«I diari di Joseph Cornell sono pieni zeppi di annotazioni che rivelano tutte le sue angosce. Si lamentava di un dolore al collo, che migliorava sempre quando arrivava a rendersi conto che, in realtà, egli aveva fiducia in sé stesso. Al contrario, possedeva una sicurezza aristocratica, la quale gli permetteva di muoversi con disinvoltura nel mondo di Manhattan, e gli consentiva di stringere amicizie significative con persone come Pavel Tchelitchew e Marianne Moore, di frequentare le sue ballerine preferite, e soprattutto, verso la fine della sua vita, conoscere Allegra Kent (...). Nell'ambiente cittadino, Cornell era una sorta di vagabondo da spiaggia, sempre in cerca di librerie e tipografie dove pescare quella miscellanea di scorie che erano arrivate provenienti dall'Europa e dai primordi degli Stati Uniti. Nei suoi diari, ricorda le impressioni che traeva dalle sue giornate in città, per quanto ci tenesse a ricordare come "quell'accozzaglia di scarabocchi fatti sul posto o a memoria era diametralmente opposta al naturale svolgersi della giornata".
Cornell non ha mai perso quella cauta sicurezza che di solito si associa agli adolescenti. Lui, era sempre l'uomo che sbirciava da dietro gli angoli. Specchi, vetri, riflessi sono temi costanti nei suoi diari (...) Nei diari, Cornell vede sempre due o tre cose contemporaneamente, come fossero in un collage o l'effetto di un montaggio. "Un cappuccino (di Grand o da Mott?), la foto di un operaio riflesso nello specchio & un orologio a pendolo". Era il 1956. (...) Le pagine del diario sono piene zeppe di impressioni aggrovigliate e sovrapposte in modo tale che - per Cornell - una giornata passata nella New York di metà anni Cinquanta, poteva sembrare una giornata passata verso la metà del XIX secolo»
(da: Jed Perl, New Art City, www.vintagebooks.com - pp. 321-322).
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