Il costo della vita e i profitti
- di Michael Roberts -
L'ultimo rapporto dell'OCSE sull'occupazione, ci consente di aprire gli occhi sulla crisi del costo della vita, e sul fatto che l'aumento dei salari, o dei profitti, abbia costituito il maggior contributo all'aumento dell'inflazione. Riguardo ai salari, l'OCSE rileva come nell'ultimo anno i salari reali siano diminuiti in media del 3,8%. «I diversi mercati del lavoro hanno spinto i salari nominali al rialzo, ma, rispetto all'inflazione, ciò è avvenuto in misura minore, determinando in tal modo un calo dei salari reali in quasi tutti i settori industriali in quasi tutti i Paesi OCSE».
Dal grafico qui sopra, si vede come i ribassi variano in maniera considerevole, differendo per ciascun Paese OCSE. I maggiori ribassi, si sono verificati in Scandinavia e nell'Europa dell'Est, dove - a causa del venir meno del petrolio e del gas russo - i prezzi dell'energia sono aumentati maggiormente, mentre per quel che riguarda gli Stati Uniti il ribasso è uno dei contenuti, dal momento che i prezzi dell'energia, pur aumentando, non sono poi cresciuti così tanto. L'Europa ha dovuto sostituire l'energia proveniente dai gasdotti russi con le forniture di gas naturale liquido (GNL), trasportate via mare e molto più costose.
Nel grafico qui sopra, lo studio dell'OCSE rivela nel dettaglio anche quanta parte dell'aumento dei tassi di inflazione, dall'inizio della pandemia di COVID a oggi, sia dovuta ai salari e ai profitti. Sembra che in tutta l'OCSE, su una media (non ponderata), dalla fine del 2019 al 1° trimestre del 2023, i profitti per unità di prodotto siano aumentati di circa il 22%, mentre i salari per ogni unità sono aumentati di circa solo il 16%.
In alcuni paesi, il ruolo che i profitti hanno svolto sull'aumento dei prezzi, è stato maggiore, e di non poco, rispetto a quello esercitato dai salari: in Svezia, il 27% di aumento dei profitti contro il 9% di aumento dei salari; in Germania, il 24% contro 10%; in Austria il 23% contro il 10%. Nel corso della durata della spirale inflazionistica, l'aumento maggiore si è registrato in Ungheria, con oltre il 60%, seguito dagli Stati dell'Europa orientale con oltre il 30%. Negli Stati Uniti gli aumenti dei salari e dei profitti, per unità di prodotto, sono stati più o meno uguali; pari al 14% per entrambi. Solamente in Portogallo, il contributo dei salari per unità di prodotto è stato significativamente superiore (18%) rispetto a quello dei profitti (9%).
L'OCSE concorda sul fatto che l'impennata dell'inflazione è stata innescata dall'aumento dei prezzi delle materie prime e dell'energia, causato dal blocco della catena di approvvigionamento dopo la fine della pandemia, e poi accelerato dall'invasione russa dell'Ucraina. Come afferma l'OCSE: «In molti Paesi dell'OCSE, l'impennata iniziale dell'inflazione è stata in gran parte prima importata e poi trainata dai prezzi delle materie prime e dell'energia. Tuttavia, nel corso del 2022, l'inflazione si è estesa e generalizzata, e i costi più elevati sono stati sempre più trasferiti sui prezzi dei prodotti e servizi nazionali».
Per cui, non è stata causata dagli aumenti salariali, i quali non hanno mai tenuto il passo con la spirale dell'inflazione. Anche in questo caso, l'OCSE sostiene: «Finora, le prove non testimoniano alcun segnale di una spirale prezzi-salari. La crescita nominale è aumentata, ma non mostra alcun chiaro segno del verificarsi di un'ulteriore accelerazione significativa nei vari Paesi. Negli ultimi mesi, il divario con l'inflazione sembra essersi ridotto soprattutto a causa di un lento calo dell'inflazione, ma nella grande maggioranza dei Paesi OCSE l'erosione dei salari reali non si è ancora arrestata».
Infatti, riguardo l'aumento dell'inflazione, l'aumento dei profitti è stato un fattore assai più importante dei salari. Le conclusioni cui giunge il rapporto sono chiare: in primo luogo, negli ultimi tre anni i salari reali medi (cioè al netto dell'inflazione) sono diminuiti in tutto il mondo capitalistico sviluppato; in realtà, si tratta del ribasso più ampio e più lungo di almeno gli ultimi 50 anni. In secondo luogo, il principale fattore che in questo periodo ha contribuito all'aumento dei prezzi dei beni e dei servizi, è stato l'aumento dei profitti per unità di prodotto - e non dei salari - soprattutto nell'Eurozona.
«Nell'area Euro, il contributo giocato dai profitti è stato particolarmente consistente, e nella seconda metà del 2022 e nel primo trimestre del 2023 ha rappresentato la maggior parte dell'aumento dei prezzi interni». Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'OCSE ritiene che: «in un contesto di mercati del lavoro particolarmente rigidi, negli ultimi trimestri sono stati invece i salari che hanno generalmente contribuito agli aumenti dei prezzi interni, più dei profitti». Tuttavia, «il recente contributo apportato dai margini di profitto è stato assai maggiore rispetto agli anni precedenti la crisi, anche se negli ultimi trimestri è diminuito».
I dati provenienti dall'Europa e dall'Australia mostrano che la forte performance degli utili nel 2022 non si è limitata al solo settore energetico. Nel primo trimestre del 2023, in Europa, i profitti unitari sono aumentati più del costo del lavoro unitario nei settori manifatturiero, delle costruzioni e finanziario, e sono cresciuti allo stesso ritmo con cui è cresciuto il costo del lavoro unitario nei settori «alloggio, ristorazione e trasporti». Analogamente, in Australia, in diversi settori (tra i quali "alloggio e ristorazione", così come manifatturiero, commercio e trasporti) i profitti unitari sono aumentati più del costo del lavoro unitario.
Ragion per cui la risposta alla riduzione dei tassi d'inflazione, sarebbe perciò quella che le imprese dovrebbero ridurre gli aumenti dei profitti?
Forse no, risponde l'OCSE, e questo perché «la redditività delle imprese potrebbe venire compromessa, nel breve periodo, da un calo della domanda dovuto all'inasprimento della politica monetaria e all'erosione del potere d'acquisto. In tale contesto, l'aumento del costo del lavoro potrebbe tradursi assai più facilmente in una riduzione della domanda di lavoro e in una potenziale perdita di occupazione. In definitiva, se da un lato i dati ci suggeriscono che i profitti possono assorbire alcuni aggiustamenti salariali in diversi settori e paesi, dall'altro l'esatto margine di manovra varierà probabilmente a seconda dei settori e del tipo di imprese».
Detto in altri termini, cercare di ridurre l'aumento dei prezzi limitando gli aumenti dei profitti e consentendo ai lavoratori di recuperare gli aumenti salariali, potrebbe causare un collasso; questo nel momento in cui i datori di lavoro taglieranno la loro forza lavoro, in modo da fermare così l'aumento del costo del lavoro. Ciò significherebbe un aumento della disoccupazione.
Ebbene sì, è questo ciò che accade in un sistema di produzione basato sul profitto. E allora, qual è dunque la risposta per avere una crescita economica senza che l'inflazione acceleri? L'OCSE sostiene che: «Nel lungo periodo, un aumento sostenuto dei salari reali potrà essere garantito solo attraverso una crescita sostenuta della produttività». I Paesi OCSE devono «sfruttare al meglio quelle che sono le opportunità offerte dai nuovi sviluppi tecnologici, come l'intelligenza artificiale».
Ma di tutto questo, finora non c'è alcuna traccia.
- Michael Roberts - Pubblicato il 12/7/2023 - fonte: Michael Roberts blog. Blogging from a Marxist economist
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