«La storia di un ricercatore che crede di sapere cosa cerca, e di un ricercato che è stato trovato e rinchiuso. E dei molti modi in cui si sbagliavano entrambi». Marco Malvaldi
Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedibilmente vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le Agiografie infami, e dove si dice abbia scritto La Fantasima, la presunta autobiografia mai ritrovata.
Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione. Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l’università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell’università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine.
Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese. Che cosa contiene l’archivio Sella, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi? Perché il vecchio luminare Sacrosanti ha interesse per un terrorista e oscuro scrittore? E che cosa racconta, se esiste, La Fantasima, l’autobiografia perduta?
La ricreazione è finita è un’opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario – imperniato dentro l’artificioso e ossimorico mondo dell’accademia –, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l’autore cede la parola all’autobiografia del suo personaggio. Questo libro racconta la storia di due giovinezze incompiute, diversissime eppure con una loro sghemba simmetria.
(dal risvolto di copertina di: Dario Ferrari, «La ricreazione è finita». Sellerio, pp. 480, € 16)
I dolori del giovane (dottorando) Marcello in lotta col barone che si crede una rockstar
- Un laureato in Lettere di provincia non vuole lavorare nel bar del padre e partecipa a un concorso accademico. Lo vince e si scontra col prof. Sacrosanti, che gli appioppa la ricerca su un oscuro scrittore-terrorista -
di Sergio Pent
In mezzo a stelle che cadono, amori che si frantumano, speranze di orfani strappacuore e overdose di blogger e tiktoker, talvolta un respiro di buona narrativa riesce ancora a farci credere di non aver speso invano decenni a sfogliar pagine e a scriverne. Dopo la sorpresa in crescendo delle Ferrovie del Messico di Griffi, arriva ora l’opera seconda del viareggino Dario Ferrari, La ricreazione è finita. L’opera prima, La quarta versione di Giuda (Mondadori 2020), ci era del tutto sfuggita e forse - con gli attuali parametri di pubblicazione - era sfuggita anche al suo editore. Un’opera viva e modulata sul male di vivere, sui compromessi, sui ricordi - privati e sociali - e sulle contraddizioni quotidiane - e poi spesso definitive - che alla resa dei conti chiamiamo vita. Si parla di epoche e di speranze, sogni e sconfitte, partendo da un passato prossimo del 2017 in cui il trentenne viareggino Marcello Gori, laureato in lettere, tenta - pur senza convinzione - il concorso di dottorato presso l’università di Pisa, ben sapendo che i posti occupabili sono già distribuiti a priori dalle alte macchinazioni accademiche, dove svettano «individui che operano nel settore ristretto della cultura sentendosi delle rockstar». Circondato da amici perdigiorno o aspiranti cattedratici ancora al palo, Marcello si confronta con l’algido potere dell’intoccabile Sacrosanti, che male accoglie «l’incidente» del concorso che permette al Gori di rientrare fra i tre possibili dottorandi.
La descrizione delle manovre accademiche risulta tanto schietta, vivace e godibile quanto frustrante, come se da certi gattopardismi non riuscissimo a sganciarci neanche all’epoca di Elon Musk. Ma tutto è appena all’inizio, poiché il Sacrosanti - mente eccelsa ma anche un po’ perversa - affida a Marcello, per la sua tesi, una ricerca sull’oscuro scrittore viareggino Tito Sella, di cui il dottorando non rammenta neppure l’esistenza. Ma ormai il ballo è iniziato, e il nostro protagonista comincia il suo compito con qualche perplessità, scoprendo che Tito Sella - 1953-1998 - su Wikipedia è semplicemente, seccamente segnalato come «terrorista italiano». Marcello prosegue comunque le ricerche, assillato dalla fidanzata Letizia, studentessa di Medicina, che lo vorrebbe già sistemato, e dal padre che lo denigra puntualmente per non aver scelto di ereditare il bar di famiglia. La vita viareggina di Marcello continua tra bevute, amici che ricalcano i vitelloni felliniani, ambizioni di carriera ma anche paura di uscire dal guscio protettivo della provincia. Quando però legge le Agiografie infami di Tito Sella, qualcosa dentro di lui si modifica, cresce la consapevolezza di poter entrare in un universo generazionale remoto, quello che attraversò con ideali astrusi, sangue e violenza gli anni del terrorismo. Esiste forse un’opera autobiografica dispersa - La Fantasima - in cui Tito Sella raccontò quegli anni e quelle imprese eversive, ma nessuno l’ha mai letta. Contro ogni raccomandazione - anche di amici universitari - Marcello accetta di recarsi a Parigi per studiare gli archivi privati e letterari di Sella, e da qui nasce la vera, possente - ma anche tragicamente ironica - sostanza del romanzo.
La seconda parte è un tuffo nella memoria, con l’opera sconosciuta di Sella rivisitata da Marcello a suo uso e consumo, traendone un sunto generazionale commosso e a tratti ridicolo, in cui una banda di vitelloni viareggini anni Settanta si ritrova - più per gioco che per veri intenti politici - a fondare un gruppo eversivo molto precario - la Brigata Ravachol - da cui partirà comunque - tra goliardate impacciate, rapimenti da commedia popolare e ingenuità di prospettiva - un’involontaria, pesante escalation di errori destinati a una tragedia da prima pagina, La ricostruzione è intensa, irruenta, generosa, e conclude il fervore di quegli anni con un punto interrogativo oltre il quale c’è solo la prigionia di Tito Sella e la sua morte prematura. Il resto rimane avvolto in un mistero che Marcello cerca di disvelare attraverso ricerche e contatti, non ultimo quello con un vecchio brigatista italiano rifugiato a Parigi. Ma da qui in poi tutto procede in discesa verso la spianata delle rivelazioni, che cambiano le carte in tavola e regalano al romanzo un’intensità che sconcerta, irrita e commuove, poiché al fondo di ogni generazione si cela un mistero irrisolto, un’illusione mal riposta, una beffa del destino in grado di condizionare anche il futuro, lasciando defluire certe ombre del passato verso un vergognoso oblio. Come si suol dire talvolta in questi casi, è un romanzo che avrei voluto scrivere io.
- di Sergio Pent - Pubblicato su TuttoLibri del 25 febbraio 2023 -
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