1700 euro, ma oggi il prezzo è arrivato a oltre 7600 euro. In generale, anche le differenze di prezzo, tra i quartieri popolari e quelli meno popolari, sono aumentate enormemente. Alcuni quartieri hanno registrato degli aumenti di prezzo particolarmente drammatici, come Amburgo-Eppendorf (240% dal 2000) e Berlino-Kreuzberg (oltre il 180%). Per il momento, sembra che tutto ciò sia finito: perfino ad Amburgo (-12%), a Berlino (-6%) e a Francoforte (-9%) (in che periodo?) sembra che il valore del cosiddetto oro di cemento stia diminuendo.

Tuttavia, questo non riduce i costi degli affitti. Nella seconda metà del 2022, gli affitti richiesti nelle principali città di Berlino, Düsseldorf, Amburgo, Monaco, Lipsia, Colonia, Francoforte e Stoccarda sono aumentati in media del 6,3%. Già all'inizio del 2022, la Bundesbank aveva avvertito del fatto che nelle principali città tedesche gli immobili erano sopravvalutati, fino al 40%. A ciò hanno contribuito due fattori principali: il modello economico tedesco, che mirava a un'eccedenza di esportazioni, ha assicurato - a scapito dei paesi in deficit – e una buona economia, rispetto agli standard internazionali, che ha fatto sì che la Repubblica Federale tedesca - essendo vista come un "rifugio sicuro” a causa della debolezza dell'euro – attirasse capitali dall'estero; i quali, tra l'altro, sono stati poi investiti nel settore immobiliare delle grandi città. Tutto questo, nel mentre che gli anni di politica monetaria espansiva delle banche centrali di USA e UE creavano una bolla di liquidità che ha fatto salire in tutto il mondo non solo i prezzi degli immobili, ma anche quelli delle azioni e dei titoli, fino alle assurde speculazioni messe in atto per mezzo di valute virtuali come il Bitcoin. Oggi, entrambi questi fattori ormai non esistono più. Il periodo degli elevatissimi surplus delle esportazioni tedesche, si è concluso nel 2020 a causa della pandemia di Covid-19 e come conseguenza del crescente protezionismo. Dopo l'attacco russo all'Ucraina, l'aumento dei prezzi dell'energia ha finito poi per pesare anche sulla bilancia commerciale tedesca. E così, la persistente inflazione, alimentata da più fonti, ha costretto le banche centrali ad alzare i tassi di interesse di riferimento; cosa che ha causato grosse difficoltà finanziarie, in particolare ad alcune banche negli Stati Uniti, esacerbando la crisi del debito nei paesi poveri, la quale sta attualmente mettendo sotto pressione i mercati immobiliari.

L'onere dei tassi d'interesse più elevati non grava solamente sull'attività degli investitori - i quali intendono ottenere rendimenti affittando appartamenti - ma anche su tutti coloro che finanziano il proprio appartamento, o la propria casa, con un prestito a lungo termine. Se un numero sempre maggiore di mutuatari, oggi non è più in grado di onorare i propri impegni, allora i prezzi continueranno a scendere e le banche finanziatrici subiranno perdite. Lo scoppio di una bolla immobiliare può pertanto trasformarsi in una crisi economica; tanto più che il calo dell'attività edilizia sta indebolendo anche l'economia. Tuttavia, ci sono numerosi analisti di mercato che continuano a ritenere che il calo dei prezzi sia un fenomeno solo temporaneo, e che non si arriverà a una vera e propria crisi e a una recessione, quanto meno se non verranno messi in atto ulteriori forti aumenti dei tassi di interesse di riferimento.

In Germania, contrarre prestiti immobiliari con tassi di interesse fissi a lungo termine è una consuetudine. Molti di coloro che in questi ultimi anni hanno acceso dei mutui, nei prossimi anni continueranno tuttavia a pagare i tassi di interesse favorevoli del passato. C'è da dire che però - per la prima volta in tre anni - nella prima metà del 2023 si è registrato un aumento significativo dei pignoramenti immobiliari. Tra gennaio e fine giugno, in tutta la Germania sono stati pignorati immobili per un valore di vendita di 1,96 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo dello scorso anno erano stati realizzati solo 1,66 miliardi di euro in pignoramenti. Nel frattempo, in Gran Bretagna, dove, rispetto alla Germania i tassi sui prestiti e sui mutui vengono adeguati più rapidamente al tasso di riferimento di base, si sta già preparando una crisi economica originata dal settore immobiliare: con un tasso di inflazione annuo superiore all'8% - determinatosi nel mese di maggio - la banca centrale britannica ha alzato il tasso di riferimento al 5%, e questo mentre nel paese rimane ancora un terzo dei 28 milioni proprietari di case che non ha finito di estinguere il debito per il mutuo. Secondo il noto istituto di ricerca economica britannico NIESR, a causa dell'esplosione degli oneri finanziari, entro la fine dell'anno si esauriranno quelle che sono le riserve finanziarie di circa 1,2 milioni di famiglie inglesi.Tuttavia, anche in Gran Bretagna il calo dei prezzi degli immobili si accompagna a ulteriori aumenti degli affitti, dal momento che sono sempre più numerosi i proprietari che trasferiscono sui loro inquilini i propri maggiori oneri finanziari.

- Tomasz Konicz - Pubblicato il 7/6/2023  su Jungle World -

venerdì 28 luglio 2023

L’Invenzione della Religione !!

Fra le grandi narrazioni che hanno accompagnato la storia dell'uomo, quella dell'Esodo dall'Egitto è senza dubbio una delle più dense di significato, e il testo biblico che l'ha tramandata fino a noi ne è la vivida testimonianza letteraria. La potenza evocativa delle descrizioni - dalle dieci piaghe d'Egitto al prodigio del Mare dei giunchi - rischia tuttavia di lasciare in ombra gli sviluppi sotterranei del mito. In questo saggio Jan Assmann, con profondità e vastità di sguardo, interroga il libro dell'Esodo dal punto di vista dell'«egittologo che opera nel campo delle scienze culturali», risalendo alle origini dei suoi nuclei mitici e indagandone gli effetti e i riverberi nel tempo. Sarà così possibile vedere da una nuova prospettiva la cruciale rivelazione nel roveto ardente, allorché Yahweh manifesta la propria volontà e stabilisce un patto con il popolo eletto: «Con l'idea del patto viene al mondo la "fede", che rappresenta l'autentica, rivoluzionaria novità del monoteismo biblico, sia esso veterotestamentario, neotestamentario o islamico». Nell'Antico Testamento, infatti, «"fede" ha lo stesso significato di "fedeltà", ovvero fiducia nel patto». E il «monoteismo della fedeltà» porterà a una nuova idea di religione, in grado di gettare «le basi per un rapporto totalmente nuovo con il mondo, con Dio e con il tempo» - un rapporto destinato a perdurare fino alla modernità.

( dal risvolto di copertina di: Jan Assmann, "Esodo. La rivoluzione del mondo antico". Traduzione di Ada Vigliani. Adelphi, pagg. 428, € 42 )

La storia del mondo inizia con l’esodo
- Sacre Scritture. L’egittologo Jan Assmann propone una rilettura del libro della Bibbia e sostiene che il patto di Mosè con Dio sul Sinai è discriminante rispetto al futuro e segna il passaggio dalla preistoria all’oggi -
di Piero Boitani

«Dal tuo stellato soglio – invoca Mosè nell’opera che gli dedicò Rossini – Signor, ti volgi a noi. / Pietà de’ figli tuoi. / Del popol tuo pietà». Lo segue, sempre implorando pietà, il Coro dei figli d’Israele in fuga dall’Egitto, inseguiti dal faraone col suo potente esercito. Ed è canto persino più intenso del Va pensiero verdiano, pure intonato da Israele prigioniero in Babilonia. Matteo dà al suo Vangelo un disegno che riprende quello dell’Esodo. Nei funerali cristiani dei primi tempi i fedeli accompagnano il defunto alla sepoltura intonando il Salmo 113 della Vulgata, In exitu Israel de Aegypto, ricordando il passaggio dell’anima individuale dal peccato alla grazia, dalla schiavitù della vita mortale alla libertà della gloria eterna. Gli spiriti che giungono all’isola del Purgatorio sul «vasello snelletto e leggero» guidato dall’angelo e sospinto sopra le acque dalle sue ali, cantano il medesimo Salmo nel Purgatorio di Dante. Nell’Epistola a Cangrande, esso serve addirittura da esempio del quadruplice modo di leggere la Bibbia e la Divina Commedia, e l’uscita dall’Egitto prefigura la redenzione di Cristo. Nel Corano Mosè, il primo credente musulmano, è predecessore e modello di Maometto. I Puritani fuggono dall’Europa e cercano la Terra Promessa nel Nuovo Mondo, fondandovi città dal nome di Salem o New Canaan. I Neri d’America cantano lo spiritual Go down, Moses: «Scendi, Mosè, giù nel paese d’Egitto, di’ a Faraone: Lascia andare il mio popolo». Sperano nella libertà che otterranno se riescono a fuggire dalla schiavitù del Sud. E poi, come dimenticare, tra i tanti, il quadro di Turner “Luce e colore – La mattina dopo il diluvio – Mosè scrive il Libro della Genesi”, sfera radiosa e rutilante con alcuni densi nodi d’ombra? Oppure il Mosè di Michelangelo, la grande, possente statua dal volto corrucciato che dettò a Freud, nel 1913, “Il Mosè di Michelangelo”, e la cui ombra certo dovette ritornargli alla mente quando scrisse “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”?

L’Esodo di Assmann contiene ben quaranta illustrazioni, e allusioni all’intero immaginario che il secondo Libro della Torah, il Libro dei Nomi o Esodo, ha generato nei millenni fino all’Eleazar di Tournier: non da ultimo al racconto lungo che Thomas Mann, ancora preso dalla saga egiziana di Giuseppe e i suoi fratelli (della quale l’autore è stato in parte curatore ed è esperto commentatore), dedicò a La legge. Né è il primo libro che Assmann dedica a questo tema: lo precedono, in questa stessa collana di Adelphi, “Mosè l’egizio” e “La distinzione mosaica”; presso il Mulino, “Non avrai altro Dio”, “Dio e gli dei”, “Verso l’unico Dio”; da Einaudi “La memoria culturale”, con due importanti capitoli tra Egitto e Israele. Egittologo, perciò – con una passione importante per la musica, visto che ha scritto sul Flauto magico di Mozart, sulla Missa solemnis di Beethoven, sull’Israel in Egypt di Händel, e sul Moses und Aron di Schönberg – ma in realtà storico della cultura e delle religioni, Assmann punta tutto su Mosè il personaggio e sull’Esodo (e il Deuteronomio) come racconto degli eventi che portano all’uscita del popolo ebraico dall’Egitto.

Personaggio ed eventi avvolti nel mistero. Per cominciare, chi è Mosè, un ebreo che conduce il suo popolo e dà ad esso la Legge, o un Egizio che si ribella alle proprie autorità? Perché Dio cerca di farlo morire dopo avergli affidato, dal roveto ardente, la missione di salvare Israele (Esodo4, 24)? Perché non lo fa entrare nella Terra Promessa? E qual è la relazione tra Yahweh ed Ekhnaton, e in generale con le divinità supreme delle culture circostanti («non avrai altro dio all’infuori di me»)? Cosa, precisamente, significa il Patto tra Dio e Israele, che cosa è la Legge? E infine: Mosè è davvero, come sembrano indicare diversi passi dell’Esodo e del Deuteronomio, l’autore di quei libri, o addirittura di tutto il Pentateuco, come si credeva nei tempi antichi?

Assmann risponde a tutti questi interrogativi – meno l’ultimo, per il quale si vedrà Jean-Pierre Sonnet,”The Book within the Book” (Brill Academic Pub) – con una costruzione grandiosa, che parte dalla narrazione fenomenale del Libro per penetrare nei suoi nuclei mitici costitutivi da egittologo «che opera nel campo delle scienze culturali». A poco a poco, dal tema e dalla struttura, prosegue verso il contesto storico, alla memoria che porta alla costituzione del testo. Entra, infine, nell’Esodo stesso, con una sezione dedicata alla nascita e all’educazione di Mosè, e poi una sosta, lunga e affascinante, sul roveto ardente, con breve deviazione verso il “Moses und Aron” di Schönberg. La rivelazione del Nome, eheyeh asher eheyeh, Io sono Colui che sono, è un gioco di parole su YHWH, e in realtà «Dio lascerebbe dunque aperta la questione del nome. L’“Io sono mi ha mandato a voi” suona infatti un po’ come il “Nessuno” di Odisseo rovesciato in positivo». A questo punto si apre una fuga stupefacente attraverso Nicola Cusano, Ermete Trismegisto, Lattanzio, Plutarco, Reinhold, Kant e Schiller, il quale scrisse, tutti riassumendo: «nulla è più sublime della semplice grandezza con cui essi parlavano del creatore del mondo. Per contrassegnarlo nel modo più deciso non gli diedero alcun nome». Commenta Assmann: «Questa interpretazione è di un’audacia impressionante. Il Dio della Bibbia ebraica, o per meglio dire la teologia del patto, sarebbe dunque un’invenzione, l’adeguamento di un’idea di Dio molto elevata, filosofica, astratta, alla capacità di comprensione delle persone semplici».

Perché, appunto, di invenzione della religione si sta parlando (The Invention of Religion è il titolo che il libro di Assmann ha in inglese). E «religione» vuol dire «legare assieme». Per diventare religione tutto questo ha bisogno del Patto, quello che Mosè stipula con Dio sul Sinai e che sostituisce o integra l’alleanza con Abramo: quello che tutto il popolo d’Israele sottoscrive salvo poi tradirlo con il vitello d’oro. E al Patto Assmann dedica tutta la terza, e ultima, sezione del volume. Perché un patto implica fiducia e fedeltà, quelle di Israele al suo Dio: cioè fede. Il capitolo 7 del Deuteronomio è chiarissimo: «Sappi, dunque, che solo il Signore, il tuo Dio, è Dio, il Dio fedele, che mantiene l’alleanza e la benevolenza per coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti fino alla millesima generazione, ma che ricambia istantaneamente coloro che lo rigettano, abbattendoli». Il Patto diviene contratto e legge, poi culto e, con la Torah, memoria: «patria portatile», secondo la definizione di Heine. Ma il Patto cambia, anche, la storia del mondo, perché per poter essere istituito esso deve necessariamente essere preceduto, in concatenazione, da tutti gli eventi della storia sacra dalla Creazione sino alla discesa di Giuseppe e di Giacobbe in Egitto, alla schiavitù e alla liberazione. D’altra parte, esso è discriminante rispetto al futuro. «La conclusione del patto è la grande svolta epocale che trasforma la preistoria in storia». Nel penultimo episodio dell’Ulisse di Joyce, la Voce anonima che interroga per più di ottanta pagine domanda: «quale enigma auto-dimostrantesi ponderato… per trent’anni Bloom ha ora… silenziosamente e all’improvviso compreso?». La risposta è: «Dov’era Mosè quando si spense la candela?».

- Piero Boitani - Pubblicato su Domenica del 9/4/2023 -

giovedì 27 luglio 2023

Una lettura sbagliata !!

Nel XXII canto del Purgatorio, Dante stabilisce un dialogo tra quelli che sono i due suoi modelli di poeti del passato: da una parte c'è Stazio, dall'altra Virgilio, ed entrambi sono come schiacciati sul fianco della parete della montagna del Purgatorio. Così, tra i tanti dettagli illuminanti del passo, assistiamo a una lezione di lettura, o meglio di «lettura sbagliata» o «erronea»: Virgilio, che muore prima della nascita di Cristo, chiede a Stazio come questi abbia fatto a essere diventato cristiano (Publio Papinio Stazio nasce a Napoli intorno all'anno 45 e muore intorno all'anno 96). E Stazio, risponde dicendo che è stata proprio la poesia di Virgilio ad averlo guidato lungo il cammino della conversione. E in tal modo, così facendo Dante mostra come, in un certo senso, la poesia di Virgilio, la sua Guida maggiore, possa essere cristiana avant la lettre.

L'immagine creata da Dante è eloquente: nel colloquio con Virgilio, quando Stazio spiega come è avvenuta la sua conversione, egli sostiene che nella sua visione, Virgilio, il poeta più grande e più antico, recava sulle proprie spalle come una lanterna, la quale non serviva a egli stesso, ma di certo aiutava piuttosto coloro che venivano dopo; vale a dire, ha aiutato lo stesso Stazio e tutti gli altri poeti che hanno vissuto nei primi decenni del cristianesimo. Un'immagine questa, che riecheggia quella dell'Angelus Novus nella IX tesi di Walter Benjamin, servendo così a ricordarci che non solo Benjamin avesse letto il libro di Erich Auerbach su Dante - "Dante, poeta del mondo terreno" - ma arriva anche a citarlo nel suo saggio sul surrealismo; sono entrambi del 1929, sia il saggio di Benjamin che il libro di Auerbach. E pertanto, così, Stazio impone una lettura di Virgilio, ma così facendo, nell’attuare questa violenza nei confronti del testo, finisce per inscrivere in essa la propria esperienza, la trasformazione della propria vita.

Inoltre, Stazio chiede a Virgilio dove si trovino alcuni altri importanti scrittori a lui cari, come Terenzio o Plauto. Virgilio risponde che questi due, e molti altri (come Omero, per esempio), sono nel primo cerchio dell'Inferno; laddove «devo stare anch'io», aggiunge Virgilio. Ci sono anche alcuni greci - continua poi sempre Virgilio - come Euripide, Simonide, Agatone, con i quali «insieme parliamo spesso di poesia». Queste insondabili connessioni tra epoche e testi, tra esistenze e individui (come avviene tra Sordello e Virgilio, i quali si salutano con trasporto pur senza conoscersi, solo perché condividono la città di origine), sono possibili a partire dal fatto che Dante concepisce un sovra-storico logos cristiano, il quale organizza tutto.

fonte: Um túnel no fim da luz


mercoledì 26 luglio 2023

La contraddizione in processo del dominio senza soggetto !!

Con questo testo - che costituisce la trascrizione dell’ intervento tenuto a Parigi il 12-14 2023 maggio nell'ambito del convegno Crise & Critique  - si cerca qui di presentare la teoria della dissociazione del valore, così come è stata proposta dalla teorica tedesca Roswitha Scholz.

Il tabù dell'astrazione e la sinistra: il contributo della teoria della dissociazione del valore

«Inoltre, in questo momento sto anche studiando Comte, visto che gli inglesi e i francesi stanno facendo un gran parlare di quest'uomo. Ciò che li attrae è il suo lato enciclopedico, la sua sintesi. Ma è patetico rispetto a Hegel [...]. E questa robaccia positivista è stata pubblicata nel 1832!»

(Karl Marx, lettera a Friedrich Engels del 7 luglio 1866).

Osservazioni introduttive
A seguito della visita a Parigi di Roswitha Scholz - la principale teorica tedesca della teoria della dissociazione-valore – avvenuta nel fine settimana del 12-14 maggio 2023 [*1], ci proponiamo di dare un resoconto sintetico del suo pensiero, trascrivendolo in maniera succinta, e collocandolo nel panorama intellettuale-militante francese e, più in generale, in quello dell'Europa francofona. Questo approccio inedito, ci sembra particolarmente fertile per quel che riguarda sia la teoria che la pratica della totalità concreta. Superando le aporie, Roswitha Scholz e la corrente di teoria della dissociazione del valore - che lei rappresenta - riporta sulla Terra le "teorie" in voga, relegandole, nel migliore dei casi, a quello che è il loro stadio pietosamente analitico, e per nulla filosofico, di "sociologismi"; e, nel peggiore, denunciandole assolutamente, segnalandone pertanto la loro immediata pericolosità. L'obiettivo di questo breve testo è aprire dei varchi nella doxa teorica - così come essa viene definita o inconsapevolmente messa in pratica - che finisce sempre solo per raschiare la ruggine, senza mai arrivare a indicare quali siano le catene da tagliare; oppure limitandosi a fare risplendere le fondamenta, senza però mai vederle. Saremmo quindi grati ai lettori di questo testo se volessero prendere in considerazione la misura completa della proposta, e non indignarsi e/o invocare pietà per la teoria.

La sinistra: tra frattalizzazione identitaria e classismo
Per cominciare la sua presentazione, Roswitha Scholz  propone di esaminare prima «la tensione esistente tra politica identitaria e politica di classe, e che oggi occupa un ampio spazio nel dibattito pubblico». Inizieremo pertanto con l'esporre questi due punti e i loro limiti utilizzando citazioni di Roswitha Scholz.

Politica dell'identità
Per Roswitha Scholz, «il passaggio dal fordismo al post-fordismo - dalla società del lavoro incentrata sull'industria della produzione alla società dei servizi - ha determinato[...] l'emergere di nuovi movimenti sociali che prescindevano dal vecchio movimento operaio - movimenti alternativi, movimento delle donne, movimento ecologico, movimento per la pace, ecc. [...] I temi della riproduzione ormai si trovavano già al centro delle problematiche. Gli anti-autoritari del dopo '68, sono partiti da una politica che allora veniva fatta prima persona. In seguito, tutto questo avrebbe avuto una corrispondenza nel femminismo», con l'epistemologia dei punti di vista o del sapere localizzato; tutti argomenti questi sviluppati da autrici come Sandra Harding e Donna Haraway, che in Francia hanno un forte seguito.
«Di conseguenza, è diventata dominante una prospettiva di multiculturalismo, finché, dopo il crollo del blocco orientale, nell'euforia neoliberale del trionfo del capitalismo, tutto questo non si è trasformato in una decostruzione delle identità. [...] Al più tardi, a partire dagli anni Novanta, a farsi sentire è stata una massiccia culturalizzazione del sociale».
«Nella cosiddetta postmodernità» - prosegue l'autrice - «ciò che si richiede sono delle identità flessibili, obbligate e vincolate - il cosiddetto "sé imprenditoriale" - che devono, in parte, fuoriuscire dai ruoli tradizionali. Ulrich Beck ha abbellito questo processo descrivendolo come "individualizzazione", arrivando quasi a celebrarlo».
Riguardo le teorie queer e "decostruzioniste", Roswitha Scholz osserva che i loro concetti, «come quello della Butler, che si basava sul principio secondo cui le rappresentazioni dualistiche dei sessi sarebbero minate dal travestimento, dal cross-dressing, e quindi erano perfettamente in linea con un simile sviluppo». Ciò fa parte della "culturalizzazione del sociale" di cui si diceva sopra.
E a questa "culturalizzazione del sociale", ancora molto diffusa nel contesto francese, «ha fatto seguito, al più tardi dal 2008 (crisi dei subprime), una rinascita del materialismo e del concetto di classe nel contesto della crisi e della precarizzazione dell'esistenza». L'origine di questo fenomeno è probabilmente da ricercare nella «paura del declassamento che si diffonde nelle classi medie». Tuttavia, Roswitha Scholz ci mette in guardia da questa svolta teorica, e dalle sue soluzioni a buon mercato, le quali potrebbero anche assumere carattere reazionario e di contrapposizione alla «politica dell'identità».

Lotta di classe, classismo
Alla «costellazione di questa contraddizione sociale» qui sopra descritta, corrisponde una certa sinistra, sia popolare che populista (i Framonts, i Bégaudeau, i Lordon, i Kempf e i Todd), che «alla politica identitaria tenta di opporre una nuova politica di classe». Così facendo, questi autori riprendono con disinvoltura gli stanchi cliché della «politica di classe [...] insieme a una lotta contro la distribuzione economicamente iniqua» per contrapporre così, in maniera più o meno implicita (o per metterla in secondo piano), una politica identitaria «alla lotta contro il sessismo, il razzismo, l'omofobia e la transfobia a livello culturale».
In "Che crepi il capitalismo", Hervé Kempf ce ne offre una formulazione particolarmente chiara: «La classe capitalista si è arroccata, ha intrapreso - sulla scia delle turbolenze finanziarie del 2008-2009 - un nuovo percorso di radicalizzazione del capitalismo, negando pertanto la necessità di un cambiamento, e mettendo insieme quelli che costituiscono i pezzi di un apartheid planetario. Siamo così giunti a un momento storico in cui o loro o noi. Non si tratta più di convincere i dominanti, ma di distruggere il loro sistema di dominio. Si chiama capitalismo, e il capitalismo deve crollare se non vogliamo che crolli l'equilibrio della biosfera, e se vogliamo preservare le possibilità di una società umana in pace che garantisca la dignità dei suoi membri». (Que crève le capitalisme - Hervé Kempf)
L'articolo costituisce il seguito ai suoi precedenti articoli in "Comment les riches détruisent la planète" (Come i ricchi stanno distruggendo il pianeta): «Per evitare di venir messa in discussione, l'oligarchia fa appello all'ideologia dominante, secondo la quale la soluzione alla crisi sociale è la crescita della produzione. È questo l'unico modo per combattere la povertà e la disoccupazione. La crescita consentirebbe di aumentare il livello generale di ricchezza, e quindi di migliorare la sorte dei poveri, senza - ma questo non viene mai specificato - che sia necessario modificare la distribuzione della ricchezza». (Comment les riches détruisent la planète - Hervé Kempf)
Cosa, quest'ultima, che echeggia insieme alle altre miserie della filosofia: «[...] la lotta di classe è uno status del mondo, è uno status strutturale del mondo; il che significa che la realtà sociale è strutturata soprattutto da una classe dominante, la quale lotta costantemente per i propri interessi.» (François Bégaudeau)
«Laddove i cittadini vedono le disgrazie che li colpiscono come se fossero un frutto del destino, [...] i militanti del movimento operaio - siano essi socialisti o comunisti - oppongono a tutto questo una visione diversa. La loro convincente percezione della lotta di classe identifica l'avversario chiamandolo per nome: il borghese.» (Parassiti - Nicolas Framont)
Ed ecco che qui, ciò contro cui dobbiamo lottare diventa soprattutto la «distribuzione economicamente iniqua»; dove il soggetto di tale distribuzione, il suo istigatore, è il borghese, sono i «Jeff Bezos ecc.». È quel borghese che, a partire dai suoi «interessi», crea la disuguaglianza, «l'infelicità». Ma visto che l'edificio appare piuttosto debole, ecco che così la teoria cede il passo all'apparenza. Parafrasando questi autori, ciò che serve, ovviamente, è che «il 99% riprenda il potere rispetto a quell'1%», basta che una classe proletaria fantasmatica e chimerica «destituisca» quella classe borghese (sempre personalizzata).
Mettere «culturalmente» da parte, accantonare il sessismo, il razzismo, l'omofobia, la transfobia, ecc. si traduce così in quelle che sono delle manifestazioni - più o meno edulcorate e «impomatate» – dove si cerca di stabilire un primato sovra-culturale riguardo alla «relazione di dominio capitalista». Questi «sistemi di oppressione» non farebbero altro che semplicemente sommarsi alla «relazione di dominio capitalista», la quale a sua volta si limiterebbe solo a beneficiarne:
«In una società, esiste una gerarchia strutturale di quelli che sono i rapporti di dominio, e questa gerarchia si mostra nella relazione che intercorre tra quei rapporti. [...] Ma se, come ha detto Althusser (sic!), una formazione sociale è "un insieme strutturato caratterizzato  da un dominante", ecco che allora (tautologicamente) una società rivela il suo carattere capitalista a partire dal fatto che il suo "dominante" è il rapporto di dominio capitalista. [...] Il rapporto di dominio capitalista, se esso trae vantaggio dall'esistenza di altri rapporti di dominio [...] può persino immaginare di farne a meno. [...] Naturalmente, il dominio razzista e quello sessista sono perfettamente funzionali, e se questi vengono messi in discussione dal lavoro che la società sta facendo su sé stessa, ecco che il capitalismo cercherà prima di tutto di fare dei compromessi minimi, ad esempio facendo una scrematura. Se, tuttavia, questi compromessi si rivelano insufficienti, gli arretramenti imposti da un serio attacco alle altre relazioni di dominio non gli saranno in alcun modo fatali.» (Figure del comunismo - Frédéric Lordon)
Potrebbe quindi esistere una forma di capitalismo senza sessismo, razzismo, omofobia, transfobia e così via. Ed ecco che da quel momento in poi si fa avanti una distinzione: il capitalismo ha una dimensione quasi ontologica, o «istituzionale» (Frédéric Lordon), mentre invece i sistemi di oppressione sarebbero invece culturali o «sistemici» (Frédéric Lordon).
È chiaro che queste «star», questi autori, si richiamano e stanno facendo appello a «una nuova politica di classe, a un cosiddetto nuovo marxismo di classe». Ma si tratta solo di una ripetizione logora, che abbiamo già evidenziato in precedenza, «spesso si presenta sotto forma populista, [e] trasforma ancora una volta il sessismo, il razzismo ecc. in una contraddizione secondaria», in una realtà culturale. Tuttavia, come sottolinea Roswitha Scholz, questa nuova politica di classe, che «nel classismo [ha bisogno di] essere trasformata in una categoria di identità», «presuppone astrattamente che esista una coscienza unitaria che si basa sulla posizione del gruppo coinvolto». Ne consegue che il più delle volte «l'utilizzo di questi termini [categorie identitarie] risulta essere [...] vago, e tutti questi termini vengono generalmente usati come degli slogan.»
In contrapposizione a questo pensiero miope, Roswitha Scholz sostiene che «le disparità razziali, economiche ed educative, le discriminazioni sessuali, l'omofobia, ecc. devono [...] essere prese in considerazione a partire da quella che è la loro stessa logica, e a partire dalle loro interferenze, dal momento che esse non possono essere trattate come se fossero una concezione ermetica della totalità», come invece viene qui sopra proposto da Frédéric Lordon. L'opposizione frontale, messa in atto da Roswitha Scholz rispetto a queste teorie non va vista come se si trattasse di una semplice «passione della testa», ma al contrario, va fatto riferimento alle loro aporie, bisogna evidenziarne il loro carattere problematico, persino pericoloso, funesto e mortifero: «Avviene che spesso si assista a un ritorno al rozzo marxismo tradizionale e a una critica personalizzata del capitalismo; cosa che, a mio avviso, contribuisce a quello che è un antisemitismo strutturale». (Roswitha Scholz)
Per quanto a prima vista quest'ultima affermazione possa apparire sorprendente, l'affinità elettiva tra anticapitalismo tronco e antisemitismo è stata ampiamente evidenziata negli scritti di Moishe Postone [*2]. Senza entrare nei dettagli, una tale affinità deriva dalla «tendenza a concepire ciò che è astratto (il dominio senza soggetto del Capitale) nei termini di ciò che invece è concreto» [*3].
Alla fine, colpisce soprattutto il fatto che, frequentemente, questo tipo di posizione «si accompagna a un'ipostasi della prassi, [assegnando così a essa una sua superiorità], e insieme a questa aun'ostilità nei confronti della teoria». In conclusione, non si tratta di positivizzare uno dei poli delle aporie che abbiamo citato, vale a dire, non si tratta di porre come soluzione la «politica identitaria» e/o il «classismo», ma si tratta piuttosto di andare oltre. Per dirla con Roswitha Scholz, «si tratta piuttosto di rifiutare tale opzioni immanenti».

La teoria della dissociazione del valore: verso una "grande teoria" femminista
«La base della miseria», secondo Roswitha Scholz, «risiede nella determinazione della forma sociale [...] Qui, la forma sociale designa il modo in cui si è configurato il patriarcato capitalistico». La sofferenza e la distruzione della vita delle persone, hanno le loro radici nella forma della relazione sociale specifica del patriarcato produttore di merci. A questo punto, si pone pertanto la questione di come definire tale «determinazione». Nel farlo, Roswitha Scholz segue le orme dei teorici della critica del valore [*4], e va oltre. Laddove «Moishe Postone e Robert Kurz partono dal presupposto che il valore-plusvalore, così come il lavoro astratto, sono la forma fondamentale della socializzazione capitalistica patriarcale», per Roswitha Scholz «questo focalizzarsi sul valore-plusvalore, in quanto forma sociale di base, non è sufficiente», e ciò perché in tal modo viene offuscata quella che è tutta una parte della realtà sociale capitalista: «a essere costitutivo della totalità, non è soltanto il valore ma [...] il capitalismo implica allo stesso tempo anche delle attività di manutenzione e di assistenza che vengono svolte principalmente da delle donne», e viene anche offuscato il fatto che queste «attività riproduttive femminili [...] hanno un carattere diverso rispetto a quello del lavoro astratto». Secondo Roswitha Scholz, queste attività vengono dissociate dal valore [*5]. In altre parole, «Dissociazione del valore, significa che quelle attività riproduttive definite come femminili - ma anche i sentimenti, la qualità e gli atteggiamenti ad esse associati, vale a dire, l'emotività, la sensualità, l'assistenza e la cura - sono tutte attività che sono state dissociate dal valore».
Il valore - da una parte - e tutto ciò che da esso viene dissociato – dall'altra – mantengono però una relazione dialettica. «[Tutto ciò che è stato dissociato], è stato posto, o istituito, grazie e a partire dal (plus-)valore, ma simultaneamente viene allo stesso tempo posto al di fuori del valore, e quindi ne costituisce la sua condizione e la sua misura». Di conseguenza, «la dissociazione del femminile diventa [...] indispensabile per lo sviluppo della forza produttiva, e pertanto indispensabile anche alla contraddizione in processo». A questo, Roswitha Scholz aggiunge che «una dissociazione del femminile, insieme a una dissociazione delle corrispondenti immagini della donna, sono diventate, e risultano essere, la tacita condizione socio-psichica»; la quale ha permesso lo sviluppo delle scienze naturali e della «scienza del lavoro» - quella scienza che si proponeva di razionalizzare il processo produttivo, e che è poi culminata nel taylorismo. Per i teorici della critica del valore, era il processo autotelico di auto-valorizzazione del valore a costituire «la legge che determina le crisi della riproduzione e, in ultima analisi, porta alla rovina del capitalismo». In tal senso, si può leggere in Kurz che:
«La valorizzazione è realmente possibile solo grazie alla dinamica storica di una costante crescita delle forze produttive. [...] nel corso di quello che è stato il singolare sviluppo del capitalismo, il tasso di profitto perde gradualmente la sua ampiezza, e il motore che spinge questo fenomeno consiste nell'eliminazione della forza-lavoro vivente, che viene resa superflua in quantità sempre maggiore dall'introduzione nel processo produttivo di apparati tecnico-scientifici. Il problema, sta nel fatto che il lavoro costituisce la sostanza stessa del capitale: esso solo, è in grado di produrre un vero e proprio plusvalore. Per il capitalismo, l'unico modo per riuscire a compensare questa contraddizione interna consiste nell'espansione del credito, vale a dire, nell'anticipazione del plusvalore futuro. Ma oggi anche questo effetto-valanga si scontra con i propri limiti, dal momento che i profitti attesi sembrano diventare sempre più lontani nel tempo. Quanto alle crisi, se viste da questa prospettiva, esse appaiono ben lontane dall'essere una semplice "correzione"; ma, al contrario, accelerano proprio quel movimento storico che ci spinge sempre più ad andare a sbattere verso il limite intrinseco della produzione di valore.» [*6]

Secondo Kurz e i teorici della critica del valore, il processo contraddittorio della valorizzazione porterebbe all'effettivo declino del capitalismo, e determinerebbe il suo ostinato avvicinarsi sempre più a un «limite interno» [*7]. Ma secondo Roswitha Scholz, il declino del capitalismo nella sua corsa verso il proprio «limite interno» - così come la violenza dei suoi sconvolgimenti (crisi, ecc.) – non può essere spiegato solo a partire dal movimento della valorizzazione. «Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, la dissociazione non è una struttura statica, dove invece la logica del valore costituirebbe il suo principio dinamico [...] ma è invece la dissociazione a rendere possibile la contraddizione in processo». E continua: «La dissociazione del femminile, è indispensabile allo sviluppo delle forze produttive e alla contraddizione in processo. Senza tale dissociazione, non ci sarebbe stata la rivoluzione microelettronica, l'obsolescenza del lavoro astratto, l'erosione della famiglia nucleare e dei ruoli sessuali tradizionali che sono collassati. Oggi le donne non possono più essere confinate nel dominio della riproduzione, anche se spesso si trovano a lavorare nei servizi di assistenza o in altri settori, e sono ancora responsabili della casa e dei figli. La dissociazione non è quindi scomparsa, ma si riflette in minori retribuzioni e in opportunità di carriera più basse. Contemporaneamente, tra gli uomini, si può osservare anche a una tendenza a marginalizzare le donne. Le istituzioni, vale a dire, la famiglia e il lavoro retribuito, vengono erose. Con le crescenti tendenze alla crisi e all'impoverimento, il patriarcato si sta solo sempre più imbarbarendo,e questo senza che però le gerarchie di genere e le strutture patriarcali fondamentali siano scomparse. [...] La dissociazione del valore - in quanto principio storico e dinamico di base associato allo sviluppo delle forze produttive - poggia su quello stesso patriarcato, e pertanto ne mina quelle che sono le sue stesse fondamenta: le attività di riproduzione nella sfera privata».

Pertanto, la base della miseria - dell'infelicità - risiede nella «dissociazione del valore in quanto relazione sociale fondamentale. [...] In un certo senso, è anche al valore che oggi sono imputabili [e vengono imputati] gli attuali problemi globali: l'impoverimento socio-economico, il cambiamento climatico, eccetera; ma non al solo valore, come suggerisce ostinatamente una visione androcentrica che sottovaluta il dissociato». Dal rapporto dialettico tra valore e dissociato, ne deriva che «l'uno non può essere desunto dall'altro». Il dissociato è qualitativamente eterogeneo rispetto al (plus-)valore; esso rappresenta «un aspetto della società capitalista che non può essere colto solo a partire dagli strumenti concettuali marxiani». Richiede ed esige l'elaborazione di una nuova critica, quella a cui stanno lavorando Roswitha Scholz e altri teorici. «La dissociazione del valore va intesa come una meta-logica che va oltre le categorie interne della forma merce», e per andare oltre la sua critica deve coniugare e tenere insieme «una comprensione della totalità che metta al centro la determinazione della forma con il feticismo e con una totalità frammentata che va vista nel senso della critica della dissociazione del valore, e che superi qualsiasi comprensione personificata del capitalismo».

- Perro - Pubblicato il 5/6/2023 - su  Renverse. Information et luttes. Suisse romande -

NOTE:

[*1] - http://www.palim-psao.fr/2023/04/roswitha-scholz-in-paris-seminaire-crise-critique-les-12-13-et-14-mai-2023-programme.html

[*2] - Per maggiori dettagli, si vedano le seguenti opere:
Moishe Postone, Critique du fétiche capital: Le capitalisme, l'antisémitisme et la gauche, PUF.
Moishe Postone, Marx, oltre il marxismo. Ripensare una teoria critica del capitalismo, Crise & Critique.
Moishe Postone, La Société comme moulin de discipline. Teorie critiche e trasformazioni del capitalismo, Crise & Critique.

[*3] - Moishe Postone, "Internationalisme et anti-impérialisme aujourd’hui" - in uscita.

[*4] - Si veda in particolare:
Moishe Postone, Temps, travail et domination sociale, Mille et une nuits.
Robert Kurz, La sostanza del capitale, L'échappée.

[*5] - Le traduzioni francesi - dal tedesco -  dei testi centrali della teoria della dissociazione del valore sono raccolte in: Roswitha Scholz, "Le Sexe du capitalisme", Cirse & Critique.

[*6] - Robert Kurz, "Le capital face à sa dynamique historique", Neues Deutschland (24 aprile 2009). In italiano in: https://francosenia.blogspot.com/2015/12/l-valanga-e-la-teoria-della-pulizia.html

[*7] - Groupe Krisis, Manifeste contre le travail, Crise & Critique

martedì 25 luglio 2023

L’importanza dei gatti !!

Thomas l’Oscuro è il primo romanzo di Maurice Blanchot: un’opera che stravolge i codici narrativi consolidati, anticipando con la sua visionarietà le sperimentazioni di Alain Robbe-Grillet e Samuel Beckett. Thomas, il protagonista di questa storia, è un personaggio che sfugge a ogni possibilità di descrizione. A volte sembra umano, altre mostruoso. A volte sembra vivo, altre volte no, e appare sempre in bilico su quel confine sottile che separa le due cose. Lo conosciamo all’inizio del romanzo mentre nuota in mezzo a un mare d’improvviso mutato in tempesta, boccheggiando tra le onde, incerto se sopravvivrà o sarà travolto. Lo ritroviamo in un cimitero, chino sulle ginocchia, intento a scavare con le mani una tomba in cui sdraiarsi e fare esperienza della fine. Ma a conoscere la morte sarà Anne, la giovane donna che Thomas ha incontrato casualmente nell’albergo in cui alloggia, e con la quale ha iniziato una relazione che si è tramutata in un vincolo misterioso e inscindibile. E proprio la malattia e la scomparsa di Anne condurranno Thomas verso una nuova soglia. In questa opera finora inedita in Italia, Maurice Blanchot guida il lettore attraverso sentieri inesplorati della costruzione romanzesca. Quello che Blanchot realizza, ricorrendo a una prosa densa di immagini, è lo scardinamento di ogni consuetudine del pensiero, di ogni meccanismo logico cui siamo educati sin dall’infanzia. Una rappresentazione unica di ciò che può fare e dire. la letteratura che, nel suo tentativo di scagliarsi contro l’essere, ci restituisce la natura stessa della nostra esistenza.

(dal risvolto di copertina di MAURICE BLANCHOT, Thomas l’Oscuro. Traduzione di Francesco Fogliotti. IL SAGGIATORE Pagine 144, €18)

In mare, nella grotta e tra le parole. Il girovagare buio di Blanchot
di Orazio Labbate

Non rispetta, fortunatamente, i classici confini romanzeschi Thomas l’Oscuro, che fu l'esordio di Maurice Blanchot, tra i più originali e influenti critici letterari francesi, scomparso vent’anni fa. Come nel caso della sua scrittura saggistica — che sovverte ogni approccio organizzativo di matrice accademica, in favore di un acceso sperimentalismo — il libro (1941, rivisto nel 1950, mai prima tradotto in Italia) ha un conturbante stile sonnambulico. Si sviluppa attraverso la sorprendente vaghezza di una sorta di soliloquio filosofico, condito di azioni improvvise, catartiche, mirate al cuore dell’essere. Azioni distanti da trame ordinarie e lineari. Basti sapere che il protagonista, Thomas, deve accettare, da subito, una serie di sfide esistenziali che sembrano avvicinarlo all’aldilà e ai suoi fantasmi. Dapprima è costretto a nuotare in balìa di un mare in tempesta, poi a vagare disperatamente dentro una grotta nera, infine ad alloggiare presso un albergo senza nome in preda alla furia plastica delle parole che legge rintanato in camera. Nel frattempo, lo tormenta un’ossessiva oscurità. È la stessa oscurità — elemento che con lui dialoga, che lo plasma e lo fa esistere — a fargli conoscere il doppio in tutte le cose, a incominciare dall’altro sé stesso, fino ad arrivare ai gatti, antichi idoli portatori di verità, dentro la notte infinita e soffocante di Thomas.

- Orazio Labbate - Pubblicato il 9/4/2023 su La Lettura -

lunedì 24 luglio 2023

Avventurarsi nella realtà…

Barbie non riesce a gestire la verità
- di Slavoj Žižek -

Denunciato e deriso dalla critica, "Indiana Jones e il Quadrante del Destino" - quinto e ultimo capitolo della saga -, esso tuttavia affronta uno dei problemi centrali della modernità: la separazione tra fantasia e realtà. Ambientata nel 1969, la storia è incentrata sugli sforzi che vengono fatti da Jones per localizzare un antico dispositivo - "il quadrante del destino" - circa il quale si ritiene che conferisca il potere di viaggiare nel tempo. Separatosi dalla moglie Marion, e depresso a causa della la morte di suo figlio, Jones viene aiutato nelle ricerche dalla figlioccia Helena, mentre sono inseguiti da una nuova generazione di nazisti, anch'essi alla ricerca del quadrante. Nella scena culminante del film, Jones ed Helena vengono trasportati a ritroso nel tempo, all'assedio di Siracusa del 212 a.C., dove incontrano il celebre Archimede, che [N.d.T.: grazie a questa provvidenziale consegna del Quadrante] inventerà la macchina del tempo. Credendo di non avere ormai più una vita a cui tornare, nell'America del 1969, Jones intende rimanere nel passato, vivendo nel bel mezzo di un grande momento storico. Ma Helena si rifiuta di abbandonarlo, e mette Jones k.o., facendogli perdere i sensi, e potendo così tornare con lui nel mondo moderno. Al risveglio nel suo appartamento, Indi si riunisce a Marion e si abbracciano mentre Helena si allontana sorridente. Questa felice soluzione, tuttavia, non nasconde le amare implicazioni della conclusione del film. Costretto a lasciare l'antica Grecia, l'eroe-professore deve ora affrontare una vita di arida quotidianità. Molti di quelli che sono stati gli attacchi più feroci della critica, erano rivolti al personaggio di Helena (interpretato da Phoebe Waller-Bridge), che è stato presentato in vari modo come eccentrico (in base ai classici standard hollywoodiani di bellezza ed erotismo) o "woke" [N.d.t.: ideologico; letteralmente "sveglio"], vale a dire, una protagonista che mette in crisi i cliché patriarcali del fascino femminile. Ma Helena non è né un sex symbol e neppure un esempio di atteggiamenti coscienti di genere: si limita semplicemente a introdurre un elemento di opportunismo quotidiano che si mescola a quella che è una bontà di fondo; insomma, una pizzico di ciò che potrebbe essere definita vita reale. Il nuovo Indiana Jones è realmente incentrato su Helena, una persona del mondo reale che viene coinvolta nel mondo fantastico delle avventure di Indi a caccia di tesori.

Quasi una variante del tema «Benvenuti nel deserto del reale» di Matrix - ovvero, cosa succede quando le nostre illusioni protettive si sgretolano e affrontiamo il mondo reale in tutta la sua brutalità - Indiana Jones e il Quadrante del Destino fa parte di una recente tendenza di film  (Barbie, Oppenheimer, la serie TV Sono Vergine) dove gli eroi si avventurano tra il reale e l'immaginario e tra l'immaginario e il reale. Dopo essere stati cacciati dall'utopica Barbie Land per il fatto di essere delle bambole imperfette, Barbie e Ken intraprendono un viaggio nel mondo reale alla scoperta di sé stessi. Ma ciò che essi trovano non consiste in una profonda rivelazione di ciò che sono, bensì nel comprendere che, rispetto al loro mondo, la vita reale è ancora più piena di soffocanti cliché. La coppia di bambole si trova costretta a confrontarsi con il fatto che, al di là di Barbie Land, non solo esiste una realtà brutale, ma che anche l'utopia fa parte di tale realtà brutale: senza fantasie, come quelle di Barbie Land, gli individui non sarebbero assolutamente in grado di sopportare il mondo reale. Oppenheimer di Christopher Nolan, complica ulteriormente questa idea di avventurarsi nella realtà. Il suo tema non riguarda solamente il trasferimento dal paradiso accademico al mondo reale della guerra - dalla mente e dalla teoria, al deposito di munizioni - ma anche il modo in cui le armi nucleari (frutto della scienza) stravolgono la nostra percezione della realtà: un'esplosione nucleare è qualcosa che non appartiene alla nostra vita quotidiana. Oppenheimer, un fisico teorico, ha guidato il Progetto Manhattan, un team creato nell'agosto del 1942 che sviluppò la bomba atomica per gli Stati Uniti. Nel 1954, a causa della sua affiliazione a dei gruppi che lavoravano per rallentare la proliferazione nucleare, venne etichettato dalle autorità come "comunista" . Sebbene la posizione assunta da Oppenheimer fosse coraggiosa ed etica, egli non aveva tenuto alcun conto delle implicazioni esistenziali derivanti dall'ordigno da lui creato.

Nel suo saggio "Apocalisse senza regno", il filosofo Günther Anders ha introdotto il concetto di «apocalisse nuda»: «l'apocalisse che consiste in una mera caduta, e che non rappresenta il dischiudersi di un nuovo e positivo stato di cose (del "regno")». Per Anders, una catastrofe nucleare rappresenterebbe un'apocalisse nuda: non ne deriverebbe alcun nuovo regno, ma solo la totale cancellazione del mondo. Oppenheimer non poteva accettare tale nudità, così si rifugiò ulteriormente nell'induismo, al quale si era interessato fin dai primi anni Trenta, quando aver imparato il sanscrito in modo da poter leggere così le Upanishad in originale. Nel descrivere i suoi pensieri dopo che c'era stata la prima esplosione della bomba atomica, al test Trinity nel Nuovo Messico, Oppenheimer citava il Bhagavad Gita, nel quale Krishna dice ad Arjuna: «Ora io divento la Morte, il distruttore di mondi». Sebbene sia questa la frase che viene più tutte associate a Oppenheimer, egli tuttavia citava anche un altro passaggio del Gita: «Se la brillantezza di mille soli esplodesse nel cielo in un colpo solo, sarebbe come lo splendore di ciò che è potente». L'esplosione nucleare viene pertanto elevata a esperienza divina. Non c'è da stupirsi che dopo il successo dell'esplosione nucleare - secondo il fisico Isidor Rabi - Oppenheimer apparisse trionfante: «Non dimenticherò mai la sua camminata; non dimenticherò mai il modo in cui scese dall'auto... La sua andatura era come se fosse mezzogiorno... quel genere di portamento. Lo aveva fatto». Quindi la fascinazione per la Gita di Oppenheimer si inscrive nella lunga storia del tentativo di fondare nelle tradizioni orientali, le implicazioni metafisiche della fisica quantistica.

Ma il film di Nolan non riesce a mostrare come, l'evocazione di qualsiasi tipo di profondità spirituale, offuschi l'orrore di una nuova realtà creata dalla scienza. Per affrontare effettivamente l'«apocalisse nuda», o il cataclisma senza redenzione, è necessario l'opposto della profondità spirituale: serve uno spirito comico totalmente irriverente. Vale qui la pena ricordare come i migliori film sull'Olocausto - "Pasqualino sette bellezze" (1974), "La vita è bella" (1997) - sono commedie, non perché banalizzino l'Olocausto, ma perché implicitamente ammettono che si tratta di un crimine troppo folle per essere narrato come una storia "tragica". Esiste qualche film che osa farlo per mezzo degli orrori e delle minacce di oggi? "Sono Vergine" (miniserie TV di Boots Riley in uscita nel 2023) è la storia di Cootie, un diciannovenne di colore alto un metro e mezzo cresciuto dagli zii a Oakland, in California. I suoi due tutori dedicano la loro vita ad assicurarsi che Cootie resti al sicuro e isolato. Ma cresciuto a suon di pubblicità, fumetti e cultura pop, ecco che Cootie irrompe nel mondo, non come una tabula rasa ma già sottoposto al lavaggio del cervello dell'ideologia consumistica di massa. Riesce goffamente a farsi degli amici, a trovare un lavoro e l'amore, ma ben presto scopre che il mondo è più sinistro di quanto sembri: Cootie agisce come un catalizzatore, il suo ingresso nella nostra realtà sociale comune ne fa emergere tutti gli antagonismi e tutte le tensioni (razzismo, consumismo, sessualità...). E come riesce a fare tutto questo?

Come ha osservato un acuto recensore di "The Wrap": «Non lasciatevi ingannare dai temi pesanti, Sono vergine" è una commedia piena di momenti assolutamente folli».  Per sottolineare l'ovvio nelle situazioni della vita reale, Riley usa l'assurdità: «Sono attratto dalle grandi contraddizioni», ha detto a "Wired". «Le contraddizioni del capitalismo - il suo funzionamento - riecheggiano in quasi tutto ciò che facciamo». Sta in questo il genio di Riley: la combinazione di due fatti tragici (una gigantesca aberrazione scatenata sul nostro mondo; gli antagonismi che stanno alla base del capitalismo globale) produce una commedia brillante. L'effetto comico nasce dal fatto che le fantasie ideologiche e la realtà non si contrappongono: in seno a quelle che sono le realtà più cupe troviamo delle fantasie. Gli autori di crimini orribili, non sono dei mostri diabolici che fanno coraggiosamente ciò che fanno: sono dei vigliacchi che lo fanno per alimentare e sostenere la fantasia che li spinge e li anima. Per creare una nuova società, gli stalinisti hanno ucciso milioni di persone, e poi hanno dovuto ucciderne altri milioni per far sì che non venisse scoperta la verità che il loro progetto comunista era condannato al fallimento.

La maggior parte di noi conosce il momento culminante di "Codice d'onore" (1992) di Rob Reiner, quando l'avvocato Daniel Kaffee (Tom Cruise) interroga il colonnello Nathan Jessep (Jack Nicholson) e gli intima: «Voglio la verità!», e Jessep gli urla: «Non puoi gestire la verità!». Questa risposta è più ambigua di quanto sembri: non deve essere presa come se fosse una semplice affermazione secondo cui la maggior parte di noi sarebbe troppo debole per affrontare la brutale realtà del mondo. Se qualcuno chiedesse a un testimone la verità sull'Olocausto e il testimone rispondesse: «Non puoi gestire la verità!», non dovrebbe essere presa come se fosse una semplice affermazione secondo cui la maggior parte di noi non è in grado di elaborare l'orrore dell'Olocausto. A un livello assai più profondo, coloro che non erano in grado di affrontare la verità erano proprio gli stessi responsabili nazisti: non erano in grado di accettare il fatto che la loro società fosse stata colpita dalla crisi economica e sociale degli anni Trenta e che, per evitare una simile preoccupante visione, si impegnarono in una serie di omicidi di massa che avevano come obiettivo gli ebrei; come se uccidere gli ebrei avrebbe così in qualche modo miracolosamente ristabilito un corpo sociale armonioso. Ed è qui che risiede la lezione finale di queste storie relative all'avventurarsi dalla fantasia nella realtà: non solo fuggiamo nella fantasia per evitare il confronto con la realtà, ma fuggiamo anche nella realtà per evitare la devastante verità sulla futilità delle nostre fantasie.

- Slavoj Žižek - Pubblicato su The New Statesman il 22/7/2023 -

Traversate !!

Il ricorrere del tema della "traversata" in Sebald, vista come qualcosa che evoca Omero, Ulisse, la Divina Commedia e così via... In "Vertigini", uno degli elementi che collega i quattro capitoli è costituito dal riferimento al cacciatore Gracco di Kafka (un non-morto che vaga per il globo senza poter mai attraccare la sua barca da nessuna parte); ed è sempre in quello stesso "Vertigini", la frase di apertura del romanzo che riguarda proprio una traversata, «verso la metà di maggio dell'anno 1800», quando Napoleone e i suoi trentaseimila uomini valicarono il «Gran San Bernardo, un’impresa che fino a quel momento veniva ritenuta praticamente impossibile». Mentre, alla fine de "Gli emigrati", nel capitolo "Max Ferber" (che costituisce, anch'esso, qualcosa di simile a un attraversamento; di un nome, di un'identità, di un allontanamento relativo a "Frank Auerbach"), vediamo invece il narratore recarsi a Bad Kissingen per prendere un traghetto, e nel farlo scatta (e ci mostra) una foto fatta all'ufficiale che guida la barca: un passaggio, questo, che avviene subito dopo che c'è stata la visita al cimitero, come se fosse un ritorno dalla terra dei morti! E infine è ne "Gli anelli di Saturno" che il narratore sale su una piccola barca per andare a Orford Ness (un antico sito dove, durante la guerra fredda, si svolgevano i test segreti del governo britannico: un paesaggio post-apocalittico, scrive il narratore, quasi l'immagine del nostro mondo dopo la fine).  Così - se guardiamo la cosa da un punto di vista biografico - sappiamo che esiste sicuramente un passaggio, nella sua vita, che lo ha portato a essere, da insegnante a scrittore: gli anni decisivi del decennio '80, durante il quale Sebald comincia a pubblicare su delle riviste quelli che sono i suoi esercizi di narrativa. Si potrebbe, inoltre, perfino pensare anche a una sua "traversata" precedente, altrettanto decisiva, quella della Manica, che nel 1966 porta un giovane insegnante/studente a Manchester. Una "traversata", questa, che lo traghetta anche dal tedesco all'inglese: un attraversamento linguistico, che però non viene mai completato, che non viene spinto fino alle sue ultime conseguenze, dal momento che Sebald continuerà sempre a usare il tedesco, come lingua di lavoro, di narrazione.

fonte: Um túnel no fim da luz

domenica 23 luglio 2023

Borghesia vs Precariato !!??

Disconnessione
- di Ernst Lohoff -

La critica del capitalismo è ovunque. Un anticapitalismo radicale ed emancipatore deve liberarsi dalla megalomania del soggetto rivoluzionario, e smascherare come superfluo il sistema stesso, il quale dichiara superflue le persone e i loro bisogni. L'attuale fase dello sviluppo capitalistico è fondamentalmente diversa dalle precedenti. Fin dai tempi della Rivoluzione industriale, il progredire e lo sviluppo dei principi formali della società della merce - lavoro, diritto e politica - ha funzionato come un processo di integrazione repressiva. Oggi, invece, il loro dominio equivale a quello di una desocializzazione repressiva. Alla periferia del mercato mondiale, la prospettiva di formare economie nazionali funzionanti, e includere la maggioranza della popolazione nella moderna società del lavoro, è definitivamente sparita. Anche con un modello di presunto successo come quello della Cina, in quello che è un mercato globale, lo sviluppo capitalistico porta solo alla formazione di isole minoritarie circondate da un oceano di miseria di massa. Tuttavia, anche nei centri del mercato mondiale, il sistema di valorizzazione contribuisce sempre meno al mantenimento della riproduzione sociale, dal quale è esso stesso diventato dipendente. Non solo ci sono sempre più persone che vengono scartate come inutilizzabili; ma sono in discussione anche l'istruzione gratuita, l'assistenza medica a prescindere dal reddito, una rete completa di trasporti pubblici e, insieme a queste, anche altre parti dell'infrastruttura pubblica. Senza il degrado delle persone ad appendici della macchina di valorizzazione, e senza l'adattamento dei bisogni, non c'è alcun capitalismo. L'attuale capitalismo globale si distingue dalle precedenti fasi di sviluppo nella misura in cui, allo sfruttamento e all'adattamento, si sovrappone oggi un trauma storicamente nuovo. Il premio che viene concesso ai servi del capitale, per l'obbedienza ai principi formali della società delle merci - lavoro, diritto e politica - prevede che essi, così come i loro rispettivi bisogni collettivi, perfino in quella che è la loro forma più depotenziata, vengono progressivamente sempre più abbandonati in quanto irrilevanti. Il paradigma dello sfruttamento viene pertanto sostituito attraversi una nuova esperienza primordiale: il trauma di essere delle persone superflue - dal punto di vista capitalistico - che hanno delle istanze superflue. Il futuro dei diversi settori sociali dipende, in maniera decisiva dal modo in cui tali persone superflue riusciranno a uscire da questo trauma. È possibile che esso diventi il punto di partenza di un nuovo anticapitalismo, e che a tale scopo è necessario? La risposta dipende da come definiamo l'anticapitalismo. Per quelli che non pensano solo in base a dei concetti emancipatori, non c'è più alcun bisogno di dover aspettare la rinascita dell'anticapitalismo: è già qui. Di fronte alla devastazione causata dal mercato totale, ora il pendolo ideologico oscilla nella direzione opposta. Che si tratti del regime clientelare di sinistra di Hugo Chávez, o del transnazionalismo islamico, oppure del nazismo trasversale (Querfront) o dei cacciatori di locuste socialdemocratici, oggi "in qualche modo",  tutti criticano il capitalismo. Recentemente, persino il Time ha diagnosticato un imminente «fallimento del mercato» globale. Per contro, l'idea di una rottura cosciente con la logica capitalista, e l'obiettivo di una «libera associazione di produttori» a livello mondiale (Marx) sono invece del tutto fuori questione. Oggi più che mai, ciascuno di essi viene considerato assurdo e irragionevole e, di fatto, anche la sinistra radicale ha accantonato l'idea di una trasformazione emancipatrice. Una delle ragioni del fallimento dell'anticapitalismo radicale risiede nella sua propria immagine superata che ha di sé stesso, e che gli impedisce di assumere una posizione circa quello che è il trauma primordiale (Ur-Trauma) della nostra epoca. Le grandi correnti anticapitaliste del passato erano nate a partire da una sensazione di forza, vale a dire, della propria forza all'interno di un contesto emergente di capitalismo.

Il movimento operaio classico è stato il primo ad aver formulato una tale rappresentazione di sé. Allora, anticapitalismo significava inculcare nelle masse lavoratrici che esse - in quanto «creatrici di tutti i valori», erano state chiamate a ricreare il mondo a propria immagine e a riempire di un contenuto umanitario la politica, il lavoro e il diritto. Più tardi, il posto del proletariato industriale è stato poi preso da altri «soggetti rivoluzionari». Il modello di base è stato riprodotto in maniera persistente e continua. La fonte dell'autocoscienza anticapitalista, ha continuato a essere la convinzione che esso rappresentasse le forze sociali che contano, e questo lo faceva anche per tenere insieme il nucleo della società capitalista basata sulle forme fondamentali del valore, del lavoro, del diritto e della politica. Questa esaltazione, che i movimenti di emancipazione del passato facevano di sé stessi, li ha aiutati nello sfruttare un margine di manovra a disposizione in quella che era un'epoca di integrazione repressiva. Tuttavia, in quelle condizioni di «desocializzazione repressiva» la prassi di invocare, sul terreno del lavoro e della politica, la propria forza entra in cortocircuito, e lo fa con conseguenze disastrose. Delle due l'una: o gli anticapitalisti cadono nella disperazione a causa dell'immutabilità delle condizioni, oppure perdono il senso della realtà. E in questo contesto "retrò", è accaduto spesso che, su "Jungle World", varie posizioni neo-operaiste venissero fortemente criticate, giudicate come teoricamente insoddisfacenti. Ma per quanto questo fosse giustificato,alla luce dei concetti alternativi presentati, è apparso anche insoddisfacente. Il concetto di «moltitudine» di Hardt e Negri, la cui produttività illimitata, per inciso, rappresenterebbe già il comunismo, e che sarebbe soggetta solo al potere parassitario esterno dell'«Impero», non fa altro che rappresentare, stavolta in modo allucinato, quella che era la stessa forza che le correnti emancipatrici immanenti alla forma hanno perso. Ciò che, nelle condizioni attuali, significa sottomissione agli imperativi del lavoro e della politica, scompare dietro quelle che sono solo delle illusioni di grandezza. Ma il post-operaismo non è stato affatto l'unico a eliminare l'esperienza dell'impotenza. Con mezzi un po' diversi e con approcci concorrenti, ci sono altri che si impegnano nella medesima operazione. Soprattutto, si tratta di posizioni che non si peritano di riconoscere empiricamente la debolezza delle forze emancipatrici, spiegandole come il risultato di rapporti di forza sociali più o meno fortuiti, finendo per trattarle come reversibili sul terreno del lavoro e del valore. Le lotte distributive tra i soggetti concorrenti della merce, formano una sfera neutra nella quale viene presunto che, facendo i giusti sforzi, tutto possa accadere. Alla luce della svalorizzazione strutturale della merce forza lavoro, in seguito alla rivoluzione microelettronica, ora a essere il problema è già il campo di battaglia stesso, e non solo la posizione nel conflitto. Lo stesso dilemma si pone anche per quanto attiene al rapporto positivo con la politica, con l'equilibrio degli interessi generali della società della merce. Nella fase attuale del capitalismo, coloro che, come anticapitalisti, accettano la creazione di un interesse generale basato sul lavoro, sul valore, ecc. visto come orientamento indiscutibile, cercano di trasformare nel suo opposto quello che è un interesse escludente e pacificatore.

Nel dibattito di sinistra, il peggioramento delle disuguaglianze sociali, osservato negli ultimi decenni, viene facilmente inteso come un'intensificazione del «conflitto di classe». Questa interpretazione pretende di enfatizzare il carattere antagonista delle attuali contraddizioni sociali. Ma a un esame più attento, però, vediamo che la fuga dall'attuale costellazione storica è già iniziata con il ricorso alla categoria di classe. Quando si elimina l'esuberanza romantico-rivoluzionaria, e si riduce il concetto di classe al suo nucleo analitico, ecco che vediamo che l'opposizione di classe non è altro che una contrapposizione tra diverse categorie di proprietari di merci. Intendere "borghesia" e "precariato" come classi, significa equiparare il loro conflitto alla contrapposizione tra capitale e lavoro nella fase ascendente della società delle merci, e quindi attribuirgli un carattere simmetrico. Il conflitto di classe appare come una disputa tra avversari i quali, quanto meno in linea di principio, sarebbero cresciuti insieme nel campo del valore, della politica e del lavoro.
Ma l'emergere di un precariato, tuttavia, non rimanda alla formazione di classi - come suggerisce l'uso improprio del concetto di classe - ma è espressione di quelli che sono dei processi di declassificazione. Per quanto la società escludente incontra una resistenza, il conflitto mantiene un carattere asimmetrico. Per pensare in termini resistenza,però, bisogna che gli anticapitalisti smettano di dissimulare il trauma originario della nostra epoca. Diversamente, devono rendere possibile una reazione altrettanto logica e radicale: devono dichiarare superfluo il sistema che dichiara superflue le persone e i bisogni. Se la valorizzazione del valore disconnette la sua riproduzione dalla riproduzione sociale,ecco che allora l'unica via d'uscita emancipatrice rimane quella di disconnettere la riproduzione sociale dalla valorizzazione del valore.

- Ernst Lohoff - Pubblicato su Jungle World n°48 del 2007 - fonte: Arlindenor Pedro