Thomas l’Oscuro è il primo romanzo di Maurice Blanchot: un’opera che stravolge i codici narrativi consolidati, anticipando con la sua visionarietà le sperimentazioni di Alain Robbe-Grillet e Samuel Beckett. Thomas, il protagonista di questa storia, è un personaggio che sfugge a ogni possibilità di descrizione. A volte sembra umano, altre mostruoso. A volte sembra vivo, altre volte no, e appare sempre in bilico su quel confine sottile che separa le due cose. Lo conosciamo all’inizio del romanzo mentre nuota in mezzo a un mare d’improvviso mutato in tempesta, boccheggiando tra le onde, incerto se sopravvivrà o sarà travolto. Lo ritroviamo in un cimitero, chino sulle ginocchia, intento a scavare con le mani una tomba in cui sdraiarsi e fare esperienza della fine. Ma a conoscere la morte sarà Anne, la giovane donna che Thomas ha incontrato casualmente nell’albergo in cui alloggia, e con la quale ha iniziato una relazione che si è tramutata in un vincolo misterioso e inscindibile. E proprio la malattia e la scomparsa di Anne condurranno Thomas verso una nuova soglia. In questa opera finora inedita in Italia, Maurice Blanchot guida il lettore attraverso sentieri inesplorati della costruzione romanzesca. Quello che Blanchot realizza, ricorrendo a una prosa densa di immagini, è lo scardinamento di ogni consuetudine del pensiero, di ogni meccanismo logico cui siamo educati sin dall’infanzia. Una rappresentazione unica di ciò che può fare e dire. la letteratura che, nel suo tentativo di scagliarsi contro l’essere, ci restituisce la natura stessa della nostra esistenza.
(dal risvolto di copertina di MAURICE BLANCHOT, Thomas l’Oscuro. Traduzione di Francesco Fogliotti. IL SAGGIATORE Pagine 144, €18)
In mare, nella grotta e tra le parole. Il girovagare buio di Blanchot
di Orazio Labbate
Non rispetta, fortunatamente, i classici confini romanzeschi Thomas l’Oscuro, che fu l'esordio di Maurice Blanchot, tra i più originali e influenti critici letterari francesi, scomparso vent’anni fa. Come nel caso della sua scrittura saggistica — che sovverte ogni approccio organizzativo di matrice accademica, in favore di un acceso sperimentalismo — il libro (1941, rivisto nel 1950, mai prima tradotto in Italia) ha un conturbante stile sonnambulico. Si sviluppa attraverso la sorprendente vaghezza di una sorta di soliloquio filosofico, condito di azioni improvvise, catartiche, mirate al cuore dell’essere. Azioni distanti da trame ordinarie e lineari. Basti sapere che il protagonista, Thomas, deve accettare, da subito, una serie di sfide esistenziali che sembrano avvicinarlo all’aldilà e ai suoi fantasmi. Dapprima è costretto a nuotare in balìa di un mare in tempesta, poi a vagare disperatamente dentro una grotta nera, infine ad alloggiare presso un albergo senza nome in preda alla furia plastica delle parole che legge rintanato in camera. Nel frattempo, lo tormenta un’ossessiva oscurità. È la stessa oscurità — elemento che con lui dialoga, che lo plasma e lo fa esistere — a fargli conoscere il doppio in tutte le cose, a incominciare dall’altro sé stesso, fino ad arrivare ai gatti, antichi idoli portatori di verità, dentro la notte infinita e soffocante di Thomas.
- Orazio Labbate - Pubblicato il 9/4/2023 su La Lettura -
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