lunedì 24 luglio 2023

Avventurarsi nella realtà…

Barbie non riesce a gestire la verità
- di Slavoj Žižek -

Denunciato e deriso dalla critica, "Indiana Jones e il Quadrante del Destino" - quinto e ultimo capitolo della saga -, esso tuttavia affronta uno dei problemi centrali della modernità: la separazione tra fantasia e realtà. Ambientata nel 1969, la storia è incentrata sugli sforzi che vengono fatti da Jones per localizzare un antico dispositivo - "il quadrante del destino" - circa il quale si ritiene che conferisca il potere di viaggiare nel tempo. Separatosi dalla moglie Marion, e depresso a causa della la morte di suo figlio, Jones viene aiutato nelle ricerche dalla figlioccia Helena, mentre sono inseguiti da una nuova generazione di nazisti, anch'essi alla ricerca del quadrante. Nella scena culminante del film, Jones ed Helena vengono trasportati a ritroso nel tempo, all'assedio di Siracusa del 212 a.C., dove incontrano il celebre Archimede, che [N.d.T.: grazie a questa provvidenziale consegna del Quadrante] inventerà la macchina del tempo. Credendo di non avere ormai più una vita a cui tornare, nell'America del 1969, Jones intende rimanere nel passato, vivendo nel bel mezzo di un grande momento storico. Ma Helena si rifiuta di abbandonarlo, e mette Jones k.o., facendogli perdere i sensi, e potendo così tornare con lui nel mondo moderno. Al risveglio nel suo appartamento, Indi si riunisce a Marion e si abbracciano mentre Helena si allontana sorridente. Questa felice soluzione, tuttavia, non nasconde le amare implicazioni della conclusione del film. Costretto a lasciare l'antica Grecia, l'eroe-professore deve ora affrontare una vita di arida quotidianità. Molti di quelli che sono stati gli attacchi più feroci della critica, erano rivolti al personaggio di Helena (interpretato da Phoebe Waller-Bridge), che è stato presentato in vari modo come eccentrico (in base ai classici standard hollywoodiani di bellezza ed erotismo) o "woke" [N.d.t.: ideologico; letteralmente "sveglio"], vale a dire, una protagonista che mette in crisi i cliché patriarcali del fascino femminile. Ma Helena non è né un sex symbol e neppure un esempio di atteggiamenti coscienti di genere: si limita semplicemente a introdurre un elemento di opportunismo quotidiano che si mescola a quella che è una bontà di fondo; insomma, una pizzico di ciò che potrebbe essere definita vita reale. Il nuovo Indiana Jones è realmente incentrato su Helena, una persona del mondo reale che viene coinvolta nel mondo fantastico delle avventure di Indi a caccia di tesori.

Quasi una variante del tema «Benvenuti nel deserto del reale» di Matrix - ovvero, cosa succede quando le nostre illusioni protettive si sgretolano e affrontiamo il mondo reale in tutta la sua brutalità - Indiana Jones e il Quadrante del Destino fa parte di una recente tendenza di film  (Barbie, Oppenheimer, la serie TV Sono Vergine) dove gli eroi si avventurano tra il reale e l'immaginario e tra l'immaginario e il reale. Dopo essere stati cacciati dall'utopica Barbie Land per il fatto di essere delle bambole imperfette, Barbie e Ken intraprendono un viaggio nel mondo reale alla scoperta di sé stessi. Ma ciò che essi trovano non consiste in una profonda rivelazione di ciò che sono, bensì nel comprendere che, rispetto al loro mondo, la vita reale è ancora più piena di soffocanti cliché. La coppia di bambole si trova costretta a confrontarsi con il fatto che, al di là di Barbie Land, non solo esiste una realtà brutale, ma che anche l'utopia fa parte di tale realtà brutale: senza fantasie, come quelle di Barbie Land, gli individui non sarebbero assolutamente in grado di sopportare il mondo reale. Oppenheimer di Christopher Nolan, complica ulteriormente questa idea di avventurarsi nella realtà. Il suo tema non riguarda solamente il trasferimento dal paradiso accademico al mondo reale della guerra - dalla mente e dalla teoria, al deposito di munizioni - ma anche il modo in cui le armi nucleari (frutto della scienza) stravolgono la nostra percezione della realtà: un'esplosione nucleare è qualcosa che non appartiene alla nostra vita quotidiana. Oppenheimer, un fisico teorico, ha guidato il Progetto Manhattan, un team creato nell'agosto del 1942 che sviluppò la bomba atomica per gli Stati Uniti. Nel 1954, a causa della sua affiliazione a dei gruppi che lavoravano per rallentare la proliferazione nucleare, venne etichettato dalle autorità come "comunista" . Sebbene la posizione assunta da Oppenheimer fosse coraggiosa ed etica, egli non aveva tenuto alcun conto delle implicazioni esistenziali derivanti dall'ordigno da lui creato.

Nel suo saggio "Apocalisse senza regno", il filosofo Günther Anders ha introdotto il concetto di «apocalisse nuda»: «l'apocalisse che consiste in una mera caduta, e che non rappresenta il dischiudersi di un nuovo e positivo stato di cose (del "regno")». Per Anders, una catastrofe nucleare rappresenterebbe un'apocalisse nuda: non ne deriverebbe alcun nuovo regno, ma solo la totale cancellazione del mondo. Oppenheimer non poteva accettare tale nudità, così si rifugiò ulteriormente nell'induismo, al quale si era interessato fin dai primi anni Trenta, quando aver imparato il sanscrito in modo da poter leggere così le Upanishad in originale. Nel descrivere i suoi pensieri dopo che c'era stata la prima esplosione della bomba atomica, al test Trinity nel Nuovo Messico, Oppenheimer citava il Bhagavad Gita, nel quale Krishna dice ad Arjuna: «Ora io divento la Morte, il distruttore di mondi». Sebbene sia questa la frase che viene più tutte associate a Oppenheimer, egli tuttavia citava anche un altro passaggio del Gita: «Se la brillantezza di mille soli esplodesse nel cielo in un colpo solo, sarebbe come lo splendore di ciò che è potente». L'esplosione nucleare viene pertanto elevata a esperienza divina. Non c'è da stupirsi che dopo il successo dell'esplosione nucleare - secondo il fisico Isidor Rabi - Oppenheimer apparisse trionfante: «Non dimenticherò mai la sua camminata; non dimenticherò mai il modo in cui scese dall'auto... La sua andatura era come se fosse mezzogiorno... quel genere di portamento. Lo aveva fatto». Quindi la fascinazione per la Gita di Oppenheimer si inscrive nella lunga storia del tentativo di fondare nelle tradizioni orientali, le implicazioni metafisiche della fisica quantistica.

Ma il film di Nolan non riesce a mostrare come, l'evocazione di qualsiasi tipo di profondità spirituale, offuschi l'orrore di una nuova realtà creata dalla scienza. Per affrontare effettivamente l'«apocalisse nuda», o il cataclisma senza redenzione, è necessario l'opposto della profondità spirituale: serve uno spirito comico totalmente irriverente. Vale qui la pena ricordare come i migliori film sull'Olocausto - "Pasqualino sette bellezze" (1974), "La vita è bella" (1997) - sono commedie, non perché banalizzino l'Olocausto, ma perché implicitamente ammettono che si tratta di un crimine troppo folle per essere narrato come una storia "tragica". Esiste qualche film che osa farlo per mezzo degli orrori e delle minacce di oggi? "Sono Vergine" (miniserie TV di Boots Riley in uscita nel 2023) è la storia di Cootie, un diciannovenne di colore alto un metro e mezzo cresciuto dagli zii a Oakland, in California. I suoi due tutori dedicano la loro vita ad assicurarsi che Cootie resti al sicuro e isolato. Ma cresciuto a suon di pubblicità, fumetti e cultura pop, ecco che Cootie irrompe nel mondo, non come una tabula rasa ma già sottoposto al lavaggio del cervello dell'ideologia consumistica di massa. Riesce goffamente a farsi degli amici, a trovare un lavoro e l'amore, ma ben presto scopre che il mondo è più sinistro di quanto sembri: Cootie agisce come un catalizzatore, il suo ingresso nella nostra realtà sociale comune ne fa emergere tutti gli antagonismi e tutte le tensioni (razzismo, consumismo, sessualità...). E come riesce a fare tutto questo?

Come ha osservato un acuto recensore di "The Wrap": «Non lasciatevi ingannare dai temi pesanti, Sono vergine" è una commedia piena di momenti assolutamente folli».  Per sottolineare l'ovvio nelle situazioni della vita reale, Riley usa l'assurdità: «Sono attratto dalle grandi contraddizioni», ha detto a "Wired". «Le contraddizioni del capitalismo - il suo funzionamento - riecheggiano in quasi tutto ciò che facciamo». Sta in questo il genio di Riley: la combinazione di due fatti tragici (una gigantesca aberrazione scatenata sul nostro mondo; gli antagonismi che stanno alla base del capitalismo globale) produce una commedia brillante. L'effetto comico nasce dal fatto che le fantasie ideologiche e la realtà non si contrappongono: in seno a quelle che sono le realtà più cupe troviamo delle fantasie. Gli autori di crimini orribili, non sono dei mostri diabolici che fanno coraggiosamente ciò che fanno: sono dei vigliacchi che lo fanno per alimentare e sostenere la fantasia che li spinge e li anima. Per creare una nuova società, gli stalinisti hanno ucciso milioni di persone, e poi hanno dovuto ucciderne altri milioni per far sì che non venisse scoperta la verità che il loro progetto comunista era condannato al fallimento.

La maggior parte di noi conosce il momento culminante di "Codice d'onore" (1992) di Rob Reiner, quando l'avvocato Daniel Kaffee (Tom Cruise) interroga il colonnello Nathan Jessep (Jack Nicholson) e gli intima: «Voglio la verità!», e Jessep gli urla: «Non puoi gestire la verità!». Questa risposta è più ambigua di quanto sembri: non deve essere presa come se fosse una semplice affermazione secondo cui la maggior parte di noi sarebbe troppo debole per affrontare la brutale realtà del mondo. Se qualcuno chiedesse a un testimone la verità sull'Olocausto e il testimone rispondesse: «Non puoi gestire la verità!», non dovrebbe essere presa come se fosse una semplice affermazione secondo cui la maggior parte di noi non è in grado di elaborare l'orrore dell'Olocausto. A un livello assai più profondo, coloro che non erano in grado di affrontare la verità erano proprio gli stessi responsabili nazisti: non erano in grado di accettare il fatto che la loro società fosse stata colpita dalla crisi economica e sociale degli anni Trenta e che, per evitare una simile preoccupante visione, si impegnarono in una serie di omicidi di massa che avevano come obiettivo gli ebrei; come se uccidere gli ebrei avrebbe così in qualche modo miracolosamente ristabilito un corpo sociale armonioso. Ed è qui che risiede la lezione finale di queste storie relative all'avventurarsi dalla fantasia nella realtà: non solo fuggiamo nella fantasia per evitare il confronto con la realtà, ma fuggiamo anche nella realtà per evitare la devastante verità sulla futilità delle nostre fantasie.

- Slavoj Žižek - Pubblicato su The New Statesman il 22/7/2023 -

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