« La trasformazione dell'umanità lavoratrice in una "forza lavoro", un "fattore di produzione", uno strumento del capitale, è un processo incessante e senza fine. Si tratta di una condizione che è ripugnante per le vittime - sia che la loro paga sia alta o bassa - poiché viola le condizioni umane del lavoro; e ciò avviene dal momento che i lavoratori non vengono distrutti come esseri umani, ma semplicemente utilizzati in modi inumani, e le loro facoltà critiche, intelligenti, concettuali, per quanto spente o diminuite, rimangono sempre, in qualche grado, una minaccia per il capitale. Inoltre, il modo di produzione capitalista viene continuamente esteso a nuove aree di lavoro, ivi incluse quelle appena create dai progressi tecnologici e dal trasferimento del capitale su nuove industrie. Inoltre, questo modo di produzione viene continuamente raffinato e perfezionato, ragion per cui la sua pressione sui lavoratori è incessante. Allo stesso tempo, l'assuefazione dei lavoratori al modo di produzione capitalistico deve essere rinnovata ad ogni generazione, tanto più che le generazioni che crescono sotto il capitalismo non si formano all'interno della matrice della vita lavorativa, ma vengono inserite e immerse nel lavoro a partire dall'esterno, per così dire, dopo un prolungato periodo di adolescenza durante il quale sono mantenute in una riserva. La necessità di adattare l'operaio al lavoro nella sua forma capitalistica, in modo da superare così le resistenze naturali intensificate dalla rapida evoluzione della tecnica, dai rapporti sociali antagonisti e dal succedersi delle generazioni, non si esaurisce pertanto con la "organizzazione scientifica del lavoro", ma diventa una caratteristica permanente della società capitalistica. »
(da: Harry Braverman, "Labor and Monopoly Capital: The Degradation of Work in the Twentieth Century ", 1974.)
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