L'incomprensibile indulgenza filosofica riguardo Heidegger
- A 45 anni dalla sua morte, rispuntano i dibattiti circa il contributo dato da Heidegger al pensiero. Ma al di là della polemica, non si può sorvolare su un aspetto centrale della sua vita: ha partecipato al nazismo fin dall'inizio del Terzo Reich. Come mai i suoi sostenitori gli perdonano un simile "dettaglio"? E che relazione c'è con la sua filosofia? -
di Américo Schvartzman - Luglio 2021
Ricorre in questi giorni il 45° anniversario della morte di Martin Heidegger, ed è per questo motivo che torniamo a questo pensatore tedesco del secolo scorso. Per alcune correnti filosofiche, Heidegger è il più importante filosofo del XX secolo, e c'è perfino chi dice che è rimasto tale ancora fino a oggi. Si tratta della linea che è stata adottata da divulgatori come José Pablo Feinmann e Darío Sztanjrazjber. Per altre correnti della filosofia attuale, Heidegger ha portato solo oscurità all'attività filosofica. «Eccentrica e oscura», la sua filosofia è «irrilevante, e a leggerla viene da pensare che in essa sia stato smarrito ogni controllo del linguaggio», ebbe a dichiarare Bertrand Russell. Per Mario Bunge, famoso filosofo e fisico argentino morto lo scorso anno, Heidegger non era altro che «un ciarlatano». Anche se in altre occasioni a volte ha usato termini ben peggiori.
Ad ogni modo, entrambe le affermazioni - «il più grande pensatore», e «la sua filosofia è irrilevante» - sono veritiere: da un lato, il grande impatto avuto dalla filosofia di Heidegger su certe correnti contemporanee, come la «filosofia continentale», è innegabile. La sua influenza è visibile in Sartre (sebbene lo stesso Heidegger abbia respinto qualsiasi relazione tra le loro filosofie), in Derrida, in Habermas, in Foucault, e nel pensiero postmoderno in generale. Anche il coreano Byungh Chul Han, che può essere definito un pensatore "alla moda", riconosce l'influenza di Heidegger sulle proprie idee.
A sua volta, l'affermazione contraria appare vera per chiunque rifiuta la filosofia postmoderna, o per chi è impegnato in campi specifici della filosofia attuale. Per esempio, che influenza ha avuto Heidegger sulla filosofia della scienza, o sulla filosofia della mente, o sulla filosofia politica, sull'etica applicata, sul femminismo filosofico, sul materialismo o sulle filosofie naturalistiche? Nessuna. Pensatori diversi ma rilevanti come Bunge, Daniel Dennet, John Rawls, Gustavo Bueno, Peter Singer, John Searle, Judith Butler, Martha Nussbaum, Jesús Mosterín, Adela Cortina - per citarne solo alcuni - non riconoscono il lavoro di Heidegger come rilevante per la loro filosofia.
L'oblio dell'Essere
Perché Heidegger sarebbe così importante secondo i suoi seguaci? In generale si riscontra una coincidenza in quella che è la sua enfasi sulla riflessione circa l'esistenza, nella sua critica di una società tecnificata, la quale, secondo Heidegger, produce «un oblio dell'Essere» a beneficio di un Sapere meccanicistico o tecnico che manca di valore profondo.
Per José Pablo Feinmann, Heidegger è il filosofo più importante del XX secolo e ancora oggi «la sua filosofia rompe con le filosofie che si basano su una teoria della conoscenza. “Essere e Tempo” è un libro esistenziale. Quello che Heidegger chiama il Da-Sein, l'essere umano, l'"essere-qui" viene "gettato-qui", viene espulso nel mondo, di modo che in questo, così facendo, Heidegger evita completamente lo schema della teoria della conoscenza, la separazione tra il soggetto della conoscenza e l'oggetto della conoscenza. L'originalità di Heidegger consiste nel riportare il tema della filosofia alla questione dell'Essere. Vale a dire, porre la domanda: perché lì c'è qualcosa, e non piuttosto il nulla? (...) Così, ad essere importante è che contribuisce a far sì che l'essere umano si interroghi ancora una volta sull'Essere».
Quindi, secondo Feinmann, Heidegger non esprimerebbe altro se non una reazione alla filosofia contemporanea, un'opposizione al sapere prodotto dalla scienza, a partire dalla quale egli vuole discutere di nuovo dell'Essere, come se nulla fosse successo tra Parmenide e la scoperta dell'atomo. Questa reazione conservatrice appare un po' inquietante: essa è attraente per alcune tendenze ecologiste, le quali credono di trovare in Heidegger un riferimento concettuale e cercano di collegarlo con l'«ecologia profonda» di pensatori come Arne Naess. Ma coloro che recuperano Heidegger, nel farlo gli ancorano anche la spiegazione (o parte di essa) della sua adesione al nazismo: man mano che l'umanità si allontana dal suolo, dal contadino, dalla terra, dal «naturale» (come se invece l'agricoltura non fosse artificiale, non fosse una creazione umana e anche, a suo modo, una tecnologia), si produce un annullamento dei valori, del senso dell'umano.
Le cose capitano
Per molto tempo, quando si discuteva di Heidegger, si è continuato a trascurare il fatto che il pensatore tedesco fosse un membro del nazismo fin dai primi giorni del governo di Hitler. Nicolas Mavrakis spiega come, nel contesto dell'epoca «la tecnificazione dell'esistenza era contesa da due grandi potenze ideologicamente antagoniste ma identicamente modernizzatrici: il comunismo e il capitalismo», ragion per cui sarebbe sembrato inevitabile che le «promesse di recuperare i valori del suolo e della tradizione, da parte del nazismo di Adolf Hitler, seducessero il filosofo come opzione di superamento...».
Ma ci può essere un errore più grande per un filosofo: parlare di «oblio dell'essere», e trovare come «opzione di superamento» un regime che nega l'essere ad altri esseri, di carne e sangue, che, secondo questa ideologia, non meritano di essere? Sembra difficile trovare una contraddizione maggiore. Tuttavia, i difensori di Heidegger sostengono due risposte a una domanda del genere: da un lato, 1) - che la sua adesione e partecipazione al nazismo non sarebbe stato altro che un errore nella vita del pensatore, un episodio minore (alcuni suggeriscono che non fu «per convinzione» ma per «opportunismo»); e dall'altro, 2) - che questo «errore» avrebbe poco a che fare con il suo pensiero filosofico, cioè che non ci sarebbe una connessione necessaria tra la sua filosofia e il nazismo.
Alcuni, come Darío Sztajnszrajber, argomentano dicendo che Heidegger, assorto nelle sue riflessioni sull'essere e sui greci, sarebbe stato al di là della politica e - come sottolinea Juan Carlos Faraone - «ci si riferisce al nazismo di Heidegger dicendo persino che biograficamente questo gli sarebbe successo, come se la colpa dell'evento fosse dei biografi, e come se l'evento stesso potesse essere ridotto alla categoria delle cose che capitano».
Ma in filosofia si discute di tutto, e si devono fornire delle ragioni per ciò che si afferma. A tal fine è importante notare che ci sono numerosi studi che confutano entrambe le risposte apologetiche di Heidegger. Per esempio, Tom Rockmore, il quale riconosce il posto influente occupato da Heidegger nella filosofia contemporanea, sostiene che se la relazione avuta dal suo pensiero con il nazismo non è stato notata più ampiamente, ciò è avvenuto a causa di una sorta di «controllo dei danni da parte dei suoi più fervidi ammiratori» (Arendt, Sartre, Marcuse, ecc.) e, soprattutto, si è trattato di «una mancanza di percezione del suo significato filosofico».
Ma non solo: ci sono diversi autori che mostrano come il suo nazismo, o il suo silenzio, sia coerente con la sua filosofia: Hassan Givsan, Peter Trawny, Donatella di Cesare, Víctor Farías e Nicolás González Varela sono alcuni di loro.
L'indulgenza verso Heidegger
È difficile comprendere l'indulgenza di gran parte della comunità filosofica verso Heidegger. Quelli che lo difendono dicono «beh, ma non ha mai arrestato nessuno, e inoltre è stato in carica solo per poco tempo». È vero... a metà: non ha mai nemmeno difeso chi veniva perseguitato, non ha mai detto una sola parola contro il nazismo - anzi, nella corrispondenza con alcuni suoi seguaci che gli chiedevano di esprimersi sull'argomento, giustificava il proprio silenzio con delle falsità e delle fandonie - ed è rimasto in Germania, lavorando e rimanendo affiliato al partito nazista fino alla fine di quell'atroce esperienza.
Una confutazione dell'affermazione che non ci fosse alcuna connessione tra la sua filosofia e il pensiero nazista, ci viene data dal discorso che tenne quando assunse la carica di rettore dell'Università di Friburgo, tre mesi dopo che Adolf Hitler era andato al potere. Heidegger, quando si è insediato, era allora già un filosofo maturo, quasi 50 anni, mentre scienziati, filosofi e insegnanti della stessa università venivano perseguitati.
In quel discorso, a parte le espressioni oscure o francamente incomprensibili - le stesse che caratterizzano il resto della sua opera, e che nel 1934 portarono Sartre a leggerne non più di cinquanta pagine nel suo primo tentativo di affrontare Essere e Tempo - ciò che appare chiaro sono i doveri (« i legami con l'essenza del popolo tedesco ») che egli impone agli studenti, dopo aver annunciato loro che la libertà accademica è finita, « falsa libertà che sarà sostituita dall'essenza del popolo tedesco, il quale è superiore a tutti e proviene dai greci ». I doveri sono « il legame con l'onore e il destino della nazione, che esige la disponibilità al sacrificio estremo », « al servizio delle armi »; e « il legame con la missione spirituale del popolo tedesco, che forgia il proprio destino nel manifestare una forza superiore a quella tutte le potenze formatrici del mondo », nella « sottomissione e obbedienza al Reich ».
In altre parole: addio alla libertà accademica, e voi, i giovani, alle armi e a disposizione dello stato nazista. Coloro che sostengono che la sua filosofia non ha alcun legame profondo con il nazismo, non conoscono o non vogliono leggere quel discorso.
Con simili difensori...
Alberto Buela è un filosofo argentino che ha avuto un momento di gloria - non come Feinmann o come la rockstar Dario Z - quando nel 2010 ha chiesto a Google di rimuovere l'associazione del suo nome e cognome con la parola «nazista», la quale era la prima che veniva proposta del motore di ricerca. Ma indipendentemente da come preferisce definirsi, Buela è legato all'estrema destra argentina ed è vicino (al punto da condividerne le lezioni) al filosofo russo Aleksandr Duguin e al francese Alain de Benoist, entrambi pensatori riconosciuti della nuova destra.
In un articolo su La nueva Provincia del 2014, Buela difende Heidegger in una maniera così singolare che finisce per ratificare ciascuna delle accuse. Vediamo:
1. Nega che prima del 1975 qualcuno lo abbia mai accusato di essere un nazista, o che la sua filosofia abbia portato al nazismo (vedremo più avanti che questo è falso).
2. Nega il nazismo di Heidegger, ma, già che c'è, nega anche l'Olocausto: «Questa questione è legata a una più grande, l'invenzione dell''industria dell'Olocausto».
3. Rivela quale sarebbe la causa dell'accusa: «La subordinazione della filosofia agli interessi di razza, religione e politica dopo la guerra dello Yon Kippur (sic) del 1973, quando il potere di Israele si è consolidato in Medio Oriente e il potere ebraico negli Stati Uniti». L'accusa nazista contro Heidegger è una cospirazione ebraica!
4. Cita una "critica" del nazismo del 1935: «Ciò che viene offerto oggi sul mercato come filosofia del nazionalsocialismo non ha niente a che vedere con la verità interna e la grandezza di questo movimento». In altre parole: Heidegger, secondo il suo difensore Buela, critica il nazismo per essersi allontanato dal nazismo, dalla sua «verità interna», dalla «sua grandezza». Che critica!
Con difensori come Buela, Heidegger non ha bisogno di detrattori. E per inciso, mette i difensori progressisti dell'autore di Essere e Tempo sotto una luce piuttosto negativa.
Un archetipo irrazionalista
Tra coloro che lo difendono, abbondano quelli che accusano l'eurocentrismo, i nazionalisti e persino gli indigenisti, il che è del tutto incomprensibile: non si rendono conto di come non ci sia niente di più eurocentrico dell'idea di «essere», vista come una forza che attraversa le epoche per raggiungere un luogo, l'«essere lì» che poi non è altro che l'Essere tedesco, direttamente collegato all'Essere greco, superiore a tutte le altre «razze» «nel manifestarsi della forza superiore delle potenze formatrici del mondo», qualsiasi cosa ciò possa significare?
L'avversione di Heidegger per la modernità e la tecnologia - ripetuta oggi da vari filosofi, alla moda o meno - era già vista al suo tempo come un'espressione del conservatorismo che caratterizzava i pensatori reazionari di ogni epoca.
Ad esempio, Pablo Jacovkis ci dice che la rivista Minerva - fondata e diretta da Mario Bunge - pubblicò già nel 1944 delle note sulla connessione tra il pensiero di Heidegger e il nazismo. Isidoro Flaumbaum, nel primo numero di quella pubblicazione, lo definì come il nemico intellettuale da combattere, «l'archetipo irrazionalista simbolo dell'intellettuale nazista».
Jacovkis aggiunge: «Dopo la seconda guerra mondiale c'era come una cappa di silenzio abbastanza efficace sul passato di Heidegger», che il libro di Víctor Farías del 1987 ha cominciato a rompere. Ma è stato solo con la pubblicazione dei Quaderni neri di Heidegger nel 2015, con i suoi abbondanti passaggi nazisti, razzisti e antiebraici, che ogni dubbio è stato dissipato. Anche così, non è facile capire come i seguaci di Heidegger, a partire da Hannah Arendt, sua allieva e amante, abbiano coperto questo aspetto del pensatore tedesco.
Già in precedenza, nel 1935, Alexander Korn denunciava il nazismo di Heidegger e lo «cancellava», a modo suo e con ironia: « Heidegger non fa altro che far rivivere le visioni dei mistici che equiparavano l'essere al nulla (...) e insinua, come principio assoluto e metafisico, il tempo. (Però) questo tempo eterno è assai difficile da afferrare, così il signor Heidegger ha deciso di conformarsi al tempo in cui vive e pertanto ha aderito al regime in Germania. E se questo è il risultato del suo sforzo metafisico, possiamo dichiarare che è assai povero », dice nei suoi Estudios de filosofía contemporánea, pubblicati dalla Claridad l'anno dopo che Heidegger ebbe lasciato il rettorato.
Devo dire di più? Qualche heideggeriano dirà che questo paragrafo non è sufficiente per liquidare un filosofo. A me, invece, sembra che sia sufficiente per liquidare un nazista. Per quanto possa essersi nascosto dietro la sua filosofia.
- Américo Schvartzman -
Fonte: Perfil 3 luglio 2021
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