domenica 26 aprile 2020

Rimedi!!!

La radioattività rallenta la vecchiaia
  di Anna Gandolfi -

Nel XVI secolo Paracelso teorizza: tutto è veleno e nulla esiste senza veleno, la dose fa la differenza fra effetti letali e cura. Il padre della tossicologia moderna oggi è la guida ideale della mostra Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti, fino al 2 febbraio al Museo Nazionale Atestino (Este, Padova). Tra reperti e manoscritti un’archeologa (Federica Gonzato, direttore del museo) e una scienziata (Chiara Beatrice Vicentini, docente di Storia del farmaco all’Università di Ferrara) vanno «alla radice di leggende, tradizioni, dicerie». Come la possessione demoniaca delle streghe, riconducibile a intossicazioni alimentari. Ci sono pozioni per ogni occasione: la dose, sempre, fa la differenza.

1) La pozione per volare
La prima versione della ricetta prevedeva l’uso di puerorum pinguedinem, grasso di fanciullo. Ciò che giunge fino a noi, tra fragili pagine stampate nel 1563 a Colonia, è un unguento in cui gli ingredienti principali sono invece vespertilionis sanguinem e solanum somniferum. Sangue di pipistrello e allucinogeni vegetali, come la belladonna, che possono scatenare viaggi della mente anche fatali. Giambattista della Porta non è un mago, anche se più volte viene indicato come tale (il Sant’Uffizio lo inquisisce nel 1577). Napoletano di nascita, filosofo, scienziato, amico e nemico di Galileo Galilei — cui contende la scoperta del telescopio — condensa misticismo e sperimentalismo nel Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium: un’opera di cui a Este giunge una rara versione conservata alla Biblioteca Ariostea di Ferrara. Il testo, ampliato e modificato dal 1558 all’edizione definitiva del 1589, include il rito di preparazione al sabba. Alla voce lamiarum unguenta c’è la ricetta, dettata da una megera, «per il volo in notti senza luna». Volo che della Porta già qui mette in relazione a uno stato allucinato: «Solo dopo essersi spalmate l’unguento sul corpo le streghe credono di volteggiare». Procedura: macerare, riscaldare, spalmare. Il grasso di fanciullo — che la vox populi voleva recuperato dalle tombe — doveva lenire la pelle irritata dall’intruglio. Della Porta annota solo ciò che sente ma l’accusa di negromanzia lo travolge. Nell’ultima edizione l’ingrediente (più) raccapricciante sparisce.

2) La pozione delle streghe
Il 22 novembre 1454, mentre a Ferrara governa Borso d’Este, una donna affronta il patibolo. I burocrati annotano dettagli. Nome: «Orsolina che fu de Antonio». Accusa: «Fu diabolicha affaturarixe et incantatrice». Pena: «In uno caxon de cana brusata». Orsolina è una strega, o forse solo rea d’aver irretito mariti altrui. Brucerà su un cassone di canne. Le sue tracce sono state trovate nel Libro dei Giustiziati, impietoso elenco di nomi e patimenti. Parte da qui l’analisi sulla probabile origine del comportamento di chi veniva accusato di stregoneria. Sul rogo finivano le donne, ma lo stato di alterazione toccava anche gli uomini: alla radice di tutto, infatti, ci sarebbe l’alimentazione. E, in particolare, una malattia fungina (segale cornuta) che intaccava i raccolti. Spiegano Gonzato e Vicentini: «Il problema era la claviceps purpurea, nel cui micelio si trova acido lisergico. Gli sclerozi attaccano le graminacee e, poiché gli alcaloidi resistono alla cottura, si ingerivano farine infette. L’intossicazione veniva scambiata con possessioni demoniache». Dall’acido lisergico, per sintesi, si ottiene la droga allucinogena Lsd.

3) La pozione che salva o uccide
«Le sue magnificenze conosciute/ saranno ancora, sì che ’suoi nemici/ non ne potran tenere le lingue mute». Nel Paradiso, Dante si riferisce a Cangrande della Scala (1291-1329), signore di Verona, capo dei ghibellini al Nord. E chissà se i citati nemici c ’entrano con la fine del condottiero, stroncato il 22 luglio 1329 a Treviso da un malore dovuto — secondo fonti antiche — ad acqua fredda ingerita dopo una cavalcata al sole. Fluxus ventris, la prima diagnosi. Ma la tesi del blocco intestinale non quadra: Cangrande era in buona salute. Il rovello dura 700 anni finché, nel 2004, si fa l’autopsia. Spuntano tracce di una pianta velenosa. «Cangrande è stato intossicato da un decotto a base di camomilla e gelso in cui era contenuta la digitale», sentenzia il paleontologo Gino Fornaciari, inviato dall’Università di Pisa. «I digitalici — riflettono le curatrici della mostra, che espone il bicchiere infranto da Cangrande morente — sono una vittoria nelle cure cardiache, ma devono essere impiegati in dosi molto basse». Il limite tra vita e morte è sottile. A quei tempi, però, si sapeva solo che la pianta era tossica ma curava l’edema. Omicidio o errore? Nel dubbio, il medico finì giustiziato.

4) La pozione del principe azzurro
In volo contro il muro. Nel racconto originale dei fratelli Grimm, il rospo non se la passa benissimo: si trasforma in bel giovane solo dopo aver fatto arrabbiare la principessa, che gli rifila uno spintone. Molto dopo, con un ritocco romantico, il bacio diventa chiave del cambiamento di sembianze, e vissero tutti felici e contenti. Dietro tanta fantasia, di nuovo, sta la scienza: «I bufonidi — raccontano Gonzato e Vicentini — sono rospi diffusi in quasi tutti i continenti. Se disturbati, o in pericolo, secernono dalle ghiandole parotidi una miscela di sostanze velenose». La tossina principale isolata dalla cute del bufo si chiama bufotenina. «Questa molecola sembra avere proprietà psicoattive, provoca euforia e dissociazione dalla realtà». La dama delle favole, forse, era allucinata dal bacio dato al suo rospo.

5) La pozione per la giovinezza
De’ danni che arreca alla salute del bel sesso l’uso continuo de’ belletti e l’abuso degli odori nelle toelette. Il medico Giuseppe Fantini intitola così un saggio datato 1781. Il trucco scuro dell’antico Egitto (fascinoso ma foriero di danni neurologici, perché fatto di sali di piombo e mercurio), il collirio di solanacee amato nel Rinascimento (dava «occhi splendidi» ma erano atropine tossiche a dilatare le pupille) sono due esempi. «Per secoli in cosmetica sono stati usati prodotti apparentemente innocui. Solo nel Settecento ci si è interrogati sui problemi. Un inizio, non un limite»: da qui parte l’analisi delle curatrici sulla cosmesi. L’uso di tossine animali impazza: lumache marine, serpenti, scorpioni. «Le potenzialità rilassanti dei veleni sulla muscolatura sottocutanea riducono le rughe: si diffonde così l’uso di ceppi del batterio clostridium botulinum, del veleno di cobra (cobratossina), del più letale scorpione iraniano ( buthotus schach) o della vipera tropidolaemus wagleri. Una conotossina, isolata dal gasteropode marino conus consors, è stata applicata in crema all’1%: elimina le rughe dell’80%». Ma la pozione della giovinezza non include solo veleni animali, confermano le pubblicità di elisir radioattivi. Nel ’21 il dottor Charles Davis di Chicago sentenzia sull’«American Journal of Clinical Medicine»: «La radioattività è l’essenza stessa della vita, previene la pazzia, stimola le emozioni nobili, ritarda la vecchiaia e crea una splendida, lieta vita giovanile». Pronti, via: ecco sul mercato la saponetta Radia, lanciata nel ’23 da una ditta torinese con manifesto firmato da Achille Luciano Mauzan, o la cipria con lo stesso nome, «per una bellezza impareggiabile». Sulle confezioni una lista di ingredienti che oggi ha dell’incredibile: titanio, radio, torio.

di Anna Gandolfi - Pubblicato sul Corriere del 15/12/2019 -



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