Lettera aperta ai comunisti di tutto il mondo: la Guerra di Classe Totale sta per arrivare
- di Jehu -
Chiediamo urgentemente un cambiamento nella strategia di tutti i comunisti, perché si tenga conto della nuova realtà creata dalle misure di emergenza che lo Stato ha imposto al processo di accumulazione capitalistica. A causa di questa pandemia, lo Stato si è visto costretto a bloccare il processo di accumulazione capitalistica. I lavoratori si vengono a trovare senza lavoro non a causa di uno sciopero generale, ma a partire dal fatto che lo Stato ha chiuso tutte le attività non essenziali. Ora, in questo momento ci sono già milioni di lavoratori che sono stati liberati dalla loro funzione produttiva. Bisogna lottare per fare in modo che questa enorme massa di disoccupazione venga convertita in tempo libero per ciascun membro della società. L'alternativa sarà quella guerra di classe totale, cosa che non è mai stata vista prima in tutta la storia del capitalismo e che si svilupperà a partire da un contesto di estrema privazione, nel quadro di una barbara concorrenza, tra la classe operaia, per il lavoro, mentre lo Stato cercherà di ristabilire quelli che erano i vecchi rapporti di produzione. Oggi, è essenziale che i pensatori comunisti di rilievo assumano un ruolo in cui esortano i comunisti di tutto il mondo a concentrare la loro attenzione sulla necessità urgente di ridurre radicalmente le ore di lavoro. Ciò sarà necessario se si vorrà evitare la selvaggia concorrenza, per i posti di lavoro, tra i proletari, nel momento in cui gli stati nazionali tenteranno di far ripartire il processo di accumulazione capitalistica con i miliardi di cui dispongono non ancora utilizzati. L'incapacità da parte dei comunisti ad agire con urgenza proprio adesso, si tradurrà in un'inutile sofferenza per la classe operaia di ogni paese.
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L'emergenza sanitaria pubblica pandemica NON è una crisi. Secondo Marx, «le crisi sono sempre e solo delle soluzioni momentanee e forzate di quelle che sono le contraddizioni esistenti» nel quadro del modo di produzione. Esse nascono dal lavorio operato dalle contraddizioni nel contesto del modo di produzione stesso. Questa emergenza, è ovviamente esterna al modo di produzione. Secondo quelli che sono i resoconti, è iniziata a partire dalla comparsa nella Repubblica Popolare Cinese di un'infezione virale di origine sconosciuta , che si è rapidamente diffusa, fino a coinvolgere la maggior parte del mercato mondiale. Ben presto, la pandemia ha costretto la maggior parte degli Stati nazionali ad adottare aggressive misure di salute pubblica al fine di contenerla. Tra queste, ci sono state le cosiddette misure di distanziamento sociale per rallentare la diffusione del virus. Queste misure hanno portato gli Stati a chiudere molte delle cosiddette attività commerciali non essenziali, e a confinare nelle loro case i cittadini. In questo modo, le misure di salute pubblica hanno interrotto sia la vendita di forza lavoro che la circolazione del capitale. Per poter attuare un necessaria misura di salute pubblica, in modo da contenere la diffusione di una epidemia mortale, gli Stati nazionali sono stati costretti ad interrompere il processo globale di accumulazione capitalistica; sono stati costretti a fermarlo. Ora, alcuni potrebbero pensare che il modo di produzione può essere riavviato. Noi contestiamo un simile postulato. Riavviare il processo di accumulazione capitalistica non è così semplice come pensano. Intanto, per prima cosa, nessuno conosce il valore di niente. Il capitale è valore in movimento, valore che si auto-espande. Qual è il valore del capitale che non si sta più auto-espandendo? Qual è il valore della forza lavoro che non può più essere venduta in cambio di qualsiasi salario? Tali problemi non possono essere risolti su un foglio di calcolo, ma solamente attraverso una reciproca lotta competitiva tra le classi e all'interno di ciascuna classe. Nel momento in cui alle persone verrà detto di tornare a lavorare, questa battaglia competitiva avrà inizio. Probabilmente non finirà con il ripristino di quello che è il funzionamento normale del modo di produzione capitalistico.
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Le misure di emergenza necessarie a rallentare la diffusione del contagio hanno portato all'arresto del processo di accumulazione capitalistico, dal momento che milioni di lavoratori sono stati obbligati a rimanere a casa, e le imprese capitaliste non essenziali sono state costrette a chiudere. Tutto questo ha causato una contrazione economica che, probabilmente, è più grande di qualsiasi altra precedente contrazione che ci sia mai stata nella storia. Di conseguenza, i vari Stati nazionali sono stati costretti ad intervenire e a mettere in atto misure di vario tipo per soccorrere e sostituire i salari della classe operaia - perduti a causa delle misure di distanziamento sociale - e per salvare le imprese capitaliste inattive e in fallimento che vacillano sull'orlo del collasso.
Questi interventi, che gli Stati nazionali hanno fatto per contenere la pandemia, hanno dato ai comunisti di tutto il mondo l'opportunità di affrontare la prossima crisi con un livello di coordinamento molto più grande di qualsiasi cosa vista negli ultimi anni. Le classi operarie di ogni paese, si trovano ora ad affrontare quasi esattamente lo stesso genere di difficoltà: disoccupazione di massa e perdita di salari. Ciò richiede la medesima risposta: una drastica riduzione delle ore di lavoro in tutti i paesi.
Le misure di massa alternative di stimolo e di aiuto, per molti paesi semplicemente non funzioneranno. La capacità degli Stati nazionali di mettere in atto delle misure di aiuto che possono sostituire i salari della classe operaia - andati perduti a causa delle misure di distanziamento sociale - non sono uguali in tutti gli Stati nazionali. Gli Stati Uniti, naturalmente, possono muoversi piuttosto liberamente , dal momento che controllano la valuta della riserva mondiale. In maniera simile, Stati nazionali, come la Germania e la Cina, che hanno accumulato ampie riserve di valuta estera, possono, se lo desiderano, spendere parte di queste riserva per poter mantenere artificialmente, per qualche tempo, i loro capitali nazionali.
Ad ogni modo, a parte questi pochi Stati, la capacità della maggior parte dei paesi a gestire il massiccio deficit necessario a finanziare questi interventi è discutibile. Alcuni, in caso di emergenza hanno la possibilità di contrarre prestiti, ma la capacità di mantenere artificialmente in vita i loro capitali nazionali per un lungo periodo di tempo è condizionata dai creditori all'estero e interni. Poi, in fondo alla piramide troviamo la vasta maggioranza delle nazioni che hanno poche risorse e che sono del tutto dipendenti dall'assistenza internazionale. I comunisti devono poter offrire un modo di procedere che funzioni, non solo per i paesi ricchi, ma per tutti, anche, e soprattutto, per i paesi più poveri.
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Per parafrasare quell'ufficiale americano in Vietnam, i fascisti hanno ritenuto che, per salvarlo, fosse necessario distruggerlo, il capitalismo. Come minimo, è ovvio che l'accumulazione capitalistica si sia in gran misura fermata. Ma c'è un fatto: il capitale, come tutti sappiamo. è un valore in movimento, un valore che si auto-espande. Come arriva a fermarsi un valore in movimento? Cosa succede al capitale, quando il valore stesso non circola più sotto forma di valore che si auto-espande? Lo si può semplicemente spegnere, il capitale? Come spegnere una luce, per delle settimane, anche per dei mesi, e poi riaccenderla di nuovo, quanto dalle autorità sanitarie pubbliche viene dato il segnale del cessato allarme, che «è finito tutto»?
I comunisti non dovrebbero rispondere «Sì» così velocemente. Non ci siamo mai trovati in una situazione come questa, prima. E, in gran parte, le nostre azioni immediate verranno determinate dalla risposta che diamo. Se assumiamo che il capitale sia morto, agiremo in un modo. Se supponiamo che il capitale sia vivo e sta solo aspettando di rientrare in azione, agiremo in tutt'altro modo. L'azione insolitamente rapida che ha portato Washington ad adottare un pacchetto di aiuti, suggerisce che i fascisti non pensano che il capitale sia così resiliente come i comunisti sembrano pensare che sia. La Federal Reserve ha previsto che a causa di questa emergenza il 30% dei lavoratori perderà il proprio posto di lavoro. È difficile dire a che punto siamo, dal momento che l'arcaico sistema che monitorizza la disoccupazione è completamente a pezzi a causa di quest'emergenza, secondo un comunicato stampa. Sostanzialmente, la relazione mensile di marzo, che non comprende il settore agricolo, ci racconta quando sia diventata grave la situazione complessiva della disoccupazione negli Stati Uniti, mostrando come sia scesa di sole 701.000 persone (anche se nelle ultime due settimane hanno già perso il lavoro milioni di persone). La ragione di questo dipende da come i dati vengono raccolti e pubblicati da Washington (L'Istituto di Politica Economica ha un articolo su tale problema). Lo spaventoso danno che è stato attualmente fatto alle forze produttive a causa di questa emergenza è potuto rimanere ufficialmente nascosto alle statistiche per un mese. E questo è un problema. Spesso, per i comunisti, la realtà è reale solo se la racconta il governo, e se i media gli fanno eco. Ma il modo in cui il governo degli Stati Uniti registra i dati viene deliberatamente pensato in modo da poter attenuare la percezione pubblica di cose come l'aumento della disoccupazione e l'inflazione (per ovvie ragioni).
Ad ogni modo, possiamo avere accesso a dei proxy leggermente più affidabili. C'è il rapporto settimanale sulle richieste del sussidio di disoccupazione, il quale nelle ultime due settimane mostra un salto inimmaginabile di richieste da parte di quasi 10 milioni di persone. Ci sono più richieste del sussidio di disoccupazione di quante ce ne siano state in tutta la crisi finanziaria del 2008. Possiamo guardare anche ad altri paesi. Israele, a fronte del medesimo lockdown da parte della pubblica sanità dello Stato, ha visto il suo tasso di disoccupazione saltare, in un solo mese, dai minimi storici al 24%. Mentre la Spagna ha visto anch'essa un massiccio rialzo delle richieste del sussidio di disoccupazione che ha cancellato quasi del tutto quelli che erano stati i precedenti guadagni occupazionali, riportando la disoccupazione ai massimi storici della crisi finanziaria nel 2013. Abbiamo anche altri indicatori, i quali suggeriscono danni altrettanto seri: l'industria dell'automobile rimane completamente chiusa, gli utenti della metropolitana sono crollati del 75%, quelli delle compagnie aeree del 93%, ed il traffico pedonale in dettaglio è crollato del 97%. Oltre a tutto ciò, l'Eurozone Services Purchasing Managers' Index (PMI), un'indagine prospettica su chi sono i manager responsabili degli acquisti nel settore dei servizi, arriva ad avvicinarsi a dei livelli apocalittici. L'Italia è crollata dal 52,1 ad un profondamente recessivo 17,4: la Spagna dal 52,1 al 23; la Francia dal 52,5 al 27,4 e la Germania dal 52,5 al 31,7. Presi insieme, questi indicatori assortiti suggeriscono che le misure di salute pubblica messe in atto per contenere la pandemia stanno infliggendo dei danni enormi e continui al processo di accumulazione capitalistica. Un'altra ragione, meno diretta, per aspettarci una carneficina senza precedenti per le forze produttive, consiste nel fatto che si sospetta che il terreno per il mercato mondiale è stato preparato nello stesso modo in cui anni di siccità preparano una regione a degli incendi incontrollabili. È da tempo che la "letteratura" sta segnalando l'accumularsi di una massa enorme di capitale superfluo, insieme ad una spropositata popolazione di lavoratori in esubero, derivanti dalla trasformazione dell'agricoltura e dal potenziamento della produttività del lavoro sociale nell'industria, che si sono combinati con lo sforzo statale di programmare la continua espansione del lavoro a vuoto nel settore terziario, attraverso una massiccia spesa in deficit.
Le misure che sono state adottate nell'attuale emergenza, sembra abbiano bucato una bolla che si è formata a partire da almeno novant'anni fa; risalendo quanto meno alla Grande Depressione. Non sottolineeremo mai abbastanza l'importanza di questa situazione. Abbiamo già accumulato quella che è ormai un'enorme eccedenza di popolazione, dovuta a quelle che sono state tutte le precedenti contrazioni economiche che non state mai riassorbite nell'occupazione produttive, sia dalla crisi del 2001 che da quella del 2008, rispettivamente. Le misure di emergenza adottate come risposta a questa pandemia aumenteranno facilmente questi numeri, ameno di un ordine di grandezza. Ed è probabile che i profondi cambiamenti che si prevedevano per il prossimo decennio (ad esempio, l'automazione generalizzata) non potranno più essere realizzate nel giro di mesi o di settimane. Non c'è bisogno di essere dei catastrofisti per arrivare a capire che cosa è successo qui. Nel volgere di due brevi settimane, i valori del capitale sono stati distrutti e i lavoratori sono stati messi in libertà per quanto attiene alla produzione, su una scala inimmaginabile vista raramente in una vera e propria contrazione economica che durerà anni, forse decenni. E questo è successo non solo in uno o due paesi, ma quasi in ogni nazione del pianeta, e tutte insieme. Non arriviamo a pensare che chiunque rifletta su questa situazione possa operare partendo dal presupposto che il capitalismo sia sopravvissuto. Ciò suggerisce che le nostre opzioni come classe in quanto tale, saranno tra l'accettare un tentativo di ripristinare il processo di accumulazione capitalistica da parte dello Stato, e quello di procedere a delle modifiche fondamentali di tutte le relazioni esistenti.
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Lo Stato è fermamente deciso a ripristinare l'accumulazione capitalistica. Non lasceranno niente di intentato per poter tornare allo status quo precedente al Covid-19. Tenteranno il tutto per tutto pur di risolvere il problema, ma non aspettiamoci qualcosa di originale. Come prima cosa, pensiamo che lo Stato seguirà quello che è il consueto schema da manuale keynesiano recessione/depressione. Ciò significa una consistente iniezione fiscale/monetaria ed un massiccio taglio fiscale mirato alle imprese e alle persone molto ricche. Come al solito, i Democratici ed i Repubblicani discuteranno circa chi dovrà ottenere tutto questo; come se, sotto la schiavitù salariale, facesse qualche proprietario di schiavi, piuttosto che ad un altro. Dopo gli Stati Uniti, il Giappone ha annunciato un pacchetto di aiuti che ammonta al 25% del PIL. L'Italia ha proposto un piano di stimoli che consiste in un sorprendente 50% del suo PIL. La Spagna ha prospettato l'idea di un reddito di base universale; ma è una cosa che dicono da almeno quattro anni. Chiunque si aspettasse una qualche creatività, rimarrà probabilmente deluso. Finora, quando si è trattato di «rimettere in piedi l'economia», non abbiamo visto nessuno pensare fuori dagli schemi. Se il pensiero creativo si manifesterà, lo farà solo quando tutta questa robaccia avrà fallito. L'amministrazione Obama, per esempio, non ha mai tentato di recuperare i posti di lavoro e la produzione persa negli otto anni della crisi del 2008. Si è semplicemente limitata a lasciare che tutto il lavoro perso e tutti i posti di lavoro persi se ne andassero. Ci si aspetta che l'amministrazione Trump farà lo stesso. Nel frattempo, come seconda cosa, lo Stato compilerà la famigerata lista dei desideri della guerra di classe. A cominciare dall'eliminazione di cose come il salario minimo, l'OSHA (Occupational Safety and Health Administration), e le diverse leggi sulla protezione del lavoro, così come qualsiasi versione federale di legge sul diritto al lavoro, ecc.. Il NLRB (National Labor Relations Board), per quanto inutile sia, probabilmente verrà abolito, o snaturato (in questo senso, il NLRB di Trump sta rendendo quasi impossibile la sindacalizzazione negli Stati Uniti). Sarà una guerra di classe totale, mai vista in tutta la storia del capitalismo. E si svolgerà avendo sullo sfondo un'estrema miseria e la barbara competizione tra la classe operaia in lotta per poter avere un posto di lavoro. In questo stesso momento, alla Casa Bianca stanno approntando i piani per questa guerra di classe totale.
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L'unico modo per impedire la ripresa dell'accumulazione capitalistica, è quello di ridurre immediatamente le ore di lavoro. Dobbiamo sostituire all'attuale chiusura d'emergenza delle attività non essenziali, una drastica riduzione delle ore di lavoro che si sia di dimensioni analoghe. Attraverso la riduzione radicale dell'orario di lavoro ed imponendo una compensazione salariale attraverso un netto aumento del salario minimo, possiamo quanto meno imporre delle severe misure restrittive che possano impedire ogni tentativo di ripristinare l'accumulazione capitalistica. Come funziona tutto questo:
Si stima che questa chiusura di emergenza di quelle che sono le attività non essenziali potrebbe portare alla fine a circa 47 milioni di lavoratori disoccupati, licenziati o in qualche modo resi inattivi. Questo si traduce in una riduzione del PIL di circa il 30-35% , e in una riduzione dell'occupazione effettiva pari a circa il 30%. L'approccio proposto è semplice: dal momento che ci troviamo già di fronte ad un forte calo del PIL e dell'occupazione, questo calo dovrebbe essere convertito in una drastica riduzione delle 40 ore lavorative settimanali a 24 ore. Ciò imporrebbe una riduzione delle ora di lavoro su una scala che si avvicina a quel 30% di disoccupazione che viene reso necessario dall'emergenza sanitaria pubblica. Un approccio del genere offre 5 vantaggi.
- Primo; l'accumulazione assoluta di capitale in eccesso, insieme ad un eccesso di popolazione di lavoratori, è stata per lo più fermata a livello globale. A questo punto, bloccandolo in una drastica riduzione dell'orario di lavoro, impediamo al capitalismo di ripartire. Possiamo anche andare oltre, e ridurre ulteriormente le ore di lavoro, fino a 15 ore settimanali, o addirittura a 10 ore: imponendo dei limiti draconiani all'accumulazione ed obbligando così all'introduzione dell'automazione, in maniera da compensare una massa di forza lavoro in calo.
- Secondo; come ci viene mostrato dai dati satellitari, l'attuale livello dell'orario di lavoro sta avendo un impatto drammatico sul cambiamento climatico globale. La riduzione delle ore di lavoro avrebbe un impatto immediato immediatamente visibile su questo problema.
- Terzo; produciamo quello che è un effetto shock del lavoro: nella misura in cui le ore di lavoro fornite al mercato del lavoro diminuiscono, i salari crescono. Anche gli analisti cominciano a notare che la riduzione delle ore di lavoro ha un impatto positivo sulla coesione della classe operaia e sulla sua capacità di organizzarsi. È questo, di gran lunga, il fattore più importante su cui i comunisti devono riflettere. La riduzione delle ore di lavoro toglie il terreno sotto i piedi alla concorrenza e alla frammentazione all'interno della classe operaia, riducendo la quantità lavoro di forza lavoro che viene fornita al capitale.
- Quarto; riducendo le ore di lavoro, soprattutto nei paesi ricchi, provocherà, naturalmente, la fuga dei capitali. Per quanto possa suonare strano, questa è in realtà una cosa buona. L'Africa, l'Asia e l'America Latina hanno bisogno di investimenti. E non li otterranno a meno che i capitali, che si trovano attualmente bloccati nei paesi ricchi, siano costretti a fuggire verso le regioni meno sviluppate del mercato mondiale. Una drastica riduzione delle ore di lacoro accelererà tale processo.
- Quinto; la riduzione dell'orario lavorativo accelererà l'automazione. Non c'è modo migliore per spingere i capitalisti ad introdurre metodi di produzione più efficaci che facciano alzare in maniera drastica i costi della manodopera. La riduzione dell'orario di lavoro può farlo, aumentando la coesione ed il potere contrattuale della classe operaia; allo stesso modo in cui lasciare disoccupati 47 milioni di lavoratori indebolisce la classe operaia, lasciandola balcanizzata e frammentata.
- Infine; vogliamo avvertire tutti quelli che sono compiaciuti del tentativo dello Stato di far ripartire il processo di accumulazione capitalistica, a proposito del fatto che il danno che è stato fatto in questo periodo al mercato del lavoro è inimmaginabile. Quando verrà dichiarata la fine di questa emergenza pandemica, e verrà detto alla gente di tornare al lavoro, per allora saranno milioni quelli che avranno perso il lavoro. Per fare un esempio: il commercio al dettaglio di mattoni e malta, probabilmente non ci sarà più. E stiamo parlando di un lavoratore su quattro, negli Stati Uniti. Dov'è che andranno a cercare lavoro questi lavoratori? 47 milioni di lavoratori che cercano disperatamente lavoro tutti insieme nello stesso momento, è qualcosa che non si vorrebbe vedere succedere negli Stati Uniti. Ma è esattamente questo che potrebbe accadere se, passata l'emergenza, si dovesse tentare di ripristinare il precedente status quo.
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Dovrebbe essere chiaro a tutti che le misure di emergenza prese per controllare la pandemia non sono la crisi vera e propria. Ma son solo l'innesco, il detonatore della vera crisi. La crisi, vale a dire, il brusco e forzato aggiustamento del mercato globale del lavoro, avrà inizio solo nel momento in cui le misure di emergenza per contenere la pandemia si allenteranno e verrà detto ai lavoratori di tornare al lavoro. Ci saranno quarantasette milioni di disoccupati negli Stati Uniti; miliardi in tutto il mondo. Questo implica una concorrenza su una scala oggi per noi inimmaginabile. E tutto ciò è stato preparato a partire dalle misure di emergenza che sono state messe in atto per contenere gli effetti della pandemia sulle relazioni capitalistiche di produzione. Quando verrà detto alle persone di tornare al lavoro, milioni di operai negli Stati Uniti, e miliardi nel mondo, non avranno più alcun lavoro, e nessuna prospettiva di trovarne uno. Le relazioni capitalistiche di produzione subiranno un improvviso, brusco e violento adattamento a questa nuova realtà (e anche in questo caso si tratterà probabilmente di qualcosa di mai visto nella storia del modo di produzione).Chi ha familiarità con la teoria di Marx, sa benissimo che la crisi non è un tappeto magico che porta al comunismo. È una violenta eruzione che di per sé non può andare al di là di quelli che sono i limiti del modo di produzione. Noi riteniamo che questa sarà la grande madre di tutte le crisi.
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C'è un'idea, sulla quale ora i comunisti devono lavorare in maniera da essere preparati. È estremamente importante creare e costruire solidarietà tra i lavoratori che sono ancora al lavoro e i milioni di persone che il lavoro lo hanno perduto. Ora, a questo sforzo, da parte dei comunisti dev'essere data la più alta priorità, prima che l'emergenza venga dichiarata finita e che i lavoratori siano costretti a ritornare sul mercato del lavoro in cerca di lavoro. Suggeriamo ai comunisti di costituire ovunque sia possibile dei fondi di solidarietà che possano aiutare i lavoratori a fare in modo che si formi una mutua solidarietà fra gli occupati ed i disoccupati; al di fuori di ogni coinvolgimento dello Stato, della Chiesa, delle ONG o della beneficenza! (Andrebbe scoraggiato anche il coinvolgimento dei sindacati, dal momento che essi sono controllati dai fascisti.) Dovrebbero essere fatti degli sforzi per poter raccogliere sul posto di lavoro denaro, cibo e vestiti per aiutare i disoccupati.
Questa campagna dovrebbe essere un puro sforzo di mutuo appoggio reciproco tra lavoratori. Si dovrebbero formare dei comitati in grado di coprire sia il posto di lavoro che la comunità, nel quartiere. La cosa dovrebbe essere facilitata dalle persone che dovrebbero fare una ricerca nelle proprie comunità per trovare chi sono quelli che hanno già perduto il lavoro, raccogliere i nomi, ecc. Vogliamo costruire dei legami di solidarietà all'intero della classe e al di fuori dello Stato, della Chiesa e delle associazioni di beneficenza. Se non si riuscirà a fare in modo che si creino questi legami tra occupati e disoccupati, quando arriverà la crisi, i lavoratori verranno messi gli uni contro gli altri.
Chiediamo che avvenga urgentemente un cambiamento in quella che è la strategia di tutti i comunisti, e che essa tenga conto della nuova realtà che è stata creata dalle misure di emergenza imposte dallo Stato sul processo di accumulazione capitalistica. A causa di questa pandemia, lo Stato è stato costretto ad attuare quel che i comunisti avevano cercato di fare fin dai tempi del Manifesto comunista: fermare il processo di accumulazione capitalistica.
Di certo, è successo in un modo che non ci aspettavamo. L'impatto che hanno avuto le misure di salute pubblica, messe in atto per rispondere alla pandemia nei confronti delle relazioni capitalistiche di produzione, si è rivelato quello di un ... cigno nero. Basta un secondo per capire cosa sia successo. Fatto sta che è successo! Il processo di accumulazione è stato fermato. Ed è questo il punto in cui ora ci troviamo.
Lo Stato è stato costretto, senz'altro contro la sua volontà, a chiudere tutte le attività non essenziali; a chiudere il processo di accumulazione stesso. Cosa possiamo fare, in questo preciso istante, per continuare a tenerlo chiuso? Ci sono milioni di lavoratori che sono stati liberati dal lavoro produttivo: sono disoccupati. Dobbiamo lottare per convertire questa enorme massa di disoccupazione in tempo libero per ciascun membro della società. L'alternativa potrebbe essere solo quella di varare, una dopo l'altra, leggi soccorso di aiuto economico, per mezzo delle quali lo Stato continuerebbe disperatamente a cercare di ristabilire i vecchi rapporti di produzione. Stavolta non possiamo lasciarci di nuovo sfuggire un'altra opportunità, come accadde durante la Grande Depressione, quando il capitale si era fermato ed ai lavoratori, che si battevano per una settimana lavorativa più corta, ebbero invece un New Deal, Auschwitz e la Seconda Guerra Mondiale.
- Jehu - Pubblicato l'8 Aprile 2020 su The Real Movement -
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fonte: The Real Movement
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