Siamo nel 132 avanti Cristo, e la guerra, per gli schiavi che si sono rivoltati in Sicilia, è ormai persa. Chiuso nella morsa dell'assedio di Enna, Euno, lo schiavo siriano che li comanda, fa rappresentare delle azioni sceniche nelle quali gli schiavi mettono in scena la loro ribellione contro i padroni, rinfacciando loro l'arroganza e la violenza che alla fine li ha portati alla rovina. Questa forma singolare, forse unica nel mondo antico, di «teatro rivoluzionario» mantiene ancora oggi un valore del tutto speciale. Vale a dire, quasi fosse una «pedagogia» da imporre ai padroni-spettatori e, soprattutto, un «memento», tanto più importante proprio nel momento in cui la certezza della sconfitta imminente avrebbe potuto allora indurli ad un qualche cedimento. In questo modo, Euno riattizza, mediante lo strumento efficacissimo del Teatro, quell'odio di classe che Posidonio di Apamea, nel raccontare tutta la vicenda, aveva additato come il sintomo per eccellenza di quello che lui riteneva essere la «malattia rivoluzionaria». Più di duemila e cento anni fa, forse per la prima volta, viene messo in scena l'odio degli oppressi che legittima la violenza.
- pubblicato già sul blog il 23/12/2010 -
Nessun commento:
Posta un commento