È impressionante il modo in cui Thomas Bernhard sia riuscito a stabilire una sua presenza nella letteratura successiva alla propria opera. Il modo in cui è riuscito a imporre la sua presenza in tutta una serie di libri e di autori così diversi tra loro, eppure accomunati da Bernhard visto come elemento costitutivo (sulla falsariga di quel che scrive Borges a proposito di Kafka e dei suoi precursori: è proprio perché esiste Kafka che noi riconosciamo certi punti di contatto in dei testi che, senza Kafka, non sarebbero possibile avvicinare tra loro; nel caso di Bernhard, questo avviene con i testi che gli sono succeduti. È Thomas Bernhard che accomuna W. G. Sebald, Bernardo Carvalho, Horacio Castellanos Moya e Hervé Guibert.
Scrive Guibert in "All'amico che non mi ha salvato la vita": «... incapace di riuscire a fare qualsiasi cosa, persino di continuare a leggere "Perturbazione", di Thomas Bernhard. Odiavo questo Thomas Bernhard, innegabilmente si trattava di uno scrittore molto più bravo di me, e tuttavia non era altro che un noioso pattinatore, un ricamatore che tracciava una linea, un insaccatore di salsicce, un creatore di truismi sillogistici, un pivello tubercolotico, un evasivo prevaricatore, uno scrittore di diatribe che scacciava le mosce di Salisburgo, un millantatore che sapeva fare tutto assai meglio di tutti gli altri, andare in bicicletta, scrivere libri, inchiodare chiodi, suonare il violino, cantare, filosofeggiare e ringhiare a tempo perso (...)» (p. 175).
Un po' più avanti, vediamo che Guibert non si preoccupa più di emulare lo stile di Bernhard, quanto piuttosto di riuscire a inserire la vita/morte dell'autore nel contesto del registro della propria vita/morte; come se il dispositivo di contagio fosse andato ben oltre la "letteratura", e avesse raggiunto il "vissuto": «Il 1° febbraio, a Thomas Bernhard rimanevano solo undici giorni di vita. Il 10 febbraio sono andato alla farmacia dell'ospedale Rothschild per le mie capsule di AZT che ho poi nascosto nel cappotto, mentre uscivo, dal momento che gli spacciatori che erano sul marciapiede mi guardavano come se volessero rubarle per i loro amici africani, ma fino a tutt'oggi - 20 marzo - quando sto finendo di sistemare questo libro, non ho ancora preso una sola pillola di AZT» (p. 183).
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