(nella foto: Lucia Lavia interpreta Dioniso, ne "Le Baccanti", di Euripide.)
In effetti, Dioniso è il "dio-altro", il "dio-estraneo", il "dio-straniero": non fa parte del consesso olimpico, perché forse è venuto da lontano, dal di fuori.
Pausania racconta la storia di un oggetto “estraneo”: una enigmatica maschera di legno che era stata trovata in fondo al mare da alcuni pescatori di Lesbo, e che subito venne considerata epifania di Dioniso.
Questa immagine che emerge dal mare, è anch’essa uno spazio “altro” e rimane un enigma da decifrare perché in questo volto c’è appunto qualcosa di xènos (Baccanti, 453), cioè di "strano" e di "straniero", secondo quello che era il doppio, ambiguo, significato della parola greca: "straniero", che infatti, non designa affatto il non-greco, vale a dire il "barbaro", bensì il cittadino di una comunità vicina.
È Penteo che, nelle Baccanti di Euripide, si rivolge a Dioniso come xènos.
In questo modo, chi indossava la maschera, dunque, diventava "altro". Si trattava, pertanto, di una maschera che era, al tempo stesso, "presenza" – in quanto considerata manifestazione di Dioniso –, ma anche "assenza" a causa delle sue orbite vuote. Una maschera che aspetta di essere indossata da qualcuno che così facendo, indossandola, diventerà altro da sé, pur rimanendo sé stesso.
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