Buenos Aires, 1933. La crisi imperversa, la disperazione aumenta, il calcio consola. Ma Bernabé Ferreyra, il giocatore più famoso d’Argentina, è scomparso. Nella sua ricerca si fa trascinare il povero Andrés Rivarola, un trentenne spiantato che sogna di scrivere testi per il tango. Le cose si complicano, però, quando Mercedes, fidanzata segreta di Bernabé, viene ritrovata sgozzata… Investigatore improvvisato, Rivarola segue le piste piú impensabili per ritrovare Ferreyra e stanare l’assassino, sfoggiando sempre il suo miglior talento: quello di non combinarne mai una giusta. Tutto per la patria è un giallo storico dai risvolti sorprendenti, ma è anche un omaggio alla capitale argentina degli anni Trenta, vibrante di tifo, tango, impegno politico e passione.
Andrés Rivarola, detto «Pibe», è un trentenne confuso e spiantato che si arrangia come può nella Buenos Aires degli anni Trenta. Sogna di scrivere testi per il tango, ma l’ispirazione latita, un po’ come la fortuna, che si guarda bene dal baciarlo. La sua compagna lo ha lasciato e non gli permette di vedere la figlia Estelita, è stato licenziato, non ha più una casa – dorme in una pensione fatiscente – e per fare un pasto dignitoso è costretto a tornare da mammà. A Rivarola non resta che dormire tutto il giorno e bighellonare con i suoi amici di notte, tra fumose sale da biliardo e loschi bar del centro. E proprio durante una di queste rumorose notti portegne, riceve una proposta dall’amico Gorrión, piccolo spacciatore in odore di guai: ritrovare il calciatore piú famoso d’Argentina, Bernabé Ferreyra. L’attaccante del River Plate si sarebbe nascosto nel suo paesello nella pampa, perché il suo club non lo paga abbastanza, pare. Andrés accetta di improvvisarsi investigatore, convinto che in fondo si tratti solo del capriccio di un ragazzino accecato dal successo. Se Rivarola avesse un olfatto piú acuto fiuterebbe che la faccenda è marcia, non foss’altro per l’ingerenza del viscido Manuel Cuitiño, dirigente del River Plate, ma soprattutto boss del mercato della carne e non solo. Fortuna, almeno, che Andrés può contare su una fedele Watson: Raquel Gleizer, dai capelli (e dal carattere) rosso acceso, che si veste da uomo, rifiuta le convenzioni sociali e frequenta gli ambienti delle avanguardie letterarie. Rivarola è da tempo innamorato perso di lei, ma Raquel, ça va sans dire, non ne vuole sapere. Tanto più che sono in tanti a farle la corte, anche tale Jorge Luis Borges, un poetastro ridicolo e sfortunato. Dopo i primi giorni sulle tracce del fuoriclasse, a Rivarola sembra già di nuotare in un mare di guai, ma quando scopre che Mercedes, figlia di un leader della destra ultranazionalista e fidanzata segreta di Bernabé, è stata sgozzata, quel mare diventa un oceano in cui sta annegando… Sullo sfondo di una Buenos Aires assediata dalla crisi e consolata dal mito del calcio, fra scontri politici e ferventi ambienti culturali, Martín Caparrós scrive un giallo storico scoppiettante di personaggi e colpi di scena, in cui ricostruisce, con allegra meraviglia, un’epoca in cui già si delineava l’Argentina di oggi.
dal risvolto di copertina di: Martín Caparrós, "Tutto per la patria". Einaudi)
La bella Mercedes è stata uccisa: la polizia brancola nel buio
di Francesco Olivo -
Gli ingredienti tipici ci sono tutti: il tango, il calcio, il cimitero della Recoleta, l'ippodromo, le redazioni dei giornali piene di fumo, con il frastuono delle macchine da scrivere. Ma di banalità, nemmeno una riga. Martin Caparrós si è messo a ricostruire la Buenos Aires degli Anni Trenta con tutto quello che ci si aspetterebbe di trovare, ma poi si è divertito nello rivisitare, se non a smontare pezzo dopo pezzo i capisaldi della tradizione. A cominciare dal titolo, Tutto per la Patria è un romanzo che riesce a creare suspense con un sarcasmo diffuso in tutte le pagine. Non si salva nessuno, persino un mostro sacro come Borges appare come un giovane trombone, ossessionato dalle ragazze che non lo ricambiano. Nessun rispetto reverenziale per il vecchio Ravel.
Distruggere con allegria i luoghi comuni, non vuol dire prescindere da una trama avvincente. Siamo nel 1933, Hitler sta prendendo il potere, l'Europa corre verso l'abisso, mentre l'Argentina ancora non riesce a rialzarsi dai postumi della crisi del '29. I venti autoritari europei si fanno sentire anche in Sudamerica, con i militari che controllano sempre di più la società.
Mercedes, bella e giovane ragazza di (apparente) buona famiglia viene ritrovata morta. La polizia brancola nel buio, più per convenienza che per incapacità, il padre affranto ne approfitta per accusare gli anarchici, dopo aver ipotizzato un suicidio. La vicenda si sovrappone, il lettore scoprirà come, a quella di un calciatore, Bernabé Ferreyra, la prima grande stella del campionato argentino osannata dalle folle, che torna al suo paese e si rifiuta di tornare nel suo River Plate, perché il club gli nega l'aumento che crede di meritare (niente di diverso dai suoi successori, insomma). Per convincerlo a rientrare, con le buone o con le cattive, viene assoldato un giovane perdigiorno, Andrés Rivarola, che, nonostante i molti sforzi, non riesce a scrivere un tango decente. La vita lo porterà a diventare una sorta di investigatore reporter, costretto a districarsi in un mondo orribile, con ombre di fascismo dietro ogni angolo.
Il tono è scanzonato, ma il ritmo è serratissimo, Martin Caparrós, giornalista e scrittore che ama mischiare i piani e i continenti (vive in Spagna ma lo si trova spesso dall'altra parte dell'Atlantico), è un grande narratore urbano, come dimostrano i suoi ritratti delle capitali dell'America Latina, pubblicati dall'inserto domenicale del Pais. Nella sua Buenos Aires ha inserito personaggi divertenti e ambienti affascinanti. E l'ultima pagina contiene una rivelazione, che si può svelare senza incappare nel reato di spoiler: Tutto per la Patria avrà almeno un seguito.
Francesco Olivo -
Martin Caparrós: «Tutto per la patria? No, meglio tango, calcio e ragazze».
- Intervista di Francesco Olivo -
Raccontare il passato per smontare i luoghi comuni del presente. Martin Caparrós si è divertito tanto a scrivere Tutto per la Patria e non c'è pagina dove non si noti. Si è ispirato leggendo Camilleri e poi ha scelto un titolo «che un po' mi fa schifo», racconta ridendo. Antiretorico fino al midollo, lo scrittore e reporter argentino sorride ancora quando ricorda i giorni in cui ha scritto questo giallo.
Caparrós, dopo tanti saggi e reportage, come le è nata l'idea di scrivere un giallo?
«Nell'estate di tre anni fa ho trascorso alcune settimane di vacanza in un piccolo paese della Galizia. E lì ho letto un romanzo di Andrea Camilleri, finito il quale non sono più riuscito a sdmettere. Ne avrò letti otto di fila».
Cosa cercava in Camilleri?
«In realtà leggevo senza alcun proposito professionale, ma per il puro gusto di leggermi un libro, come quando ero ragazzo. Noi scrittori a volte dimentichiamo quanto sia piacevole la lettura disinteressata. Le avventure del commissario Montalbano mi sono talmente piaciute che mi sono detto "ora scrivo un giallo anche io". E così ho fatto. In fondo ho scritto Tutto per la Patria per prolungare il divertimento della lettura di Camilleri».
In cosa le sembra di aver emulato il padre di Montalbano?
«Spero di aver ricreato l'ambiente. La sua Sicilia e la mia Buenos Aires».
La sua Buenos Aires. Siamo nel 1933, vive un momento di crisi, proprio come adesso.
«Sì, già all'epoca ci si lamentava di aver perduto una presunta età dell'oro. Era arrivata la crisi, figlia anche della Grande depressione del 1929, ma rispetto a oggi ci sono delle differenze importanti: allora l'Argentina era comunque una delle 10 nazioni più ricche al mondo. In quell'anno Buenos Aires era piena di cantieri: veniva aperta l'Avenida 9 luglio ed eretto il grande obelisco. Circa la metà degli abitanti dellaa città era nato all'estero, soprattutto in Italia e Spagna, un'immigrazione che rendeva la città molto viva».
E la grande epoca del tango. Il suo protagonista. Rivarola, prova a scriverne alcuni. Cosa rappresentava all'epoca?
«Rivarola è quello che a Buenos Aires chiamiamo un "busca", uno che si arrangia, alla ricerca della sua strada. Scrive pezzi di tango, con scarso successo. In quegli anni il tango era qualcosa di vivo, i giovani volevano essere "tangueros", una forma di ribellione, quello che in seguito è diventato il rock o il rap. Il tango era circondato da un ambiente malfamato, con alcol e droghe, non quello che i genitori speravano per i propri figli».
L'altro personaggio chiave è un calciatore: Bernabé Ferreyra. La stella del River Plate si rifiuta di tornare a giocare perché il club non lo paga abbastanza. Il calcio di una volta, quindi non era così diverso da quello di oggi?
«No, ed è proprio questo luogo comune che ho voluto smontare. Sono i primi anni del professionismo, Bernabé Ferreyra fu il primo grande acquisto del calcio argentino, da quel momento in poi il River Plate sarà chiamato il club dei "millonarios". Certo, sono cifre molte lontane da quelle di oggi, è come se Cristiano Ronaldo fosse stato pagato 80.000 euro. In quel calcio c'erano tutti i problemi di oggi, affari sporchi, dirigenti loschi, le pressioni della politica».
Che ruolo aveva il calcio nell'Argentina degli Anni 30?
«Aveva una funzione sociale importantissima. Tanto che quando i giocatori, nel 1931, cominciano uno sciopero per protestare contro la loro condizione lavorativa, è lo stesso presidente della repubblica, il generale Uriburu, a intervenire per concedere lo status di professionisti. La gente non avrebbe accettato di restare senza calcio».
Perché ha scelto il titolo "Tutto per la Patria"?
«Da un lato perché si racconta dei gruppi di destra dell'epoca. In Spagna è lo slogan che sta all'ingresso delle caserme della Guardia Civil, in America Latina no, ma la frase suona comunque retorica. In fondo è stato una specie di scherzo fatto a me stesso. Volevo un titolo che un po' mi facesse schifo...».
Nel romanzo compare anche Borges, molto diverso da come lo abbiamo conosciuto, borioso, persino ridicolo. Ha smontato un mito?
«Ho raccontato Borges prima di diventare Borges. Un poeta pretenzioso e piuttosto scadente, che andava dietro alle donne, senza molto successo».
Un ruolo importante in quella società lo avevano anche i giornalisti. Che epoca è stata per la stampa?
«Io ho voluto raccontare in particolare Critica, il giornale che ha inventato molto delle cose che si sono diffuse in seguito. Negli anni '20 è stato il primo a mandare un inviato in una turné del Boca Junios, che mandava le corrispondenze ogni giorno. I giornalisti di Critica sono stati i primi anche a inaugurare un certo stile di vita, l'uomo che vive di notte, tra alcol, poliziotti e locali malfamati».
E oggi?
«Conduciamo vite ordinate e noiose, i giornalisti ormai non si distinguono molto dai dirigenti di banca. Quando ho iniziato questo mestiere, una volta chiuso il giornale, verso le 23, si usciva a cena e si aspettava con ansia lo strillone con le prime copie. Oggi al massimo leggiamo qualcosa sugli smartphone mentre guardiamo una serie tv sul divano di casa. Ma solo se c'è un pezzo che abbiamo scritto noi».
Come si è trovato con il thriller?
«Ne avevo scritto uno trent'anni fa e un altro uscito in Italia con il titolo di "Il ladro del sorriso". Mi sono divertito molto, è stato molto piacevole scriverlo e spero si noti leggendolo».
Ci sarà un seguito?
«Penso di sì, non appena avrò il tempo di fare un'altra vacanza come quella di tre anni fa lo scriverò. Ho già la trama pronta».
Sarà sempre Rivarola il protagonista?
«Sì, sarà ambientato nel 1934».
L'Argentina ha appena eletto Alberto Fernandez, è un ritorno del peronismo?
«Sì, Alberto è un uomo astuto con il quale si ritorna al peronismo più classico. L'era dei Kirchner è stata diversa, perché escludeva molti, mentre qui siamo davanti a un peronismo inclusivo, che tenta di armonizzare le differenze. Per il momento ci è riuscito, ma un conto è la campagna elettorale un altro è governare».
Lei ha definito anche Papa Francesco come un peronista.
«È stato eletto con lo scopo di restituire alla Chiesa il prestigio che aveva perso. Il peronismo ha sempre fatto questo: rievocare sempre un'età dell'oro in cui tutto era puro. La Chiesa però anche con Bergoglio resta quello che era, una delle istituzioni più gerarchizzate e maschiliste del mondo. Qualunque azienda del Pianeta sarebbe multata se si comportasse così».
Francesco Olivo - Intervista pubblicata su Tuttolibri del 16/11/2019 -
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