Con questo testo - che costituisce la trascrizione dell’ intervento tenuto a Parigi il 12-14 2023 maggio nell'ambito del convegno Crise & Critique - si cerca qui di presentare la teoria della dissociazione del valore, così come è stata proposta dalla teorica tedesca Roswitha Scholz.
Il tabù dell'astrazione e la sinistra: il contributo della teoria della dissociazione del valore
«Inoltre, in questo momento sto anche studiando Comte, visto che gli inglesi e i francesi stanno facendo un gran parlare di quest'uomo. Ciò che li attrae è il suo lato enciclopedico, la sua sintesi. Ma è patetico rispetto a Hegel [...]. E questa robaccia positivista è stata pubblicata nel 1832!»
(Karl Marx, lettera a Friedrich Engels del 7 luglio 1866).
Osservazioni introduttive
A seguito della visita a Parigi di Roswitha Scholz - la principale teorica tedesca della teoria della dissociazione-valore – avvenuta nel fine settimana del 12-14 maggio 2023 [*1], ci proponiamo di dare un resoconto sintetico del suo pensiero, trascrivendolo in maniera succinta, e collocandolo nel panorama intellettuale-militante francese e, più in generale, in quello dell'Europa francofona. Questo approccio inedito, ci sembra particolarmente fertile per quel che riguarda sia la teoria che la pratica della totalità concreta. Superando le aporie, Roswitha Scholz e la corrente di teoria della dissociazione del valore - che lei rappresenta - riporta sulla Terra le "teorie" in voga, relegandole, nel migliore dei casi, a quello che è il loro stadio pietosamente analitico, e per nulla filosofico, di "sociologismi"; e, nel peggiore, denunciandole assolutamente, segnalandone pertanto la loro immediata pericolosità. L'obiettivo di questo breve testo è aprire dei varchi nella doxa teorica - così come essa viene definita o inconsapevolmente messa in pratica - che finisce sempre solo per raschiare la ruggine, senza mai arrivare a indicare quali siano le catene da tagliare; oppure limitandosi a fare risplendere le fondamenta, senza però mai vederle. Saremmo quindi grati ai lettori di questo testo se volessero prendere in considerazione la misura completa della proposta, e non indignarsi e/o invocare pietà per la teoria.
La sinistra: tra frattalizzazione identitaria e classismo
Per cominciare la sua presentazione, Roswitha Scholz propone di esaminare prima «la tensione esistente tra politica identitaria e politica di classe, e che oggi occupa un ampio spazio nel dibattito pubblico». Inizieremo pertanto con l'esporre questi due punti e i loro limiti utilizzando citazioni di Roswitha Scholz.
Politica dell'identità
Per Roswitha Scholz, «il passaggio dal fordismo al post-fordismo - dalla società del lavoro incentrata sull'industria della produzione alla società dei servizi - ha determinato[...] l'emergere di nuovi movimenti sociali che prescindevano dal vecchio movimento operaio - movimenti alternativi, movimento delle donne, movimento ecologico, movimento per la pace, ecc. [...] I temi della riproduzione ormai si trovavano già al centro delle problematiche. Gli anti-autoritari del dopo '68, sono partiti da una politica che allora veniva fatta prima persona. In seguito, tutto questo avrebbe avuto una corrispondenza nel femminismo», con l'epistemologia dei punti di vista o del sapere localizzato; tutti argomenti questi sviluppati da autrici come Sandra Harding e Donna Haraway, che in Francia hanno un forte seguito.
«Di conseguenza, è diventata dominante una prospettiva di multiculturalismo, finché, dopo il crollo del blocco orientale, nell'euforia neoliberale del trionfo del capitalismo, tutto questo non si è trasformato in una decostruzione delle identità. [...] Al più tardi, a partire dagli anni Novanta, a farsi sentire è stata una massiccia culturalizzazione del sociale».
«Nella cosiddetta postmodernità» - prosegue l'autrice - «ciò che si richiede sono delle identità flessibili, obbligate e vincolate - il cosiddetto "sé imprenditoriale" - che devono, in parte, fuoriuscire dai ruoli tradizionali. Ulrich Beck ha abbellito questo processo descrivendolo come "individualizzazione", arrivando quasi a celebrarlo».
Riguardo le teorie queer e "decostruzioniste", Roswitha Scholz osserva che i loro concetti, «come quello della Butler, che si basava sul principio secondo cui le rappresentazioni dualistiche dei sessi sarebbero minate dal travestimento, dal cross-dressing, e quindi erano perfettamente in linea con un simile sviluppo». Ciò fa parte della "culturalizzazione del sociale" di cui si diceva sopra.
E a questa "culturalizzazione del sociale", ancora molto diffusa nel contesto francese, «ha fatto seguito, al più tardi dal 2008 (crisi dei subprime), una rinascita del materialismo e del concetto di classe nel contesto della crisi e della precarizzazione dell'esistenza». L'origine di questo fenomeno è probabilmente da ricercare nella «paura del declassamento che si diffonde nelle classi medie». Tuttavia, Roswitha Scholz ci mette in guardia da questa svolta teorica, e dalle sue soluzioni a buon mercato, le quali potrebbero anche assumere carattere reazionario e di contrapposizione alla «politica dell'identità».
Lotta di classe, classismo
Alla «costellazione di questa contraddizione sociale» qui sopra descritta, corrisponde una certa sinistra, sia popolare che populista (i Framonts, i Bégaudeau, i Lordon, i Kempf e i Todd), che «alla politica identitaria tenta di opporre una nuova politica di classe». Così facendo, questi autori riprendono con disinvoltura gli stanchi cliché della «politica di classe [...] insieme a una lotta contro la distribuzione economicamente iniqua» per contrapporre così, in maniera più o meno implicita (o per metterla in secondo piano), una politica identitaria «alla lotta contro il sessismo, il razzismo, l'omofobia e la transfobia a livello culturale».
In "Che crepi il capitalismo", Hervé Kempf ce ne offre una formulazione particolarmente chiara: «La classe capitalista si è arroccata, ha intrapreso - sulla scia delle turbolenze finanziarie del 2008-2009 - un nuovo percorso di radicalizzazione del capitalismo, negando pertanto la necessità di un cambiamento, e mettendo insieme quelli che costituiscono i pezzi di un apartheid planetario. Siamo così giunti a un momento storico in cui o loro o noi. Non si tratta più di convincere i dominanti, ma di distruggere il loro sistema di dominio. Si chiama capitalismo, e il capitalismo deve crollare se non vogliamo che crolli l'equilibrio della biosfera, e se vogliamo preservare le possibilità di una società umana in pace che garantisca la dignità dei suoi membri». (Que crève le capitalisme - Hervé Kempf)
L'articolo costituisce il seguito ai suoi precedenti articoli in "Comment les riches détruisent la planète" (Come i ricchi stanno distruggendo il pianeta): «Per evitare di venir messa in discussione, l'oligarchia fa appello all'ideologia dominante, secondo la quale la soluzione alla crisi sociale è la crescita della produzione. È questo l'unico modo per combattere la povertà e la disoccupazione. La crescita consentirebbe di aumentare il livello generale di ricchezza, e quindi di migliorare la sorte dei poveri, senza - ma questo non viene mai specificato - che sia necessario modificare la distribuzione della ricchezza». (Comment les riches détruisent la planète - Hervé Kempf)
Cosa, quest'ultima, che echeggia insieme alle altre miserie della filosofia: «[...] la lotta di classe è uno status del mondo, è uno status strutturale del mondo; il che significa che la realtà sociale è strutturata soprattutto da una classe dominante, la quale lotta costantemente per i propri interessi.» (François Bégaudeau)
«Laddove i cittadini vedono le disgrazie che li colpiscono come se fossero un frutto del destino, [...] i militanti del movimento operaio - siano essi socialisti o comunisti - oppongono a tutto questo una visione diversa. La loro convincente percezione della lotta di classe identifica l'avversario chiamandolo per nome: il borghese.» (Parassiti - Nicolas Framont)
Ed ecco che qui, ciò contro cui dobbiamo lottare diventa soprattutto la «distribuzione economicamente iniqua»; dove il soggetto di tale distribuzione, il suo istigatore, è il borghese, sono i «Jeff Bezos ecc.». È quel borghese che, a partire dai suoi «interessi», crea la disuguaglianza, «l'infelicità». Ma visto che l'edificio appare piuttosto debole, ecco che così la teoria cede il passo all'apparenza. Parafrasando questi autori, ciò che serve, ovviamente, è che «il 99% riprenda il potere rispetto a quell'1%», basta che una classe proletaria fantasmatica e chimerica «destituisca» quella classe borghese (sempre personalizzata).
Mettere «culturalmente» da parte, accantonare il sessismo, il razzismo, l'omofobia, la transfobia, ecc. si traduce così in quelle che sono delle manifestazioni - più o meno edulcorate e «impomatate» – dove si cerca di stabilire un primato sovra-culturale riguardo alla «relazione di dominio capitalista». Questi «sistemi di oppressione» non farebbero altro che semplicemente sommarsi alla «relazione di dominio capitalista», la quale a sua volta si limiterebbe solo a beneficiarne:
«In una società, esiste una gerarchia strutturale di quelli che sono i rapporti di dominio, e questa gerarchia si mostra nella relazione che intercorre tra quei rapporti. [...] Ma se, come ha detto Althusser (sic!), una formazione sociale è "un insieme strutturato caratterizzato da un dominante", ecco che allora (tautologicamente) una società rivela il suo carattere capitalista a partire dal fatto che il suo "dominante" è il rapporto di dominio capitalista. [...] Il rapporto di dominio capitalista, se esso trae vantaggio dall'esistenza di altri rapporti di dominio [...] può persino immaginare di farne a meno. [...] Naturalmente, il dominio razzista e quello sessista sono perfettamente funzionali, e se questi vengono messi in discussione dal lavoro che la società sta facendo su sé stessa, ecco che il capitalismo cercherà prima di tutto di fare dei compromessi minimi, ad esempio facendo una scrematura. Se, tuttavia, questi compromessi si rivelano insufficienti, gli arretramenti imposti da un serio attacco alle altre relazioni di dominio non gli saranno in alcun modo fatali.» (Figure del comunismo - Frédéric Lordon)
Potrebbe quindi esistere una forma di capitalismo senza sessismo, razzismo, omofobia, transfobia e così via. Ed ecco che da quel momento in poi si fa avanti una distinzione: il capitalismo ha una dimensione quasi ontologica, o «istituzionale» (Frédéric Lordon), mentre invece i sistemi di oppressione sarebbero invece culturali o «sistemici» (Frédéric Lordon).
È chiaro che queste «star», questi autori, si richiamano e stanno facendo appello a «una nuova politica di classe, a un cosiddetto nuovo marxismo di classe». Ma si tratta solo di una ripetizione logora, che abbiamo già evidenziato in precedenza, «spesso si presenta sotto forma populista, [e] trasforma ancora una volta il sessismo, il razzismo ecc. in una contraddizione secondaria», in una realtà culturale.
Tuttavia, come sottolinea Roswitha Scholz, questa nuova politica di classe, che «nel classismo [ha bisogno di] essere trasformata in una categoria di identità», «presuppone astrattamente che esista una coscienza unitaria che si basa sulla posizione del gruppo coinvolto». Ne consegue che il più delle volte «l'utilizzo di questi termini [categorie identitarie] risulta essere [...] vago, e tutti questi termini vengono generalmente usati come degli slogan.»
In contrapposizione a questo pensiero miope, Roswitha Scholz sostiene che «le disparità razziali, economiche ed educative, le discriminazioni sessuali, l'omofobia, ecc. devono [...] essere prese in considerazione a partire da quella che è la loro stessa logica, e a partire dalle loro interferenze, dal momento che esse non possono essere trattate come se fossero una concezione ermetica della totalità», come invece viene qui sopra proposto da Frédéric Lordon.
L'opposizione frontale, messa in atto da Roswitha Scholz rispetto a queste teorie non va vista come se si trattasse di una semplice «passione della testa», ma al contrario, va fatto riferimento alle loro aporie, bisogna evidenziarne il loro carattere problematico, persino pericoloso, funesto e mortifero: «Avviene che spesso si assista a un ritorno al rozzo marxismo tradizionale e a una critica personalizzata del capitalismo; cosa che, a mio avviso, contribuisce a quello che è un antisemitismo strutturale». (Roswitha Scholz)
Per quanto a prima vista quest'ultima affermazione possa apparire sorprendente, l'affinità elettiva tra anticapitalismo tronco e antisemitismo è stata ampiamente evidenziata negli scritti di Moishe Postone [*2]. Senza entrare nei dettagli, una tale affinità deriva dalla «tendenza a concepire ciò che è astratto (il dominio senza soggetto del Capitale) nei termini di ciò che invece è concreto» [*3].
Alla fine, colpisce soprattutto il fatto che, frequentemente, questo tipo di posizione «si accompagna a un'ipostasi della prassi, [assegnando così a essa una sua superiorità], e insieme a questa aun'ostilità nei confronti della teoria».
In conclusione, non si tratta di positivizzare uno dei poli delle aporie che abbiamo citato, vale a dire, non si tratta di porre come soluzione la «politica identitaria» e/o il «classismo», ma si tratta piuttosto di andare oltre. Per dirla con Roswitha Scholz, «si tratta piuttosto di rifiutare tale opzioni immanenti».
La teoria della dissociazione del valore: verso una "grande teoria" femminista
«La base della miseria», secondo Roswitha Scholz, «risiede nella determinazione della forma sociale [...] Qui, la forma sociale designa il modo in cui si è configurato il patriarcato capitalistico». La sofferenza e la distruzione della vita delle persone, hanno le loro radici nella forma della relazione sociale specifica del patriarcato produttore di merci. A questo punto, si pone pertanto la questione di come definire tale «determinazione».
Nel farlo, Roswitha Scholz segue le orme dei teorici della critica del valore [*4], e va oltre. Laddove «Moishe Postone e Robert Kurz partono dal presupposto che il valore-plusvalore, così come il lavoro astratto, sono la forma fondamentale della socializzazione capitalistica patriarcale», per Roswitha Scholz «questo focalizzarsi sul valore-plusvalore, in quanto forma sociale di base, non è sufficiente», e ciò perché in tal modo viene offuscata quella che è tutta una parte della realtà sociale capitalista: «a essere costitutivo della totalità, non è soltanto il valore ma [...] il capitalismo implica allo stesso tempo anche delle attività di manutenzione e di assistenza che vengono svolte principalmente da delle donne», e viene anche offuscato il fatto che queste «attività riproduttive femminili [...] hanno un carattere diverso rispetto a quello del lavoro astratto». Secondo Roswitha Scholz, queste attività vengono dissociate dal valore [*5]. In altre parole, «Dissociazione del valore, significa che quelle attività riproduttive definite come femminili - ma anche i sentimenti, la qualità e gli atteggiamenti ad esse associati, vale a dire, l'emotività, la sensualità, l'assistenza e la cura - sono tutte attività che sono state dissociate dal valore».
Il valore - da una parte - e tutto ciò che da esso viene dissociato – dall'altra – mantengono però una relazione dialettica. «[Tutto ciò che è stato dissociato], è stato posto, o istituito, grazie e a partire dal (plus-)valore, ma simultaneamente viene allo stesso tempo posto al di fuori del valore, e quindi ne costituisce la sua condizione e la sua misura». Di conseguenza, «la dissociazione del femminile diventa [...] indispensabile per lo sviluppo della forza produttiva, e pertanto indispensabile anche alla contraddizione in processo». A questo, Roswitha Scholz aggiunge che «una dissociazione del femminile, insieme a una dissociazione delle corrispondenti immagini della donna, sono diventate, e risultano essere, la tacita condizione socio-psichica»; la quale ha permesso lo sviluppo delle scienze naturali e della «scienza del lavoro» - quella scienza che si proponeva di razionalizzare il processo produttivo, e che è poi culminata nel taylorismo.
Per i teorici della critica del valore, era il processo autotelico di auto-valorizzazione del valore a costituire «la legge che determina le crisi della riproduzione e, in ultima analisi, porta alla rovina del capitalismo». In tal senso, si può leggere in Kurz che:
«La valorizzazione è realmente possibile solo grazie alla dinamica storica di una costante crescita delle forze produttive. [...] nel corso di quello che è stato il singolare sviluppo del capitalismo, il tasso di profitto perde gradualmente la sua ampiezza, e il motore che spinge questo fenomeno consiste nell'eliminazione della forza-lavoro vivente, che viene resa superflua in quantità sempre maggiore dall'introduzione nel processo produttivo di apparati tecnico-scientifici. Il problema, sta nel fatto che il lavoro costituisce la sostanza stessa del capitale: esso solo, è in grado di produrre un vero e proprio plusvalore. Per il capitalismo, l'unico modo per riuscire a compensare questa contraddizione interna consiste nell'espansione del credito, vale a dire, nell'anticipazione del plusvalore futuro. Ma oggi anche questo effetto-valanga si scontra con i propri limiti, dal momento che i profitti attesi sembrano diventare sempre più lontani nel tempo. Quanto alle crisi, se viste da questa prospettiva, esse appaiono ben lontane dall'essere una semplice "correzione"; ma, al contrario, accelerano proprio quel movimento storico che ci spinge sempre più ad andare a sbattere verso il limite intrinseco della produzione di valore.» [*6]
Secondo Kurz e i teorici della critica del valore, il processo contraddittorio della valorizzazione porterebbe all'effettivo declino del capitalismo, e determinerebbe il suo ostinato avvicinarsi sempre più a un «limite interno» [*7]. Ma secondo Roswitha Scholz, il declino del capitalismo nella sua corsa verso il proprio «limite interno» - così come la violenza dei suoi sconvolgimenti (crisi, ecc.) – non può essere spiegato solo a partire dal movimento della valorizzazione. «Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, la dissociazione non è una struttura statica, dove invece la logica del valore costituirebbe il suo principio dinamico [...] ma è invece la dissociazione a rendere possibile la contraddizione in processo». E continua: «La dissociazione del femminile, è indispensabile allo sviluppo delle forze produttive e alla contraddizione in processo. Senza tale dissociazione, non ci sarebbe stata la rivoluzione microelettronica, l'obsolescenza del lavoro astratto, l'erosione della famiglia nucleare e dei ruoli sessuali tradizionali che sono collassati. Oggi le donne non possono più essere confinate nel dominio della riproduzione, anche se spesso si trovano a lavorare nei servizi di assistenza o in altri settori, e sono ancora responsabili della casa e dei figli. La dissociazione non è quindi scomparsa, ma si riflette in minori retribuzioni e in opportunità di carriera più basse. Contemporaneamente, tra gli uomini, si può osservare anche a una tendenza a marginalizzare le donne. Le istituzioni, vale a dire, la famiglia e il lavoro retribuito, vengono erose. Con le crescenti tendenze alla crisi e all'impoverimento, il patriarcato si sta solo sempre più imbarbarendo,e questo senza che però le gerarchie di genere e le strutture patriarcali fondamentali siano scomparse. [...] La dissociazione del valore - in quanto principio storico e dinamico di base associato allo sviluppo delle forze produttive - poggia su quello stesso patriarcato, e pertanto ne mina quelle che sono le sue stesse fondamenta: le attività di riproduzione nella sfera privata».
Pertanto, la base della miseria - dell'infelicità - risiede nella «dissociazione del valore in quanto relazione sociale fondamentale. [...] In un certo senso, è anche al valore che oggi sono imputabili [e vengono imputati] gli attuali problemi globali: l'impoverimento socio-economico, il cambiamento climatico, eccetera; ma non al solo valore, come suggerisce ostinatamente una visione androcentrica che sottovaluta il dissociato». Dal rapporto dialettico tra valore e dissociato, ne deriva che «l'uno non può essere desunto dall'altro». Il dissociato è qualitativamente eterogeneo rispetto al (plus-)valore; esso rappresenta «un aspetto della società capitalista che non può essere colto solo a partire dagli strumenti concettuali marxiani». Richiede ed esige l'elaborazione di una nuova critica, quella a cui stanno lavorando Roswitha Scholz e altri teorici. «La dissociazione del valore va intesa come una meta-logica che va oltre le categorie interne della forma merce», e per andare oltre la sua critica deve coniugare e tenere insieme «una comprensione della totalità che metta al centro la determinazione della forma con il feticismo e con una totalità frammentata che va vista nel senso della critica della dissociazione del valore, e che superi qualsiasi comprensione personificata del capitalismo».
- Perro - Pubblicato il 5/6/2023 - su Renverse. Information et luttes. Suisse romande -
NOTE:
[*2] - Per maggiori dettagli, si vedano le seguenti opere:
Moishe Postone, Critique du fétiche capital: Le capitalisme, l'antisémitisme et la gauche, PUF.
Moishe Postone, Marx, oltre il marxismo. Ripensare una teoria critica del capitalismo, Crise & Critique.
Moishe Postone, La Société comme moulin de discipline. Teorie critiche e trasformazioni del capitalismo, Crise & Critique.
[*3] - Moishe Postone, "Internationalisme et anti-impérialisme aujourd’hui" - in uscita.
[*4] - Si veda in particolare:
Moishe Postone, Temps, travail et domination sociale, Mille et une nuits.
Robert Kurz, La sostanza del capitale, L'échappée.
[*5] - Le traduzioni francesi - dal tedesco - dei testi centrali della teoria della dissociazione del valore sono raccolte in: Roswitha Scholz, "Le Sexe du capitalisme", Cirse & Critique.
[*6] - Robert Kurz, "Le capital face à sa dynamique historique", Neues Deutschland (24 aprile 2009). In italiano in: https://francosenia.blogspot.com/2015/12/l-valanga-e-la-teoria-della-pulizia.html
[*7] - Groupe Krisis, Manifeste contre le travail, Crise & Critique
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