OCEANIA VS. EURASIA
- Di fronte al crollo della propria potenza economica, nel suo confronto con la Cina, Washington sta adottando una strategia di mero dominio militare -
di Tomasz Konicz
È piuttosto possibile che, a posteriori, la guerra in Ucraina venga vista come se fosse stato il primo atto di una grande guerra globale, come il preludio all'incombente contrapposizione militare tra gli Stati Uniti e la Cina che si sta profilando a Taiwan. Così, mentre il bilancio delle vittime della guerra di aggressione russa si aggira ormai sulle centinaia di migliaia, allo stesso tempo, le tensioni nello Stretto di Taiwan sembrano avviarsi a diventare uno stato di precarietà permanente. Sia l'uno che l'altro conflitto, possono essere intesi come dei momenti di una lotta globale per l'egemonia che viene combattuta tra i fragili sistemi di alleanze degli Stati Uniti in declino e della Cina in ascesa. A livello geopolitico, si potrebbe parlare di una lotta dell'Eurasia, guidata dalla Cina, contro l'Oceania in mano agli Stati Uniti. Oggi, contro l'alleanza sino-russa, Washington sta perseguendo una strategia di contenimento, nella quale giocano un ruolo centrale i sistemi di alleanze che si estendono nel Pacifico e nell'Atlantico. Taiwan rappresenta un elemento essenziale di questa strategia di contenimento nella regione del Pacifico, nella quale Washington sta cercando di includere anche Corea del Sud, Giappone, Filippine, Vietnam e Australia. Questa strategia di contenimento, si propone diversi obiettivi: uno di essi, è quello di impedire che la potenza militare cinese, in rapida espansione, possa crescere senza ostacoli. La capacità di intervento a livello globale, nei decenni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, ha costituito la base militare dell'egemonia statunitense. Attualmente, Pechino sta promuovendo un programma di armamento navale massiccio e in rapida crescita, in modo da superare la Marina statunitense. Entro il 2024, si prevede che il numero di navi da combattimento cinesi passerà da 340 a circa 400, mentre la Marina degli Stati Uniti avrà solo 300 navi. L'efficacia di una simile potenza navale cinese, verrebbe tuttavia minata dalle basi americane che Washington vorrebbe stabilire in tutti gli Stati confinanti con la Cina, i quali guardano con disagio all'aumento della potenza di Pechino. D'altra parte, questo contenimento è anche volto a prevenire l'estrazione senza ostacoli di materie prime e fonti energetiche alla periferia del sistema mondiale da parte di Pechino, in vista dell'escalation della crisi socio-ecologica. Per la Cina, fin quando Washington ha degli alleati al largo delle coste cinesi, la protezione militare delle rotte marittime è impossibile.
La dinamica di escalation nel tardo capitalismo
Dove si trovano i confini dell'Oceania e dell'Eurasia? Tale questione geopolitica, che oggi viene contestata militarmente in Ucraina, si pone anche a Taiwan, che Pechino considera parte della Cina. Pertanto, in Cina il conflitto di Taiwan è molto sentito a livello nazionale e ideologico, mentre la stragrande maggioranza dei taiwanesi è favorevole al mantenimento dello status quo, se non addirittura all'indipendenza. La lotta per l'egemonia tra Stati Uniti e Cina è allo stesso tempo anche una lotta per il dominio tecnologico. Washington tenta di mantenere il vantaggio tecnologico che ancora ha sulla Repubblica Popolare Cinese, imponendo delle sanzioni sempre più severe. Taiwan è un sito importante ai fini della produzione di Tecnologie Informatiche (IT) e di alta tecnologia. Le più importanti fabbriche di processori per computer e di chip si trovano sull'isola del Pacifico. Washington vorrebbe impedire a Pechino l'accesso a tutte queste risorse e competenze. La dinamica di escalation che si sta sviluppando nel Pacifico, rimane tuttavia incomprensibile allorché vengono tengono nascoste quelle che sono le sempre più crescenti tendenze della crisi sociale, economica ed ecologica nel sistema globale tardo-capitalista. Sono i processi di crisi sistemica, i limiti interni ed esterni sempre più evidenti del capitale, a spingere gli Stati alla contrapposizione e allo scontro. Anche lo stesso attacco della Russia all'Ucraina, che assomiglia a un atto di pura e semplice follia, rimane incomprensibile qualora non si tiene conto delle antecedenti rivolte in Bielorussia e Kazakistan, avvenute poco prima. A livello globale, gli Stati Uniti si trovano in una posizione altrettanto difficile di quella della Russia, vista nel suo cortile post-sovietico consunto e socialmente travagliato. Il recente «terremoto bancario» avvenuto negli Stati Uniti, innescato dal ribasso del valore dei titoli di Stato americani considerati sicuri, è espressione dell'impasse sistemica nella quale si trova la globalizzazione neoliberista, incentrata sul dollaro come valuta di riserva mondiale: il sistema mondiale, che sta soffocando nella sua stessa produttività, soffre la mancanza di un nuovo settore industriale di punta nel quale il lavoro salariato di massa possa essere valorizzato; e continua a funzionare a credito. Il debito globale sta crescendo più rapidamente di quanto lo faccia la produzione economica mondiale. Questo processo globale di indebitamento è avvenuto a causa di bolle speculative sempre più grandi nella sfera finanziaria, per mezzo delle quali la globalizzazione ha portato alla formazione di circuiti di deficit. Le economie con eccedenze di esportazioni hanno esportato i loro beni verso i Paesi in deficit, i quali, a loro volta, hanno così accumulato delle montagne di debito sempre più grandi. In questo processo, gli Stati Uniti e la Cina si trovavano profondamente legati. Nel grande circuito del deficit del Pacifico, la Cina è stata in grado di accumulare enormi surplus di esportazione nei confronti degli Stati Uniti, che ha poi investito in titoli di Stato americani. Gigantesche quantità di merci sono state trasportate dalla Cina agli Stati Uniti attraverso il Pacifico, mentre i «beni del mercato finanziario» degli Stati Uniti (in maggioranza, i suddetti titoli di Stato) scorrevano nella direzione opposta, rendendo così la Cina uno dei maggiori creditori degli Stati Uniti. Uno "squilibrio" simile, tra il centro tedesco e la periferia meridionale dell'Europa, ha caratterizzato a sua volta anche l'eurozona, fino allo scoppio della crisi dell'euro. Con la fine del boom del dopoguerra - attraverso la finanziarizzazione e l'imposizione del neoliberismo - la base economica del sistema egemonico occidentale, il quale invece in precedenza poggiava sull'espansione fordista, è cambiata: gli Stati Uniti, sempre più indebitati, assorbendo la produzione in eccesso di Stati orientati all'esportazione come la Cina e la Repubblica Federale Tedesca sono diventati il «buco nero» del sistema mondiale, e lo hanno fatto al prezzo di una crescente deindustrializzazione e indebitamento interno. Senza il dollaro americano, tutto questo non sarebbe stato possibile. Dal momento che il dollaro, in quanto valuta di riserva mondiale, ha dato agli Stati Uniti la possibilità di poter prendere in prestito il valore di ogni bene, e finanziare così, ad esempio, la sua macchina militare. Così accade che se, al contrario, un Erdogan si mette a stampare moneta, ecco che subito l'inflazione semplicemente cresce.
La politica borghese della crisi è in trappola
Questa economia globale fatta di bolle finanziarie alimentate dal credito, negli ultimi decenni è diventata sempre più soggetta a crisi. E gli episodi di crisi sono diventati sempre più gravi, mentre i costi della politica per stabilizzare il sistema, sono diventati sempre maggiori, con intervalli tra gli episodi di crisi che sono diventati sempre più brevi. Con l'inizio della fase inflazionistica, ecco che l'epoca neoliberista del rinvio della crisi sembra essere arrivata alla fine.
La politica borghese di crisi ha finito per trovarsi in trappola: per combattere l'inflazione, essa dovrebbe alzare i tassi d'interesse, mentre però allo stesso tempo dovrebbe simultaneamente abbassare i tassi d'interesse in modo da poter così evitare il collasso del settore finanziario sempre più rigonfio, per impedire che le gigantesche montagne di debito possano crollare. In quello che è il contesto di un'economia sempre più caratterizzata dal crollo delle bolle finanziarie e dai circuiti del deficit già citati, gli Stati Uniti non sono più in grado di poter continuare a fungere da «buco nero» dell'economia mondiale; e in questo modo vengono minate le basi economiche dell'egemonia statunitense. Con la crescita del movimento di allontanamento dal dollaro, in atto nella semiperiferia del sistema globale, dove diversi Stati stanno passando a sistemi di pagamento bilaterali con la Cina, il tempo del dollaro come valuta di riserva mondiale sembra stia per terminare, cosa che degraderebbe gli Stati Uniti, riducendoli a un gigantesco Stato militarmente ben armato e indebitato. L'unica opzione che rimane a Washington per riuscire a mantenere il sistema di alleanze in erosione dell'«Occidente», è quella del dominio militare. La vera spina dorsale della supremazia statunitense, così come l'unico modo per continuare a mantenere il suo ruolo di valuta di riserva mondiale, rimane l'apparato militare statunitense. Ed è per questo motivo che Washington è pronta a contrastare l'espansionismo cinese per mezzo di una strategia conflittuale, e questo fino a quando la superiorità militare degli Stati Uniti continuerà ad esistere.
- Tomasz Konicz - Pubblicato il 16/5/2023 in "analyse & kritik - Zeitung für linke Debatte & Praxis" -
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