mercoledì 25 marzo 2020

Un’allegra risata…

«Scherza con i fanti, lascia stare i santi…», ovvero sacro e profano non vanno mescolati. Ma è sempre vero? Ebraismo, cristianesimo e islam escludono che si possa ridere di Dio. Il monoteismo non ride. Originata da vignette che deridevano Allah, la strage di «Charlie Hebdo» è lì a ricordarcelo. Vi sono però religioni che danno spazio allo scherzo e alla comicità, in cui gli dèi ridono e anche gli uomini possono e sanno ridere degli dèi: sono le joking religions. Ponendole a raffronto con i tre monoteismi abramitici gli autori raccontano queste «religioni umoristiche»: il politeismo del mondo classico, le religioni orientali e in particolare del Giappone, le «religioni senza nome» dell’Africa e del Nordamerica. Desacralizzando gli dèi esse li avvicinano agli uomini e per ciò stesso, al contrario dei monoteismi di per sé esclusivi, sono inclusive e aperte ai valori della convivenza.

(dal risvolto di copertina di: Maurizio Bettini, Massimo Raveri, Francesco Remotti, "Ridere degli dèi, ridere con gli dèi. L'umorismo teologico". Il Mulino)

Anche gli dèi amavano lo scherzo ma non tutti possono ridere sugli dèi
- di Maurizio Assalto -

In un poema babilonese del II millennio a. C., Athrahasis, una sorta di incunabolo del racconto biblico della Genesi, si narra del diluvio universale mandato dagli dei irritati per il baccano provocato dagli uomini. Quando l’eponimo protagonista approda in salvo con la sua arca, e subito offre un sacrificio «per provvedere al nutrimento degli dei», quelli, famelici, «sentendo il buon odore, si radunano intorno al banchetto, come mosche!». Gli dei rappresentati come insetti (e pochi versi prima come montoni assetati «stretti intorno all'abbeveratoio, le labbra secche dall'angoscia, stremati dall'inedia»): una scena ridicola. Nella variante biblica, al posto di Athrahasis è Noè: anche lui, uscito dall'arca, offre sacrifici sull'altare, ma «il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò: "Non maledirò più il suolo per causa dell'uomo"» La sintassi strutturale è identica, ancorché castigata, ma al Dio della Genesi ogni connotazione comica è preclusa.
Si può ridere della divinità? Alla nostra sensibilità risultante di due millenni di tradizione ebraico-cristiana sembrerebbe proprio di no. E lo stesso vale per l'islam, in modalità più estrema, fini a sconfinare in qualche caso in tragedia, come cinque anni fa nella strage di Charlie Hebdo. Ma non sempre, non in tutte le religioni e neppure nella maggior parte di esse è stato o è così. È quanto documentano con abbondanza di esemplificazioni Maurizio Bettini, Massimo Raveri e Francesco Remotti nel volume "Ridere degli dèi, ridere con gli dèi. L'umorismo teologico" (Il Mulino), ispirato dal tema di una passata edizione del Festival di antropologia di Ivrea, che ha alle spalle una letteratura tanto ricca quanto poco conosciuta.
«Anche gli dei amano lo scherzo», dice Socrate nel Cratilo di Platone. Degli dei ridono gli dei stessi (e con loro l'uditorio dell'aedo), quando nell'Odisseo accorrono a godersi lo spettacolo di Afrodite e Ares sul talamo dei loro amori adulterini, imprigionati nella rete fabbricata da Efesto. Ma anche del goffo Efesto si ride nell'antica Grecia, e dell'effemminato Dioniso che nelle Rane di Aristofane se la fa addosso, e di Hermes che nel Pluto dello stesso autore è trattato come un affamato cialtrone all'ufficio di collocamento, mentre a Roma lo stesso dio, divenuto Mercurio, è irriso nell'Anfitrione di Plauto come una specie di Leporello al servizio di un Giove «libertino», «donnaiolo» e «impostore».
In antropologia  si parla di joking relationship a proposito di quelle relazioni sociali che lo scherzo ritualizzato - talvolta addirittura l'insulto anche pesante, come attestato in diverse comunità africane - non solo non compromette ma anzi favorisce con lo stabilire un terreno comune di scambio e di vicendevole riconoscimento. Lo stesso avviene in quelle che gli autori, per analogia, propongono di chiamare joking religions, caratterizzate da un rapporto di vicinanza spaziale e caratteriale tra uomini e dei (che osserva Cicerone nel trattato Sulle leggi, «abitano nelle stesse città in cui abitiamo noi»), convalidato e intensificato dagli scherzi reciproci. In alcuni casi, come in uno dei miti di origine dello shintoismo giapponese, la risata di una divinità, la dea del sole Amaterasu davanti alla danza oscena di un'altra dea, è quanto basta a far tornare la luce nel mondo, caricandosi così di una valenza cosmologica. Che un testo gnostico del III secolo d.C. diventa esplicitamente creatrice: «Dio rise: cha cha cha cha cha cha, e avendo Dio riso nacquero i sette dei» e via via tutto il mondo.
Nelle religioni antiche come in quelle tribali più vicine a noi il riso possiede un'intrinseca potenza corrosiva, desacralizzante e antigerarchica che, stabilendo con il mondo divino un rapporto di condivisione nello stesso tempo ritaglia nei suoi confronti gli spazi della libertà umana. Non così nelle religioni monoteistiche, le tre abramitiche, in cui Dio è un Dio lontano, inafferrabile, astratto fin nel nome genericissimo, che non ammette se non la sottomissione e anche quando si fa uomo, nella figura di Cristo, pare poco propenso alle facezie. È emblematico l'episodio biblico del riso incredulo di Abramo e Sara, quando ormai quasi centenari vengono a sapere che il Signore ha concesso loro di avere una progenie: non solo non dovranno farlo mai più, ma anche il figlio che nascerà conserverà per sempre nel proprio nome (Isacco, ossia «ha riso») il ricordo di quello sgarbo e dell'interdetto che ne è derivato, si cui si fonderà il patto di Dio con Israele.
Su queste basi, alla mentalità cristiana l'umorismo teologico greco-romano non può che risultare incomprensibile: ne dà prova Agostino, laddove nella Città di Dio stigmatizza il fatto che gli stessi dei venerati nei templi siano oggetto di derisione nei teatri - «sconcezze indegne», «sudiciume della teologia mitica». In realtà la repressione del riso è funzionale a mantenere la distanza con il divino, a sua volta essenziale a riconoscerne l'essenzialità sia in termini quantitativi («non avrai altro Dio») sia in termini qualitativi (l'unico Dio è anche l'unico vero Dio, ossia non sono ammissibili «traduzioni» o assimilazioni da altre fedi, com'era d'uso presso i pagani). Bandito dalla sfera teologico-dottrinaria, con la rilevante eccezione, in ambito proto-cristiano, delle eresie gnostiche (nel Secondo discorso del Grande Seth il glorioso vanto con cui Dio proclama la propria unicità è accolto da una «allegra risata»), l'umorismo però non scompare: come un torrente carsico attraversa i secoli riaffiorando nei mille rivoli della religiosità popolare, dalle parole medievali all'ebraismo di ogni tempo, fino alle correnti New Age imbevute di buddismo zen. Spie di quel vitale bisogno di «alleggerimento» che, senza rinnegare la fede nella trascendenza, prova però a sfuggirne l'ossessività per abitare un mondo più tollerante e a misura d'uomo.

  - Maurizio Assalto - Pubblicato su Tuttolibri del 21/3/2020 -

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