Anno Domini 1165, Costantinopoli. Per strade tortuose, tra le mani dell'imperatore Manuele Comneno arriva una lettera inattesa e forse inattendibile. A scrivere è l'oscuro Prete Gianni: sedicente gran monarca delle Indie, discendente dei Re magi, sovrano supremo di un immenso territorio incantato dimora di ciclopi ed elefanti, intende offrire alla cristianità la sua amicizia per combattere da alleati la minaccia dei Mori infedeli. Scherzo naïf o macchinazione diplomatica, quell'improbabile epistola comparsa dal nulla avrebbe proliferato per oltre cinquecento anni, legittimando guerre di conquista, trattati fantasma, spedizioni senza ritorno alla ricerca di un personaggio fantomatico e un regno inesistente. Se la Storia è tradizionalmente il tentativo di ricostruire la verità dei fatti, questa vicenda ci ricorda che spesso fatti veri vengono messi in moto da menzogne, imposture, distorsioni - quelle che oggi chiameremmo fake news ma che invece sono vecchie quanto l'umanità. Ben prima dei forum sulle scie chimiche esistevano infatti le dicerie degli untori, e prima del piano Kalergi si moltiplicavano infinite logge segrete, rosacrociane, templari, e prendeva forma la teoria del complotto giudaico-massonico che avrebbe portato agli sciagurati Protocolli dei Savi di Sion utili ai più neri fascismi. In questa nuova edizione Errico Buonanno aggiorna e amplia il suo almanacco favoloso di vere storie false, rigoroso nelle fonti e ironico nel piglio, che ci restituisce l'immagine borgesiana della Storia come una piazza in cui da sempre mercanteggiano coscienza e sogno, luce e fantasmagoria, verità e finzione. Dalla Donazione di Costantino all'invenzione del kilt scozzese, dalla cabala al Santo Graal, le frottole più incredibili - almeno in apparenza - si sono inverate nel mondo. Ma non serve indignarsi, anzi: "Sarà vero" è anche un sincero tributo al potere dell'immaginazione, perché se quella che Umberto Eco chiamava «la forza del falso» è in grado di riplasmare la realtà che conosciamo, significa anche che non esiste un limite a ciò che possiamo sognare.
(dal risvolto di copertina di: Errico Buonanno, "Sarà vero. Falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la storia". Utet.)
I più grandi autori di autentiche patacche
- di Carlo Carena -
Recentemente in queste pagine Stefano Salis raccontava la storia di una falsa notizia e di un falso bibliografico relativi al Sidereus Nuncius di Galileo Galilei. L'episodio va ad aggiungersi alle centinaia di fake news, grandi e piccole, che hanno costellato la storia politica, letteraria, religiosa dalla più remota antichità. A volte semplicemente ridicole e beffarde, ma altre volte incisive e di portata enorme. Non solo futili divertimenti, ma anche perversi, maligni strumenti con cui ingannare il prossimo o sovvertire solide e importanti realtà, fino ai giorni nostri. Né dà una rassegna Errico Buonanno, scrittore che anche in proprio ama le trasformazioni della realtà e i giochi a rimpiattino con i suoi lettori, in "Sarà vero". Il volume, apparso la prima volta presso Einaudi nel 2009, ora può essere già ristampato in una nuova edizione "aggiornata e ampliata" da nuove ricerche e nuove comparse. Dietro un libro simile stanno Borges e Manganelli, Eco e il grande Grafton con "Falsari e critici" (1990, Einaudi 1996). La messe delle falsificazioni stipa interi scaffali, spiegava Grafton, e corre dalle origini della civiltà occidentale fino all'epoca contemporanea.
Ai vertici, per la sua portata enorme e tragica, sta la falsa Donazione con cui Costantino imperatore, guarito miracolosamente dalla lebbra, investe il vescovo di Roma e i suoi successori fino alla fine del mondo della «supremazia sopra tutte le chiese per tutte le terre». Inizio del più che millenario potere anche temporale dei papi e fonte di rivolte e scismi devastanti, quella donazione era una pura invenzione, come fu sagacemente e facilmente dimostrato mille anni dopo, a metà Quattrocento, in uno dei primi capolavori della filologia moderna e dell'emersione dall'età d'oro della fake news: la De falso credita et ementita Costantini donazione analizzata da Lorenzo Valla su basi sia contenutistiche che formali.
Cosa non ha inventato il Medio Evo è quasi incalcolabile e supera ogni nostra immaginazione. Quell'arco lunghissimo di anni divenne per paradosso filosofico o per intrighi di potere una fiera della falsità, un «eldorado di falsari, congiura da operetta, trionfo della frode, autentica civiltà del falso» secondo la definizione di Buonanno. Ed età della fantasia secondo la definizione di Vico. Anche Alessandro Magno, si fa per dire, di alcune sue esperienze nella spedizione asiatica al vecchio maestro Aristotele, genio universale, stende un parco delle meraviglie con mostri marini grandi come isole, alberi parlanti, leoni più grossi dei nostri tori, uomini con sei mani...
Sovrani impostori un po' dappertutto in Europa; il Prete Gianni sovrano cristiano delle Indie del Paradiso terrestre ai pressi della Torre di Babele, e in Abissinia e fino in Irlanda, un ideale pantagruelico per secoli bui e penosi, dove - scriveva personalmente quel collega a Federico Barbarossa, lasciando l'Europa a bocca aperta - fluivano delle sorgenti lac et mel e i fiumi portavano nelle loro acque pietre preziose, e vi dimoravano tutti gli animali della terra tranne i serpenti velenosi, e anche i merli sono bianchi e le cicale mute e gli abitanti sono pigmei o giganti. Eppure anche quella lettera, così com'era, fomentò esplorazioni, ricerche, spedizioni; e ispirò meno gravemente qualche cenno e verso a Boccaccio, Ariosto, Tasso e Shakespeare. E se qualcuno non avesse creduto alle parole di quel sublime monarca, avrebbe trovato informazioni sicure su di lui e sul suo impero da un testimone, un inglese stabilito in Francia, John Mandeville, che senza mai essere uscito di casa descrisse nei suoi Viaggi le peregrinazioni da lui compiute per trentaquattro anni in Europa, Asia e Africa, e dalle parti della Cina, dove appunto s'imbatté in quel reame colmo di meraviglie e di enormità e nel raccapricciante arcipelago di Giava. Qui i padri divoravano i figli, i figli i padri, i mariti le mogli, le mogli i mariti. Ci sono giganti con un occhio solo in mezzo alla fronte come Polifemo, altri senza testa e con gli occhi e bocca nelle spalle, e le labbra tanto grandi che le rivoltano e se ne servono come cappuccio per riparare il volto dal sole.
Di tutt'altro genere, commoventi, le meraviglie della Terrasanta, la vera meta per cui si mosse Mandeville e su cui torna ripetutamente per dirci che là si trova ancora l'Arca di Noè incagliata sulla cima del Monte Ararat e ola si può scorgere a occhio nudo nelle giornate limpide. Altrettanto nella Samaria si può vedere ancora il pozzo presso cui Nostro Signore parlò alla Samaritana; e nella valle di Dothan si vede ancora il pozzo in cui fu calato Giuseppe dai suoi fratelli. Anche nelle antiche letterature non si finisce più di vagare perlomeno nell'incerto se non nell'autentico falso. Delle decine e decine di opere adunate nel Corpus Hippocraticum una buona metà è apocrifa, e anzi lui stesso, il sommo medico, è una patacca: «non è mai esistito» (Wilamowitz). Altrettanto sono stati tramandati come veri trattati falsi dell'altro principe dei medici, Galeno. La stragrande maggioranza delle commedie attribuite a Plauto è apocrifa. Apocrifi alcuni vangeli e la corrispondenza tra Seneca e san Paolo, come dimostrò Erasmo raffinatamente e spiritosamente.
Queste sono ancora quisquiglie rispetto alle demolizioni a cui attese un gesuita seicentesco, al quale accenna Buonanno nel capitolo finale. Costui, Jean Hardouin, ci racconta nei Prolegomena che mentre approntava un'edizione della Storia naturale di Plinio il Vecchio, uno scienziato a metà, «nel mese di agosto del 1690 cominciai a subodorare qualche frode negli scritti di sant'Agostino e simili; nel successivo mese di novembre sospettai di tutti e nel maggio del 1692 scoprii il tutto dopo aver trascritto lunghi estratti di scrittori greci e latini»: e cioè che l'intera letteratura greca e latina, eccetto Plinio e qualche verso di Orazio e di Virgilio georgico (che però «non pensò mai nemmeno per un attimo di scrivere l'Eneide»), sono un falso di monaci medievali sfaccendati. Altrettanto deve dirsi di molti scritti di Padri della Chiesa e di molte opere d'arte: la Colonna Traiana è anch'essa trecentesca.
Eppure ancora nel secolo seguente, quello dei Lumi, uno dei più strepitosi successi letterari furono i Canti di Ossian, «frammenti di antica poesia raccolti sugli Altopiani di Scozia» attribuiti ad un antico bardo e invece opera del loro editore, James Macpherson. Operazione ripetuta un secolo dopo con il medesimo scopo apologetico in Sardegna con la pubblicazione di certe Carte d'Arborea trecentesche che comprovano (comproverebbero) la magnificenza del Medioevo sardo. Di quegli anni, come nei nostri Diari di Hitler, è anche l'exploit più strepitoso tra tutti quelli citati dal Buonanno. Nel 1865 un autodidatta francese esperto di genealogie e di numismatica, Vrin-Denis Lucas, contraffà e rifila per 140mila franchi al matematico accademico Michel Chasles un corpo di 27.350 autografi di famosissimi personaggi storici: Moliére, Racine, Shakespeare, e anche Dante, Attila, Carlo Magno, Giovanna d'Arco, una lettera d'amore di Cleopatra a Cesare e una della Maddalena a Lazzaro, nonché quella vergata da Giuda Iscariota prima d'impiccarsi; e tutte vergate in francese!
Processato e imprigionato quella volta e altre per motivi simili, il Vrin-Denis alla fine se ne torna bel bello a vendere libri antichi a Chateaudun. D'altra parte nel suo piccolo anche Alessandro Manzoni inventò e creò un manoscritto seicentesco da cui trascrisse «con eroica fatica», addomesticandone la lingua, la storia dei due innamorati; e Cervantes si dice non padre patrigno di quella del famoso Hidalgo narrata negli annali della Mancha dallo storico arabo Cide Hamete Benengeli.
Si può concludere con un brano del nostro Autore in riferimento ai Canti di Ossian. Da sempre ci sono due modi per fare la storia: costruire il futuro o fabbricare il passato, e dei due il secondo «è il più sottile e anche il più efficace». Oppure torniamo a Grafton e raccogliamo anche la sua conclusione, dell'importanza, involontaria, di tante fonti create con la cosciente volontà di ingannare, e dell'ottima qualità di tanta parte di esse. Secondo un proverbio ben noto ai poliziotti, cita Grafton, «Per scoprire un ladro ci vuole un ladro»; così sulla parete dello studio del detective letterario potrebbe benissimo stagliarsi quest'altro, che «Per scoprire un falso ci vuole un falsario».
- Carlo Carena - Pubblicato sul Sole dell'8/12/2019 -
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