Appare degno di nota il fatto che Auerbach - nel suo libro su "Dante poeta-giudice del mondo terreno" - associ il genio di Dante a quella che era la sua ossessione, la sua fissità, la sua megalomania, la sua libertà di ritenere che stesse facendo qualcosa di nuovo e di grandioso, di inedito e di sconvolgente; vale a dire, Auerbach associa Dante e la sua opera, alla profonda convinzione di essere il migliore tra tutti i suoi contemporanei, e di essere altrettanto bravo di Virgilio.
In tal modo, così facendo, Auerbach pone la questione del rapporto tra lavoro e megalomania; che anche Harold Bloom indica come questione decisiva; come lo è nel caso di Shakespeare e della sua «invenzione dell'umano» (in una certa misura, è questo ciò che Bloom, ne "L'angoscia dell'influenza. Una teoria della poesia", individua in tutti i "poeti forti".
Pertanto, la storia del romanzo nel Novecento diventa a sua volta un dispiegamento (e un'intensificazione) della percezione che Auerbach ha di Dante, e che Bloom ha di Shakespeare: all'inizio del secolo, i progetti artistici di James Joyce e di Thomas Mann si sviluppano sotto il segno della smisuratezza, dell'audacia, della volontà di rinnovare, a ogni nuovo libro, le proprie ambizioni estetiche (nel caso di Joyce, questo movimento si condensa nel passaggio che da "Ulisse" va a "Finnegans Wake"; nel caso di Mann, viene ribadito più volte, ne "I Buddenbrooks" del 1901 e ne "La montagna incantata" del 1924, poi con il ciclo di "Giuseppe e i suoi fratelli" dal 1933 al 1943, e infine con il "Doctor Faustus" del 1947).
Negli ultimi decenni del XX secolo, abbiamo altri due casi emblematici: in primo luogo, Thomas Bernhard, che ha fatto della smisuratezza del proprio odio (insieme ad altri diversi brutti sentimenti correlati) il motore della sua narrativa e, soprattutto, del suo stile (da "Perturbazione", 1967, al suo ultimo romanzo, immenso, torbido e inesauribile, "Estinzione", 1986); e poi, Roberto Bolaño, il quale, da parte sua, ripete l'inconcludenza di Joyce (in "Finnegans Wake") riproponendola con "2666", uscito postumo nel 2004, continuazione e complessificazione della cartografia ossessiva del precedente "I detective selvaggi", del 1998.
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