mercoledì 7 giugno 2023

«Pacchetti Globali»

La crisi del debito sta diventando multipolare
- In America Latina, Africa e Asia sempre più paesi sono sovra-indebitati, o addirittura in bancarotta. Anche la Cina, in quanto creditore, viene colpita da questa crisi e per proteggere le proprie banche dal rischio di insolvenza, deve concedere prestiti d'emergenza -
di Tomasz Konicz

Negli Stati Uniti, il rialzo dei tassi d'interesse attuato dalle banche centrali occidentali, per mezzo del quale cercano di combattere il persistere dell'inflazione (negli Stati Uniti il tasso d'interesse di riferimento è ora tra il 5 e il 5,25%, e nell'eurozona è del 3,75%), ha già causato il collasso di tre banche regionali, nel mentre che sta frenando la crescita economica su entrambe le sponde dell'Atlantico. Ma simili turbolenze non sono nulla, a confronto degli sconvolgimenti che molti Paesi economicamente più deboli stanno affrontando. A partire dal fatto che sta diventando sempre più costoso prendere in prestito nuovo denaro, questi Paesi hanno sempre più difficoltà a rimborsare i loro debiti esteri, i quali nella loro maggioranza vengono espressi in dollari USA. Specialmente in Africa, Asia, America Latina e Medio Oriente, ci sono sempre più paesi che si trovano presi in quella che appare essere come una classica trappola del debito, nella quale stagnazione economica, recessione e aumento dei costi del prestito interagiscono in maniera mortale. Tale situazione è stata già paragonata al "Volcker Shock" del 1979, allorché l'allora presidente della Federal Reserve Paul Volcker aveva alzato, per un certo periodo, i tassi di interesse di riferimento negli Stati Uniti, aumentandoli di oltre il 20%, al fine di cercare di combattere anni e anni di stagflazione, innescando in tal modo una crisi del debito soprattutto nei Paesi sudamericani e africani. A metà aprile 2023, il Financial Times, citando uno studio della ONG Debt Justice, ha segnalato che quest'anno il servizio del debito estero del gruppo di quelli che sono i 91 Paesi tra i più poveri del mondo, consumerà in media circa il 16% delle loro entrate pubbliche, arrivando l'anno prossimo a un aumento previsto fino al 17%. L'ultima volta che si è raggiunta una cifra così alta, è stato nel 1998. Oggi, il più colpito è lo Sri Lanka, il cui servizio del debito quest'anno equivale a circa il 75% delle entrate previste, motivo per cui il Financial Times prevede che quest'anno la nazione insulare «non riuscirà a pagare». Anche lo Zambia - che lo scorso anno, come lo Sri Lanka, aveva già dovuto affrontare una bancarotta nazionale - si trova ora a essere seriamente minacciato. La situazione è altrettanto grave in Pakistan, dove quest'anno il 47% delle entrate statali dovrà essere utilizzato per poter rimborsare i prestiti esteri. Per le popolazioni di questi e di molti altri Paesi, le conseguenze sono già drammatiche: i governi non riescono più a pagare gli stipendi, o a finanziare l'importazione di fonti energetiche e alimentari, ad esempio, mentre il declino del valore delle loro valute sta ora esacerbando ulteriormente l'inflazione, la povertà e la fame. Ma a essere minacciati non sono solo i Paesi più poveri. In Argentina, ad esempio, dove la banca centrale, per finanziare il deficit di bilancio, sta stampando moneta, l'inflazione è attualmente del 109%, e minaccia di trasformarsi in una distruttiva iperinflazione. Come molti altri Paesi in crisi, l'Argentina ha portato a termine con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), un programma di emergenza che prevede prestiti per 44 miliardi di dollari in cambio di misure di austerità. A metà maggio, il Presidente argentino Alberto Fernández - a causa del calo dei raccolti di grano (il più importante prodotto di esportazione) dovuto alla siccità) ha chiesto di rinegoziare il programma con il FMI. La vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner ha addirittura definito l'accordo «scandaloso», e una «frode».

La Cina, che negli ultimi anni è diventata uno dei maggiori creditori del mondo, da parte sua, svolge un ruolo particolare nell'attuale crisi del debito. In tal senso, fino alla fine del 2021, nell'ambito del programma di sviluppo globale dell'Iniziativa "Una strada, un percorso" - nota anche come "Nuova via della seta" -  sono stati effettuati prestiti e transazioni per un totale di almeno 838 miliardi di dollari americani, volti soprattutto a finanziare infrastrutture e altri grandi progetti in Africa, Asia e America Latina. La maggior parte dei prestiti è stata erogata da banche cinesi. Facendo questo, la Cina intendeva gettare le basi per una futura egemonia economica. Ma ora - in seguito alla pandemia di Covid-19 e all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, e dopo l'aumento dell'inflazione globale e il conseguente rallentamento della crescita della Cina stessa - le banche cinesi sono sempre più riluttanti a concedere prestiti ai Paesi più poveri. Secondo uno studio del Rhodium Group, nel 2021 circa il 16% dei 118 miliardi di dollari dei prestiti esteri della Cina erano già a rischio di insolvenza, e avrebbero dovuto essere rinegoziati. Solo un anno dopo - secondo uno studio dell'Istituto per l'Economia Mondiale (IfW) di Kiel - la crisi del debito estero cinese si è notevolmente allargata. Secondo tale studio, il 60% dei prestiti, già nel 2022 si trovava  a rischio di insolvenza, ragion per cui Pechino ha dovuto concedere 128 prestiti di emergenza a 22 Paesi debitori, per un valore di 240 miliardi di dollari. Nella maggior parte dei casi, i Paesi debitori beneficiano solo di un differimento, grazie all'emissione di nuovi prestiti che servono per rimborsare i pagamenti già dovuti; il che consente una «proroga delle scadenze o dei termini di pagamento». La cancellazione del debito, secondo l'IfW, «avviene solo assai raramente». La maggior parte di questi prestiti di rifinanziamento sono stati erogati dalla banca centrale cinese, che in questo modo, di fatto, salva le banche cinesi che hanno originariamente concesso i prestiti. Gli autori dello studio dell'IfW paragonano quindi le attuali azioni della Cina alla concessione di quelli che sono stati i cosiddetti prestiti di emergenza alla Grecia e ad altri Paesi dell'Europa meridionale durante la crisi dell'euro; anch'essi finalizzati a salvare le banche che rischiavano il default. Sempre secondo l'IfW, i prestiti per la crisi e i prestiti ponte sono tutti destinati principalmente a quei «Paesi a medio reddito», e rappresentano l'80% del volume di tutti prestiti esteri della Cina, ragion per cui rappresentano dei «grossi rischi per i bilanci delle banche cinesi».

I Paesi a basso reddito, invece, non hanno ricevuto quasi nessun prestito anticrisi, dal momento che il fallimento di questi Stati difficilmente potrebbero mettere in pericolo il settore bancario cinese. Inoltre, il tasso di interesse sui prestiti anticrisi cinesi, è in media del cinque per cento, mentre per il FMI è comune un tasso del due per cento. Tra i Paesi debitori che hanno beneficiato di prestiti anticrisi, figurano paesi come lo Sri Lanka, il Pakistan, l'Argentina, l'Egitto, la Turchia e il Venezuela. L'IfW ha anche osservato come, per gran parte di questi prestiti di salvataggio, le modalità e le dimensioni dei programmi di prestito non sono consultabili pubblicamente. Questa situazione rende «l'architettura finanziaria internazionale più multipolare, meno istituzionalizzata e meno trasparente». Una tale mancanza di trasparenza, riguarda anche tutti i prestiti precedentemente concessi dalle banche cinesi. In un recente rapporto dettagliato, sulla crisi del debito, l'agenzia di stampa Associated Press (AP) ha citato i risultati di uno studio del gruppo di ricerca Aid Data, nel quale si rileva che, in 88 paesi, solo fino al 2021, per almeno 385 miliardi di dollari, vengono registrati prestiti cinesi «nascosti o non sufficientemente documentati». Molti dei Paesi più poveri dell'Africa o dell'Asia, all'apice della bolla di liquidità globale, tra il 2010 e il 2020, hanno avuto prontamente accesso al denaro cinese, in modo da finanziare così infrastrutture e progetti di prestigio, i quali oggi,  nell'attuale fase di crisi, si stanno sempre più trasformando in relitti di investimenti. Per questi Paesi, la segretezza rappresenta ora un problema serio, perché in caso di inadempienza, i creditori internazionali del Paese colpito devono accordarsi su chi dovrà differire i prestiti, o rinunciare ai rimborsi, e in che misura. Tuttavia, i creditori occidentali, e le istituzioni come il FMI o la Banca Mondiale, in molti casi stanno attualmente rifiutando i programmi di emergenza, perché le modalità dei programmi di prestito cinesi non sono chiare, e non riescono a raggiungere un accordo con la Cina. Alcuni Stati poveri si trovano quindi in una «situazione di limbo», scrive AP, e questo perché la Cina non è disposta ad accettare perdite, mentre il FMI si rifiuta di concedere prestiti a basso tasso di interesse se con essi poi verrebbero pagati solo i debiti cinesi. I negoziati con i creditori vengono ulteriormente appesantiti a causa dell'intensificarsi della competizione politica globale tra i Paesi occidentali e la Cina. La crescente frammentazione dell'economia mondiale rende ancora «più difficile risolvere le crisi del debito sovrano, soprattutto quando esistono delle divisioni geopolitiche tra i principali creditori sovrani»; ha avvertito a gennaio il direttore generale del FMI Kristalina Georgieva.

I Paesi occidentali, da parte loro, sperano di utilizzare la crisi del debito estero cinese in modo da far retrocedere così l'influenza che la Cina ha costruito attraverso i suoi prestiti in molte regioni del mondo. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a maggio ha dichiarato che esiste ora una «finestra di opportunità» per i Paesi del G7 e i loro partner, dopo che «molti Paesi del Sud globale hanno avuto delle brutte esperienze con la Cina», trovandosi ora in «crisi di debito», mentre la Russia invece ha da offrire solo «mercenari e armi». Se agisse rapidamente, l''Occidente potrebbe stabilire con questi Paesi delle partnership che sarebbero reciprocamente vantaggiose. Imprese e banche potrebbero venire coinvolte nell'elaborazione di «pacchetti globali» che trasferirebbero anche parti delle catene di produzione verso i Paesi in via di sviluppo. L'UE vuole promuovere «non solo l'estrazione di materie prime, ma anche la loro lavorazione e raffinazione locale». Von der Leyen sta pertanto speculando su un brutto ricordo dei suoi potenziali "partner" del Sud globale, i quali, a partire dagli anni Settanta, hanno già avuto esperienze dolorose con i programmi di credito occidentali.

- Tomasz Konicz - Pubblicato originariamente in JUNGLE WORLD 22/2023, 01.06.2023 -

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